La Guardia di Finanza torna in via Bellerio: "Spariti 600mila euro in oro e diamanti!"
Lunedì, 16 Aprile 2012 - 17:06:00
Dal primo pomeriggio alcuni agenti della Guardia di finanza sono nella sede della Lega in via Bellerio a Milano alla ricerca di documenti amministrativi e contabili nell'ambito dell'indagine che ha coinvolto l'ex tesoriere del Carroccio, Francesco Belsito. In via Bellerio è intanto in corso un vertice a cui partecipano i massimi esponenti del partito.
Diamanti per 400 mila euro sarebbero stati acquistati coi soldi della Lega da Rosi Mauro, Piergiorgio Stiffoni e Francesco Belsito. E' quanto avrebbero accertato gli investigatori. Altri 200 mila euro sarebbero stati invece utilizzati per l'acquisto di 5 chili di lingotti d'oro.Il denaro sarebbe stato prelevato con operazioni presso la Banca Popolare di Novara e Banca Aletti. I preziosi, sempre secondo gli investigatori, sarebbero poi stati consegnati a Belsito.
Sulla vicenda dei conti della Lega indaga anche la procura della Corte dei Conti lombarda. Il capo della procura, Antonio Caruso, ha incontrato nel pomeriggio, insieme ad altri due magistrati contabili, il procuratore aggiunto Alfredo Robledo, che indaga sui rimborsi elettorali del Carroccio. Una visita funzionale a prendere contatti per un eventuale scambio di carte necessarie per il procedimento davanti alla Corte dei Conti, che ipotizza un danno erariale partendo dall'ipotesi di truffa ai danni dello Stato contestata dalla procura di Milano.
STIFFONI, ASSOLUTAMENTE ESTRANEO A MOVIMENTAZIONE SOLDI - "Di quello che facesse Belsito con i soldi del movimento non ho mai saputo niente, anche perche' a me e al senatore Castelli e' sempre stato impedito. Dalla Lega Nord non ho mai avuto soldi, anzi li ho sempre dati sotto forma di erogazione liberale, come tutti gli altri parlamentari, e anche di piu'. Di come investo i risparmi miei e della mia famiglia sono solo affari miei e non devo rendere conto a nessuno. Assieme all'avvocato Agostino D'Antuoni che mi assiste, andro' dai giudici di Milano per chiarire una volta per tutte la mia posizione di assoluta estraneita' a qualsiasi movimentazione di denaro della Lega Nord". Lo dichiara il senatore della Lega Nord, Piergiorgio Stiffoni.
CAMUSSO, IL SIN.PA E' UN SINDACATO INESISTENTE - "E' un sindacato pressoche' inesistente". Non usa mezzi termini la leader della Cgil, Susanna Camusso, per definire il sindacato Padano il Sin.Pa coinvolto negli scandali della Lega. "Mi e' successo di avere a che fare con il Sin.Pa perche' la Regione Lombardia lo invitata sempre al Tavolo, anche se non aveva particolari opinioni. L'era Sacconi li aveva condotti anche alla presenza nei Tavoli nazionali". Nella sua lunga esperienza sindacale in Lombardia, Camusso ricorda di aver avuto a che fare "in una sola occasione" con un rappresentante sindacale del Sin.Pa.
CAMUSSO, IL SIN.PA E' UN SINDACATO INESISTENTE - "E' un sindacato pressoche' inesistente". Non usa mezzi termini la leader della Cgil, Susanna Camusso, per definire il sindacato Padano il Sin.Pa coinvolto negli scandali della Lega. "Mi e' successo di avere a che fare con il Sin.Pa perche' la Regione Lombardia lo invitata sempre al Tavolo, anche se non aveva particolari opinioni. L'era Sacconi li aveva condotti anche alla presenza nei Tavoli nazionali". Nella sua lunga esperienza sindacale in Lombardia, Camusso ricorda di aver avuto a che fare "in una sola occasione" con un rappresentante sindacale del Sin.Pa.
