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sabato 27 agosto 2011

La NATO e Nicolas Sarkozy al banco degli accusati per l'inutile, sanguinaria e dannosa guerra in Libia: la guerra della vergogna è costata € 21 milioni di euro spesi al giorno dalla Nato dal 19 Marzo 2011 ad oggi e € 1.500.000 di euro spesi dall'Italia al giorno per sostenere la guerra in Libia! Tutto per l'ORO NERO, la corsa al Petrolio e alle risorse naturali dell'Africa! I CRIMINI DI GUERRA DELLA NATO GUIDATA DAI FRANCESI!


 GUARDA IL VIDEO: "I VERI MOTIVI DELLA GUERRA IN LIBIA!"
LIBIA - Tripoli pronta ad avviare un procedimento legale contro il presidente francese Nicolas Sarkozy per crimini contro l'umanita', nel quadro della ''campagna militare'' a guida Nato in Libia. Un funzionario del ministero della Giustizia libico, Ibrahim Boukhzam, ha fatto sapere che due avvocati francesi, Jacques Verges e Roland Dumas, si sono offerti di rappresentare le famiglie vittime dei bombardamenti condotti dall'Alleanza sul territorio libico.

''I due avvocati stanno per presentare una denuncia ai giudici francesi nei confronti del presidente Nicolas Sarkozy, in nome delle famiglie libiche'', ha detto Boukhzam nel corso di una conferenza stampa a Tripoli!"

Nei giorni scorsi il procuratore capo del Tribunale penale Internazionale, Luis Moreno Ocampo, aveva chiesto di emettere un mandato di cattura internazionale per crimini contro l'umanita' nei confronti del colonnello Muammar Gheddafi, del figlio Saif al Islam e del capo dei servizi libici Abdullah al Senoussi.

L’intervento militare si basa su una serie di menzogne e omissioni. I media internazionali sono stati i primi ad alimentare la disinformazione. Ma quante sono le vittime civili causate dai bombardamenti Nato? E la popolazione libica quanto patisce le conseguenze del conflitto?

La Nato dichiara “significativi progressi” nella guerra in Libia, soprattutto nel nord ovest del Paese. Intanto, però, il Consiglio Nazionale di transizione, con sede a Bengasi, non riesce ad avere un’azione amministrativa “efficace” nelle regioni conquistate. Centinaia le vittime civili prodotte dai bombardamenti dell’Alleanza Atlantica, mentre le città sono sotto assedio e la popolazione vive condizioni di estremo disagio.
Hai scritto che la Guerra in Libia è “la madre di tutte le bugie”. Perché? Quali sono le reali ragioni che stanno dietro all’intervento militare?
“Questa che è la quinta guerra combattuta dall’Italia in venti anni, contro un Paese che non ci ha aggrediti, raggiunge il top quanto a propaganda e disinformazione, impiegate in abbondanza per giustificare, per spacciare come umanitario un intervento che ha ragioni geostrategiche e che peraltro per l’Italia è sicuramente un danno. Già nelle guerre precedenti contro l’Iraq, l’ Afghanistan e il Kosovo, le bugie, le menzogne di guerra, la propaganda hanno fatto una parte da leone, però questa volta di più. In realtà sono stati i media a cominciare e tra questi, anche media in precedenza più indipendenti come Al jazeera che però evidentemente hanno conosciuto un percorso a ritroso quanto a libertà di informazione.
Questi media internazionali, sin dall’inizio degli eventi in Libia e quindi delle manifestazioni che sono subito diventate armate, hanno cominciato a disinformare, come poi è stato verificato, e purtroppo come si sa le smentite non hanno mai spazio. Tutto parte in realtà da un ballon d’essai secondo me, la madre di tutte le bugie come l’ho chiamata, un twitter della tv saudita e quindi della monarchia saudita, Al Arabiya che sparava questa cifra già il 23 febbraio: 10 mila morti sotto i colpi dei miliziani di Gheddafi. Tra parentesi c’è anche un fatto terminologico perché in questa guerra l’esercito libico è sempre chiamato “insieme di miliziani, miliziani di Gheddafi, mercenari, cecchini” mentre gli altri sono i combattenti per la libertà. Appunto questo twitter lanciava 10 mila morti e 50 mila feriti. La fonte del messaggio era un tale Sayed Al Shanuka che parlava da Parigi e diceva di essere rappresentante della Corte Penale internazionale e quindi senza prove video o fotografie il rappresentante sedicente della Corte lancia questa cifra. Il twitter di Al Arabiya fa il giro del mondo e da lì parte tutto tant’è che si arriva al Consiglio di Sicurezza dell’Onu senza mandare nel Paese una missione di verifica delle Nazioni Unite come chiedeva lo stesso governo libico. Il giorno dopo la Corte penale dice che Sayed Al Shanuka non è affatto un proprio rappresentante, dunque se la fonte era sbagliata, sarebbe stato logico verificare la cifra. Tuttavia tutto è andato avanti, si è cominciato a parlare di fosse comuni salvo poi anche lì verificare che il famoso cimitero in riva al mare non era un fossa comune ma un normale cimitero e il video si riferiva a mesi prima. Si è parlato di bombardamenti sui quartieri di Tripoli, io sono stata a Tripoli e anche i migranti che sono rimasti lì, che non hanno quindi nessun particolare ruolo governativo né di altro genere, mi hanno detto che non c’è mai stato nessun bombardamento dell’esercito libico su Tripoli, i bombardamenti sono quelli della nato e stanno facendo danni incalcolabili. Quindi tutto è iniziato in questo modo e poi è andato avanti. Dopodichè dopo alcuni mesi la stessa Corte penale internazionale, pur avendo incriminato Gheddafi, parla di 200 morti negli scontri iniziali compresi i pro governativi, quindi non 10 mila morti e 50 mila feriti, una cosa nazista praticamente, ma 200 da entrambe le parti.”
Per giustificare la guerra, si era parlato di migliaia di vittime del regime di Gheddafi. Ma quante sono le vittime civili causate dai bombardamenti NATO? Quanto la popolazione libica patisce questa situazione?
“Si infatti, la Nato sta inanellando una serie di crimini di guerra come abbiamo già visto nelle guerre precedenti. Si è resa responsabile di stragi di civili: pochi giorni fa nel villaggio di Majar, vicino Zliten, sono stati mostrati i cadaveri di persone che non erano certo morte di polmonite e non erano soldati, ma donne e bambini e anche anziani, 85 morti. La Nato ha detto che queste case di campagna che erano state colpite nascondevano l’esercito libico, anzi come dice la nato “i miliziani di Gheddafi”, ma queste persone non erano militari, le case distrutte erano piene di oggetti della vita quotidiana e comunque come dice un avvocato italiano, Claudio Giangiacomo dell’Associazione Ialana, anche colpire l’esercito libico se non sta aggredendo delle città, come in questo caso, sarebbe illegale. Ma soffermiamoci sui civili che la Nato dovrebbe proteggere, sono surreali le conferenze stampa della Nato, suggerisco di guardarne qualcuna, questi civili sono ammazzati, feriti… Mentre ero a Tripoli, ho incontrato anche una donna superstite di una famiglia nel quartiere Al Arada, colpito dai bombardamenti. E poi ci sono i danni collaterali. Centinaia di miglialia di migranti che sono dovuti tornare nei loro paesi. Ho parlato con un ragazzo del Niger, che è rimasto in Libia, ma mi ha riferito che è devastante quello che sta succedendo in Niger, un paese poverissimo che adesso si deve far carico di decine di migliaia di famiglie tornate lì. Ci sono famiglie spostate dalle zone di conflitto, ho parlato anche con degli sfollati libici, che da Misurata la famosa città sotto assedio, si sono rifugiati a Tripoli. Mi hanno raccontato che sono i ribelli ad andare in giro per le case ad ammazzare le persone e tutto quanto. Tripoli è sotto assedio, quindi una città con milioni di abitanti adesso si trova ad avere tagliati gli approvvigionamenti di gas, di benzina tra un po’ anche di scorte alimentari. Questo perché con il blocco navale, con le condutture che sono state tagliate dai ribelli, l’unica via di approvvigionamento per gli alimentari erano i camion dalla Tunisia ma adesso anche in quella zona ci sono scontri. Poi per quanto riguarda i carburanti, che servono anche per far funzionare i frigoriferi e e le cucine, c’era un’unica raffineria ormai che non era tagliata fuori a Zawia ma anche lì i ribelli sono avanzati, quindi probabilmente anche questa via di approvvigionamento per Tripoli sarà interrotta. Con le navi non arriva qusi nulla perché, anche se il materiale civile potrebbe passare, il comitato per le sanzioni dell’Onu ritarda, come succedeva anche per l’Iraq, i permessi e quindi di fatto Tripoli è una città che vogliono prendere per fame.”
I migranti stanno subendo forse più di altri le conseguenze del conflitto…
Molti sono andati via perché le aziende hanno chiuso. Questo ragazzo del Niger, ad esempio, lavorava per i cinesi e loro sono partiti tutti. Adesso lui si arrangia un po’ con dei lavoretti. È molto interessante quello che dicono. Oltre a confermare che non ci sono stati i famosi attacchi indiscriminati ai civili che sarebbero stati la causa dell’intervento della Nato, dipingono il quadro di una Libia sotto assedio in cui si attenta ai beni necessari alla vita quotidiana.
Due donne parlavano di fronte alla chiesa che è il punto dove si ritrovano i migranti, perché non ci sono libici cattolici ma ci sono molti migranti dalle Filippine, dall’Africa. Due donne del Ghana e del Togo parlavano tra di loro e dicevano “Adesso la Libia è diventata come l’Africa. Anche qua non c’è nemmeno l’elettricità. Dove andiamo?” e poi ho parlato con un pakistano che vendeva delle croci davanti alla chiesa. È lì da ventun’anni e mi ha detto “ma se arrivano i ribelli”- che tra l’altro si sono dimostrati parecchio razzisti – “io dove vado? Se torno in Pakistan la nostra vita è in pericolo”. In effetti in Pakistan i cristiani sono messi molto male. Quindi, e questo va detto, il Governo libico ha sempre protetto le altre religioni. I migranti africani comunque avevano lì una situazione di lavoro e anche abitativa e di permessi buona. Chi è in Libia non in transito ma per lavoro non si deve nascondere come i clandestini in Italia. Può rimanere, non viene espulso. Quindi il fatto di avere costretto i bengalesi, le persone Bangladesh a ritornare a migliaia nel loro Paese, è un danno collaterale enorme: il Bangladesh è un paese poverissimo. Poi ho incontrato anche le famiglie degli sfollati da Misurata, da Brega, da Tobruk. Quindi dall’Est, da Bengasi. Persone che avevano una casa ed una vita normale che adesso vivono nei container lasciati liberi dai cinesi alle porte di Tripoli. Persone che vivono accampate lì che non sanno quando torneranno perché nell’Est la situazione non è affatto tranquilla per chi non è dalla parte dei ribelli. Quindi ecco c’è una situazione umana devastante. Così come per le altre guerre è sempre angosciante chiedersi che fare. Chi è contro la guerra e ne conosce gli effetti si chiede come può impegnarsi. Come rete “No war”, un piccolo gruppo pacifista italiano, abbiamo iniziato una campagna alla quale tutti possono aderire mandando una mail non al nostro Governo, alla Francia, agli Stati Uniti ma ai membri non belligeranti del consiglio di Sicurezza. Il Consiglio di sicurezza ha quindici membri, tra permanenti e non permanenti, dodici non partecipano a questa guerra. Ci sono Russia, Cina che hanno diritto di veto, India, Brasile, Sud Africa, dei Paesi molto importanti. Possiamo noi fare appello a loro affinché isolino i Paesi belligeranti, nel caso del Consiglio di sicurezza sono Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti, perché Cina e Russia pongano il veto a Settembre, affinché decada il mandato della Nato, braccio armato dell’Onu come non dovrebbe essere. Se volete sapere di più su questo appello basta andare su questo sito www.interculture.it/libia. E lì trovate l’appello e anche le mail a cui mandarlo”.


