Khalīfa Belqāsim Ḥaftar in arabo: خليفة بلقاسم حفتر |
Da Wikipedia: Khalīfa Belqāsim Ḥaftar (in arabo: خليفة بلقاسم حفتر; Agedabia, 7 novembre 1943) è un generale e politico libico. Nell'Aprile del 2011 è stato promosso al grado di Tenente generale dalle autorità del Consiglio nazionale di transizione libico. Nel conflitto tra Ciad e Libia fu uno dei comandanti dell'esercito del regime di Mu'ammar Gheddafi. Nel 1987, durante la guerra contro il Ciad, fu preso prigioniero nel corso della battaglia di Wadi al-Dum. In prigionia formò un contingente di circa 2 000 prigionieri libici, la "Forza Haftar", equipaggiata dagli Stati Uniti, col compito di rovesciare il regime libico. Fu rilasciato nel 1990 grazie ai buoni uffici statunitensi e trascorse quasi 20 anni negli USA, ottenendo anche la cittadinanza di quel Paese. Nel 1993, mentre si trovava nella sua residenza di Vienna, in Virginia, fu condannato in patria, in contumacia, alla pena capitale per "crimini contro la Jamāhīriyya libica". Alcune fonti parlano, senza che si possano ovviamente fornire fonti credibili, di suoi legami con la Central Intelligence Agency, comunque smentite dallo stesso generale.
DONALD TRUMP |
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لن يتحقق الاستقرار في ليبيا إلا من خلال الاستيلاء على السلطة من قبل الجنرال العام لمدينة طبرق لمساعدة الجنرال في غزو طرابلس وبنغازي ... كل حنين العقيد القذافي يتعاون مع قوات طبرق من أجل الوحدة مواطن ليبي ... #Libya #Libia #Tripoli #Haftar #War #Gheddafi #Tobruk #Bengasi #Mediterraneo #nordafrica #guerracivile #guerra #guerrainlibia |
طرابلس وبنغازي ... كل حنين العقيد القذافي يتعاون مع قوات طبرق من أجل الوحدة مواطن ليبي .... لن يتحقق الاستقرار في ليبيا إلا من خلال الاستيلاء على السلطة من قبل الجنرال العام لمدينة طبرق لمساعدة الجنرال في غزو طرابلس وبنغازي ... كل حنين العقيد القذافي يتعاون مع قوات طبرق من أجل الوحدة مواطن ليبي ... #Libya #Libia #Tripoli #Haftar #War #Gheddafi #Tobruk #Bengasi #Mediterraneo #nordafrica #guerracivile #guerra #guerrainlibia
Petrolio WTI ai massimi da cinque mesi in area 63,60 dollari al barile e Brent sopra i 70 dollari in apertura di contrattazioni: se fosse servita una riprova concreta di quanto il caos libico possa potenzialmente impattare a livello globale sulla commodity più finanziarizzata in assoluto, la giornata di ieri l’ha fornita. E dietro l’avanzata delle milizie del generale Haftar verso Tripoli, concretizzatasi nel bombardamento dell’aeroporto della capitale, dopo una prima controffensiva delle truppe fedeli al governo di Al-Sarraj e il lancio dell’operazione “Vulcano di rabbia”, c’è molto del risiko petrolifero che sembrava terminato in sordina negli ultimi tempi. Oltretutto, con più fronti aperti: il rallentamento dell’economia globale in primis, la crisi in seno all’Opec riguardo la politica dei tagli alla produzione, il rilancio dello shale oil statunitense e, soprattutto, la contrapposizione in atto in Venezuela. Insomma, un potenziale detonatore al rialzo per i prezzi. Con uno spettatore tutt’altro che disinteressato, economicamente e geopoliticamente: l’Arabia Saudita. Da più parti, infatti, si lascia intendere che la rottura degli indugi da parte del generale Haftar sia frutto – più che di un’interessata ingerenza francese per le risorse petrolifere libiche – della rinnovata e rinsaldata alleanza con Ryad in seno agli schieramenti di sostegno dei due governi del Paese nordafricano.
Il Regno saudita, infatti, dopo qualche mese di difficoltà dovuto alla rocambolesca scalata al potere del principe Mohammed Bin Salman, recentemente richiamato all’ordine da re Salman che ne ha limitato per legge i poteri, pare tornato all’antica potenza. Quantomeno, a livello di ricatto petrolifero. Chiusa con una transazione economica, accettata dalla famiglia, la vicenda del rapimento e dell’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi nel suo consolato di Istanbul, Ryad ha recentemente reso noti per la prima volta i conti di Aramco, la potentissima azienda petrolifera statale, la cui Ipo rimane l’oggetto del desiderio inconfessato di Wall Street.
GRAFICO DEL PREZZO DEL PETROLIO AL BARILE |
Fonte: Bloomberg
- Parla più di mille cifre rispetto al livello siderale di profittabilità del gigante energetico, oltretutto in un periodo prolungato di prezzi non certo ai massimi per il barile. Insomma, Aramco val bene qualche rospo da ingoiare. E ne sanno qualcosa a Washington, visto che hanno dovuto accettare, facendo buon viso a cattivo gioco, addirittura la minaccia di far saltare le transazioni petrolifere denominate in dollari, in caso gli Usa proseguissero nella loro intenzione di sottomettere i membri Opec alla legislazione antitrust in vigore Oltreoceano. Di fatto, la fine stessa del concetto di petrodollaro, oltretutto in un momento storico che vede il biglietto verde dover fare i conti con la prima, seria messa in discussione del suo ruolo di valuta benchmark a livello globale, a spese di euro e yuan.
