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mercoledì 5 maggio 2010
VITTORIA BRAMBILLA: «FINI CON GENERAZIONE ITALIA PUNTA A SPACCARE IL PARTITO!»
Roma, 5 mag – ”Generazione Italia e’ lo strumento che il presidente Fini si e’ dato per realizzare un suo personale disegno politico. E che intende essere, in alcune parti, apertamente conflittuale con la linea espressa dalla stragrande maggioranza del Pdl”. Lo afferma in un’intervista a Il Giornale Michela Brambilla, ministro del Turismo e leader dei ”Promotori della Liberta”’, sottolineando la differenza tra ”circoli che servono per allargare e radicare sul territorio il consenso del Pdl e circoli che invece puntano a creare divisioni strumentali”. Brambilla ricorda che ”in passato chiunque ha svolto le funzioni di terza carica dello Stato ha sempre preso le distanze dalla lotta politica attiva, per non confondere i ruoli e svilire quello istituzionale. Credo che oggi – afferma – ci troviamo di fronte a una situazione a dir poco anomala”. Per il ministro su federalismo fiscale e ddl anti-corruzione, ”credo che i finiani debbano mettersi il cuore in pace, perche’ governo e maggioranza sono fermamente determinati a fare sia l’una che l’altra cosa nei tempi piu’ rapidi possibili”. (asca)sabato 24 aprile 2010
PDL-BERLUSCONI-FINI-LEGA NORD-BOSSI: QUALE SARA' IL LORO FUTURO POLITICO?
SILVIO BERLUSCONI(Clicca sulla vignetta del Premier per visualizzare
le immagini dello scontro finale
tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini
al Congresso della Direzione Nazionale del PDL
tenutosi a Roma il 22 Aprile 2010)
Nessuna conseguenza. È questo il leit motiv che i neo governatori di centrodestra vanno ripetendo a poche ore dalla rottura tra Fini e Berlusconi, mentre la Lega già preme per un redde rationem. Ma è davvero ipotizzabile che questo polverone politico non impatti sui governi regionali? Lo scenario appare diverso. Anzi, a livello regionale lo strappo consumatosi nel Pdl ha come conseguenza più evidente quella di riaprire un nuovo caso Lazio.
Qui le previsioni davano a 5 il numero degli ex An in predicato per un posto da assessore, due dei quali in quota Augello, finiano doc. Ed era stato lo stesso Fini a volere candidare Renata Polverini. Stamattina la presidente ha gettato acqua sul fuoco, assicurando che la nuova giunta si farà a breve e «non ci sarà nessuna ripercussione e cambiamento di equilibrio». Una linea confermata anche in serata. Prima, però, la presidente del Lazio è andata da Berlusconi a Palazzo Grazioli e lì dello scontro tra il premier e il presidente della Camera si è parlato «abbastanza», come lei stessa ha ammesso. Perchè «bisogna mantenere unita bla forza politica».
In agguato c'è anche l'Udc, che la Polverini l'ha sostenuta, scegliendo in Lazio di affiancarsi al Pdl, e che proprio ora chiede il conto. In termini di assessorati. «La Polverini rispetti gli impegni assunti prima, durante e subito dopo» il voto, ha detto il segretario nazionale, Cesa, al termine di una riunione del nuovo gruppo consiliare in Regione. Altrimenti l'Udc è pronta a passare all'appoggio esterno. «Leale e sereno», ma esterno.
Salendo al nord, in Lombardia nessun finiano entrerà in giunta. E neppure in Consiglio. Non è una novità, era già accaduto cinque anni fa. All'indomani dell'infuocata direzione nazionale del Pdl si replica. Formigoni ha presentato oggi la sua 'squadrà di 18 elementi: due sono ex An (erano 3 nel 2005) ora in forza al Pdl e vicini a La Russa (uno, Romano, è fratello del ministro). La Lega raddoppia con 5 assessori e un sottosegretario. Tutto il resto è del Pdl.
Zaia in Veneto e Cota in Piemonte hanno già fatto la giunta nei giorni scorsi. La compagine di Cota include 4 leghisti e 8 azzurri, tre dei quali hanno militato nelle file di An. Lo scontro Berlusconi-Fini, assicura il governatore, «non avrà alcun riflesso». Con un cambio in corsa, invece, ha già dovuto fare i conti Zaia: le deleghe sull'Agricoltura, ufficiosamente appaltate in un primo tempo a Massimo Giorgetti sono poi andate al leghista Franco Manzato. Giorgetti, oggi nel Pdl, proviene da Alleanza nazionale. Alberto Giorgetti, suo fratello, anche lui ex An, attuale coordinatore del Pdl veneto e da sempre vicino a Fini, chiede oggi di «ricucire lo strappo» in casa Pdl, rilancia l'idea di una «sincera alleanza con la Lega» condita però da una «competizione sulle proposte» per i cittadini e assicura che per la giunta veneta non c'è nulla da temere.
