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giovedì 17 febbraio 2011

Chi è la donna che insieme al Magistrato di Milano Bruti Liberati, sta "perseguitando" il Premier Silvio Berlusconi? Puritani e moralisti all'attacco delle Istituzioni Politiche della Seconda Repubblica!

Ilda Boccassini

Dopo la laurea in Giurisprudenza entra in magistratura, con funzioni effettive, nel 1979 prestando servizio dapprima alla Procura della Repubblica di Brescia, e ottenendo poco dopo il trasferimento alla Procura della Repubblica di Milano. Si occupa, quasi subito dopo il suo arrivo a Milano, di criminalità organizzata.
La sua prima inchiesta di rilevanza nazionale viene denominata Duomo Connection e ha come oggetto l'infiltrazione mafiosa nell'Italia settentrionale. L'inchiesta è portata avanti con la collaborazione di un gruppo di investigatori guidati dall'allora tenente Ultimo, il capitano divenuto poi famoso per l'arresto di Totò Riina. Sono gli anni delle prime collaborazioni anche con il Giudice Giovanni Falcone, che sfoceranno in un legame di profonda amicizia.[1]
All'inizio degli anni novanta entra in rotta di collisione con altri colleghi del pool antimafia milanese, ne viene estromessa dall'allora Procuratore Capo Francesco Saverio Borrelli[senza fonte], ma porta comunque a termine il processo sulla Duomo Connection. Dopo le stragi di Capaci e Via D'Amelio, nel 1992, chiede di essere trasferita a Caltanissetta dove rimane fino al '94 sulle tracce degli assassini di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.[2] Collabora nuovamente con Ultimo alla cattura di Riina e scopre, in collaborazione con altri magistrati applicati a quelle indagini, mandanti ed esecutori delle stragi Falcone e Borsellino. Dopo una breve parentesi alla Procura di Palermo torna a Milano e, su richiesta del Procuratore Borrelli, si occupa dell'inchiesta denominata Mani pulite subentrando ad Antonio Di Pietro dimessosi dalla magistratura il 6 dicembre del 1994.[3] Collabora, quindi, con i colleghi Gherardo Colombo, Piercamillo Davigo, Armando Spataro e Francesco Greco, seguendo in particolare gli sviluppi delle inchieste riguardanti Silvio Berlusconi e Cesare Previti[senza fonte].
Continua ad operare presso la Procura di Milano dove si occupa di indagini sulla criminalità mafiosa e sul terrorismo. Ha diretto a partire dal 2004 le indagini della DIGOS che il 12 febbraio 2007 hanno portato all'arresto di 15 sospetti appartenenti all'ala movimentista delle Nuove Brigate Rosse, denominata anche Seconda Posizione. Secondo l'accusa, la presunta organizzazione terroristica, operante nel Nord Italia, stava preparando attentati contro persone e aziende. Il 28 maggio 2009 il Plenum del Consiglio Superiore della Magistratura (CSM) l'ha promossa alla funzione di Procuratore aggiunto presso il Tribunale di Milano.[4]
Attualmente indaga sul caso riguardante l'affidamento di una giovane donna marocchina, definito giornalisticamente caso Ruby, nota negli ambienti della politica e della moda, che avrebbe compiuto alcuni furti.[5] L'inchiesta interessa, tra gli altri, il presidente del Consiglio dei Ministri italiano Silvio Berlusconi che, secondo l'accusa, avrebbe esercitato indebite pressioni sulla questura di Milano per ottenere suo rilascio e che l'avrebbe pagata in cambio di prestazioni sessuali quando era ancora minorenne.[6] A causa di quest'incarico e di altre attività che hanno impegnato le procure della Repubblica nelle indagini su Silvio Berlusconi per reati quali concorso esterno in associazione mafiosa, prostituzione minorile, concussione, corruzione, strage, appropriazione indebita, traffico di droga, riciclaggio di denaro sporco, abuso d'ufficio, frode fiscale e falso in bilancio, Berlusconi la ha indicata fra gli appartenenti ad una ipotetica frangia della magistratura, da lui definita "sovietica" e "comunista".

Edmondo Bruti Liberati

Membro di una storica famiglia nobile delle Marche, i marchesi Bruti Liberati, ha ricoperto incarichi di rilievo nella Corte di giustizia dell'Unione europea e in seno all'Associazione Nazionale Magistrati italiana. Di quest'ultima fu segretario generale e vicepresidente fra gli anni 1980 e 1990, prima di assurgere alla carica di presidente il 25 maggio 2002. È esponente ed ex presidente di Magistratura democratica. Dal 2010 svolge l'ufficio di procuratore della Repubblica presso il tribunale di Milano.[1]


21 MARZO 2009 - DALL'UNITA': Edmondo Bruti Liberati, magistrato ed ex presidente dell’Anm, boccia il ddl del centrodestra sulle intercettazioni: «Vedremo l’esito del dibattito parlamentare. Finora ho visto proposte stravaganti e inidonee a raggiungere gli obiettivi di tutela della privacy e razionalizzazione dei costi».

Quanto costano le intercettazioni?

«Molto, anche perché non c’è omogeneità nei prezzi stabiliti con le varie società telefoniche. Alcuni uffici giudiziari hanno iniziato una revisione dei contratti. Si può fare di più, ma moltissimo potrebbe fare il ministero della Giustizia proponendo schemi e prezzi base uguali per tutti. Finora purtroppo non è avvenuto».

Secondo il Pd, i proventi delle confische dei beni dei condannati ammonterebbero a 330 milioni nel solo processo Antonveneta. Non è un’enormità?

«È vero che alcuni processi importanti relativi alla criminalità economica hanno consentito il recupero alle casse dello Stato di cifre imponenti. Che coprono non solo le spese del procedimento ma anche parte significativa degli oneri complessivi per le intercettazioni. Poi però c’è un principio più generale».
Di quale principio parla?

«I costi si possono razionalizzare e devono essere abbattuti. Ma questo resta uno strumento fondamentale per il contrasto alla criminalità. Limitare i presupposti a gravi o evidenti indizi di colpevolezza indebolisce molto questa forma investigativa, rendendola inutilizzabile».

Cosa altro non le piace della riforma?

«È assurdo prevedere per i processi a carico di ignoti l’iniziativa della parte offesa, spesso intimorita e oggetto di minacce. Quanto alla durata, sono convinto che i magistrati debbano fare grande attenzione e non intercettare oltre lo stretto necessario, ma non ha senso porre un termine drastico di tempo».
Quali potrebbero essere le conseguenze?

«Paradossali. Se pochi giorni prima della scadenza del termine dalle intercettazioni emergessero i colpevoli o la progettazione di nuovi reati, secondo la riforma si dovrebbe comunque smettere di ascoltare».

Trova appropriate le sanzioni più dure previste dal testo?

«Non il carcere per i giornalisti. Ma è giusto introdurre sanzioni rigorose ed efficienti per chiunque, giornalisti compresi, divulghi intercettazioni di cui è stata disposta la distruzione a tutela della riservatezza».

Fonte: ffantozzi@unita.it 21 Marzo 2009 da http://www.unita.it


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ITALIA-CINA

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