Lega ladrona: non solo le colpe del cerchio magico o del Trota, è il ribaltamento della retorica nordista:
Gli occhi lucidi e le lacrime di leader e militanti della Lega Nord chiudono definitivamente la stagione del celodurismo padano.
"O' c... nu vo' pensieri" dicono a Napoli, per cui da ora in poi i leghisti devono fare i conti, come tutti i mortali, con il livello variabile di testosterone sulle certezze politiche che animano quel movimento. La riproposizione dell'immaginaria virilità celtica applicata agli avventori delle moderne osterie padane è alquanto improbabile, anche perché al punto in cui è giunta la Lega si scoprono più radici da tragedia greca e "meridionali", con l'addizionale di rapporti perfino con la 'ndrangheta, che non volitività e freddezza nordiche o eroismi all'Alberto da Giussano.
La rabbia dei militanti e simpatizzanti leghisti, una volta scoperta l'abbuffata di soldi pubblici da parte della famiglia del boss(i), è data principalmente dalla perdita, difficilmente recuperabile, dell'"ariana" differenza con i sudisti italiani, nei confronti dei quali ora, se è vero l'intreccio mafioso rivelato, si sentono oltretutto ridotti al rango di ladri di galline. I lumbard scoprono la mistificazione strategica del capo di aver puntato tutte le armi sull'obiettivo di separare il bene del Nord dal male del Sud con la parola d'ordine di "Roma ladrona", mentre egli stesso faceva di peggio, e adesso vanno sul pratone "sacro" di Pontida a cambiare quell'orgoglioso motto "Padroni a casa nostra" in "ladroni a casa nostra".
La delusione dei lumbard, già manifestata all'interno del partito e confermata nelle ultime prove elettorali ancora prima del fattaccio, per non aver raggiunto dopo anni di gestione del potere "romano" alcuno degli obiettivi gridati nei tanti raduni celtici cui hanno partecipato in massa con le bandiere e la busta del discount, si aggiunge alla rabbia per il crollo del mito del condottiero incorruttibile e del sogno coltivato in anni di impegno e sacrificio e che si pensava realizzabile.
"Tucc lader" mormorano all'inviato speciale gli anziani convertiti al leghismo di Samorate, paese di origine della famiglia di Umberto Bossi e dove ancora vive la sorella Angela, la quale nel 1992 aveva creato una "Lega Alpina" che ebbe successo a Mantova e che in un'intervista in quell'anno al Corriere descrisse i molti lati negativi del carattere arrogante e fraudolento del fratello, avvertendo: "Non fidatevi di lui!".
"Picchiali", "investili", dice Bossi in un video rivolto alla sua scorta in direzione dei giornalisti e reporter davanti casa sua. Anche se con i segni della malattia del 2004, è sempre l'uomo del dito medio alzato verso il prossimo, del vilipendio alla bandiera italiana e delle minacce del sollevamento armato dei padani. E' lo stesso uomo che essendo costretto si dimette e non fa sconti agli errori dei familiari (famigli?) ma non resiste all'erotismo provocato dai raduni leghisti e risfodera un po' di celodurismo anche in una fase drammatica di resa dei conti finale, nel volersi riproporre, profittando anche della necessità per tutti di tenere fuori dalle ombre minacciose il fondatore-simbolo, come intramontabile capo che unisce, non divide, come egli dice di Maroni durante la festa dell'"orgoglio padano" a Berghem, raccontando tra i fischi che tutta questa brutta storia è frutto di complotti contro il movimento.
Il drammatico cul de sac in cui si trova la Lega Nord, emerso proprio al raduno dell'"orgoglio padano" a Bergamo, è costituito dalla difficoltà, per un partito monocratico basato sull'identificazione della linea politica con la persona del proprio leader, di sostituire Bossi e farlo uscire di scena a meno che non si decida di creare un nuovo partito accettando il rischio di uno sfaldamento ed evaporazione del vecchio consenso.
