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lunedì 24 ottobre 2011

Nella nuova Libia la "Sharia" sarà legge! Come si sospettava da tempo, come già io stesso ho sempre sostenuto su questo blog, in Libia gli estremisti Islamici di Al-Qaeda che hanno armato e guidato i ribelli nella guerra al regime di Gheddafi, hanno fatto sapere che nella nuova Libia liberata, la "Sharia" sarà la nuova legge! La "Sharia" non è altro che un complesso di norme Religiose, Giuridiche e Sociali direttamente fondate sulla dottrina Coranica che prende il nome appunto di Sharia. In quest'ultima convivono regole Teologiche, Morali, Rituali insieme a quelle che noi chiameremmo norme di Diritto Privato, affiancate da norme Fiscali, Penali, Processuali e di Diritto Bellico! "Sharia" significa, alla lettera, "la via da seguire" ma si può anche tradurre come "Legge Divina!" Dunque la Nuova Libia liberata si trasformerà in uno Stato in tutto e per tutto molto simile all'Iran, Afghanistan, Pakistan e a molte altre Repubbliche Islamiche in cui a dettare legge è solo il Corano!

 Sopra, il video di uno degli ultimi radio-messaggi di Gheddafi...

Migliaia a Bengasi per la festa della liberazione: finalmente liberi!

«Alzate la testa, siete libici e siete liberi dal giogo di Gheddafi». Di fronte a decine di migliaia di persone radunate in piazza Kish, nel cuore di quella Bengasi che 8 mesi fa tenne a battesimo la rivoluzione, il presidente del Consiglio nazionale di transizione (Cnt) Mustafa Abdel Jalil annuncia la nuova era. Si ricomincia dall’inno nazionale, la vecchia bandiera monarchica verde-nera-rossa, l’anima profonda del Paese rimasta viva in barba al dittatore ucciso giovedì nei pressi di Sirte. Jalil s’inginocchia in preghiera, segue il passo del Corano che accompagna l’avvio della cerimonia e riprende il microfono: «Essendo una nazione musulmana la sharia è per noi la fonte del diritto, ogni norma che contraddica i principi dell’islam non avrà più valore».
L’occidente sintonizzato sull’evento tv ha un fremito, la folla no. Lui precisa che la legge su matrimonio e divorzio verrà rivista compresa la norma anti-poligamia, che saranno aperte banche islamiche ossia estranee al concetto d’interesse, che Allah è grande e poi ringrazia la Lega Araba, l’Onu, l’Europa e i martiri passati ormai «nel migliore dei posti, il paradiso eterno». La Storia è qui, oggi. «Ho il cuore in gola, è una tale emozione. La sharia? Non c’è nulla di male, siamo musulmani» urla al telefono l’ingegnere trentenne Mustafa Fattah mentre dal palco il presidente detta l’agenda della transizione democratica e chiede l’impegno di tutti: governo a interim prima della fine dell’anno ed elezioni entro 20 mesi, «un esercito nazionale che protegga i confini» ma soprattutto «perdono, tolleranza, riconciliazione e rispetto della legge».
Tra luci e ombre la Libia si lascia alle spalle quarant’anni di regime. «L’uccisione di Gheddafi ha un po’ macchiato il Cnt», ammette il neoministro della Difesa britannico Philip Hammond. L’episodio dell’esecuzione del Colonnello resta un giallo su cui anche la Farnesina chiede un’inchiesta auspicando «che si faccia luce in tempi rapidi». L’autopsia, eseguita ieri a Misurata, rivela che il rais, catturato vivo, sarebbe morto in seguito a un conflitto a fuoco. Una versione che secondo il premier Mahmoud Jibril dovrebbe smorzare le polemiche confermando l’impossibilità di identificare le responsabilità. «Il medico legale afferma che Gheddafi era già ferito, è stato caricato su un camion e sulla strada per l’ospedale c’è stata una sparatoria» spiega Jibril.
Fuoco incrociato, insomma: «Non so se la pallottola che l’ha colpito alla testa provenisse dagli uomini della sua sicurezza o dalle brigate rivoluzionarie ma non c’è motivo di dubitare di questa informazione». L’onere di provare la credibilità democratica del Paese al di là della fiducia teorica passa ora al neogoverno insieme alla sorte dei 7 mila prigionieri di guerra rinchiusi qua e là in carceri improvvisate. «Tutti i giochi sono aperti, il Paese non è wahabita e non rischia un’islamizzazione alla saudita ma potrebbero prevalere le correnti più radicali» nota lo studioso libico Karim Mezran, direttore del Centro studi americani di Roma e coautore del saggio «I Fratelli Musulmani nel mondo contemporaneo». Il ricorso alla sharia non lo stupisce: «Era già stata subdolamente inserita nella Costituzione presentata a luglio a Washington e mal tradotta in inglese. Rispecchia la natura dei libici che si sono reislamizzati in questi vent’anni, da un pezzo a Bengasi come a Tripoli ci sono sempre più donne velate e non si beve vino».
Oltre alle sfide del futuro l’orizzonte è carico delle minacce del passato. Ieri, dopo notizie contrastanti sulla sua sorte, è tornato a farsi sentire Seif al Islam, il delfino di Gheddafi, che in un audiomessaggio trasmesso dalla tv siriana «Al Rai» annuncia di voler continuare a combattere la Nato e i «ratti» assassini di suo padre. 

