Turchia verso l'Islamizzazione forzata di massa? |
5 risposte sul tentato colpo di stato in Turchia: Perché c'è stato, intanto, e perché è fallito? E con chi sta la popolazione turca?
C’è ancora molta incertezza dopo il fallito colpo di stato in Turchia nella notte tra venerdì e sabato.
Il governo dice che tutti i partecipanti sono stati arrestati, che 265
persone sono morte e più di mille sono rimaste ferite e che nella repressione governativa
dopo il fallimento migliaia tra militari e magistrati sono stati
arrestati o rimossi dal loro incarico. Il tentativo di golpe, nonostante
sia arrivato a sorpresa, ha delle radici nel difficile rapporto tra il
presidente turco Recep Tayyip Erdogan e l’esercito turco, l’unico vero
rivale alla sua autorità nel paese. Il tentato colpo di stato e la
successiva risposta del governo racconta in generale molte cose della
difficile situazione politica turca, e della gestione del potere portata
avanti da Erdogan negli ultimi anni.
Perché c’è stato un colpo di stato?
Come ha scritto Jeremy Bowen, caporedattore per il Medio Oriente di BBC:
«Il colpo di stato è avvenuto perché il paese è profondamente diviso
sul progetto del presidente Erdogan di cambiare il paese, e a causa
dell’influenza della guerra civile siriana». Nel loro primo comunicato, i
leader del golpe avevano detto che la loro operazione era dettata dalla
necessità di fermare la deriva autoritaria e l’islamizzazione del paese
voluta da Erdogan. I golpisti hanno anche parlato dell’incapacità suo
governo di prevenire attacchi e attentati, come quello avvenuto lo
scorso giugno all’aeroporto Ataturk di Istanbul.
L’esercito turco ha sempre avuto un ruolo molto rilevante nella vita
pubblica del paese, e nella storia recente è intervenuto in maniera
diretta per tre volte per rovesciare i governi in carica: nel 1960, nel
1971 e nel 1980. L’esercito turco è considerato il guardiano della
costituzione laica del paese e in genere è intervenuto per garantire
l’ordine costituito da minacce vere o presunte, come l’affermarsi di
partiti o movimenti di ispirazione islamista o di sinistra radicale.
Spesso, i periodi di massima influenza dell’esercito sulla vita pubblica
hanno coinciso con campagne di arresti degli oppositori, sparizioni e
omicidi politici, in maniera non troppo differente da quelle
sperimentate dai regimi militari sudamericani. Fino a pochi anni fa,
l’esercito turco era di fatto un corpo indipendente dal resto dello
stato, solo formalmente sottoposto alla supervisione del governo civile.
Con l’arrivo di Erdogan, il politico turco di gran lunga più abile e
popolare della sua generazione, la situazione ha iniziato a cambiare.
Al momento non sappiamo ancora molto delle personalità e delle
motivazioni degli ufficiali che hanno organizzato il golpe di venerdì,
ma sono state fatte diverse ipotesi. Una delle più diffuse è che Erdogan
si stesse preparando a un nuovo giro di epurazioni e sostituzioni e che
quindi i golpisti abbiano tentato di anticiparlo, mettendo in atto un
colpo di stato in maniera sbrigativa e raffazzonata. È una tesi che al
momento non è sostenuta da nessuna prova certa, ma che si basa su un
paio di indizi: il primo è che il colpo di stato è stato eseguito in
maniera molto approssimativa, il secondo è che a meno di 24 ore
dall’inizio del golpe, Erdogan aveva già ordinato l’arresto o la
rimozione di migliaia di magistrati e ufficiali non direttamente
coinvolti nelle operazioni militari, il ché lascia supporre che gli
elenchi dei sospetti fossero già stati compilati.
Perché il colpo di stato è fallito?
La prima ragione sembra essere che al golpe ha partecipato solo una
piccola frazione delle forze armate turche, qualche migliaio di soldati,
forse 2.000, ha scritto Edward Luttwak su Foreign Policy.
