Proclama Badoglio dell'8 Settembre 1943
Il tradimento del Maresciallo Badoglio
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Il proclama Badoglio dell'8 settembre 1943, che fece seguito a quello del generale Dwight D. Eisenhower delle 18.30,[1] trasmesso dai microfoni di radio Algeri, fu il discorso letto alle 19.42 dai microfoni dell'EIAR da parte del Capo del Governo, maresciallo d'Italia Pietro Badoglio con il quale si annunciava l'entrata in vigore dell'armistizio di Cassibile firmato con gli anglo-americani il giorno 3 dello stesso mese.Indice
Il proclama letto alla radio
« Il governo
italiano, riconosciuta la impossibilità di continuare la impari lotta
contro la soverchiante potenza avversaria, nell'intento di risparmiare
ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione ha chiesto un armistizio al
generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate anglo-americane.
La richiesta è stata accolta. Conseguentemente, ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza. » |
Le conseguenze del proclama Badoglio
La fuga dalla Capitale dei vertici militari, del Capo del Governo Pietro Badoglio, del Re Vittorio Emanuele III, e di suo figlio Umberto dapprima verso Pescara, poi verso Brindisi, e la confusione, provocata soprattutto dall'utilizzo di una forma che non faceva comprendere il reale senso delle clausole armistiziali e che fu dai più invece erroneamente interpretata per la seconda volta come la fine della guerra, generarono ulteriore confusione presso tutte le forze armate italiane in tutti i vari fronti sui quali ancora combattevano, e che, lasciate senza precisi ordini, si sbandarono.[2] Oltre 600.000 soldati italiani vennero catturati dall'esercito germanico, e destinati a diversi Lager con la qualifica di I.M.I. (internati militari italiani) nelle settimane immediatamente successive.Più della metà dei soldati in servizio abbandonarono le armi e tornarono alle loro case in abiti civili. La ritorsione da parte degli ormai ex-alleati nazisti, i cui alti comandi, come quelli italiani[3] avevano appreso la notizia dalle intercettazioni del messaggio radio di Eisenhower, non si fece attendere tanto che fu immediatamente attuata "l'operazione Achse" (asse), ovvero l'occupazione militare di tutta la penisola italiana; il 9 settembre l'affondamento della Corazzata Roma alla quale nella notte precedente era stato ordinato, assieme a tutta la flotta della Regia Marina, di far rotta verso Malta in ottemperanza alle clausole armistiziali anziché, come precedentemente stabilito, attaccare gli alleati impegnati nello sbarco di Salerno.
Nelle stesse ore una parte delle forze armate rimase fedele al Re Vittorio Emanuele III come la Divisione Acqui sull'isola di Cefalonia che fu annientata; una parte si diede alla macchia dando vita alle prime formazioni partigiane come la Brigata Maiella. Altri reparti, soprattutto al nord, come la Xª Flottiglia MAS e la MVSN, decisero di rimanere fedeli al suo vecchio alleato e al fascismo. Nonostante il proclama di Badoglio, gli alleati ostacolarono una massiccia e immediata scarcerazione dei prigionieri di guerra italiani.
Note
- ^ Le 17.30 di Algeri [1]
- ^ P. Pieri, dal Dizionario biografico degli Italiani, Ist. Treccani. URL consultato in data 03-09-2010.
- ^ L’eroica fine della corazzata Roma
Filmografia
- Tutti a casa, con Alberto Sordi regia di Luigi Comencini, Italia, 1960.
Bibliografia
- Elena Aga-Rossi, Una nazione allo sbando. L'armistizio italiano del settembre 1943 e le sue conseguenze. Bologna, Il Mulino, 2003
- Silvio Bertoldi, Apocalisse italiana. Otto settembre 1943. Fine di una nazione. Milano, Rizzoli, 1998.