Una volta di più, e forse mai come questa volta, un giornalismo totalmente embedded rispetto alle leadership europee e alla Nato ci ha ammannito la rappresentazione mediatica della guerra in Libia, mostrandoci folle festanti che agitano bandiere, giovani guerrieri col mitra che sorridono alle telecamere, e lontani fumi che si alzano da macerie non ben identificabili.
Ma dove sono i morti? Quanti civili sono stati uccisi? Quante donne e bambini? Come mai non ne vediamo traccia?
Certo, la guerra in sé non è mica bella da vedere. Meglio costruire una narrazione senza veri testimoni, meglio far parlare un solo punto di vista, una sola parte.
Altrimenti come si potrebbe rappresentare la guerra come una festa, la violenza come promessa di giustizia e democrazia, le bombe come salvatrici dei popoli oppressi?
Con quanta tronfia ipocrisia l’Occidente si erge a difensore delle “primavere arabe”, nelle terre che non più di un secolo fa ha saccheggiato e sfruttato, e con quale rapida intesa i leader europei hanno forzato i termini della risoluzione Onu per lanciarsi nell’ennesima, maledetta guerra del petrolio a suon di bombe.
Davvero non esisteva altra strada per liberarsi di un dittatore? Davvero la gente libica non poteva iniziare una resistenza pacifica, forse lunga e pericolosa, ma certo meno sanguinosa di una guerra gestita dalla Nato?
Davvero non si poteva aspettare per capire cosa realmente la gente volesse, prima di seminare bombe sulla testa dei civili e probabilmente creare una frattura insanabile fra le diverse anime tribali di cui è composto il paese? Ora si parla di una taglia sulla testa di Gheddafi, wanted per prossima esecuzione. Tutto il mondo trasformato nel Far West senza regole che gli Usa ci hanno abituato da tempo a conoscere.
Questa overdose di informazione televisiva “in tempo reale” ad alcune persone forse regala l’illusione di condividere il farsi della storia mentre, al contrario, ci si stanno vieppiù ottenebrando le comuni capacità critiche. Nulla più è verificabile, tutto è falsificabile con una potenza mai raggiunta prima.
Una potenza così schiacciante da riuscire ad annientare anche le tradizionali voci di dissenso che, per quanto poche, comunque esistevano e resistevano.
La violazione della risoluzione Onu, che non consentiva i bombardamenti, e dell’articolo 11 della nostra Costituzione, è passata nel totale silenzio, come se non rappresentasse un segnale devastante rispetto ai rapporti interni e internazionali.
Le regole non servono, quando occorre si violano: questa è la filosofia delle cosiddette “democrazie” occidentali. In altre parole, la legge della giungla. E con questo tipo di democrazia si va a “salvare” un popolo dalla dittatura.
Solo uno sparuto gruppo di superstiti nel pacifismo, nel femminismo, nel giornalismo critico ha avuto la forza di continuare a protestare. Il timore di farsi prendere per “amici di Gheddafi” è grande, come se qualcuno potesse ignorare che sono sempre state queste voci a condannare i crimini di ogni dittatura e specificamente anche quelli di Gheddafi, in particolare per gli orrori contro i migranti nei campi di raccolta.
In compenso si sente parlare la destra che prende i panni di un pacifismo d’accatto, sottolineando i danni economici che la caduta del rais ci potrà comportare!
Purtroppo il potere e la potenza nel mondo sono nelle mani di leadership costituite in massima parte da uomini (e da qualche donna) mai evolutisi rispetto a una fase di infantile onnipotenza: prendo ciò che voglio e lo prendo con la forza. Sono più forte e quindi il diritto è mio.
Faccio la guerra perché non so o non voglio nemmeno immaginare un’altra via per risolvere i conflitti, e la chiamo pace. Faccio la guerra anche se è il più tragico spreco di vite e di risorse che si possa immaginare.
Faccio la guerra come se fosse un gioco. Gioco ovviamente maschile, oltre che infantile.
Ecco perché le donne consapevoli dovrebbero riprendere con grande impegno quel discorso contro le guerre che negli anni Novanta ha prodotto esperienze di grandissimo interesse e che si è poi affievolito fino a sbiadire del tutto.
Ma le guerre continuano e anzi ritornano.
Il triangolo di resistenza e di fuga di Gheddafi. Dopo i titoli avventati sulla Tripoli Liberata, la complessità torna nelle sabbia mobili delle trattative incrociate tra kabile fedeli e ribelli. Tra Kabile incerte e kabile in vendita. Tra potenze liberatrici e potenze da liberare da lucrosi contratti petroliferi. Tra diplomatici spia e spie travestite da diplomatico. Ancora settimane di guerra, prevedono gli esperti sul campo, e le possibili vie di fuga nel deserto del Rais. Le semplificazioni propagandistiche, nella guerra combattuta, procurano solo guai. Sul campo il caos di Tripoli appare piuttosto come una fase rumorosa di pausa per trattative inconfessabili.

Tripoli liberata dal giornalismo di emozione. Titoli che si inseguono e si smentiscono. Tripoli liberata. No, a Tripoli si combatte. Conquistato il palazzo di Gheddafi. Ma Gheddafi non c'era. Bufala bis della statua di Saddam abbattuta a Baghdad, immagini televisive in campo stretto, per non far vedere che il popolo plaudente era fatto solo da giornalisti e troupe televisive. Oppure il pittoresco sacrificio volontario della barba di qualche poveraccio nella Kabul liberata, pagato da una troupe televisiva per farsi telebano pentito nell'Afghanistan liberato dagli studenti del corano, dai burka e dalle barbe integrali e integraliste.

I tre capisaldi di Gheddafi. Peccato che in Libia le cose siano molto più serie, e più pericolose. Restano fedeli al Rais i reparti beduini, i più mobili e meglio armati, e le postazioni avanzate nel deserto, basi militari della lontana guerra contro il Ciad. Disegniamolo questo triangolo della morte, questa punta di lancia che dalla costa porterà il beduino Gheddafi verso il deserto profondo e la via di fuga. Tripoli (dove ancora si combatte duramente) e Sirte (la città natale), tracciano la base. Poi una puntata a sud, verso il cuore della regione del Fezzan, città oasi di Sabha, la "fedelissima". Oltre soltanto il deserto, le tribù tuareg e l'immensità dell'Africa.

Sebha o Sabha e la storia militare. Era la capitale della storica regione del Fezzan. Data la sua posizione al centro del deserto libico, Sebha è stata fino al secolo scorso un importante centro di sosta e smistamento delle carovane che attraversavano il Sahara. Ora è la rotta della disperazione per decine di migliaia di migranti sub-sahariani. L'Oasi di Sebha è stato un sito per testare i razzi Otrag. Nel 1981 dalla base libica di Sebha fu lanciato un razzo Otrag con un'altezza massima raggiungibile di 50 km. Esistono ancora quei razzi? E con quali proiettili? Ufficialmente la società Otrag ha chiuso per pressioni politiche da parte degli Usa.

O la fuga o l'olocausto. C'è un segreto tra i segreti. L'incubo delle armi chimiche che fanno ancora parte dell'arsenale non colpito a disposizione del despota che non molla. Forse è anche per questo che ancora oggi si tratta. I kalasnikov sparano per coreografia televisiva ad anticipare un vittoria che potrebbe costare prezzi ancora elevatissimi, e nel segreto, le trattative sotterranee tra governati ed insorti. Tra insorti e insorti. Tra spie e spie. Geopolitica delle "kabile" che governano territori, popoli ed eserciti del caos Libia. Warfalla contro i Qadadhifa (tribù da cui prende il nome lo stesso Rais) e via spartendo. Nuclei che il dopo Gheddafi lo contrattano in potere e petrolio.

Le quattro componenti. Il fronte anti-gheddafiano è diviso al suo interno. Quattro le componenti principali. Prima è l'attuale dirigenza del Comitato nazionale di Transizione di Jalil e Jibril, che tenta di portare avanti una politica unitaria. La seconda è quella filo-francese, minoritaria all'interno degli insorti, ma che vede al suo interno le kabile che controllano le principali fonti energetiche del paese. Quella che potrebbe favorire Parigi nei nuovi contratti. Terza, quella che esprimeva l'assassinato generale Janous, composta dalla "lobby" militare che ha abbandonato il rais. Quarta, all'italiana, quella dei "pontieri" non ostili a Gheddafi pronti a mediare. 