Si tratta di un numero chiaramente insufficiente per prendere il
controllo di un intero paese. Luttwak, un commentatore popolare e
controverso anche sui media italiani, è considerato un esperto di colpi
di stato e per la Harvard Press scrisse nel 1968 un “Manuale pratico”
per golpe che è diventato un classico tradotto in 16 lingue e
ripubblicato in un’edizione aggiornata proprio quest’anno. Secondo
Luttwak l’operazione di venerdì notte, più che un golpe, è sembrata una
rivoluzione: un’azione avventata da parte di un pugno di ufficiali che
speravano di ottenere l’appoggio della popolazione e del resto delle
forze armate dopo una rapida vittoria. L’idea che più di un golpe si sia
trattato di una rivoluzione sembra spiegare almeno parte dei numerosi
errori compiuti dai golpisti.
Il primo è stato quello di colpire durante la sera, intorno alle 21,
quando tutti di solito sono ancora svegli. Solitamente, i colpi di stato
avvengono a notte fonda, con le truppe e i carri armati che occupano i
luoghi strategici e arrestano i leader rivali prima che qualcuno abbia
la possibilità di reagire. Attaccando così presto, i militari hanno dato
la possibilità a Erdogan di richiamare i suoi sostenitori in strada e
di organizzare un contrattacco. Al contrario, per provocare una
rivoluzione non avrebbe senso colpire a notte fonda. Un altro errore dei
golpisti è che non sono riusciti ad arrestare o neutralizzare nessuna
delle figure chiave del governo.
Il resort dove si trovava Erdogan, nella città meridionale di
Marmaris, è stato effettivamente attaccato, ma il presidente era già
fuggito. Il primo ministro Binali Yildirim ha potuto annunciare il colpo
di stato in televisione senza alcun ostacolo e ha continuato tutta la
notte a scrivere su Twitter. Quasi nessun importante leader dell’AKP, il
partito di Erdogan, è stato bloccato. L’unico successo su questo fronte
è stato l’arresto del capo di stato maggiore dell’esercito, ad Ankara.
Parte di questi fallimenti è probabilmente dovuta al fatto che i
congiurati disponevano di troppi pochi soldati per portare a termine
tutti i loro obbiettivi.
Perché molti dicono che è stata una montatura?
Insieme e quasi contemporaneamente alle notizie sullo svolgimento del
golpe, qualcuno ha sostenuto che fosse stato organizzato dallo stesso
Erdogan per aumentare il suo potere. Una premessa: in Turchia, un po’
come succedeva all’Italia degli anni Settanta-Ottanta, quando avviene
una strage o un attentato, in molti vedono la mano dello stato. Secondo
molti commentatori, in Turchia esiste uno “stato profondo”, cioè una
rete parallela fatta da polizia e servizi segreti, incaricata di
compiere attacchi e altre operazioni per giustificare misure repressive.
La bomba alla marcia per la pace di Ankara,
in cui lo scorso ottobre furono uccise più di cento persone,
inizialmente fu imputata da molti agli agenti dello “stato profondo”. È
abbastanza normale, quindi, sentir parlare oggi di “false flag”, cioè di
montatura.
La Turchia, in effetti, è uno dei pochi paesi al mondo dove
situazioni del genere sono effettivamente plausibili. Negli ultimi anni
sono emersi diversi scandali in cui il governo turco ha dimostrato di
essere spregiudicato nel perseguire i suoi fini. I servizi di
intelligence, per esempio, hanno organizzato spedizioni segrete di armi a
gruppi di estremisti islamici in Siria, mentre lo stesso Erdogan è
stato registrato mentre parlava della possibilità di organizzare un
“incidente” in modo da aver una scusa per invadere la Siria senza
sembrare l’aggressore.
Ci sono molti elementi, però, che spingono a trattare questa ipotesi
con estrema prudenza. L’assunto alla base di questa teoria che Erdogan
fosse a conoscenza del complotto, che sapesse che c’erano dietro
soltanto pochi ufficiali e che quindi li abbia lasciati fare, sapendo di
poterli sconfiggere e quindi di ottenere i benefici politici. Si tratta
di un atteggiamento spericolato, ai limiti dell’incoscienza. Una volta
avuta notizia di un golpe, è molto difficile avere la certezza che sarà
portato avanti soltanto da un pugno di militari e che il resto
dell’esercito resterà nelle caserme, come è avvenuto nella notte tra
venerdì e sabato. Ed è altrettanto difficile prevedere con certezza da
che parte si schiererà la popolazione. In passato è già accaduto che tra
i militari si spargesse l’idea di un colpo di stato e la reazione di
Erdogan è sempre stata la repressione immediata.