Al Sud, in Calabria, la giunta è operativa da una settimana: Scopelliti, in passato segretario del Fronte della gioventù, l'ha messa su in 48 ore. Nell' esecutivo sono entrati gli assessori del Pdl ampiamente annunciati alla vigilia, eccetto Franco Morelli, ex An, fedelissimo di Gianni Alemanno. In Campania, nella giunta a cui sta lavorando il neo governatore Stefano Caldoro, non sarebbe previsto nessun assessore riconducibile al presidente della Camera. Da approfondire, invece, le posizioni nel gruppo consiliare del Pdl, dove Fini dovrebbe contare su due-tre consiglieri.
| 23 aprile 2010 | ||
| © RIPRODUZIONE RISERVATA |
FINI A BERLUSCONI: "SE NON MI DIMETTO COSA FAI? MI CACCI VIA?!?"
FINI A BERLUSCONI:
"SE NON MI DIMETTO COSA FAI? MI CACCI?!?"
(Clicca sulla fotografia del Presidente
della Camera dei Deputati
per visualizzare le immagini
dell'intero discorso di Gianfranco Fini al
Congresso della Direzione Nazionale del PDL
tenutosi a Roma il 22 Aprile 2010)
Chi dice che ieri Gianfranco Fini ha subito una sconfitta decisiva si sbaglia di grosso. Si sbaglia ad esempio Paolo Guzzanti quando afferma che a prendere calci sui denti è stato Fini, ovviamente da Berlusconi, quando invece avrebbe dovuto essere Fini a farlo. Intanto c'è da dire che è anche una questione di carattere, ma soprattutto di stile e di sostanza. Berlusconi non ha fondato un partito tradizionale; non so se sia giusto definirlo un partito-azienda, tuttavia il Pdl ha poco a che fare con la forma-partito cui si era abituati in Italia (certamente non uno degli esempi migliori) ma anche del tipo che si può trovare all'estero nelle migliori democrazie. Subito dopo il discorso di Fini la replica berlusconiana di ieri, da questo punto di vista è indicativa: toni concitati, accenti da comizio, slogan e, ovviamente, applausi frenetici da parte di una platea che non era fatta di sottoproletari, ingaggiati per l'occasione, o di militanti di base alla 'prima', ma di politici di lungo corso. Fini lo aveva già detto, c'è qualcosa che non funziona "io a tu per tu con Berlusconi cercavo di parlare di questioni importanti, di ragionare, lui mi rispondeva per slogan come se stesse in piazza su un palco". Non è solo insomma una questione di differenze personali, o anche solo di stile, è proprio una diversa concezione della politica.Fini ha fatto un intervento in fondo pacato, ma ha detto delle cose di rilievo, soprattutto su alcuni aspetti decisivi: la conduzione del partito e il rispetto di uno Stato di diritto in cui permangano intatti i dettati costituzionali e la divisione dei poteri. Non a caso cio' che in particolare ha fatto allargare le braccia a un Berlusconi sgomento è stato l'accenno agli effetti devastanti sulla certezza del diritto dei provvedimenti sulla giustizia da parte dell'attuale governo. Dal momento che questo è uno dei punti cardine su cui si basa l'attività del ministero Berlusconi, l'aver fatto una simile critica significa non tanto porsi sulla linea degli avversari politici - che a parte alcune sparate, spesso a salve, dell'Italia dei valori non si sa dove e chi siano - quanto uno smarcamento rispetto alla gran parte del panorama politico italiano odierno. Affermare la necessita' di uno stato di diritto pieno, se questa è davvero la strada che Fini intende imboccare, sarebbe in effetti una novità per l'Italia, perché, a parte le anomalie della situazione attuale (anomalie non solo dovute al berlusconismo, sia chiaro), e' questo un passaggio (obbligato verso la realizzazione di una democrazia matura) che in Italia e' stato attuato in forma monca. E non mi riferisco ovviamente tanto o solo solo all'oggi, ma a tutto il secondo dopoguerra: in Italia semplicemente non si sa come funziona uno Stato di diritto pieno (lo ha sottolineato piu' volte ad es. l'ex-Pm Davigo, facendo raffronti precisi con la situazione americana dove - per limitarci solo a qualche esempio eclatante - indulti, amnistie, ecc., sono termini, o meglio pratiche semplicemente sconosciute). Fini non è uscito dalla Direzione del Pdl di ieri, sulla base delle votazioni del documento