Cnt: ci vorranno 10 anni per ricostruire il Paese - Il Consiglio Nazionale Transitorio prosegue comunque per la sua strada, e ha annunciato che da Giovedì 25 agosto la sua nuova sede non è più la 'periferica' Bengasi, ma Tripoli stessa, dove il governo-ombra ha tenuto la prima seduta. Dal Cnt è arrivato anche un primo bilancio di questi sei mesi di guerra: 20 mila morti.
Intanto da Istanbul, dove aveva partecipato a una riunione tecnica del Gruppo Internazionale di Contatto, il premier Mahmoud Jibril è tornato a insistere sulla necessità di ricevere aiuti finanziari, così da garantire la stabilità del Paese mentre il nuovo corso prende piede. Jibril ha sottolineato anche l'intenzione di rifondare Forse Armate e Polizia: ma anche per questo, ha avvertito, "ci occorrono capitali". A proposito della ricostruzione, il ministro degli Esteri, Franco Frattini, ha respinto le indiscrezioni di stampa secondo cui si sarebbe aperta una "competizione" tra Italia e Francia per lo sfruttamento delle ricchezze libiche. "Siamo stati e saremo il primo partner economico della Libia", ha detto il capo della Farnesina. "L'Italia continuerà ad avere il ruolo che ha sempre avuto", ha assicurato. Frattini ha inoltre ribadito che l'amministratore delegato del'Eni, Paolo Scaroni, viaggerà a Bengasi Lunedì 29 agosto e "sottoscriverà accordi importanti che faranno ripartire gli impianti di estrazione di gas e petrolio fortunatamente non danneggiati. Onorerà l'impegno di fornitura al Consiglio nazionale transitorio (Cnt) di gas e benzina, importati dall'Italia e anticipati a valere sulla futura estrazione in Libia!"

CEntotrentesimo giorno di guerra in Libia. A che punto è arrivato il costo del conflitto? Una prima stima, relativa alle sole spese della Coalizione, era stata fatta dopo la prima settimana di conflitto: 600 milioni di euro. 28 spesi dagli inglesi; 21 dai francesi; 12 dagli italiani, di cui 10 per l’aviazione e 2 per la marina; il resto in gran parte dagli Usa. Il che sostanzialmente coincide con i dati del Pentagono di fine marzo: 500 milioni di dollari, di cui il 60% in missili e bombe. Un’altra stima, questa complessiva, era stata fatta dal 19 marzo, inizio delle operazioni, al 2 maggio: 140 milioni di euro al giorno e 6 miliardi in totale. Di cui in dettaglio: 2 miliardi spesi dagli Alleati, pari a oltre 46 milioni al giorno; 3 da Gheddafi, pari a una settantina di milioni al giorno; e un miliardo dai ribelli, che infatti il 5 maggio avevano chiesto alla Coalizione un paio di miliardi per poter continuare la lotta. Se si fosse continuati a quel ritmo, si sarebbe arrivati a 18,2 miliardi. Che sarebbe ormai molto vicino a esaurire i 21,5 miliardi che Gheddafi aveva custoditi in banche Usa, e che gli sono stati sequestrati apposta per finanziare i ribelli e l’appoggio loro fornito. In dettaglio sarebbero più o meno 9 miliardi spesi da Gheddafi, 6 miliardi dagli Alleati e 3 dai ribelli. La somma totale farebbe 9 miliardi per sostenere Gheddafi e 9 miliardi per abbatterlo: perfetto stallo economico, che infatti traduce il perfetto stallo strategico sul terreno, con i contendenti che continuano a fare avanti e indietro dalle stesse posizioni attorno a Misurata, tra Tripoli e le montagne berbere e attorno a Brega.  
Certo, sono proiezioni astratte. Da una parte, bisogna tener conto del fatto che gli Usa dopo il grosso impegno iniziale hanno drasticamente limitato il loro impegno: da 130 milioni di dollari al giorno a 40 milioni di dollari al mese. Dall’altro, però, le spese degli altri partner tendono invece ad aumentare. Il 16 luglio, ad esempio, quando la Raf ha spedito a Gioia del Colle quattro nuovi Tornado, la stampa britannica ha calcolato che il loro impiego venisse 35.000 sterline all’ora: quasi 40.000 euro. In tutto, solo i 22 jet della Raf in missione sarebbero venuti a costare fino a quel momento 260 milioni di sterline, circa 290 milioni di euro, contro i 100 milioni preventivati dal governo di Londra. Il che vorrebbe dire che alla Raf la guerra sta costando 2,4 milioni di euro al giorno, e che al 130esimo giorno la spesa avrebbe oltrepassato i 317 milioni di euro. In effetti la previsione che il Segretario alla Difesa Liam Fox ha fatto in Parlamento sulla spesa per i primi sei mesi di guerra è un po’ più contenuta, ma non di molto: 120 milioni di sterline (quasi 135 milioni di euro) per il carburante e le spese operative di aerei, navi da guerra e sottomarini; 140 milioni di sterline (poco più di 157milioni di euro) da spendere per rimpiazzare i missili e le bombe sganciati sulla Libia. Totale sempre di 260 milioni di sterline; ma non per la sola Raf bensì per tutto, e spalmati non su 119 giorni, ma su 180.
Per la Francia i calcoli li ha fatti Le Figaro: 100 milioni di euro ogni 2 mesi. Che sarebbero 1,6 milioni di euro di spesa al giorno, e 216 milioni dall’inizio del conflitto. In questo caso va detto che, prudentemente, il primo ministro François Fillon non ha azzardato preventivi, ma si è limitato a ricordare che “difendere la popolazione libica non ha prezzo”. Altri costi parziali: un’ora di volo del drone americano Predator, il più economico tra i velivoli utilizzati, viene 6000 euro. Un Eurofughter Typhoon costa 32.000 euro per un’ora di volo, più 15.000 euro di manutenzione. Ogni bomba guidata costa tra i 30 e i 40.000 euro. Ogni missile da crociera Storm Shadow e Tomahawak viene un milione di euro. Per l’Italia, la portaerei Garibaldi, il cacciatorpediniere Andrea Doria, il pattugliatore Borsini e la rifornitrice Etna costano ogni giorno 300.000 euro di gasolio. Il costo dei primi tre mesi di campagna era stato stimato per l’Italia in mezzo miliardo dal ministro La Russa, in 700 milioni dalla Lega e in un miliardo dal Fatto.
Quanto alla Libia, il governo di Tripoli sostiene che l’intero conflitto è costato al Paese 50 miliardi di dollari nei primi cinque mesi: una stima da 3,5 miliardi di euro al mese, che comprende evidentemente non solo il mantenimento delle Forze Armate, ma anche le distruzioni e il blocco di un’economia che l’anno scorso era cresciuta del 10,3%. Almeno il 40% di questa cifra dipende dallo stop all’export di petrolio, che si è tradotto evidentemente in un danno proporzionale per l’Eni.

di Maurizio Stefanini
27/07/2011

Da dieci anni si combatte nel mondo la “Guerra al Terrore” aperta dal Presidente Bush dopo l’attentato dell’11 settembre 2001. Ora e’ il momento di fare un po’ di conti. I morti sono stati più di 300mila. L’agenzia Bloomberg ha calcolato poi che ai soli contribuenti americani Iraq Afghanistan e spese per la sicurezza hanno presentato un costo di 2mila miliardi di dollari. Bloomberg l’ha chiamata la Bin Laden Tax. Sul pianeta c’e’ chi dice che ora che il capo di Al Qaeda e’ morto sia arrivato il momento di por fine alle ostilita’. Ma non sara’ facile: molto forti sono gli interessi in campo.
(LIBIA) - Bengasi - Oltre 20mila persone sono morte in Libia nei sei mesi di guerra civile seguiti alla repressione delle proteste popolari attuata da Muammar Gheddafi. Lo ha detto il leader del Consiglio nazionale di transizione libico Mustafa Abdel Jalil. "Non ho una stima precisa, ma la guerra ha fatto più di 20mila morti!" ha detto Jalil a Bengasi. Jalil ha poi escluso il pericolo legato alla presenza sul territorio libico di armi chimiche: "Come ex membro del regime so molto bene che quelle armi non ci sono più", ha sottolineato.

Libia: I crimini di guerra della Nato guidata dai Francesi! 6 Miliardi di EURO spesi dagli Alleati in SEI MESI di guerra e 3 Miliardi dai ribelli!

East Coast Shut Down as Storm Approaches...

胡哥訪朝盛況 Hu Jintao's visit to PyongYang DPRK 2005

胡锦涛访问朝鲜Hu Jintao's visit to North Korea 2008

KCTV (Wen Jiabao in Pyongyang) 2009

venerdì 26 agosto 2011

Ecco come si dovrebbero interrogare Michele Misseri e i suoi familiari per arrivare in breve tempo alla verità! Come nella STASI della ex DDR!

Sarah Scazzi, un anno dopo: Il ricordo composto di Avetrana!



26 AGOSTO 2010 - 26 AGOSTO 2011 (R.I.P.)

Dodici mesi fa moriva Sarah Scazzi, la quindicenne di Avetrana. Da stamane, frotte di persone sono in visita alla lapide della ragazzina nel cimitero del paese. Il sindaco, al fine di evitare speculazioni, non ha organizzato alcun evento commemorativo. 

E’ ormai trascorso un anno dalla morte di Sarah Scazzi. Un anno fa, Sarah si stava preparando per andare al mare: sua cugina Sabrina le aveva inviato un sms per avvisarla e lei, la quindicenne di Avetrana, si apprestava a raggiungerla presso la villetta di via Deledda dove avrebbero atteso assieme Mariangela Spagnoletti, l’amica che le avrebbe portate al mare. E’ fine agosto e Sarah Scazzi, la quindicenne pugliese, in quella villetta trova la morte. Tutto il resto è storia nota, sebbene in questi mesi  ripetutamente sconfessata,contraddetta e alla fine confusa.
Un anno dopo, il quadro dell’accusa sembra essere ormai delineato con nitidezza. Lui, il contadino che fece ritrovare il cadavere della “bambina” così come il suo cellulare, Michele Misseri, è ormai fuori dalle mura del carcere di Taranto, dove è rimasto recluso per mesi. In quel periodo Michele ha giocato a nascondino con gli inquirenti dando versioni contrastanti dei fatti, come la menzogna sul vilipendio di cadavere, nelle quali gli inquirenti hanno evidenziato diversi buchi. Falle e lacune che, invece, individuerebbero con sufficiente certezza un coinvolgimento nell’omicidio (definito dagli inquirenti “concorso morale”) di sua moglie, Cosima Serrano, attualmente reclusa nel carcere di Taranto nella stessa cella della figlia Sabrina. Dopo un anno, comunque, è pacifico che sia lei, Sabrina,  la protagonista indiscussa del caso: la figura più emblematica dell’intera vicenda che dal carcere continua, nonostante tutto, a proclamarsi innocente. E ad incolpare suo padre, difendendo a spada tratta Cosima.