Fonte: http://www3.lastampa.it/

LA SHARIAH
di Seyyed Hossein Nasr (eliminati gli accentti perennialisti)

La Shariah, è la legge divina: accettandola si diventa musulmani. Soltanto colui che accetta le ingiunzioni della Shariah come vincolanti è musulmano, anche se non fosse capace di realizzare nella sua vita tutto ciò che insegna o di seguire tutti i suoi ordini. La Shariah, è il modello ideale per la vita dell'individuo e la legge che unisce le genti musulmane in un'unica comunità. Essa è la materializzazione della volontà divina in termini di insegnamento specifico. Accettare questo insegnamento ed essergli fedele garantisce all'uomo una vita armoniosa in questo mondo e la felicità nell'altro.
La parola Shariah, è essa stessa etimologicamente derivata da una radice che ha il significato di strada. la strada che conduce a Dio. Assume grande rilevanza simbolica il fatto che sia la divina legge sia la via spirituale, Tariqah (quest'ultima, dimensione esoterica dell'Islam), siano fondate sul simbolismo della strada oppure del viaggio. Tutta la vita è un passaggio, un viaggio attraverso questo mondo transitorio per giungere alla divina presenza. 
La Shariah, è legge divina nel senso che impersona la volontà divina alla quale l'uomo deve attenersi, sia nella sua vita personale sia in quella sociale.
Nell'Islam, la manifestazione della volontà divina non consiste soltanto in un insieme di insegnamenti generici, bensì in un complesso di insegnamenti concreti. Non soltanto si ingiunge all'uomo di essere caritatevole, umile e giusto, ma gli si insegna anche come esserlo in tutte le diverse evenienze della vita. La Shariah, contiene i comandamenti della volontà divina applicati a ogni circostanza dell'esistenza. Essa è la legge secondo la quale Dio vuole che vivano i musulmani. Quindi essa è una guida che abbraccia ogni aspetto particolare della vita e dell'agire umani. Accettando di vivere secondo la Shariah, l'uomo pone la propria esistenza nelle mani di Dio. Quindi la Shariah, che non trascura nessun aspetto dell'attività umana, santifica tutta la vita e attribuisce significato religioso anche a quella che potrebbe sembrare la più profana delle attività.
L'incomprensione del vero senso della Shariah da parte del mondo occidentale è da addebitarsi alla sua natura concreta e onnicomprensiva. Un ebreo che creda nella legge talmudica può capire che cosa voglia dire avere una legge divina, mentre viceversa la maggior parte dei cristiani, e quindi i laici di estrazione cristiana, assimilano con difficoltà tale concezione, proprio perché nel cristianesimo non vi è netta distinzione fra la legge e la via. Nel cristianesimo la volontà divina è espressa in termini di insegnamento universale, come per esempio quello che induce alla carità, ma non in regole concrete.
La diversità fra la concezione della legge divina nell'Islam e nel cristianesimo è già chiara nel modo in cui la parola canone (qanun) è usata nelle due tradizioni in ambedue le tradizioni la parole è stata mutuata dalla Grecia. Nell'islam il termine è venuto a connotare in legge fatta dall'uomo, in contrasto con la Shariah, legge ispirata da Dio. In Occidente si dà un significato opposto a questo vocabolo, nel senso che la legge canonica indica l'insieme delle norme che governano l'organizzazione ecclesiastica, e gli si attribuisce una netta sfumatura religiosa.
Il punto di vista cristiano sulla legge che governa socialmente e politicamente l'uomo è espresso dal celebre detto del Cristo:
Date a Cesare quel che è di Cesare. Questa frase riveste in verità due significati, uno solo dei quali è generalmente preso in considerazione. Essa viene comunemente interpretata come un invito a lasciare alle autorità secolari, di cui Cesare è il modello più cospicuo, tutte le faccende mondane o attinenti alle norme politiche e sociali. Ma oltre a questo, quella frase vuoi dire che, essendo il cristianesimo una via meramente spirituale, esso non possedeva di per sé una legislazione divina delle cose terrene, motivo per cui doveva far sua la legge romana per divenire religione di una civiltà.