finale, così debole come si tende a dire da più parti. Dall'esito del voto risulterebbe un 6% di dissidenza, in realtà come ha sottolineato il liberale Benedetto Della Vedova, eletto nelle file del Pdl e ora 'finiano', "Siamo 15 su 60. Quindi quel 6% rischia di diventare un 25%. Poi nei mezzi di comunicazione diventa che questi sono i finiani. Se fossero 11 parlamentari tra Camera e Senato non si sarebbe posto il problema. Ovviamente sono di più". Un 25% è una cifra sufficiente a mettere in crisi, a volerla usare come si deve, anche una maggioranza solida, come sembra essere quella che attualmente governa. Fini ha tuttavia - e questo è un punto debole - obiettivi contraddittori: da una parte pensa all'abolizione di tutte le province, dall'altra mostra una certa indulgenza verso gli eccessi di spesa del Sud. Se non sono solo discorsi messi in piedi per smarcarsi dalla Lega, rappresentano un'indubbia debolezza nell'impianto complessivo di una proposta di alternativa. Il vice-Fini (o solo portavoce, non saprei dire con sicurezza) Italo Bocchino da parte sua ha affermato: "ieri il Pdl è divenuto finalmente un partito in carne ed ossa. Serviva uno scossone, per far nascere veramente il Partito del popolo della libertà. E ieri Fini ha dato quello scossone. Tutto qui. Una novità per alcuni. La normalità per tutti i grandi partiti politici europei". Non so se Bocchino se ne renda conto, con la sua esperienza non ho dubbi al riguardo, ma il Pdl non può essere un partito in carne ed ossa, cioè di tipo più o meno tradizionale. Questo è il punto. Quindi se è vero che ieri c'è stata la rottura con la storia del Pdl, gli effetti sono ancora tutti da vedere. La mia opinione è che Fini ha tentato un'operazione di salvataggio in extremis del Pdl. Forse ai più, a giudicare da ciò che si legge, non è chiaro, ma il Pdl è un partito in disfacimento (al Nord a favore della Lega, al sud semplicemente sulla strada della frammentazione pura). Quello che resta da verificare e' se Fini riuscirà a salvare il Pdl, dandogli finalmente una connotazione precisa e competitiva anche all'interno della sua area politica (il riferimento è alla Lega), oppure se erediterà un pezzo del Pdl, ben superiore tuttavia al 25% di cui parla Della Vedova, con riferimento al peso attuale dei 'finiani'. Bossi ha capito perfettamente quel che è successo, tanto che parla di fine prossima del rapporto Pdl-Lega. I suoli obiettivi sono chiari, un po' di meno le possibili alleanze future. Comunque, questo è certo, tutto si è rimesso in movimento. Verso cosa e' difficile dirlo, ma non c'e' da meravigliarsi, altrimenti non saremmo in Italia.
[Il presente articolo puo' essere pubblicato da terzi solo a condizione di citare l'autore e il link della pagina]
di Luciano Priori Friggi
BERLUSCONI A FINI: "COLPITO E AFFONDATO!" SOLO 12 DEPUTATI DEL PDL STANNO CON IL PRESIDENTE DELLA CAMERA GIANFRANCO FINI!
SILVIO BERLUSCONIBERLUSCONI A FINI:
"SE NON SI ALLINEA LO FACCIO FUORI!"
(Clicca sulla fotografia del Premier per visualizzare
le immagini dell'intero discorso di Silvio Berlusconi al
Congresso della Direzione Nazionale del PDL
tenutosi a Roma il 22 Aprile 2010)
Il giorno dopo lo "strappo", la rabbia di Berlusconi contro Fini esplode persino in Consiglio dei Ministri. "Si deve dimettere da presidente della Camera - insiste il premier davanti a tutti - e, insieme a lui, ora mi aspetto che anche i suoi sottosegretari rimettano le deleghe". E tuttavia, per la prima volta da quel burrascoso pranzo di martedì scorso a Montecitorio, quando Fini e il Cavaliere litigarono di brutto, Gianni Letta comprende che è giunto il momento di intervenire personalmente.
"Scusa presidente - lo interrompe quindi il sottosegretario - ma forse questa non è la sede più opportuna per trattare questi argomenti di partito. Sarebbe meglio soprassedere e proseguire con quanto previsto dall'ordine del giorno". Non una sconfessione del premier, piuttosto un estremo tentativo di evitare che altra benzina venga buttata sul fuoco, considerando oltretutto la "permeabilità" ai giornalisti del Consiglio dei ministri.