- Davide Lajolo, Il voltagabbana. 1963
- Oreste Lizzadri, Il regno di Badoglio. Milano, Edizioni Avanti!, 1963
- Luigi Longo, Un popolo alla macchia. Milano, Mondadori, 1952
- Paolo Monelli, Roma 1943. Torino, Einaudi, 1993
- Ruggero Zangrandi, 1943: 25 luglio-8 settembre. Milano, Feltrinelli, 1964
- Ruggero Zangrandi, Il lungo viaggio attraverso il fascismo. Milano, FelTrinelli, 1976
- Ruggero Zangrandi, L'Italia tradita. 8 settembre 1943. Milano,
Voci correlate
- Operazione Corkscrew (presa di Pantelleria)
- Operazione Husky (invasione della Sicilia)
- Armistizio di Cassibile
- Mancata difesa di Roma
- Operazione Avalanche (invasione della penisola italiana con sbarco a Salerno)
- Operazione Baytown (invasione della penisola italiana in Calabria)
- Operazione Slapstick (invasione della penisola italiana a Taranto)
- Operazione Alarich (prima denominazione del piano tedesco di occupazione dell'Italia)
- Operazione Achse (denominazione definitiva del piano complessivo tedesco di occupazione dell'Italia e dei Balcani)
- Operazione Eiche (piano tedesco per liberare Mussolini) 12 settembre 1943
- Operazione Schwarz (piano tedesco di occupazione di Roma e di cattura del Re e dei capi politici italiani)
- Armistizio lungo
- Pietro Badoglio
- EIAR
- Regno del Sud
- Linea Gustav
- Repubblica Sociale Italiana
- Tutti a casa
- Canzone dell'otto settembre
Armistizio di Cassibile
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Armistizio di Cassibile
Parte della seconda guerra mondiale
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Il
generale Castellano (in borghese) ed il generale Eisenhower si
stringono la mano dopo la firma dell'armistizio a Cassibile, il 3
settembre 1943
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Data | 3 settembre 1943 |
Luogo | Cassibile, Siracusa |
Esito | Cessazione delle ostilità dell'Italia contro le Forze Alleate |
Parti contraenti | |
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Poiché tale atto stabiliva la sua entrata in vigore dal momento del suo annuncio pubblico, esso è comunemente citato come "8 settembre", data in cui, alle 18:30,[1] fu reso noto prima dai microfoni di Radio Algeri da parte del generale Dwight Eisenhower e, poco più di un'ora dopo, alle 19:42, confermato dal proclama del maresciallo Pietro Badoglio trasmesso dai microfoni dell'EIAR.[2]
Indice
Antefatti
Nella prima metà del 1943, in una situazione generale di grave preoccupazione, indotta dall'opinione, sempre più condivisa, che la guerra fosse ormai perduta e che stesse apportando insopportabili e gravissimi danni al Paese, Benito Mussolini, capo del fascismo, operò una serie di avvicendamenti, che investirono alcuni dei più significativi centri di potere, e delle alte cariche dello Stato,[3] rimuovendo, tra l'altro, alcuni personaggi che reputava ostili alla prosecuzione del conflitto accanto alla Germania, o comunque più fedeli al Re che non al regime. Secondo alcuni studiosi, fu a seguito di tali sostituzioni, finalizzate a rafforzare il regime in crisi di consenso, se non apertamente ostili al Quirinale (dal quale giungevano da tempo segnali critici occulti nei confronti del governo[4]), che Vittorio Emanuele avrebbe rotto gli indugi ed iniziato a progettare in via esecutiva un piano che consentisse la destituzione del duce.Per questo fu avvicinato Dino Grandi, uno dei gerarchi più intelligenti e prestigiosi dell'élite di comando, che in gioventù si era evidenziato come il solo vero potenziale antagonista di Mussolini all'interno del Partito Nazionale Fascista, e del quale si aveva motivo di sospettare che avesse di molto rivisto le sue idee sul regime. A Grandi, attraverso garbati e fidati mediatori fra i quali il Conte d'Acquarone, ministro della Real Casa, e lo stesso Pietro Badoglio, si prospettò l'opportunità di avvicendare il dittatore e si convenne che la stagione del fascismo originale, quello dell'"idea pura" dei fasci di Combattimento, era finita ed il regime si era irrimediabilmente annacquato in un qualunque sistema di gestione del potere, avendo perso ogni speranza di sopravvivere a se stesso.