Non è infatti detto che i "barbari sognanti" di Maroni che, aiutati dai magistrati di quel Sud Italia tanto vituperato, si stanno liberando oggi del "cerchio magico" bossiano, domani continueranno a seguire leader e dirigenti politici che hanno vissuto la stessa stagione di gestione del potere degli sconfitti senza nutrire dubbi quantomeno sulla loro capacità di raggiungere gli obiettivi.
La caduta della Lega sul terreno della corruzione, in uno con il coinvolgimento più ampio del partito di Berlusconi sullo stesso terreno che si trascina da anni, pone in evidenza un panorama politico-partitico non dissimile dalla situazione storica di Mani Pulite. Sebbene vi sia stato il precedente della cosiddetta Tangentopoli per quanto attiene al finanziamento pubblico dei partiti, si riscopre una realtà di illegalità nell'uso delle risorse statali ben peggiore che in passato, quantunque nel frattempo i cittadini si siano espressi con uno specifico referendum contro il finanziamento pubblico dei partiti.
La fine o il ridimensionamento della Lega, per il ruolo avuto nella politica italiana, comporta senza dubbio la revisione di scelte e indirizzi di governo come l'invenzione di una "questione settentrionale", in contrapposizione alla mai risolta "questione meridionale", coincidente sia con i progetti indipendentisti dei lumbard che con la visione padronale nordista del capitalismo brianzolo del Cavaliere, di un Nord che ha svelato negli ultimi vent'anni una cultura diffusa della rapina capitalistica ben più dannosa della cultura assistenzialistica alquanto infondata del Sud.
Sul piano europeo c'è da augurarsi che l'"esempio" della Lega italiana serva a far aprire gli occhi a tutti al fine del ridimensionamento dell'affermarsi in ogni dove di forze politiche e gruppi sociali che si richiamano agli stessi principi di destra, della xenofobia e del razzismo.
Nella vicenda leghista colpisce la valanga perdurante di notizie e approfondimenti sul "caso" pur ritenuti necessari e apprezzabili. Ci si chiede però come mai il giornalismo italiano, salvo rarissimi casi, debba attendere le investigazioni giudiziarie per scoprire realtà che magari sono già vox populi o comportano facili accertamenti per chi voglia seguire i percorsi di movimenti politici e di fatti sociali rilevanti.
La rabbia dei militanti e simpatizzanti leghisti, una volta scoperta l'abbuffata di soldi pubblici da parte della famiglia del boss(i), è data principalmente dalla perdita, difficilmente recuperabile, dell'"ariana" differenza con i sudisti italiani, nei confronti dei quali ora, se è vero l'intreccio mafioso rivelato, si sentono oltretutto ridotti al rango di ladri di galline. I lumbard scoprono la mistificazione strategica del capo di aver puntato tutte le armi sull'obiettivo di separare il bene del Nord dal male del Sud con la parola d'ordine di "Roma ladrona", mentre egli stesso faceva di peggio, e adesso vanno sul pratone "sacro" di Pontida a cambiare quell'orgoglioso motto "Padroni a casa nostra" in "ladroni a casa nostra".
La delusione dei lumbard, già manifestata all'interno del partito e confermata nelle ultime prove elettorali ancora prima del fattaccio, per non aver raggiunto dopo anni di gestione del potere "romano" alcuno degli obiettivi gridati nei tanti raduni celtici cui hanno partecipato in massa con le bandiere e la busta del discount, si aggiunge alla rabbia per il crollo del mito del condottiero incorruttibile e del sogno coltivato in anni di impegno e sacrificio e che si pensava realizzabile.
"Tucc lader" mormorano all'inviato speciale gli anziani convertiti al leghismo di Samorate, paese di origine della famiglia di Umberto Bossi e dove ancora vive la sorella Angela, la quale nel 1992 aveva creato una "Lega Alpina" che ebbe successo a Mantova e che in un'intervista in quell'anno al Corriere descrisse i molti lati negativi del carattere arrogante e fraudolento del fratello, avvertendo: "Non fidatevi di lui!".