La popolazione è dalla parte di Erdogan?
Erdogan è senza dubbio il leader più popolare nella storia
recente della Turchia e alle recenti elezioni di novembre il suo partito
è nuovamente riuscito ad ottenere la maggioranza assoluta dei seggi in parlamento. Ma come molti leader carismatici, la sua figura è molto divisiva.
Erdogan gode di un ampio consenso nella Turchia rurale, a Istanbul e
tra i conservatori religiosi, mentre è osteggiato dalla sinistra, dai
sindacati, dalla popolazione urbana della costa occidentale e da una
parte significativa della minoranza curda. I suoi oppositori
criticano le sue tendenze autoritarie, la repressione della libertà di
stampa e della magistratura e la guerra contro le milizie curde del PKK,
brutalmente condotta nel sudest del paese.
Già dalle prime ore del golpe, però, i partiti di opposizione,
compreso il curdo HDP, si sono schierati contro i militari, così come
hanno fatto anche numerosi attivisti e altri oppositori, che pure negli
anni scorsi erano scesi in piazza contro il governo e avevano subito la
repressione violenta delle forze di polizia. Nella notte di venerdì ci
sono state alcuni episodi di apprezzamento per i militari, con applausi e
grida di incoraggiamento, ma la stragrande maggioranza degli oppositori
è rimasta a casa. A scendere in piazza sono stati i sostenitori di
Erdogan.
La loro organizzazione è stata uno degli elementi che più hanno
sorpreso gli analisti. Alle 23 e 30 di venerdì, Erdogan si è collegato
con CNN Turkey tramite un’app per videochiamate del suo
smartphone e ha chiesto alla popolazione di scendere in piazza per
sostenere il suo governo. In quel momento, a molti è sembrata una mossa
disperata, ma nel giro di pochi minuti le moschee di Istanbul hanno
iniziato a chiamare in piazza i fedeli e in poco tempo le strade si sono
riempite di sostenitori del governo. Tra loro era praticamente
impossibile vedere delle donne, e moltissimi uomini avevano barbe e
baffi – di solito evitati dai turchi con convinzioni più secolari – e
cantavano slogan religiosi. I manifestanti, con l’appoggio delle forze
di polizia, hanno disarmato moltissimi militari, che in molti casi si
sono rifiutati di aprire il fuoco sulla folla. Ci sono state eccezioni, a
Istanbul, dove per ore i militari hanno sparato per tenere lontano la
folla, soprattutto in aria, ma causando anche morti e feriti. Quando
all’alba il presidio si è arreso, diversi militari sono stati linciati
dalla folla.
Cosa succederà ora?
Al momento Erdogan sta portando avanti delle vaste epurazioni nei
confronti degli apparati dello stato che non ritiene ancora
completamente fedeli, in particolare esercito e magistratura. Secondo
tutti gli esperti, Erdogan uscirà dal golpe con un controllo ancora più
saldo sul paese. L’esercito, fino a oggi l’unico rivale alla sua
autorità, sarà ulteriormente ridimensionato. La successiva
prevedibile instabilità, però, potrebbe finire con il danneggiare
ulteriormente la situazione economica turca, già in difficoltà da un
anno, e questo, nel medio periodo, potrebbe iniziare a far
diminuire il consenso di cui gode Erdogan.
Nel breve termine, c’è sostanzialmente una questione ancora aperta:
quella della base di Incirlik, nel sud della Turchia. È un’installazione
militare dove si trovano numerosi soldati americani che operano le
missioni di bombardamento contro l’ISIS, in Siria. La base, al momento, è
isolata e la corrente è stata scollegata (la base comunque è dotata di
generatori autonomi). Ufficialmente, la motivazione dell’isolamento
della base è il timore che possa essere utilizzata dai golpisti, ma in
molti sospettano che la vera ragione sia una rappresaglia nei confronti
degli Stati Uniti, con i quali le relazioni sono peggiorate da mesi.