Grandi riuscì a coinvolgere nella fronda sia Giuseppe Bottai, altro importantissimo gerarca che sosteneva l'idea originaria e "sociale" del fascismo operando sui campi della cultura, sia Galeazzo Ciano, che oltre che ministro ed altissimo gerarca anch'egli, era pure genero del Duce. Con essi diede vita all'Ordine del Giorno che avrebbe presentato alla riunione del Gran Consiglio del Fascismo il 25 luglio 1943 e che conteneva l'invito rivolto al re a riprendere le redini della situazione politica. Mussolini fu arrestato e sostituito da Badoglio, anziché, come era stato sempre detto a Grandi, da Enrico Caviglia, generale di più stimate qualità personali e professionali.
La nomina di Badoglio, che aveva aperto la strada ad un istintivo entusiasmo popolare durato poche ore, non significava la fine della guerra, che continuava "a fianco dell'alleato germanico", sebbene fosse un tassello della manovra sabauda per giungere alla pace. Attraverso canali dei più disparati, si cercò un produttivo contatto con le potenze alleate, cercando di ricostruire quei passaggi delle trattative (sempre indicate come spontanee ed indipendenti) già intessute da Maria José, consorte di Umberto II di Savoia, che potevano stavolta meritare l'avallo del re.
Verso la firma
Fu a Lisbona che si decise di agire, e fu qui che il 16 agosto fu inviato il generale Giuseppe Castellano, per prendere contatti con i rappresentanti delle potenze avversarie. Furono inviati in Portogallo (o vi si presentarono per loro conto), separatamente fra loro, anche altri due generali, ufficialmente latori delle stesse aperture; gli alleati faticarono a comprendere quale dovesse essere il loro interlocutore, e misero a confronto i tre generali, che si abbandonarono a una singolare lunga contesa circa le rispettive pretese di superiorità di grado.[senza fonte] Identificato in Giuseppe Castellano il "vero" inviato, l'ambasciatore britannico Ronald Campbell e i due generali inviati nella capitale portoghese dal generale Dwight David Eisenhower, lo statunitense Walter Bedell Smith e il britannico Kenneth Strong, ricevettero la disponibilità di Roma alla resa.La proposta di resa, in realtà non era considerata con grande euforia da parte alleata, in quanto le sorti della guerra erano già evidentemente segnate verso una probabile prossima sconfitta delle armate italiane. Comunque la resa avrebbe significato un'accelerazione del corso della guerra verso la sconfitta tedesca, anche se poteva limitare in parte i vantaggi che le forze alleate intendevano trarre dalla vittoria militare.[5]
Da autorevoli commenti successivi, e anche dalla vasta memorialistica prodotta nel dopo-guerra dai soggetti coinvolti (uno dei quali era proprio Eisenhower), si è dedotto che comunque fu l'incertezza nei rapporti fra le potenze alleate, e l'intento di evitare, a guerra ancora aperta, pericolose frizioni di interesse fra loro, che spinse gli alleati ad accettare di parlarne con concreta attenzione. Se l'Italia fosse stata conquistata, ad esempio, dagli statunitensi (già in posizione di supremazia militare nell'alleanza), l'Inghilterra e l'URSS avrebbero ovviamente distinto le loro posizioni per garantirsi equilibri che ne pareggiassero la strategica acquisizione, e avrebbero combattuto per loro conto, forse - eventualmente - anche contro gli stessi statunitensi. In più, in un'eventuale spartizione, era assolutamente da evitare (secondo gli altri) che l'Italia cadesse in mano britannica, giacché Londra avrebbe potuto monopolizzare il traffico commerciale, coloniale e soprattutto petrolifero del Mediterraneo. Se ancora Jalta non era alla vista, se ne cominciava ad avvertire l'incombere.[5]
Accettare la resa (rinunciando a conquistare militarmente l'Italia), divenne dunque la scelta più utile, per la quale spendere molte energie diplomatiche, sia da parte americana che degli altri alleati.