Fonte: http://www.fanpage.it/
 
Un anno fa Sarah Scazzi, la giovanissima veniva uccisa, forse a causa della sua bellezza. Tutto il Paese in allerta a cercare una quindicenne Sarah Scazzi, bionda, esile, alta poco meno di un metro e 60, indossa una maglietta rosa, pantaloncini corti neri, le infradito. Sulle spalle ha uno zainetto nero e nelle orecchie le cuffiette per ascoltare musica.uscita da casa in via Vico II Verdi ad Avetrana, vista forse entrare   via Deledda. Sarah scompare e tutti la cercano ovunque, crescono pagine facebook, sms, mms fotosegnaletici, la gente comune si impegna, tutti alla ricerca di Sarah, ma la piccola di Avetrana non c’è. Sembra essere stata inghiottita dal nulla. Dopo la denuncia di scomparsa della famiglia, partono le indagini. Si seguono le piste più disparate: dalla fuga volontaria al rapimento, dal sequestro di persona all’ipotesi di un maniaco sessuale conosciuto via internet. Sarah però non è sparita, Sarah è morta ammazzata. Da Chi? Il pomeriggio del 26 agosto è giunta a casa Misseri, ma non ne è più uscita viva. Un orco o una strega ha compiuto il suo fato!
Quel che resta del suo corpo, viene ritrovato nella notte tra il 6 e il 7 ottobre, in un pozzo-cisterna in contrada Mosca, nelle campagne di Avetrana.
Michele Misseri, zio di Sarah, messo alle strette dai carabinieri dopo la denuncia pubblica (il 29 settembre) del rocambolesco ritrovamento del confessa il delitto, ma dopo un pò le sue versioni cambiano in modo disastroso. Ma dopo lunghe indagini ad otto mesi dal delitto si scopre una assurda e macabra “verità”. Ad uccidere Sarah non è stato lo zio Michele, per un rifiuto sessuale, ma la gelosia della cugina.
Sarah sarebbe stata uccisa da Sabrina e dalla madre Cosima dopo l’ennesima lite tra Sabrina e Sarah che si erano invaghite entrambe di  Ivano Russo. Michele avrebbe eliminato il cadavere, aiutato da un fratello e un nipote. Lunedì però la giustizia metterà luce a questo tragico delitto.

Fonte: http://mediterranews.org/


Sarah Scazzi: Avetrana un anno dopo, cosa è cambiato?

E’ passato un anno da quel maledetto 26 Agosto 2010. Sarah Scazzi, una quindicenne di un paesino in Provincia di Taranto, scomparve nel nulla in un esiguo tragitto, quello che la portava quotidianamente alla casa degli zii. Era partita di casa con spensieratezza, pensando di recarsi al mare con quella cugina alla quale voleva molto bene. Forse, però, Sarah non trovò quel giorno, in quella casa, ciò che cercava, ossia tranquillità e spensieratezza, ma, probabilmente, ella vide qualcosa di terribile, qualcosa che le costò la vita. Passarono 60 giorni e la famiglia di Sarah: madre, zia e cugine erano tutte intorno ad un tavolo nelle dirette tv, parlavano ai microfoni degli inviati mostrando preoccupazione per la sorte della piccola. E se all’inizio si pensò ad una fuga innocente, tutto sembrò molto strano quando Michele Misseri, lo zio della ragazza, fece rinvenire il cellulare sbruciacchiato della quindicenne, asserendo di averlo trovato per caso. E per la prima volta, si indirizzò lo sguardo verso la villetta in Via Deledda, sguardo che poi non si sarebbe mai più scollato da quelle mura. Sarah era stata inghiottita da quella casa; Sabrina era l’unica a sapere dove Sarah si sarebbe recata quel giorno. Misseri confessò di averla uccisa e parlò di altri macabri particolari. Fece tutto da solo e ancora oggi se ne autoconvince. Ma per la Procura quella sarà solo una delle tante bugie del contadino che non farà altro, nei mesi, che cambiare versioni per cercare di scagionare quelle donne a cui è assoggettato psicologicamente! Una sera, però, pressato dagli inquirenti, Misseri dice qualcosa che nessuno gli ha suggerito: una realtà inquietante che sconvolge l’opinione pubblica. Fu Sabrina ad uccidere Sarah! Parole di cui adesso parla con pentimento. Ma tutti si chiesero perché un padre che amava la figlia ed era disposto ad annullarsi per lei avrebbe dovuto incastrarla, se non per amore di giustizia e verità. Sabrina, poco dopo, venne condotta in carcere, lo stesso del padre, prigione nella quale si trova ancora e dalla quale proclama la sua innocenza, ancora oggi. Cosima, la madre, arcigna e rude nei modi di fare, parlava poco sia negli istanti nei quali tutti cercavano Sarah sia dopo, quando vedeva la figlia dietro le sbarre. Cosima lottava per sua figlia. Poi, un testimone smontò la sua immagine integerrima: anche Cosima sapeva, ma non solo: anche Cosima aveva attratto Sarah, con violenza, nella trappola mortale. Perchè? Perchè tanto odio nei confronti di questa ragazzina?

Fonte: http://www.donna10.it/

L' USCITA DALL'EURO DELL'ITALIA SARA' NEL FUTURO PROSSIMO UNA REALTA'? CHI SI E' ARRICCHITO INGIUSTAMENTE SULLA PELLE E SULLE TASCHE DEGLI ITALIANI? SOPRATTUTTO CHI HA SPECULATO SULLA CLASSE PIU' DEBOLE DELLA SOCIETA' ITALIANA ED EUROPEA? LA SINISTRA ITALIANA HA UNA GRAVE COLPA, QUELLA DI NON AVERE MAI IN REALTA' DIFESO GLI INTERESSI DELLA POVERA GENTE! LA SINISTRA ITALIANA PECCA DI IPOCRISIA MENTRE IL GOVERNO BERLUSCONI NEL 2002 NON HA SAPUTO O VOLUTO CONTROLLARE IL REALE CAMBIO DI VALORE DELL'EURO RISPETTO ALLA VECCHIA LIRA NAZIONALE!

DI ALBERTO BAGNAI
ilmanifesto.it

Un anno fa, discorrendo con Aristide, chiedevo come mai la sinistra italiana rivendicasse con tanto orgoglio la paternità dell’euro: non vedeva quanto esso fosse opposto agli interessi del suo elettorato? Una domanda simile a quella di Rossanda. Aristide, economista di sinistra, mi raggelò: “caro Alberto, i costi dell’euro, come dici, sono noti, tutti i manuali li illustrano. Li vedevano anche i nostri politici, ma non potevano spiegarli ai loro elettori: se questi avessero potuto confrontare costi e benefici non avrebbero mai accettato l’euro. Tenendo gli elettori all’oscuro abbiamo potuto agire, mettendoli in una impasse dalla quale non potranno uscire che decidendo di fare la cosa giusta, cioè di andare avanti verso la totale unione, fiscale e politica, dell’Europa.” Insomma: “il popolo non sa quale sia il suo interesse: per fortuna a sinistra lo sappiamo e lo faremo contro la sua volontà”. Ovvero: so che non sai nuotare e che se ti getto in piscina affogherai, a meno che tu non “decida liberamente” di fare la cosa giusta: imparare a nuotare. Decisione che prenderai dopo un leale dibattito, basato sul fatto che ti arrivo alle spalle e ti spingo in acqua. Bella democrazia in un intellettuale di sinistra!

Questo agghiacciante paternalismo può sembrare più fisiologico in un democristiano, ma non dovrebbe esserlo. “Bello è di un regno come che sia l’acquisto”, dice re Desiderio. Il cattolico Prodi l’Adelchi l’ha letto solo fino a qui. Proseguendo, avrebbe visto che per il cattolico Manzoni la Realpolitik finisce in tragedia: il fine non giustifica i mezzi. La nemesi è nella convinzione che “più Europa” risolva i problemi: un argomento la cui futilità non può essere apprezzata se prima non si analizza la reale natura delle tensioni attuali.

Il debito pubblico non c’entra.

Sgomenta l’unanimità con la quale destra e sinistra continuano a concentrarsi sul debito pubblico. Che lo faccia la destra non è strano: il contrattacco ideologico all’intervento dello Stato nell’economia è il fulcro della “controriforma” seguita al crollo del muro. Questo a Rossanda è chiaro. Le ricordo che nessun economista ha mai asserito, prima del trattato di Maastricht, che la sostenibilità di un’unione monetaria richieda il rispetto di soglie sul debito pubblico (il 60% di cui parla lei). Il dibattito sulla “convergenza fiscale” è nato dopo Maastricht, ribadendo il fatto che queste soglie sono insensate. Maastricht è un manifesto ideologico: meno Stato (ergo più mercato). Ma perché qui (cioè a sinistra?) nessuno mette Maastricht in discussione? Questo Rossanda non lo nota e non se lo chiede. Se il problema fosse il debito pubblico, dal 2008 la crisi avrebbe colpito prima la Grecia (debito al 110% del Pil), e poi Italia (106%), Belgio (89%), Francia (67%) e Germania (66%). Gli altri paesi dell’eurozona avevano debiti pubblici inferiori. Ma la crisi è esplosa prima in Irlanda (debito pubblico al 44% del Pil), Spagna (40%), Portogallo (65%), e solo dopo Grecia e Italia. Cosa accomuna questi paesi? Non il debito pubblico (minimo nei primi paesi colpiti, altissimo negli ultimi), ma l’inflazione. Già nel 2006 la Bce indicava che in Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna l’inflazione non stava convergendo verso quella dei paesi “virtuosi”. I Pigs erano un club a parte, distinto dal club del marco (Germania, Francia, Belgio, ecc.), e questo sì che era un problema: gli economisti sanno da tempo che tassi di inflazione non uniformi in un’unione monetaria conducono a crisi di debito estero (prevalentemente privato).