A stento l'intervento di Letta riesce a riportare la discussione sui binari normali. "Gianni mi dispiace ma non sono d'accordo -replica infatti il Cavaliere - anzi, mi sembra questa la sede naturale per fare una riflessione su quanto è accaduto ieri. Comunque, se ritieni, ne parliamo dopo". Così è finita la parte "in pubblico" della discussione, proseguita poi in vari incontri, con un andirivieni incessante davanti alla porta del presidente del Consiglio al primo piano di palazzo Chigi: gli ex-An Ignazio La Russa, Maurizio Gasparri e Andrea Ronchi, quindi Umberto Bossi con Maroni e Calderoli, poi Angelino Alfano e Paolo Bonaiuti, il sindaco Gianni Alemanno e Fabrizio Cicchitto. Ma soprattutto, ancora una volta, Gianni Letta. Tutti a cercare di placarne l'irritazione per lo show down del giorno prima, provando a circoscrivere i singoli problemi. "La situazione resta difficile - conferma Bonaiuti -, non ci sono novità. Meglio aspettare". Il Cavaliere infatti è deciso a non fare sconti, tanto che ha persino bloccato le trattative sulla giunta Polverini nel Lazio pur di non far entrare assessori (come Luca Malcotti) di area Fini.
Nel breve faccia a faccia con Bossi il premier rinsalda invece un patto di ferro che prevede, se la situazione diventasse ingovernabile, l'approvazione dei decreti attuativi del federalismo, la riforma della par condicio e il ritorno alle urne in ottobre. Sono ipotesi estreme, a cui Berlusconi si lascia andare consapevole che un voto anticipato, in piena crisi e con lo spettro della Grecia di fronte, sarebbe più che un azzardo. Volano quindi le colombe. Ignazio La Russa, in particolare, si sarebbe impegnato con Berlusconi a cercare di "far ragionare" i finiani più tiepidi, sconsigliando nel frattempo il Cavaliere di dar corso alle "epurazioni" dei vari colonnelli finiani: "Li conosco da anni, fammici parlare".
"I retroscena dei giornali - si sfoga La Russa dopo una giornata passare a ricucire la tela - e le fondazioni come Farefuturo fanno male, creano un clima pesante. E poi succede l'incidente. Invece, sulle singole questioni sollevate da Fini si può discutere: io ho già preso contatto con Bondi per il 150esimo anniversario dell'Unità d'Italia, mentre Tremonti si è messo al lavoro sul fisco". Al ministro non è sembrato tuttavia opportuno accettare il dono del premier, un Suv "Uaz" comprato dai russi, senza dare nulla in cambio: "Dopo la Direzione di ieri forse non era il caso, anche se costa quanto una Fiat Panda. Ho ringraziato Berlusconi ma ho deciso di devolvere l'importo a un ente di assistenza". Visto il clima, meglio evitare fraintendimenti. Che il momento sia "critico" lo riconoscono anche i finiani più diplomatici. Il ministro Andrea Ronchi ieri ha fatto la spola con Berlusconi e Fini e, anche se non intravede soluzioni a portata di mano, non vuole nemmeno sentir parlare di una crisi di governo: "Ora bisogna raffreddare la situazione. È il momento della riflessione e del silenzio. Ma abbiamo un mandato degli elettori da rispettare".
A chi lo è andato a trovare, Berlusconi è apparso esasperato. L'unica cosa che non gli è dispiaciuta è stata la dialettica "civile" ad Annozero tra la "sua" Mara Carfagna e Benedetto Della Vedova. "Questa uscita di Fini - si sfoga con gli uomini di An - è davvero pretestuosa: a parole, vorrebbe contenere Bossi. In realtà, con la nostra divisione, è proprio alla Lega che facciamo il regalo più grande. Bel risultato!". Al termine di un paziente lavoro dei mediatori, il Cavaliere accetta per il momento di restare a guardare quali saranno le prossime mosse del presidente della Camera: domenica Fini sarà ospite dall'Annunziata, lunedì vedrà i suoi alla sala Tatarella, e martedì in tv a Ballarò. A un vecchio ex camerata missino Fini ha confidato: "Ti ricordi il '76? Ecco, farò come Almirante". Un riferimento al momento più difficile del segretario del Msi, quando venne contestato duramente dagli scissionisti di "Democrazia nazionale" e rischiò di perdere tutto. Poi, l'anno dopo, Almirante schiacciò i suoi oppositori interni e venne plebiscitato segretario. Altri tempi.
(24 aprile 2010) © Riproduzione riservata
Fonte: http://www.larepubblica.it
venerdì 23 aprile 2010
ITALIA-CINA
PER L'ALLEANZA, LA COOPERAZIONE, L'AMICIZIA E LA COLLABORAZIONE TRA' LA REPUBBLICA ITALIANA E LA REPUBBLICA POPOLARE CINESE!!!