Il 30 agosto, Badoglio convocò Castellano, rientrato il 27 da Lisbona con qualche prospettiva. Il generale comunicò la richiesta di un incontro in Sicilia, che era già stata conquistata. La proposta fu avanzata dagli Alleati per il tramite dell'ambasciatore britannico in Vaticano, D'Arcy Osborne che collaborava a stretto contatto con il collega statunitense Myron Charles Taylor. Si è congetturato che la scelta proprio di quel diplomatico non fosse stata casuale, a significare che il Vaticano, già attraverso monsignor Montini ben immerso in trattative diplomatiche per il futuro post-bellico, e sospettato dal Quirinale di aver osteggiato la pace in trattative precedenti, stavolta avallasse, o almeno non intendesse ostacolare, il perseguimento di un simile obiettivo.
Scelta delle condizioni
Badoglio, ritenendo per suo conto che vi fossero anche gli spazi per una trattativa nella quale contrattare e "vendere" la resa a buon prezzo, quantunque si trattasse in realtà di una richiesta di cessazione delle ostilità, chiese a Castellano di farsi portavoce di alcune proposte presso gli Alleati: in particolare Castellano avrebbe dovuto insistere sul fatto che l'Italia avrebbe accettato l'armistizio solo a condizione che prima si effettuasse un massiccio sbarco alleato nella penisola. Badoglio si spinse anche a chiedere agli alleati di conoscere quali fossero i loro programmi militari, sebbene la guerra fosse ancora in corso.Tra le tante altre condizioni che furono richieste agli alleati, solo quella di inviare 2.000 unità paracadutate su Roma per la difesa della Capitale fu accolta, anche perché in parte già prevista dai piani alleati (ma sarebbe stata poi snobbata dagli stessi comandi italiani).[senza fonte]
Il 31 agosto il generale Castellano arrivò in aereo a Termini Imerese e fu quindi trasferito a Cassibile, nei pressi di Siracusa. Nello staff di Castellano si insinuò in qualche modo, e senza apparente ragione, né successiva spiegazione, anche un avvocato siciliano, Vito Guarrasi, all'epoca ufficiale di collegamento, il cui nome sarebbe poi emerso in correlazione con molti altri oscuri eventi regionali successivi.[senza fonte]
I colloqui comunque videro le parti relativamente distanti: Castellano chiese garanzie agli Alleati rispetto alla inevitabile reazione tedesca contro l'Italia alla notizia della firma dell'armistizio e, in particolare, uno sbarco alleato a nord di Roma precedente all'annuncio dell'armistizio; da parte alleata si ribatté che uno sbarco in forze e l'azione di una divisione di paracadutisti sulla capitale (un'altra richiesta su cui Castellano insistette) sarebbero stati in ogni caso contemporanei e non precedenti alla proclamazione dell'armistizio. In serata Castellano rientrò a Roma per riferire.
Il giorno successivo Castellano fu ricevuto da Badoglio; all'incontro parteciparono il ministro degli esteri Raffaele Guariglia e i generali Vittorio Ambrosio e Giacomo Carboni. Emersero posizioni non coincidenti: Guariglia e Ambrosio ritenevano che le condizioni alleate non potessero a quel punto che essere accettate; Carboni dichiarò invece che il Corpo d'armata da lui dipendente, schierato a difesa di Roma, non avrebbe potuto difendere la città dai tedeschi per mancanza di munizioni e carburante. Badoglio, che nella riunione non si pronunciò, fu ricevuto nel pomeriggio dal re Vittorio Emanuele III, che decise di accettare le condizioni dell'armistizio.