Inflazione e debito estero.

Se in X i prezzi crescono più in fretta che nei suoi partner, X esporta sempre meno, e importa sempre più, andando in deficit di bilancia dei pagamenti. La valuta di X, necessaria per acquistare i beni di X, è meno richiesta e il suo prezzo scende, cioè X svaluta: in questo modo i suoi beni ridiventano convenienti, e lo squilibrio si allevia. Effetti uguali e contrari si producono nei paesi in surplus, la cui valuta diventa scarsa e si apprezza. Ma se X è legato ai suoi partner da un’unione monetaria, il prezzo della valuta non può ristabilire l’equilibrio esterno, e quindi le soluzioni sono due: o X deflaziona, o i suoi partner in surplus inflazionano. Nella visione keynesiana i due meccanismi sono complementari: ci si deve venire incontro, perché surplus e deficit sono due facce della stessa medaglia (non puoi essere in surplus se nessuno è in deficit). Ai tagli nel paese in deficit deve accompagnarsi un’espansione della domanda nei paesi in surplus. Ma la visione prevalente è asimmetrica: l’unica inflazione buona è quella nulla, i paesi in surplus sono “buoni”, e sono i “cattivi” in deficit a dover deflazionare, convergendo verso i buoni. E se, come i Pigs, non ci riescono? Le entrate da esportazioni diminuiscono e ci si deve indebitare con l’estero per finanziare le proprie importazioni. I paesi a inflazione più alta sono anche quelli che hanno accumulato più debito estero dal 1999 al 2007: Grecia (+78 punti di Pil), Portogallo (+67), Irlanda (+65) e Spagna (+62). Con il debito crescono gli interessi, e si entra nella spirale: ci si indebita con l’estero per pagare gli interessi all’estero, aumenta lo spread e scatta la crisi.

Lo spettro del 1992.

E l’Italia? Dice Rossanda: “il nostro indebitamento è soprattutto all’interno”. Non è più vero. Pensate veramente che ai mercati interessi con chi va a letto Berlusconi? Pensate che si preoccupino perché il debito pubblico è “alto”? Ma il nostro debito pubblico è sopra il 100% da 20 anni, e i nostri governi, anche se meno folcloristici, sono stati spesso più instabili. Non è questo che preoccupa i mercati: quello che li preoccupa è che oggi, come nel 1992, il nostro indebitamento con l’estero sta aumentando, e che questo aumento, come nel 1992, è guidato dall’aumento dei pagamenti di interessi sul debito estero, che è in massima parte debito privato, contratto da famiglie e imprese (il 65% delle passività sull’estero dell’Italia sono di origine privata).

Cui Prodest?

Calata nell’asimmetria ideologica mercantilista (i “buoni” non devono cooperare) e monetarista (inflazione zero) la scelta politica di privarsi dello strumento del cambio diventa strumento di lotta di classe. Se il cambio è fisso, il peso dell’aggiustamento si scarica sui prezzi dei beni, che possono diminuire o riducendo i costi (quello del lavoro, visto che quello delle materie prime non dipende da noi) o aumentando la produttività. Precarietà e riduzioni dei salari sono dietro l’angolo. La sinistra che vuole l’euro ma non vuole Marchionne mi fa un po’ pena. Chi non deflaziona accumula debito estero, fino alla crisi, in seguito alla quale lo Stato, per evitare il collasso delle banche, si accolla i debiti dovuti agli squilibri esterni, trasformandoli in debiti pubblici. Alla privatizzazione dei profitti segue la socializzazione delle perdite, con il vantaggio di poter incolpare a posteriori i bilanci pubblici. La scelta non è se deflazionare o meno, ma se farlo subito o meno. Una scelta ristretta, ma solo perché l’ottusità ideologica impone di concentrarsi sul sintomo (lo squilibrio pubblico, che può essere corretto solo tagliando), anziché sulla causa (lo squilibrio esterno, che potrebbe essere corretto cooperando). Alla domanda di Rossanda “non c’è stato qualche errore?” la risposta è quella che dà lei stessa: no, non c’è stato nessun errore. Lo scopo che si voleva raggiungere, cioè la “disciplina” dei lavoratori, è stato raggiunto: non sarà “di sinistra”, ma se volete continuare a chiamare “sinistra” dei governi “tecnici” a guida democristiana accomodatevi. Lo dice il manuale di Acocella: il “cambio forte” serve a disciplinare i sindacati.

Più Europa?

Secondo la teoria economica un’unione monetaria può reggere senza tensioni sui salari se i paesi sono fiscalmente integrati, poiché ciò facilita il trasferimento di risorse da quelli in espansione a quelli in recessione. Una “soluzione” che interviene a valle, cioè allevia i sintomi, senza curare la causa (gli squilibri esterni). È il famoso “più Europa”. Un esempio: festeggiamo quest’anno il 150° anniversario dell’unione monetaria, fiscale e politica del nostro paese. “Più Italia” l’abbiamo avuta, non vi pare? Ma 150 anni dopo la convergenza dei prezzi fra le varie regioni non è completa, e il Sud ha un indebitamento estero strutturale superiore al 15% del proprio Pil, cioè sopravvive importando capitali dal resto del mondo (ma in effetti dal resto d’Italia). Dopo cinquanta anni di integrazione fiscale nell’Italia (monetariamente) unita abbiamo le camicie verdi in Padania: basterebbero dieci anni di integrazione fiscale nell’area euro, magari a colpi di Eurobond, per riavere le camicie brune in Germania. L’integrazione fiscale non è politicamente sostenibile perché nessuno vuole pagare per gli altri, soprattutto quando i media, schiavi dell’asimmetria ideologica, bombardano con il messaggio che gli altri sono pigri, poco produttivi, che “è colpa loro”. Siano greci, turchi, o ebrei, sappiamo come va a finire quando la colpa è degli altri.

Deutschland über alles.

Le soluzioni “a valle” dello squilibrio esterno sono politicamente insostenibili, ma lo sono anche quelle “a monte”. La convivenza con l’euro richiederebbe l’uscita dall’asimmetria ideologica mercantilista. Bisognerebbe prevedere simmetrici incentivi al rientro per chi si scostasse in alto o in basso da un obiettivo di inflazione. Il coordinamento del quale Rossanda parla andrebbe costruito attorno a questo obiettivo. Ma il peso dei paesi “virtuosi” lo impedirà. Perché l’euro è l’esito di due processi storici. Rossanda vede il primo (il contrattacco del capitale per recuperare l’arretramento determinato dal new deal post-bellico), ma non il secondo: la lotta secolare della Germania per dotarsi di un mercato di sbocco. Ci si estasia (a destra e a sinistra) per il successo della Germania, la “locomotiva” d’Europa, che cresce intercettando la domanda dei paesi emergenti. Ma i dati che dicono? Dal 1999 al 2007 il surplus tedesco è aumentato di 239 miliardi di dollari, di cui 156 realizzati in Europa, mentre il saldo commerciale verso la Cina è peggiorato di 20 miliardi (da un deficit di -4 a uno di -24). I giornali dicono che la Germania esporta in Oriente e così facendo ci sostiene con la sua crescita. I dati dicono il contrario. La domanda dei paesi europei, drogata dal cambio fisso, sostiene la crescita tedesca. E la Germania non rinuncerà a un’asimmetria sulla quale si sta ingrassando. Ma perché i governi “periferici” si sono fatti abbindolare dalla Germania? Lo dice il manuale di Gandolfo: la moneta unica favorisce una “illusione della politica economica” che permette ai governi di perseguire obiettivi politicamente improponibili, cavandosela col dire che sono imposti da istanze sopraordinate (quante volte ci siamo sentiti dire “l’Europa ci chiede...”?). Il fine (della lotta di classe al contrario) giustificava il mezzo (l’ancoraggio alla Germania).

La svalutazione rende ciechi.

È un film già visto. Ricordate lo Sme “credibile”? Dal 1987 al 1991 i cambi europei rimasero fissi. In Italia l’inflazione salì dal 4.7% al 6.2%, con il prezzo del petrolio in calo (ma i cambi fissi non domavano l’inflazione?). La Germania viaggiava su una media del 2%. La competitività italiana diminuiva, l’indebitamento estero aumentava, e dopo la recessione Usa del 1991 l’Italia dovette svalutare. Svalutazione! Provate a dire questa parola a un intellettuale di sinistra. Arrossirà di sdegnato pudore virginale. Non è colpa sua. Da decenni lo bombardano con il messaggio che la svalutazione è una di quelle cosacce che provocano uno sterile sollievo temporaneo e orrendi danni di lungo periodo. Non è strano che un sistema a guida tedesca sia retto dal principio di Goebbels: basta ripetere abbastanza una bugia perché diventi una verità. Ma cosa accadde dopo il 1992? L’inflazione scese di mezzo punto nel ’93 e di un altro mezzo nel ’94. Il rapporto debito estero/Pil si dimezzò in cinque anni (da -12 a -6 punti di Pil). La bolletta energetica migliorò (da -1.1 a -1.0 punti). Dopo uno shock iniziale, l’Italia crebbe a una media del 2% dal 1994 al 2001. La lezioncina sui danni della svalutazione (genera inflazione, procura un sollievo solo temporaneo, non ce la possiamo permettere perché importiamo il petrolio) è falsa.

Irreversibile?