Secondo alcuni esponenti del governo turco, gli americani sarebbero i
veri organizzatori del golpe. Erdogan non ha ancora detto niente di
così grave, ma ha chiesto agli Stati Uniti di estradare Fethullah Gülen,
un religioso che vive da anni in esilio autoimposto in Pennsylvania.
Negli anni, Erdogan ha accusato Gülen di ogni sorta di complotto nei
suoi confronti e nella retorica del presidente il religioso appare
spesso un capro espiatorio per tutti i problemi della Turchia. Gli Stati
Uniti hanno chiesto di fornire prove del coinvolgimento di Gülen nel
colpo di stato e hanno respinto ogni accusa di aver avuto a che fare con
i golpisti. Nel pomeriggio di domenica, la base è tornata quasi alla
normalità, anche se la corrente non è ancora stata riallacciata.
L’incidente, ha mostrato comunque a che livello di tensione siano
arrivati i rapporti tra i due alleati.
Fonte: http://www.ilpost.it
Il fallimento del golpe in Turchia,
con tutte le debolezze infine palesate dai congiurati, ha indotto molti
a credere in una messinscena operata dallo stesso Presidente Erdoğan,
che ora dovrebbe beneficiarne in termini di popolarità e nuove occasioni
d'epurazione. Quest'ipotesi ha trovato spazio anche nel "Corriere della
Sera" grazie a un intervento di Antonio Ferrari.
Rimane tuttavia più facile credere a un golpe genuino ma mal
congegnato, piuttosto che a un'ardita ed elaborata macchinazione di
Erdoğan. In assenza di prove più consistenti per la teoria del
complotto, il rasoio di Occam suggerisce di tenere per buona la tesi più
semplice.
D'altro canto, il golpe che ora appare a tutti ridicolo, un "golpe da operetta",
un "golpetto", agli occhi degli stessi, intorno a mezzanotte di venerdì
era perfettamente riuscito. Lo titolavano i siti dei grandi giornali
italiani, lo si poteva leggere scritto da molti commentatori illustri
sui rispettivi social network. Rammento distintamente l'ilarità suscitata dall'intervento di tramite video-telefonino
d'una conduttrice tv, o le sagaci battute sul fatto che i cittadini
turchi sarebbero sì scesi in strada (come richiesto dal loro
Presidente), ma non certo per fronteggiare i carri armati, bensì per
assaltare i Bancomat. Il tutto mentre Erdoğan veniva avvistato sui cieli
di mezzo mondo, in fuga e a richiedere asilo immancabilmente negato.
Spiace constatarlo, ma ancora una volta la stampa italiana ha mostrato
superficialità e mancanza di comprensione e analisi su un fatto
internazionale (e questo è imputabile anche ai tagli cui le redazioni
esteri sono soggette da anni).
Gran parte delle mancanze dei
golpisti, evidenziate da chi crede alla tesi dell'auto-attentato, si
possono spiegare più semplicemente col numero limitato di congiurati e
col ruolo preponderante svolto da ufficiali non d'alto rango.
Evidentemente il piano contava di sfruttare l'assenza di Erdoğan dalla
capitale, neutralizzare rapidamente la polizia e l'intelligence
(fedeli al Presidente e ben armate) per prendere il controllo di Ankara
e Istanbul, occupare lo Stato Maggiore delle Forze Armate per
paralizzare la catena di comando formale. In sostanza, i golpisti
contavano di impedire ogni reazione all'autorità politica, alle forze
dell'ordine e alle forze armate, disarticolandone gli automatismi
tramite loro decapitazione. Quindi, presentandosi alla tv pubblica come
la nuova autorità, i militari, i funzionari statali e la pubblica
opinione, privi d'altra guida, avrebbero accettato il fatto compiuto. In
particolare, è ragionevole credere che i golpisti si attendessero
un'adesione spontanea degli altri comandi militari e dei partiti
politici oppositori dell'Akp.