L'arrivo di Castellano a Cassibile
Un telegramma di conferma fu inviato agli Alleati; in esso si preannunciava anche l'imminente invio del generale Castellano. Il telegramma fu intercettato dalle forze tedesche in Italia che, già in sospetto di una simile possibile soluzione, presero a mettere sotto pressione, attraverso il comandante della piazza di Roma, Badoglio: questi enfaticamente spese molte volte la propria parola d'onore per smentire[senza fonte] qualsiasi rapporto con gli americani, ma in Germania cominciarono ad organizzare delle contromisure.Il 2 settembre Castellano ripartì per Cassibile, per dichiarare l'accettazione da parte italiana del testo dell'armistizio; non aveva tuttavia con sé alcuna autorizzazione scritta a firmare. Badoglio, che non gradiva che il suo nome fosse in qualche modo legato alla sconfitta[senza fonte], cercava di apparire il meno possibile e non gli aveva fornito deleghe per la firma, auspicando evidentemente che gli Alleati non pretendessero altri impegni scritti oltre al telegramma spedito il giorno precedente.
Castellano sottoscrisse il testo di un telegramma da inviare a Roma, redatto dal generale Bedell Smith, in cui si richiedevano le credenziali del generale, cioè l'autorizzazione a firmare l'armistizio per conto di Badoglio, che non avrebbe più potuto evitare il coinvolgimento del suo nome; si precisò che, senza tale firma, si sarebbe prodotta l'immediata rottura delle trattative. Ciò, naturalmente, perché in assenza di un accredito ufficiale, la firma di Castellano avrebbe impegnato solo lo stesso generale, certo non il governo italiano. Nessuna risposta pervenne tuttavia da Roma.
Al che, nella prima mattinata del 3 settembre, per sollecitare la delega, Castellano inviò un secondo telegramma a Badoglio, che questa volta rispose quasi subito con un radiogramma in cui chiariva che il testo del telegramma del 1º settembre era già un'implicita accettazione delle condizioni di armistizio poste dagli Alleati.
Ma di fatto continuava comunque a mancare una delega a firmare e si dovette attendere un ulteriore telegramma di Badoglio, pervenuto solo alle 16,30: oltre all'esplicita autorizzazione a firmare l'armistizio per conto di Badoglio, il telegramma informava che la dichiarazione di autorizzazione era stata depositata presso l'ambasciatore britannico in Vaticano D'Arcy Osborne.
A quel punto si procedette alla firma del testo dell'armistizio 'breve'.
Le firme
L'operazione ebbe inizio intorno alle 17: apposero la loro firma Castellano, a nome di Badoglio, e Walter Bedell Smith (futuro direttore della CIA) a nome di Eisenhower. Alle 17,30 il testo risultava firmato. Fu allora bloccata in extremis dal generale Eisenhower la partenza di cinquecento aerei già in procinto di decollare per una missione di bombardamento su Roma, minaccia che aveva corroborato lo sveltimento dei dubbi di Badoglio e che probabilmente sarebbe stata attuata se la firma fosse saltata.Harold Macmillan, il ministro britannico distaccato presso il quartier generale di Eisenhower, informò subito Churchill che l'armistizio era stato firmato "[...] senza emendamenti di alcun genere".
A Castellano furono solo allora sottoposte le clausole contenute nel testo dell'armistizio 'lungo', già presentate invece a suo tempo dall'ambasciatore Campbell al generale Giacomo Zanussi, anch'egli presente a Cassibile già dal 31 agosto, che tuttavia, per ragioni non chiare, aveva omesso di informarne il collega. Bedell Smith sottolineò che le clausole aggiuntive contenute nel testo dell'armistizio "lungo" avevano tuttavia un valore dipendente dalla effettiva collaborazione italiana alla guerra contro i tedeschi.
Nel pomeriggio dello stesso 3 settembre Badoglio si riunì con i ministri della Marina, De Courten, dell'Aeronautica, Sandalli, della Guerra, Sorice, presenti il generale Ambrosio e il ministro della Real Casa Acquarone: non fece cenno alla firma dell'armistizio, riferendosi semplicemente a trattative in corso.
Fornì invece indicazioni sulle operazioni previste dagli Alleati; in particolare, nel corso di tale riunione, avrebbe fatto cenno allo sbarco in Calabria, ad uno sbarco di ben maggiore rilievo atteso nei pressi di Napoli ed all'azione di una divisione di paracadutisti alleati a Roma, che sarebbe stata supportata dalle divisioni italiane in città perché ormai l'Italia avrebbe agevolato gli alleati.