"Picchiali", "investili", dice Bossi in un video rivolto alla sua scorta in direzione dei giornalisti e reporter davanti casa sua. Anche se con i segni della malattia del 2004, è sempre l'uomo del dito medio alzato verso il prossimo, del vilipendio alla bandiera italiana e delle minacce del sollevamento armato dei padani. E' lo stesso uomo che essendo costretto si dimette e non fa sconti agli errori dei familiari (famigli?) ma non resiste all'erotismo provocato dai raduni leghisti e risfodera un po' di celodurismo anche in una fase drammatica di resa dei conti finale, nel volersi riproporre, profittando anche della necessità per tutti di tenere fuori dalle ombre minacciose il fondatore-simbolo, come intramontabile capo che unisce, non divide, come egli dice di Maroni durante la festa dell'"orgoglio padano" a Berghem, raccontando tra i fischi che tutta questa brutta storia è frutto di complotti contro il movimento.
Il drammatico cul de sac in cui si trova la Lega Nord, emerso proprio al raduno dell'"orgoglio padano" a Bergamo, è costituito dalla difficoltà, per un partito monocratico basato sull'identificazione della linea politica con la persona del proprio leader, di sostituire Bossi e farlo uscire di scena a meno che non si decida di creare un nuovo partito accettando il rischio di uno sfaldamento ed evaporazione del vecchio consenso.
Non è infatti detto che i "barbari sognanti" di Maroni che, aiutati dai magistrati di quel Sud Italia tanto vituperato, si stanno liberando oggi del "cerchio magico" bossiano, domani continueranno a seguire leader e dirigenti politici che hanno vissuto la stessa stagione di gestione del potere degli sconfitti senza nutrire dubbi quantomeno sulla loro capacità di raggiungere gli obiettivi.
La caduta della Lega sul terreno della corruzione, in uno con il coinvolgimento più ampio del partito di Berlusconi sullo stesso terreno che si trascina da anni, pone in evidenza un panorama politico-partitico non dissimile dalla situazione storica di Mani Pulite. Sebbene vi sia stato il precedente della cosiddetta Tangentopoli per quanto attiene al finanziamento pubblico dei partiti, si riscopre una realtà di illegalità nell'uso delle risorse statali ben peggiore che in passato, quantunque nel frattempo i cittadini si siano espressi con uno specifico referendum contro il finanziamento pubblico dei partiti.
La fine o il ridimensionamento della Lega, per il ruolo avuto nella politica italiana, comporta senza dubbio la revisione di scelte e indirizzi di governo come l'invenzione di una "questione settentrionale", in contrapposizione alla mai risolta "questione meridionale", coincidente sia con i progetti indipendentisti dei lumbard che con la visione padronale nordista del capitalismo brianzolo del Cavaliere, di un Nord che ha svelato negli ultimi vent'anni una cultura diffusa della rapina capitalistica ben più dannosa della cultura assistenzialistica alquanto infondata del Sud.
Sul piano europeo c'è da augurarsi che l'"esempio" della Lega italiana serva a far aprire gli occhi a tutti al fine del ridimensionamento dell'affermarsi in ogni dove di forze politiche e gruppi sociali che si richiamano agli stessi principi di destra, della xenofobia e del razzismo.
Nella vicenda leghista colpisce la valanga perdurante di notizie e approfondimenti sul "caso" pur ritenuti necessari e apprezzabili. Ci si chiede però come mai il giornalismo italiano, salvo rarissimi casi, debba attendere le investigazioni giudiziarie per scoprire realtà che magari sono già vox populi o comportano facili accertamenti per chi voglia seguire i percorsi di movimenti politici e di fatti sociali rilevanti.
Fonte: http://www.pontediferro.org
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