Il piano è fallito, come noto, ma il
suo collasso in poche ore non autorizza a bollarlo di "golpe da
operetta" (ripetiamo: dopo che gli stessi commentatori l'avevano dato
per vittorioso). Per sua natura, un colpo di Stato così congegnato era
destinato a vincere o abortire nel giro d'una notte, mancando della
massa critica per condurre una lotta frontale contro le autorità. Tra i
fattori che hanno determinato il fallimento del piano, si può citare il
notevole ritardo nell'occupare la tv pubblica (almeno un'ora dopo aver
bloccato i ponti sul Bosforo, in un'infelicissima scelta delle
priorità), senza tra l'altro che nessun congiurato si presentasse col
proprio volto e nome, proponendo l'immagine reale di un potere
alternativo a quello di Erdoğan e dei suoi ministri e parlamentari. I
quali invece sono stati tutt'altro che evanescenti, poiché non siamo più
nel 1980 e nemmeno nel 1997, e ormai in Turchia ci sono numerosi canali
televisivi e radiofonici. Per tutta la nottata, il governo ha saputo
comunicare meglio dell'impalpabile "Comitato per la pace" che avrebbe
dovuto rovesciarlo.
Erdoğan ha saputo mobilitare prontamente una
parte della popolazione cospicua e agguerrita, come ha dimostrato nel
bene e nel male, sfidando carri armati e autoblindo a mani nude, ma
anche linciando militari golpisti caduti nelle sue mani. E questa
mobilitazione Erdoğan l'ha ottenuta combinando strumenti moderni (si pensi alla videotelefonata con "Face Time" trasmessa in tv)
a strumenti tradizionali (il richiamo dei muezzin, questa volta non
alla preghiera ma alla manifestazione in piazza, è riecheggiato
prontamente a Istanbul e Ankara). Questo succede quando s'unisce un
partito politico di massa a una rete religiosa, il tutto in un contesto
di popolazione giovane e devota.
I golpisti hanno perso davvero
quando il comandante della Prima Armata (quella di Istanbul), Umit
Dundar, per primo ha sconfessato il golpe e rimarcato la lealtà sua e
dei suoi soldati alle istituzioni. In quel momento a tutti - alla
popolazione, agli altri militari, persino ai soldati utilizzati come
manovalanza dai congiurati e non necessariamente ben informati su quanto
stesse accadendo - è apparso evidente come non si fosse di fronte a un
vero golpe dei militari contro il governo, bensì al tentativo di una
semplice fazione. Non a caso il Genrale Dundar è stato prontamente
ricompensato con la promozione a Capo di Stato Maggiore.
A differenza di quanto scritto la mattina successiva al golpe da "Repubblica", non è vero che le dichiarazioni di Obama e della Merkel
avrebbero avuto un ruolo nel determinare il fallimento del golpe.
Entrambe sono arrivate solo quando esso era ormai evidente. Al contrario
gli Usa sono stati molto ambigui nella prima dichiarazione di Kerry,
che non ha preso posizione malgrado si trattasse dell'attacco a un
governo formalmente alleato. A ciò si unisca il fatto che Gülen,
principale indiziato della Turchia per il golpe, è ospitato dagli Usa
stessi, e che nelle ore più concitate, quando la popolazione aveva
cominciato a scendere in piazza contro i golpisti, la rete statunitense
Nbc propagandava la notizia di improbabili fughe di Erdogan -
evidentemente forgiata ad arte per scoraggiare la mobilitazione dei suoi
sostenitori. E citava a sostegno niente meno che fonti militari
statunitensi.
Non sorprende che ora la tensione tra Ankara e
Washington sia palpabile. Il fallito golpe in Turchia è la pietra
tombale su otto anni di fallimenti in politica estera
dell'Amministrazione Obama.
Fonte: http://www.huffingtonpost.it
Il golpe in Turchia? La voce girava già da qualche mese, a Washington. Secondo Giulietto Chiesa, giornalista esperto di politica estera (e maestro di complottismo) viene intervistato dal blogger Claudio Messora (aka Byoblu) e dice la sua sulle ultime, cruente ore tra Ankara e Istanbul. Si parte da marzo, quando un influente neocon americano, Michael Rubin,
scrive un articolo premonitore, dal titolo sibillino: "Ci può essere un
golpe in Turchia?". "Di fatto - spiega Chiesa - sostiene che i militari
ribelli non avrebbero avuto nulla da temere da Usa e Unione europea".