Intanto Hitler, il 7 settembre, aveva chiesto al suo comando di formalizzare in un ultimatum le pressanti richieste che i comandi militari tedeschi facevano al comando supremo italiano.[6] Le richieste comprendevano la libertà di movimento delle truppe tedesche in ogni parte del territorio italiano, in particolare le installazioni della marina militare, il ritiro delle truppe italiane dalle zone di confine con il reich, la sottomissione di tutte le truppe italiane presenti nella valle del Po alle direttive del Heeresgruppe B, creazione di un grande contingente di truppe italiane per la difesa dell'Italia del sud dall'invasione alleata e modifica della catena di comando in favore di un controllo tedesco delle forze armate italiane. L'ultimatum doveva essere firmato da Hitler il 9 settembre, ma l'annuncio dell'armistizio lo rese inutile.[6]
L'otto settembre
Nelle prime ore del mattino, dopo un bombardamento aeronavale alleato delle coste calabresi, ebbe inizio fra Villa San Giovanni e Reggio Calabria lo sbarco di soldati della 1ª Divisione canadese e di reparti britannici; si trattò di un imponente diversivo per concentrare l'attenzione dei tedeschi molto a sud di Salerno, dove avrebbe avuto invece luogo lo sbarco principale.Due americani, il generale di brigata Maxwell D. Taylor e il colonnello William T. Gardiner, furono inviati in segreto a Roma per verificare le reali intenzioni degli italiani e la loro effettiva capacità di supporto per i paracadutisti americani. La sera del 7 settembre incontrarono il generale Giacomo Carboni, responsabile delle forze a difesa di Roma. Carboni manifestò l'impossibilità delle forze italiane di supportare i paracadutisti americani e la necessità di rinviare l'annuncio dell'armistizio. Gli americani chiesero di vedere Badoglio, il quale confermò l'impossibilità di un immediato armistizio. Eisenhower, avvisato dei fatti, fece annullare l'azione dei paracadutisti, che avevano già parzialmente preso il decollo dalla Sicilia, e decise di rendere pubblico l'armistizio. Alle 18:30 dell' 8 settembre gli alleati annunciarono l'armistizio dai microfoni di Radio Algeri. Alle 18:45 un bollettino della Reuters raggiunge Vittorio Emanuele e Badoglio al Quirinale; il re decise di confermare l'annuncio degli americani.[7]
L'armistizio fu reso pubblico alle 19:45 dell'8 settembre dai microfoni dell'EIAR che interruppero le trasmissioni per trasmettere l'annuncio (precedentemente registrato) della voce di Badoglio che annunciava l'armistizio alla nazione.
Conseguenze dell'armistizio di Cassibile
Per approfondire, vedi Consegna della flotta italiana agli Alleati e Internati Militari Italiani. |
Il mattino successivo, di fronte alle prime notizie di un'avanzata di truppe tedesche dalla costa tirrenica verso Roma, il re, la regina, il principe ereditario, Badoglio, due ministri del Governo e alcuni generali dello stato maggiore fuggirono da Roma dirigendosi verso il sud Italia per mettersi in salvo dal pericolo di una cattura da parte tedesca. La fuga si arrestò a Brindisi che divenne per qualche mese la nuova capitale del Regno. Il progetto iniziale era stato quello di trasferire con il re anche gli stati maggiori al completo delle tre forze armate, ma solo pochi ufficiali raggiunsero Brindisi.
Tristemente noto è l'episodio dell'imbarco nel porto di Ortona: poiché non c'era posto per tutti i componenti del numeroso seguito, molti di loro, pur essendo alti ufficiali delle Forze Armate, si gettarono inutilmente all'assalto della piccola corvetta "Baionetta", ed una volta respinti a terra, colti dal panico, vestirono abiti borghesi e, abbandonando bagagli ed uniformi per terra nel porto, si diedero alla macchia[8].