Si dice che la svalutazione non sarebbe risolutiva, e che le procedure di uscita non sono previste, quindi... Quindi cosa? Chi è così ingenuo da non vedere che la mancanza di procedure di uscita è solo un espediente retorico, il cui scopo è quello di radicare nel pubblico l’idea di una “naturale” o “tecnica” irreversibilità di quella che in fondo è una scelta umana e politica (e come tale reversibile)? Certo, la svalutazione renderebbe più oneroso il debito definito in valuta estera. Ma porterebbe da una situazione di indebitamento estero a una di accreditamento estero, producendo risorse sufficienti a ripagare i debiti, come nel 1992. Se non lo fossero, rimarrebbe la possibilità del default. Prodi vuol far sostenere una parte del conto ai “grossi investitori istituzionali”? Bene: il modo più diretto per farlo non è emettere Eurobond “socializzando” le perdite a beneficio della Germania (col rischio camicie brune), ma dichiarare, se sarà necessario, il default, come hanno già fatto tanti paesi che non sono stati cancellati dalla geografia economica per questo. È già successo e succederà. “I mercati ci puniranno, finiremo stritolati!”. Altra idiozia. Per decenni l’Italia è cresciuta senza ricorrere al risparmio estero. È l’euro che, stritolando i redditi e quindi i risparmi delle famiglie, ha costretto il paese a indebitarsi con l’estero. Il risparmio nazionale lordo, stabile attorno al 21% dal 1980 al 1999, è sceso costantemente da allora fino a toccare il 16% del reddito. Nello stesso periodo le passività finanziarie delle famiglie sono raddoppiate, dal 40% all’80%. Rimuoviamo l’euro, e l’Italia avrà meno bisogno dei mercati, mentre i mercati continueranno ad avere bisogno dei 60 milioni di consumatori italiani.

Non faccia la sinistra ciò che fa la destra.

Dall’euro usciremo, perché alla fine la Germania segherà il ramo su cui è seduta. Sta alla sinistra rendersene conto e gestire questo processo, anziché finire sbriciolata. Non sto parlando delle prossime elezioni. Berlusconi se ne andrà: dieci anni di euro hanno creato tensioni tali per cui la macelleria sociale deve ora lavorare a pieno regime. E gli schizzi di sangue stonano meno sul grembiule rosso. Sarà ancora una volta concesso alla sinistra della Realpolitik di gestire la situazione, perché esiste un’altra illusione della politica economica, quella che rende più accettabili politiche di destra se chi le attua dice di essere di sinistra. Ma gli elettori cominciano a intuire che la macelleria sociale si può chiudere uscendo dall’euro. Cara Rossanda, gli operai non sono “scombussolati”, come dice lei: stanno solo capendo. “Peccato e vergogna non restano nascosti”, dice lo spirito maligno a Gretchen. Così, dopo vent’anni di Realpolitik, ad annaspare dove non si tocca si ritrovano i politici di sinistra, stretti fra la necessità di ossequiare la finanza, e quella di giustificare al loro elettorato una scelta fascista non tanto per le sue conseguenze di classe, quanto per il paternalismo con il quale è stata imposta. Si espongono così alle incursioni delle varie Marine Le Pen che si stanno affacciando in paesi di democrazia più compiuta, e presto anche da noi. Perché le politiche di destra, nel lungo periodo, avvantaggiano solo la destra. Ma mi rendo conto che in un paese nel quale basta una legislatura per meritarsi una pensione d’oro, il lungo periodo possa non essere un problema dei politici di destra e di sinistra. Questo spiega tanta unanimità di vedute.

Alberto Bagnai
Fonte: www.ilmanifesto.it
Link: http://www.ilmanifesto.it/archivi/commento/anno/2011/mese/08/articolo/5225/
22.08.2011

mercoledì 24 agosto 2011

TG La7 - Edizione delle ore 07.30 del 24/08/2011...

Turkey's Davutoglu calls to unfreeze Libya funds...

NATO Go Home: Libyan rebels fed up with Western troops on their land...

Libia: la verità oltre la propaganda del regime mediatico mondiale!

Libia: Le verità nascoste ed i veri motivi che stanno dietro la guerra a Gheddafi in Libia!

Wesley Clark: Libia nel mirino da 10 anni!

Libia - I ribelli entrano a Tripoli - Libyan rebels enter in the bunker of the Gheddafi!

Gheddafi parla alla radio: "Vittoria o morte!"

Libia: E' vicina la caduta del regime di Gheddafi?

Libia, l'assalto finale al bunker di Gheddafi!

martedì 16 agosto 2011

sabato 13 agosto 2011

Viewing cable 07ROME710, ITALY: FM D'ALEMA ON KOSOVO, AFGHAN NGO DETAINEE...

S E C R E T SECTION 01 OF 03 ROME 000710 
 
SIPDIS 
 
NOFORN 
SIPDIS 
 
DEPT. FOR EUR 
 
E.O. 12958: DECL: 04/04/2016 
TAGS: PREL NATO UNSC EUN IT
SUBJECT: ITALY: FM D'ALEMA ON KOSOVO, AFGHAN NGO DETAINEE, 
MEPP, LEBANON, IRAN SANCTIONS, GUANTANAMO AND ABU OMAR
 
 
REF: A. STATE 36991 
     B. STATE 37005 
     C. STATE 41871 
     D. STATE 42573 
     E. ROME 625 
     F. ROME 702 
 
Classified By: AMBASSADOR RONALD SPOGLI, REASONS 1.4 B AND D. 

SUMMARY 
------- 
 
1. (C/NF) Amb. Spogli got FM D'Alema's agreement to make a 
clear statement in support of the Athisaari plan for Kosovo 
and was told that the FM did not think he could or should 
control an Italian NGO threatening to close its hospitals in 
Afghanistan unless one of its employees was released by the 
Afghan Government.  During an April 5 tour d'horizon, the 
Ambassador and FM also discussed Iran sanctions (D'Alema said 
Italy was applying the rules thoroughly), the Middle East 
peace process (D'Alema worried the Israelis and Palestinians 
would miss an opportunity for progress), Lebanon (where 
everything but UNIFIL is at an impasse, according to the FM), 
and the Abu Omar case.  The Ambassador briefed D'Alema on the 
request that Italy consider taking some Guantanamo detainees 
to help speed the closure of the facility.  D'Alema said 
trying to close Guantanamo was a noble step and that if Italy 
could help, it would try to do so (see also septel on 
Guantanamo).  End Summary. 
 
Afghanistan and Emergency Now 
----------------------------- 

2. (C/NF) On April 5, Ambassador Spogli and Foreign Minister 
D'Alema discussed key issues on the foreign policy agenda. 
The Ambassador raised concerns about the statements of Gino 
Strada, head of the Italian NGO Emergency Now, who was 
threatening to close his hospitals in Afghanistan unless the 
Afghan Government released one of his staff being held for 
possible terrorist affiliations.  The Amb. said such an 
unwelcome step would be punishing the Afghan people and asked 
if D'Alema could help get Strada to stop making threats. 
D'Alema replied that he had spoken with Strada, who told him 
that if his employees are going to be arrested in 
Afghanistan, he would move his operations to a country that 
doesn't arrest his staff.  D'Alema told the Amb. that all 
sides needed to show flexibility and that if the Afghan 
Government had evidence against the individual being held, it 
should be shared. D'Alema noted that Italy was grateful to 
the U.S. Embassy in Kabul for helping secure Red Cross access 
to the detained individual.  Then, somewhat exasperated, he 
said, "Strada is who he is.  He runs an NGO. He is not part 
of the Italian Government.  He says they cannot work in 
Helmand without having contact with the Taliban.  He thinks 
the Taliban have the legitimate support of the people there. 
We have urged him to be prudent.  But we do not control him 
and he feels threatened."  D'Alema then said that during the 
Mastrogiacomo kidnapping the Taliban cell phones that were 
traced all had Pakistani numbers, and that if terror bosses 
could live carefree in a Pakistan that could not be 
reproached because of its alliance with the U.S., we would 
not win this war. 
 
Kosovo - Firm Support for Status 
-------------------------------- 
 
3. (C/NF) The Ambassador noted that the Italian position on  
the Athisaari plan for Kosovo had generated some confusion 
and that a clear statement of support would be very helpful. 
D'Alema emphatically insisted that Italy supported the 
Athisaari plan's core status provisions ("they should not be 
touched").  Italy continued to believe that some non-status 
issues, like protection of religious sites and minority 
rights, however, could still be improved.  He said there were 
two unacceptable outcomes: continuing the status quo and a 
unilateral declaration of independence by Kosovo. The latter 
would tear Europe apart and pull the legal legs out from 
under the European mission to Kosovo.  He argued that a UNSCR 
was needed that would help soften the Russian position, and a 
proposal needed to be crafted for Serbia - something 
conditional with flexible rewards - that could be offered to 
Belgrade when Serbia inevitably rejects Kosovar independence. 
 Without these elements, the region could be destabilized, he 
said.  He added that Italy had been clear in its talks with 
Russia and everywhere else that it would absolutely support 
Athisaari's core status proposal without prolonging talks and 
without new negotiations.  The Ambassador asked if D'Alema 
could make a public statement to that effect.  D'Alema agreed 
to do so. 
 
Iran Sanctions - Italy in Compliance 
------------------------------------  

4. (C/NF) The Ambassador asked how Iran sanctions were 
proceeding for Italy, and noted our disappointment that when 
action was taken against Bank Sepah in Italy all funds had 
already been moved.  D'Alema said the Iranians knew it was 
coming and were a step ahead, as they had been elsewhere.  He 
added that when he had spoken with Larijani early in the week 
to urge the release of the UK sailors, Larijani had protested 
vigorously about the action against Bank Sepah.  D'Alema 
asserted "we are applying the sanctions rules.  We are in 
compliance.  But Italy is also the victim of the sanctions 
and is excluded from negotiations with Iran and from the 
group with primary responsibility for decisions on Iran, 
despite being a UNSC member." 
 
Israel-Palestine: About to Miss an Opportunity? 
--------------------------------------------- -- 

5. (C/NF) The Ambassador thanked D'Alema for his recent 
helpful comments insisting that Palestinian leaders accept 
the three Quartet conditions before Italian officials would 
meet with them.  The FM said he feared a moment of 
opportunity was being lost.  Abu Mazen was stronger than 
before but needed to find a way to get results out of his 
dialogue with Olmert.  Both sides, he said, need to be pushed 
and encouraged.  Without progress the risk of violence would 
increase.  He suggested what was needed now was a confidence 
building phase with limited ambition focusing on releasing 
prisoners, improving Palestinian quality of life, granting 
more freedom of access/movement and getting credible security 
assurances for Israel.  The Palestinians, he said, would 
never accept an independent state within provisional borders, 
because they believe this means they will never get final 
status issues resolved.  He envisions an eventual regional 
final status conference, but not until the open final status 
questions have been resolved by the two sides.  He said with 
both sides weak and lacking strategies to reach solutions, 
the international community needed to step in and offer hope 
for positive movement.  Europe should press the Palestinians 
and the U.S. should press the Israelis in a coordinated 
division of labor, he suggested, adding that the Palestinians 
needed to hear the message that when the time comes, the U.S. 
would be willing to push Israel to resolve the final status 
issues.  He informed the Amb. that Abu Mazen would be in Rome 
in the coming weeks. 