"Una delle origini di questo golpe, dunque - sentenzia il giornalista
italiano - è stato l'invito esplicito che viene dai neocon americani".
Due mosse recenti del presidente turco Erdogan, sottolinea Chiesa, sono
da interpretare alla luce di quanto accaduto venerdì sera: "Ha chiesto
scusa a Putin per l'abbattimento del suo caccia e ha riallacciato i rapporti diplomatici con Israele. Due tentativi di parare il colpo in extremis: io non credo affatto alla tesi che sarebbe stato il suo nemico giurato Gulen
a organizzare il colpo di Stato militare, non aveva potere sufficiente.
Credo che Erdogan ha rotto le scatole a tutti, ai russi, agli americani
e agli europei, e ora esce da questo golpe più debole di prima, è un
vincitore zoppo e ne vedremo ancora delle belle. Non tutto quello che
abbiamo visto finora è chiaro". Sorprendentemente, però, Chiesa si
dimostra scettico sulla voce che sta facendo impazzire i dietrologi del
web: Erdogan avrebbe organizzato un finto "auto-golpe"
per poter fare un colpo di mano autoritario sulla Costituzione.
"Improbabile - taglia corto il giornalista - sarebbe stata una scelta
molto rischiosa. Ci sono stati molti morti e l'esercito si è diviso. Da
tempo esisteva una fronda kemalista laica a cui non piace l'Erdogan
islamico".
Il fallimento del golpe in Turchia, con tutte le debolezze infine palesate dai congiurati, ha indotto molti a credere in una messinscena operata dallo stesso Presidente Erdoğan, che ora dovrebbe beneficiarne in termini di popolarità e nuove occasioni d'epurazione. Quest'ipotesi ha trovato spazio anche nel "Corriere della Sera" grazie a un intervento di Antonio Ferrari. Rimane tuttavia più facile credere a un golpe genuino ma mal congegnato, piuttosto che a un'ardita ed elaborata macchinazione di Erdoğan. In assenza di prove più consistenti per la teoria del complotto, il rasoio di Occam suggerisce di tenere per buona la tesi più semplice.
D'altro canto, il golpe che ora appare a tutti ridicolo, un "golpe da operetta", un "golpetto", agli occhi degli stessi, intorno a mezzanotte di venerdì era perfettamente riuscito. Lo titolavano i siti dei grandi giornali italiani, lo si poteva leggere scritto da molti commentatori illustri sui rispettivi social network. Rammento distintamente l'ilarità suscitata dall'intervento di tramite video-telefonino d'una conduttrice tv, o le sagaci battute sul fatto che i cittadini turchi sarebbero sì scesi in strada (come richiesto dal loro Presidente), ma non certo per fronteggiare i carri armati, bensì per assaltare i Bancomat. Il tutto mentre Erdoğan veniva avvistato sui cieli di mezzo mondo, in fuga e a richiedere asilo immancabilmente negato. Spiace constatarlo, ma ancora una volta la stampa italiana ha mostrato superficialità e mancanza di comprensione e analisi su un fatto internazionale (e questo è imputabile anche ai tagli cui le redazioni esteri sono soggette da anni).
Gran parte delle mancanze dei golpisti, evidenziate da chi crede alla tesi dell'auto-attentato, si possono spiegare più semplicemente col numero limitato di congiurati e col ruolo preponderante svolto da ufficiali non d'alto rango. Evidentemente il piano contava di sfruttare l'assenza di Erdoğan dalla capitale, neutralizzare rapidamente la polizia e l'intelligence (fedeli al Presidente e ben armate) per prendere il controllo di Ankara e Istanbul, occupare lo Stato Maggiore delle Forze Armate per paralizzare la catena di comando formale. In sostanza, i golpisti contavano di impedire ogni reazione all'autorità politica, alle forze dell'ordine e alle forze armate, disarticolandone gli automatismi tramite loro decapitazione. Quindi, presentandosi alla tv pubblica come la nuova autorità, i militari, i funzionari statali e la pubblica opinione, privi d'altra guida, avrebbero accettato il fatto compiuto. In particolare, è ragionevole credere che i golpisti si attendessero un'adesione spontanea degli altri comandi militari e dei partiti politici oppositori dell'Akp.