Così, mentre avveniva il totale sbandamento delle forze armate, le armate tedesche della Wehrmacht e delle SS presenti in tutta la penisola poterono far scattare l'Operazione Achse (secondo i piani già predisposti sin dal 25 luglio dopo la destituzione di Mussolini) occupando tutti i centri nevralgici del territorio nell'Italia settentrionale e centrale, fino a Roma, sbaragliando quasi ovunque l'esercito italiano: la maggior parte delle truppe fu fatta prigioniera e venne mandata nei campi di internamento in Germania, mentre il resto andava allo sbando e tentava di rientrare al proprio domicilio. Di questi ultimi, chi per motivi ideologici, o per opportunità, si diede alla macchia oppure andò a costituire i primi nuclei del movimento partigiano della resistenza italiana.
Nonostante alcuni straordinari episodi di valore in patria e su fronti esteri da parte del regio esercito italiano (tra i più celebri si ricordano quelli che si conclusero con l'eccidio di Cefalonia e con l'eccidio di Coo, avvenuto dopo la Battaglia di Coo), quasi tutta la penisola cadde sotto la pronta occupazione tedesca e l'esercito venne disarmato, mentre l'intera impalcatura dello Stato cadde in sfacelo. Le Forze Armate italiane riuscirono a sconfiggere e mettere in fuga il nemico tedesco solo a Bari, in Sardegna e in Corsica (che era stata occupata dall'Italia). A Napoli, invece, fu la popolazione a mettere in fuga le truppe nazifasciste dopo una battaglia durata 4 giorni (episodio che sarebbe poi passato alla storia come le cosiddette quattro giornate di Napoli. Una questione a parte si originò circa la mancata difesa di Roma, che poté essere facilmente espugnata dai tedeschi.
La Regia Marina, che era ancorata nei porti da circa un anno per penuria di carburante, dovette consegnarsi nelle mani degli Alleati a Malta come prescritto nelle condizioni di armistizio. Successivamente, dopo la consegna, le navi maggiori furono internate nei laghi amari mentre il naviglio minore si unì alle flotte alleate per combattere contro il nuovo nemico. In seguito buona parte della flotta, in ottemperanza del trattato di Parigi del 1946, venne ceduta alle potenze vincitrici o demolita.
La sera dell'8 settembre, quando il ministro della Marina De Courten annunciò alle basi di La Spezia e di Taranto l'armistizio e l'ordine del re di salpare con tutte le navi per Malta, tra gli equipaggi si rischiò la rivolta ed in quelle concitate ore c'era chi proponeva di lanciarsi in un ultimo disperato combattimento, chi di autoaffondarsi.[senza fonte]
De Courten nel pomeriggio telefonò a La Spezia all'ammiraglio Bergamini, ammettendo che l'armistizio era ormai imminente[9]; dovendo però andare al Quirinale, lasciò al suo vice, ammiraglio Sansonetti, ex compagno di corso di Bergamini, il compito di convincerlo. Bergamini, con riluttanza, accettò formalmente gli ordini lasciando gli ormeggi, ma De Courten nascose la clausola del disarmo che pure era tra le condizioni dell'armistizio così come alcune clausole del Promemoria Dick,[10] allegato all'armistizio.
Tale documento prevedeva, fra l'altro, di innalzare un pennello nero o blu scuro sull'albero di maestra e di porre in coperta grandi dischi neri[9]; questi segnali saranno innalzati dall'ammiraglio Oliva solo alle ore 7 del 10 settembre dopo comunicazione della Supermarina,[9] mentre Bergamini innalzò il gran pavese navigando verso Malta, la sua navigazione si concluse il pomeriggio del giorno seguente, quando la corazzata Roma venne sventrata da una bomba teleguidata Fritz-X lanciata da un Dornier Do 217 tedesco.
Il naviglio della Regia Marina perso a causa dell'armistizio, sia per autoaffondamento sia per cattura da parte dei tedeschi fu di 294.363 tonnellate per 392 unità già operative, e di 505.343 tonnellate per 591 unità se si aggiungono le unità in costruzione, questo dislocamento rappresentava il 70% del dislocamento di tutte le navi della Regia Marina all'inizio della guerra, ed era nettamente superiore al dislocamento del naviglio perso nei precedenti 39 mesi di guerra (334.757 tonnellate)[11]
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