La legge di Cesare, o legge romana, fu assorbita provvidenzialmente nella visione cristiana dei mondo, una volta che questa religione prevalse in Occidente, ed è a questo fatto che allude il detto del Cristo. Tuttavia la dicotomia rimame sempre. Nella civiltà cristiana la legge che governa la società umana non ebbe la stessa divina sanzione ricevuta degli insegnamenti del Cristo. E infatti tale mancanza di legislazione divina per le cose mondane, nel cristianesimo, ebbe una parte di non poco conto nella secolarizzazione che si verificò in Occidente durante il Rinascimento. Essa è anche la causa più importante della mancanza di comprensione del significato della Shariah, da parte degli occidentali e di tanti musulmani moderni ormai occidentalizzati.
Rispetto alla legge divina, quindi, le posizioni dell'Islam e del cristianesimo sono completamente diverse. L'Islam non ha mai dato a Cesare quel che era di Cesare. Piuttosto, esso ha tentato di integrare quello che era il dominio di Cesare, cioè la vita politica, sociale ed economica, in una concezione religiosa comprendente il mondo in tutte le sue sfaccettature. Nell'Islam la legge è un aspetto integrante della rivelazione e non un elemento estraneo.
Nell'Occidente cristiano è successo così che la legge sia stata, fin dall'inizio, una norma umana da stabilire e da rivedere secondo la necessità e le condizioni del momento. L'atteggiamento occidentale verso la legge è totalmente determinato dal carattere del cristianesimo quale via spirituale che non apportava una sua propria legge rivelata.
La concezione universale della legge nell'ebraismo e nell'Islam, è all'opposto di quella occidentale generalmente prevalente. Si tratta di una concezione eminentemente religiosa, seconda la quale la legge è qualcosa che appartiene integralmente alla religione. Infatti la religione per un musulmano è essenzialmente la legge divina, che comprende non soltanto principi morali universali, ma anche norme particolari su come l'uomo deve amministrare la propria esistenze e agire nei riguardi del prossimo e di Dio; su come l'uomo deve mangiare, generare, dormire; su come deve vendere e comprare sulla pinza del mercato; su come deve pregare e compiere altri atti di culto. Tale legge include ogni aspetto della vita umana, comprendendo nei suoi dogmi anche il modo in cui un musulmano deve vivere la sua vita in armonia con la volontà divina. Essa guida l'uomo verso la comprensione della volontà divina indicandogli quali azioni e quali oggetti dal punto di vista religioso sono obbligatori (wajib), quali sono meritori o raccommandabili (mandub), quali sono proibiti (haram), quali reprensibili (makruh), e quali indifferenti (mubah).
Attraverso queste valutazione l'uomo perviene a conoscere il valore di tutte le azioni umane dal punto di vista del divino, sicché egli può scegliere tra il "sentiero angusto" e quello che lo guida fuori strada. La Shariah gli fa conoscere ciò che è giusto e ciò che è ingiusto. Con il libero arbitrio l'uomo deve scegliere quale strada seguire. Una simile legge è l'archetipo della vita umana ideale, è una legge trascendente che viene applicata alla società umana ma che non è mai pienamente realizzata, a cagione delle imperfezioni inerenti a tutto ciò che è umano. La Shariah corrisponde a una realtà che trascende il tempo e la storia. Per meglio dire, ogni generazione della società musulmana dovrebbe cercare di adeguarsi ai suoi insegnamenti, applicandoli in modo nuovo alla situazione contingente del suo tempo. Il processo creativo che è compito di ogni generazione non ha lo scopo di rifare la legge, bensì di riformare gli uomini e la società umana per adattarli alla legge. Secondo il modo di vedere islamico, la religione non dovrebbe essere riformata per essere adeguata alla natura degli uomini sempre mutevole e imperfetta, ma gli uomini dovrebbero riformarsi in modo da vivere in conformità ai dettami della rivelazione. Secondo quanto corrisponde alla realtà vera delle cose, è l'umano che deve adeguarsi al divino, e non viceversa.
Da: "Ideali e realtà dell'Islam" di Seyyed Hossein Nasr, Ed.:Rusconi - eliminati gli accentti perennialisti

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ITALIA-CINA

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