Il piano è fallito, come noto, ma il suo collasso in poche ore non autorizza a bollarlo di "golpe da operetta" (ripetiamo: dopo che gli stessi commentatori l'avevano dato per vittorioso). Per sua natura, un colpo di Stato così congegnato era destinato a vincere o abortire nel giro d'una notte, mancando della massa critica per condurre una lotta frontale contro le autorità. Tra i fattori che hanno determinato il fallimento del piano, si può citare il notevole ritardo nell'occupare la tv pubblica (almeno un'ora dopo aver bloccato i ponti sul Bosforo, in un'infelicissima scelta delle priorità), senza tra l'altro che nessun congiurato si presentasse col proprio volto e nome, proponendo l'immagine reale di un potere alternativo a quello di Erdoğan e dei suoi ministri e parlamentari. I quali invece sono stati tutt'altro che evanescenti, poiché non siamo più nel 1980 e nemmeno nel 1997, e ormai in Turchia ci sono numerosi canali televisivi e radiofonici. Per tutta la nottata, il governo ha saputo comunicare meglio dell'impalpabile "Comitato per la pace" che avrebbe dovuto rovesciarlo.
Erdoğan ha saputo mobilitare prontamente una parte della popolazione cospicua e agguerrita, come ha dimostrato nel bene e nel male, sfidando carri armati e autoblindo a mani nude, ma anche linciando militari golpisti caduti nelle sue mani. E questa mobilitazione Erdoğan l'ha ottenuta combinando strumenti moderni (si pensi alla videotelefonata con "Face Time" trasmessa in tv) a strumenti tradizionali (il richiamo dei muezzin, questa volta non alla preghiera ma alla manifestazione in piazza, è riecheggiato prontamente a Istanbul e Ankara). Questo succede quando s'unisce un partito politico di massa a una rete religiosa, il tutto in un contesto di popolazione giovane e devota.
I golpisti hanno perso davvero quando il comandante della Prima Armata (quella di Istanbul), Umit Dundar, per primo ha sconfessato il golpe e rimarcato la lealtà sua e dei suoi soldati alle istituzioni. In quel momento a tutti - alla popolazione, agli altri militari, persino ai soldati utilizzati come manovalanza dai congiurati e non necessariamente ben informati su quanto stesse accadendo - è apparso evidente come non si fosse di fronte a un vero golpe dei militari contro il governo, bensì al tentativo di una semplice fazione. Non a caso il Genrale Dundar è stato prontamente ricompensato con la promozione a Capo di Stato Maggiore.
A differenza di quanto scritto la mattina successiva al golpe da "Repubblica", non è vero che le dichiarazioni di Obama e della Merkel avrebbero avuto un ruolo nel determinare il fallimento del golpe. Entrambe sono arrivate solo quando esso era ormai evidente. Al contrario gli Usa sono stati molto ambigui nella prima dichiarazione di Kerry, che non ha preso posizione malgrado si trattasse dell'attacco a un governo formalmente alleato. A ciò si unisca il fatto che Gülen, principale indiziato della Turchia per il golpe, è ospitato dagli Usa stessi, e che nelle ore più concitate, quando la popolazione aveva cominciato a scendere in piazza contro i golpisti, la rete statunitense Nbc propagandava la notizia di improbabili fughe di Erdogan - evidentemente forgiata ad arte per scoraggiare la mobilitazione dei suoi sostenitori. E citava a sostegno niente meno che fonti militari statunitensi.
Non sorprende che ora la tensione tra Ankara e Washington sia palpabile. Il fallito golpe in Turchia è la pietra tombale su otto anni di fallimenti in politica estera dell'Amministrazione Obama.
Fonte: http://www.huffingtonpost.it