Lebanon - D'Alema Concerned 
--------------------------- 
 
6. (C/NF) Turning to Lebanon, D'Alema said he was very 
concerned because the only thing working there was UNIFIL. 
Everything else was totally blocked.  Parliament was not 
meeting.  Reconstruction was at a standstill.  The economy 
was in danger.  There was no progress on the arms embargo or 
Sheba Farms.  He said the Lebanon Contact Group meeting in 
London had been a good step and hoped that the group would 
meet at the political level to help bolster UN action.  He 
also said some way had to be found to get Syrian buy-in or 
the embargo would never work. 

Guantanamo Detainees - Closure a Noble Idea 
------------------------------------------- 
 
7. (C/NF) The Ambassador briefed D'Alema on the request for 
Italy to consider taking some of the 25 releasable Guantanamo 
detainees who could not be returned to their countries of 
origin.  D'Alema said it was a delicate issue, but the idea 
of trying to close Guantanamo was noble, and if Italy could 
find a way to help, it would.  The devil would be in 
practicalities of whether Italy could take any of the 
detainees. (See septel for PM and Min. of Interior views on 
taking Guantanamo detainees.) 

Abu Omar - Pre-emptive Letters 
------------------------------ 

8. (S/NF) D'Alema closed the hour-long meeting by noting that 
he had asked the Secretary if the Department could send 
something in writing to him explaining that the U.S. would 
not act on extradition requests in the Abu Omar case if 
tendered.  This, he explained, could be used pre-emptively by 
the GOI to fend off action by Italian magistrates to seek the 
extradition of the implicated Americans.  D'Alema said he 
understood that L had discussed this with the Italian 
Ambassador in Washington.Amb. Spogli explained that we were 
waiting for the constitutional court to decide on the merits 
of the case before deciding on our next steps, because Min. 
of Justice Mastella had suspended action until that court 
rendered a decision.  The FM noted that there was still the 
risk of action by the magistrates at any time.  The 
Ambassador agreed that we should work to avoid having 
extradition requests forwarded. 
SPOGLI
 
Fonte: http://www.wikileaks.ch

Viewing cable 07USNATO186, DEMARCHE RESPONSE: RELEASE OF TALIBAN PRISONERS...

C O N F I D E N T I A L USNATO 000186 
 
SIPDIS 
 
SIPDIS 
 
E.O. 12958: DECL: 03/22/2017 
TAGS: NATO PREF PTER PREL AF IT
SUBJECT: DEMARCHE RESPONSE: RELEASE OF TALIBAN PRISONERS 
 
REF: A. SECSTATE 36204 B. USNATO 183 

Classified By: Ambassador Victoria Nuland, for Reasons 1.4 (b) and (d) 
 
1.  (C) SUMMARY.  Anticipating reftel A, Ambassador Nuland, 
during the March 21 North Atlantic Council meeting, joined 
the UK in criticizing the evident Taliban-for-hostage 
exchange in the release of kidnapped Italian journalist 
Mastrogiacomo.  She also raised the issue separately with SYG 
de Hoop Scheffer, who will address it with PermReps in a more 
restricted forum, but is leaning toward pushing for an 
Alliance-wide hostage policy.  USNATO believes NATO consensus 
on a common policy will be hard to achieve, but the subject 
is worth discussing to raise awareness.  END SUMMARY. 

2.  (C) During the March 21 NAC meeting, Ambassador Nuland 
reinforced criticism by the UK Charge and noted strongly the 
intrinsic dangers of bargaining with terrorists, plus concern 
for all Allies if the Taliban thought that hostage taking was 
a route to future prisoner exchanges (ref B).  She and the UK 
Charge also asked the Secretary General and Chairman of the 
Military Committee if ISAF had been consulted over the 
process of Mastrogiacomo's release.  Both committed to 
investigate.  The Italian Charge declined to comment on how 
the journalist was freed without more details from capital, 
but expressed the Italian government's gratitude to Karzai 
for his help. 
 
3.  (C) SYG de Hoop Scheffer told PermReps during the March 
21 NAC that he intends to raise this issue at an informal 
lunch or coffee gathering of PermReps in the near future.  In 
a separate conversation with Ambassador Nuland, he said he is 
leaning toward pushing for an Alliance-wide hostage policy. 
 
4.  (C) COMMENT: Raising awareness on this issue among NATO 
Allies is important and necessary, with the goal of reaching 
agreed guidelines.  However, achieving consensus on a binding 
NATO hostage policy, similar to NSPD 12, for example, will be 
very difficult.  Few Allies are likely to want a discussion 
like this which they consider sovereign to be collectively 
decided.  END COMMENT. 
NULAND
 
Fonte: http://www.wikileaks.ch/

WikiLeaks Reveals Secret Files on All Guantánamo Prisoners...

In its latest release of classified US documents, WikiLeaks is shining the light of truth on a notorious icon of the Bush administration’s "War on Terror" — the prison at Guantánamo Bay, Cuba, which opened on January 11, 2002, and remains open under President Obama, despite his promise to close the much-criticized facility within a year of taking office.
In thousands of pages of documents dating from 2002 to 2008 and never seen before by members of the public or the media, the cases of the majority of the prisoners held at Guantánamo — 765 out of 779 in total — are described in detail in memoranda from JTF-GTMO, the Joint Task Force at Guantánamo Bay, to US Southern Command in Miami, Florida.
These memoranda, known as Detainee Assessment Briefs (DABs), contain JTF-GTMO’s recommendations about whether the prisoners in question should continue to be held, or should be released (transferred to their home governments, or to other governments). They consist of a wealth of important and previously undisclosed information, including health assessments, for example, and, in the cases of the majority of the 172 prisoners who are still held, photos (mostly for the first time ever).
They also include information on the first 201 prisoners released from the prison, between 2002 and 2004, which, unlike information on the rest of the prisoners (summaries of evidence and tribunal transcripts, released as the result of a lawsuit filed by media groups in 2006), has never been made public before. Most of these documents reveal accounts of incompetence familiar to those who have studied Guantánamo closely, with innocent men detained by mistake (or because the US was offering substantial bounties to its allies for al-Qaeda or Taliban suspects), and numerous insignificant Taliban conscripts from Afghanistan and Pakistan.
Beyond these previously unknown cases, the documents also reveal stories of the 399 other prisoners released from September 2004 to the present day, and of the seven men who have died at the prison.
The memos are signed by the commander of Guantánamo at the time, and describe whether the prisoners in question are regarded as low, medium or high risk. Although they were obviously not conclusive in and of themselves, as final decisions about the disposition of prisoners were taken at a higher level, they represent not only the opinions of JTF-GTMO, but also the Criminal Investigation Task Force, created by the Department of Defense to conduct interrogations in the "War on Terror," and the BSCTs, the behavioral science teams consisting of psychologists who had a major say in the "exploitation" of prisoners in interrogation.
Crucially, the files also contain detailed explanations of the supposed intelligence used to justify the prisoners’ detention. For many readers, these will be the most fascinating sections of the documents, as they seem to offer an extraordinary insight into the workings of US intelligence, but although many of the documents appear to promise proof of prisoners’ association with al-Qaeda or other terrorist organizations, extreme caution is required.
The documents draw on the testimony of witnesses — in most cases, the prisoners’ fellow prisoners — whose words are unreliable, either because they were subjected to torture or other forms of coercion (sometimes not in Guantánamo, but in secret prisons run by the CIA), or because they provided false statements to secure better treatment in Guantánamo.
Regular appearances throughout these documents by witnesses whose words should be regarded as untrustworthy include the following "high-value detainees" or "ghost prisoners". Please note that "ISN" and the numbers in brackets following the prisoners’ names refer to the short "Internment Serial Numbers" by which the prisoners are or were identified in US custody:
Abu Zubaydah (ISN 10016), the supposed "high-value detainee" seized in Pakistan in March 2002, who spent four and a half years in secret CIA prisons, including facilities in Thailand and Poland. Subjected to waterboarding, a form of controlled drowning, on 83 occasions in CIA custody August 2002, Abu Zubaydah was moved to Guantánamo with 13 other "high-value detainees" in September 2006.
Ibn al-Shaykh al-Libi (ISN 212), the emir of a military training camp for which Abu Zubaydah was the gatekeeper, who, despite having his camp closed by the Taliban in 2000, because he refused to allow it to be taken over by al-Qaeda, is described in these documents as Osama bin Laden’s military commander in Tora Bora. Soon after his capture in December 2001, al-Libi was rendered by the CIA to Egypt, where, under torture, he falsely confessed that al-Qaeda operatives had been meeting with Saddam Hussein to discuss obtaining chemical and biological weapons. Al-Libi recanted this particular lie, but it was nevertheless used by the Bush administration to justify the invasion of Iraq in March 2003. Al-Libi was never sent to Guantánamo, although at some point, probably in 2006, the CIA sent him back to Libya, where he was imprisoned, and where he died, allegedly by committing suicide, in May 2009.
Sharqawi Abdu Ali al-Hajj (ISN 1457), a Yemeni, also known as Riyadh the Facilitator, who was seized in a house raid in Pakistan in February 2002, and is described as "an al-Qaeda facilitator." After his capture, he was transferred to a torture prison in Jordan run on behalf of the CIA, where he was held for nearly two years, and was then held for six months in US facilities in Afghanistan. He was flown to Guantánamo in September 2004.
Sanad Yislam al-Kazimi (ISN 1453), a Yemeni, who was seized in the UAE in January 2003, and then held in three secret prisons, including the "Dark Prison" near Kabul and a secret facility within the US prison at Bagram airbase. In February 2010, in the District Court in Washington D.C., Judge Henry H. Kennedy Jr. granted the habeas corpus petition of a Yemeni prisoner, Uthman Abdul Rahim Mohammed Uthman, largely because he refused to accept testimony produced by either Sharqawi al-Hajj or Sanad al-Kazimi. As he stated, "The Court will not rely on the statements of Hajj or Kazimi because there is unrebutted evidence in the record that, at the time of the interrogations at which they made the statements, both men had recently been tortured."
Others include Ahmed Khalfan Ghailani (ISN 10012) and Walid bin Attash (ISN 10014), two more of the "high-value detainees" transferred into Guantánamo in September 2006, after being held in secret CIA prisons.

