FINI A BERLUSCONI:
"SE NON MI DIMETTO COSA FAI? MI CACCI?!?"
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della Camera dei Deputati
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dell'intero discorso di Gianfranco Fini al
Congresso della Direzione Nazionale del PDL
tenutosi a Roma il 22 Aprile 2010)
Chi dice che ieri Gianfranco Fini ha subito una sconfitta decisiva si sbaglia di grosso. Si sbaglia ad esempio Paolo Guzzanti quando afferma che a prendere calci sui denti è stato Fini, ovviamente da Berlusconi, quando invece avrebbe dovuto essere Fini a farlo. Intanto c'è da dire che è anche una questione di carattere, ma soprattutto di stile e di sostanza. Berlusconi non ha fondato un partito tradizionale; non so se sia giusto definirlo un partito-azienda, tuttavia il Pdl ha poco a che fare con la forma-partito cui si era abituati in Italia (certamente non uno degli esempi migliori) ma anche del tipo che si può trovare all'estero nelle migliori democrazie. Subito dopo il discorso di Fini la replica berlusconiana di ieri, da questo punto di vista è indicativa: toni concitati, accenti da comizio, slogan e, ovviamente, applausi frenetici da parte di una platea che non era fatta di sottoproletari, ingaggiati per l'occasione, o di militanti di base alla 'prima', ma di politici di lungo corso. Fini lo aveva già detto, c'è qualcosa che non funziona "io a tu per tu con Berlusconi cercavo di parlare di questioni importanti, di ragionare, lui mi rispondeva per slogan come se stesse in piazza su un palco". Non è solo insomma una questione di differenze personali, o anche solo di stile, è proprio una diversa concezione della politica.Fini ha fatto un intervento in fondo pacato, ma ha detto delle cose di rilievo, soprattutto su alcuni aspetti decisivi: la conduzione del partito e il rispetto di uno Stato di diritto in cui permangano intatti i dettati costituzionali e la divisione dei poteri. Non a caso cio' che in particolare ha fatto allargare le braccia a un Berlusconi sgomento è stato l'accenno agli effetti devastanti sulla certezza del diritto dei provvedimenti sulla giustizia da parte dell'attuale governo. Dal momento che questo è uno dei punti cardine su cui si basa l'attività del ministero Berlusconi, l'aver fatto una simile critica significa non tanto porsi sulla linea degli avversari politici - che a parte alcune sparate, spesso a salve, dell'Italia dei valori non si sa dove e chi siano - quanto uno smarcamento rispetto alla gran parte del panorama politico italiano odierno. Affermare la necessita' di uno stato di diritto pieno, se questa è davvero la strada che Fini intende imboccare, sarebbe in effetti una novità per l'Italia, perché, a parte le anomalie della situazione attuale (anomalie non solo dovute al berlusconismo, sia chiaro), e' questo un passaggio (obbligato verso la realizzazione di una democrazia matura) che in Italia e' stato attuato in forma monca. E non mi riferisco ovviamente tanto o solo solo all'oggi, ma a tutto il secondo dopoguerra: in Italia semplicemente non si sa come funziona uno Stato di diritto pieno (lo ha sottolineato piu' volte ad es. l'ex-Pm Davigo, facendo raffronti precisi con la situazione americana dove - per limitarci solo a qualche esempio eclatante - indulti, amnistie, ecc., sono termini, o meglio pratiche semplicemente sconosciute). Fini non è uscito dalla Direzione del Pdl di ieri, sulla base delle votazioni del documento finale, così debole come si tende a dire da più parti. Dall'esito del voto risulterebbe un 6% di dissidenza, in realtà come ha sottolineato il liberale Benedetto Della Vedova, eletto nelle file del Pdl e ora 'finiano', "Siamo 15 su 60. Quindi quel 6% rischia di diventare un 25%. Poi nei mezzi di comunicazione diventa che questi sono i finiani. Se fossero 11 parlamentari tra Camera e Senato non si sarebbe posto il problema. Ovviamente sono di più". Un 25% è una cifra sufficiente a mettere in crisi, a volerla usare come si deve, anche una maggioranza solida, come sembra essere quella che attualmente governa. Fini ha tuttavia - e questo è un punto debole - obiettivi contraddittori: da una parte pensa all'abolizione di tutte le province, dall'altra mostra una certa indulgenza verso gli eccessi di spesa del Sud. Se non sono solo discorsi messi in piedi per smarcarsi dalla Lega, rappresentano un'indubbia debolezza nell'impianto complessivo di una proposta di alternativa. Il vice-Fini (o solo portavoce, non saprei dire con sicurezza) Italo Bocchino da parte sua ha affermato: "ieri il Pdl è divenuto finalmente un partito in carne ed ossa. Serviva uno scossone, per far nascere veramente il Partito del popolo della libertà. E ieri Fini ha dato quello scossone. Tutto qui. Una novità per alcuni. La normalità per tutti i grandi partiti politici europei". Non so se Bocchino se ne renda conto, con la sua esperienza non ho dubbi al riguardo, ma il Pdl non può essere un partito in carne ed ossa, cioè di tipo più o meno tradizionale. Questo è il punto. Quindi se è vero che ieri c'è stata la rottura con la storia del Pdl, gli effetti sono ancora tutti da vedere. La mia opinione è che Fini ha tentato un'operazione di salvataggio in extremis del Pdl. Forse ai più, a giudicare da ciò che si legge, non è chiaro, ma il Pdl è un partito in disfacimento (al Nord a favore della Lega, al sud semplicemente sulla strada della frammentazione pura). Quello che resta da verificare e' se Fini riuscirà a salvare il Pdl, dandogli finalmente una connotazione precisa e competitiva anche all'interno della sua area politica (il riferimento è alla Lega), oppure se erediterà un pezzo del Pdl, ben superiore tuttavia al 25% di cui parla Della Vedova, con riferimento al peso attuale dei 'finiani'. Bossi ha capito perfettamente quel che è successo, tanto che parla di fine prossima del rapporto Pdl-Lega. I suoli obiettivi sono chiari, un po' di meno le possibili alleanze future. Comunque, questo è certo, tutto si è rimesso in movimento. Verso cosa e' difficile dirlo, ma non c'e' da meravigliarsi, altrimenti non saremmo in Italia.
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di Luciano Priori Friggi
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