- Fonte: Statista
Mostra come anche l’altra grande industria Usa, il comparto bellico-industriale denominato warfare, non possa permettersi un precipitare degli eventi nei rapporti con Ryad, già messi a dura prova dal report sulle responsabilità saudite dietro l’11 settembre nell’era Obama, ecco che in contemporanea con l’offensiva del generale Haftar contro l’aeroporto di Tripoli, Ryad svelava i dettagli della prima mega-emissione obbligazionaria di Aramco, attesa a breve. E, soprattutto, denominata in dollari. La vendita è cominciata lo scorso weekend con un order book da 40 miliardi di dollari, 30 dei quali sono stati sottoscritti soltanto sabato 6 aprile: per Sergey Dergachev, portfolio manager alla Union Investment in Frankfurt, la domanda potrebbe facilmente superare il record di 53 miliardi ottenuto l’anno scorso dal Qatar per il suo bond da 12 miliardi di controvalore. Il tutto, partendo da un target iniziale di raccolta da 10 miliardi di dollari, necessari per diversificare le fonti di finanziamento del deficit di budget saudita, creatosi negli anni del barile ai minimi. Non a caso, l’emissione è stata spezzettata in sei tranche e, stando ai bene informati, l’asta verrà utilizzata come “manifesto pubblicitario” per il vero colpo grosso. Ovvero, la quotazione di Aramco, posticipata l’anno scorso, poiché gli investitori ritenevano esosa la valutazione avanzata da Ryad del suo gigante energetico: 2 trilioni di dollari.
Con il bond che farà prezzo quest’oggi, 9 aprile, si scopriranno parzialmente le carte. E quel prezzo, astronomico soltanto sei mesi fa, potrebbe non fare più tanta paura. E spingere il Regno verso l’Ipo, ovviamente cercando di sfruttarne al massimo il potenziale a livello di contrattazione politica. Ed ecco entrare in scena la Libia e il possibile “sprone” saudita alle mire egemoniche e di conquista del generale Haftar. Se infatti la posizione ufficiale statunitense appare quella della condanna dell’offensiva, almeno stando alle parole del numero uno del Dipartimento di Stato, Mike Pompeo, il fatto che Washington abbia immediatamente evacuato il proprio personale militare e civile manda un segnale ambiguo. Quantomeno di non interventismo diretto. E se i maggiori esperti di commodities si sentono di escludere un impatto immediato in grande stile della rinnovata tensione libica sulle quotazioni del barile di greggio, viene fatto notare come l’avanzata su Tripoli sia strategica anche a livello petrolifero, non solo politico-militare.
Se anche i maggiori terminal ad oggi appaiono lontani dal teatro di scontro, la mente torna infatti allo scorso giugno, quando proprio la conquista di due centri nevralgici da parte delle truppe di Haftar comportarono la sospensione delle spedizioni di greggio per settimane, stante la decisione di trasferirne l’autorità sotto l’egida dell’entità libica dell’Est. L’export crollò di 800 milioni di barili al giorno e il Paese perse quasi 1 miliardo di dollari, prima che i terminal contesi tornassero sotto il controllo della National Oil Corporation, la cui sede è proprio a Tripoli. E questa mappa
- Fonte: Tekmor
Mostra nell’area adiacente alla capitale quale potrebbe essere la mira strategica di Haftar. Ovvero, la conquista del porto-terminal di Zawiya, il cui blocco o mal funzionamento potrebbero compromettere del tutto l’operatività del giacimento di Sharara con i suoi 300 mila barili al giorno. “Se Haftar prende il controllo di quel terminal, controllerà virtualmente l’intera industria petrolifera nazionale”, sentenzia Salma El Wardany di Bloomberg. Basti ricordare, in tal senso, come prima dell’intervento Nato del 2011, la Libia di Muhammar Gheddafi producesse circa 1,6 milioni di barili al giorno, mentre i dati ufficiali del 2018 parlano di un output di circa 550mila barili quotidiani. In caso di escalation su ampia scala o di tensione prolungata, nessuno si sente quindi di escludere possibili contraccolpi più incisivi sul prezzo del greggio.
Un qualcosa che non dispiacerebbe affatto a Ryad, la quale in queste ore sta incassando anche un’altra vittoria diplomatica nell’area, in attesa dell’esito del voto israeliano: la messa fuorilegge dei Pasdaran iraniani da parte degli Usa. Di fatto, un atto che trasforma i Guardiani della rivoluzione khomeinista dislocati nei proxies più caldi dell’area, dall’Iraq alla Siria, in potenziali terroristi. Se poi le sanzioni statunitensi contro Teheran e il suo greggio vedranno cadere anche le ultime resistenze europee e la situazione venezuelana dovesse conoscere una drammatica accelerazione verso il caos, l’oro nero potrebbe tornare a giocare un ruolo di primo piano sul fronte delle commodities. E per le casse di Ryad. Innescando, di fatto, un enorme guerra per procura globale fra Cina e Russia da un lato e Stati Uniti dall’altro. Con Iran e Arabia Saudita a giocare il ruolo di pedine sul terreno nella scacchiera del Medio Oriente e la Libia che potrebbe accendere pericolosi fuochi incrociati, stante gli interessi europei per il suo greggio. Italiani e francesi in testa.
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