Other unreliable witnesses, held at Guantánamo throughout their detention, include:

Yasim Basardah (ISN 252), a Yemeni known as a notorious liar. As the Washington Post reported in February 2009, he was given preferential treatment in Guantánamo after becoming what some officials regarded as a significant informant, although there were many reasons to be doubtful. As the Post noted, "military officials ... expressed reservations about the credibility of their star witness since 2004," and in 2006, in an article for the National Journal, Corine Hegland described how, after a Combatant Status Review Tribunal at which a prisoner had taken exception to information provided by Basardah, placing him at a training camp before he had even arrived in Afghanistan, his personal representative (a military official assigned instead of a lawyer) investigated Basardah’s file, and found that he had made similar claims against 60 other prisoners in total. In January 2009, in the District Court in Washington D.C., Judge Richard Leon (an appointee of George W. Bush) excluded Basardah’s statements while granting the habeas corpus petition of Mohammed El-Gharani, a Chadian national who was just 14 years old when he was seized in a raid on a mosque in Pakistan. Judge Leon noted that the government had "specifically cautioned against relying on his statements without independent corroboration," and in other habeas cases that followed, other judges relied on this precedent, discrediting the "star witness" still further.
Mohammed al-Qahtani (ISN 063), a Saudi regarded as the planned 20th hijacker for the 9/11 attacks, was subjected to a specific torture program at Guantánamo, approved by defense secretary Donald Rumsfeld. This consisted of 20-hour interrogations every day, over a period of several months, and various other "enhanced interrogation techniques," which severely endangered his health. Variations of these techniques then migrated to other prisoners in Guantánamo (and to Abu Ghraib), and in January 2009, just before George W. Bush left office, Susan Crawford, a retired judge and a close friend of Dick Cheney and David Addington, who was appointed to oversee the military commissions at Guantánamo as the convening authority, told Bob Woodward that she had refused to press charges against al-Qahtani, because, as she said, "We tortured Qahtani. His treatment met the legal definition of torture." As a result, his numerous statements about other prisoners must be regarded as worthless.
Abd al-Hakim Bukhari (ISN 493), a Saudi imprisoned by al-Qaeda as a spy, who was liberated by US forces from a Taliban jail before being sent, inexplicably, to Guantánamo (along with four other men liberated from the jail) is regarded in the files as a member of al-Qaeda, and a trustworthy witness.
Abd al-Rahim Janko (ISN 489), a Syrian Kurd, tortured by al-Qaeda as a spy and then imprisoned by the Taliban along with Abd al-Hakim Bukhari, above, is also used as a witness, even though he was mentally unstable. As his assessment in June 2008 stated, "Detainee is on a list of high-risk detainees from a health perspective ... He has several chronic medical problems. He has a psychiatric history of substance abuse, depression, borderline personality disorder, and prior suicide attempt for which he is followed by behavioral health for treatment."
These are just some of the most obvious cases, but alert readers will notice that they are cited repeatedly in what purports to be the government’s evidence, and it should, as a result, be difficult not to conclude that the entire edifice constructed by the government is fundamentally unsound, and that what the Guantánamo Files reveal, primarily, is that only a few dozen prisoners are genuinely accused of involvement in terrorism.
The rest, these documents reveal on close inspection, were either innocent men and boys, seized by mistake, or Taliban foot soldiers, unconnected to terrorism. Moreover, many of these prisoners were actually sold to US forces, who were offering bounty payments for al-Qaeda and Taliban suspects, by their Afghan and Pakistani allies — a policy that led ex-President Musharraf to state, in his 2006 memoir, In the Line of Fire, that, in return for handing over 369 terror suspects to the US, the Pakistani government “earned bounty payments totalling millions of dollars.”
Uncomfortable facts like these are not revealed in the deliberations of the Joint Task Force, but they are crucial to understanding why what can appear to be a collection of documents confirming the government’s scaremongering rhetoric about Guantánamo — the same rhetoric that has paralyzed President Obama, and revived the politics of fear in Congress — is actually the opposite: the anatomy of a colossal crime perpetrated by the US government on 779 prisoners who, for the most part, are not and never have been the terrorists the government would like us to believe they are.
(Andy Worthington)

How to Read WikiLeaks’ Guantánamo Files

Prigionieri a Guantanamo
The nearly 800 documents in WikiLeaks’ latest release of classified US documents are memoranda from Joint Task Force Guantánamo (JTF-GTMO), the combined force in charge of the US "War on Terror" prison at Guantánamo Bay, Cuba, to US Southern Command, in Miami, Florida, regarding the disposition of the prisoners.
Written between 2002 and 2008, the memoranda were all marked as "secret," and their subject was whether to continue holding a prisoner, or whether to recommend his release (described as his "transfer" — to the custody of his own government, or that of some other government). They were obviously not conclusive in and of themselves, as final decisions about the disposition of prisoners were taken at a higher level, but they are very significant, as they represent not only the opinions of JTF-GTMO, but also the Criminal Investigation Task Force, created by the Department of Defense to conduct interrogations in the "War on Terror," and the BSCTs, the behavioral science teams consisting of psychologists who had a major say in the "exploitation" of prisoners in interrogation.
Under the heading, "JTF-GTMO Detainee Assessment," the memos generally contain nine sections, describing the prisoners as follows, although the earlier examples, especially those dealing with prisoners released — or recommended for release — between 2002 and 2004, may have less detailed analyses than the following:

1. Personal information

Each prisoner is identified by name, by aliases, which the US claims to have identified, by place and date of birth, by citizenship, and by Internment Serial Number (ISN). These long lists of numbers and letters — e.g. US9YM-000027DP — are used to identify the prisoners in Guantánamo, helping to dehumanize them, as intended, by doing away with their names. The most significant section is the number towards the end, which is generally shortened, so that the example above would be known as ISN 027. In the files, the prisoners are identified by nationality, with 47 countries in total listed alphabetically, from "az" for Afghanistan to "ym" for Yemen.

2. Health

This section describes whether or not the prisoner in question has mental health issues and/or physical health issues. Many are judged to be in good health, but there are some shocking examples of prisoners with severe mental and/or physical problems.

3. JTF-GTMO Assessment

a. Under "Recommendation," the Task Force explains whether a prisoner should continue to be held, or should be released. b. Under "Executive Summary," the Task Force briefly explains its reasoning, and, in more recent cases, also explains whether the prisoner is a low, medium or high risk as a threat to the US and its allies and as a threat in detention (i.e. based on their behavior in Guantánamo), and also whether they are regarded as of low, medium or high intelligence value. c. Under "Summary of Changes," the Task Force explains whether there has been any change in the information provided since the last appraisal (generally, the prisoners are appraised on an annual basis).

4. Detainee’s Account of Events

Based on the prisoners’ own testimony, this section puts together an account of their history, and how they came to be seized, in Afghanistan, Pakistan or elsewhere, based on their own words.

5. Capture Information

This section explains how and where the prisoners were seized, and is followed by a description of their possessions at the time of capture, the date of their transfer to Guantánamo, and, spuriously, "Reasons for Transfer to JTF-GTMO," which lists alleged reasons for the prisoners’ transfer, such as knowledge of certain topics for exploitation through interrogation. The reason that this is unconvincing is because, as former interrogator Chris Mackey (a pseudonym) explained in his book The Interrogators, the US high command, based in Camp Doha, Kuwait, stipulated that every prisoner who ended up in US custody had to be transferred to Guantánamo — and that there were no exceptions; in other words, the "Reasons for transfer" were grafted on afterwards, as an attempt to justify the largely random rounding-up of prisoners.

6. Evaluation of Detainee’s Account

In this section, the Task Force analyzes whether or not they find the prisoners’ accounts convincing.

7. Detainee Threat

This section is the most significant from the point of view of the supposed intelligence used to justify the detention of prisoners. After "Assessment," which reiterates the conclusion at 3b, the main section, "Reasons for Continued Detention," may, at first glance, look convincing, but it must be stressed that, for the most part, it consists of little more than unreliable statements made by the prisoners’ fellow prisoners — either in Guantánamo, or in secret prisons run by the CIA, where torture and other forms of coercion were widespread, or through more subtle means in Guantánamo, where compliant prisoners who were prepared to make statements about their fellow prisoners were rewarded with better treatment. Some examples are available on the homepage for the release of these documents: http://wikileaks.ch/gitmo/
With this in mind, it should be noted that there are good reasons why Obama administration officials, in the interagency Guantánamo Review Task Force established by the President to review the cases of the 241 prisoners still held in Guantánamo when he took office, concluded that only 36 could be prosecuted.
The final part of this section, "Detainee’s Conduct," analyzes in detail how the prisoners have behaved during their imprisonment, with exact figures cited for examples of "Disciplinary Infraction."

8. Detainee Intelligence Value Assessment

After reiterating the intelligence assessment at 3b and recapping on the prisoners’ alleged status, this section primarily assesses which areas of intelligence remain to be "exploited," according to the Task Force.

9. EC Status

The final section notes whether or not the prisoner in question is still regarded as an "enemy combatant," based on the findings of the Combatant Status Review Tribunals, held in 2004-05 to ascertain whether, on capture, the prisoners had been correctly labeled as "enemy combatants." Out of 558 cases, just 38 prisoners were assessed as being "no longer enemy combatants," and in some cases, when the result went in the prisoners’ favor, the military convened new panels until it got the desired result.

Fonte: http://www.wikileaks.ch/

ITALIA-CINA

ITALIA-CINA
PER L'ALLEANZA, LA COOPERAZIONE, L'AMICIZIA E LA COLLABORAZIONE TRA' LA REPUBBLICA ITALIANA E LA REPUBBLICA POPOLARE CINESE!!!