Visualizzazioni totali delle visite sul blog "Mitrokhin" dalla sua nascita: 08 Novembre 2007

Classifica settimanale delle news piu' lette sul blog Mitrokhin...

Cerca nel blog

Vota il mio blog...

siti migliori

Translator (Translate blog entries in your language!)

Post in evidenza

"I MIEI BRANI" 🎸🎶💞 TUTTI I VIDEO UFFICIALI DI TORRI CRISTIANO CANTAUTORE DI CARRARA (MS) - TOSCANA

TORRI CRISTIANO CANTAUTORE CANALE YOUTUBE DI CRISTIANO TORRI CANALE UFFICIALE DI TORRI CRISTIANO SU SPOTIFY PROFILO FACEBOOK DI TORRI CRISTI...

Visualizzazione post con etichetta Terroristi. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Terroristi. Mostra tutti i post

lunedì 7 ottobre 2024

#ACCADDEOGGI ESATTAMENTE UN ANNO FA: IL 7 OTTOBRE 2023 L'ATTACCO TERRORISTICO DI HAMAS IN ISRAELE...

#7ottobre 2023: l'attacco di #Hamas senza precedenti! #accaddeoggi esattamente UN ANNO FA: nelle colonie di #Israele migliaia di combattenti Palestinesi penetrano armati, causando 1200 morti e sequestrando 251 civili Israeliani! #Gaza #StrisciaDiGaza #Palestina...pochi giorni dopo la reazione del governo di #TelAviv guidato da #Netanyahu che ordina l'intervento militare via aria e via terra, prima in territorio palestinese, dopo anche ai confini con il #Libano: un anno di #guerra ha causato oltre 42000 morti in Palestina (oltre 16000 i bambini e minori deceduti a causa della guerra) mentre in Libano sono oltre 2000 le vittime degli attacchi militari! #peace #nowar (Qui sotto il #LINK al video che ripercorre tutta la storia dall'inizio di quel tragico 7 Ottobre 2023!) 👇👇👇



sabato 23 marzo 2024

SONO 139 I MORTI E 180 I FERITI NELL'ATTACCO TERRORISTICO DELLA SERA DI VENERDÌ 22 MARZO 2024 AL TEATRO CROCUS CITY HALL DI MOSCA IN RUSSIA! PIENA SOLIDARIETÀ AL GOVERNO RUSSO, AL PRESIDENTE VLADIMIR PUTIN ED ALLE FAMIGLIE DELLE VITTIME!

Солидарность с Правительством РФ и президентством Владимира Путина за трусливый теракт против мирных жителей, расстрелянный внутри театра в Москве! Соболезнования семьям погибших! 🖤 Solidarity with the Government of the Russian! Solidarietà alla #Russia! 

Moscow (Mosca - Federazione Russa):

Attentato a Mosca, spari e strage nella sala concerti: 139 morti e 180 feriti. 

L'Isis rivendica! 

Tre bambini fra le vittime. Terroristi in fuga. Washington aveva avvertito Mosca del rischio attacchi dello Stato islamico. Kiev: 'Noi estranei'! Mosca è tornata a vivere i peggiori incubi degli attacchi terroristici ceceni degli anni '90 quando stasera un gruppo di uomini armati, in tenuta mimetica, ha fatto irruzione in una sala da concerti a nord-ovest del centro aprendo il fuoco senza pietà sugli spettatori. Secondo alcune testimonianze, gli assalitori avrebbero lanciato anche granate o bottiglie incendiarie e poco dopo l'intero edificio si è trasformato in un rogo. Sono 139 i morti, tra cui tre bambini, e 180 i feriti, è il bilancio ancora provvisorio fornito dai servizi di sicurezza interni russi, Fsb. Le autorità hanno aperto un'inchiesta per terrorismo e qualche ora dopo l'Isis ha rivendicato l'attacco. Miliziani dello Stato islamico, si legge in un messaggio sul canale Telegram del gruppo jihadista, "hanno attaccato un grande raduno (...) alla periferia di Mosca" e poi si sono "ritirati sani e salvi nelle loro basi".





giovedì 14 novembre 2019

LA SCOPERTA DI UN INSOSPETTABILE GRUPPO COMPOSTO DA 12 PERSONE, TRA CUI ANCHE APPARENTEMENTE INNOCUI IMPIEGATI DI BANCA, TUTTI RESIDENTI NEL SENESE E COLLE VAL D'ELSA (TOSCANA), APPARTENENTI ALL'EVERSIONE NERA, IN PRATICA VERI TERRORISTI DELL'ESTREMA DESTRA, CI FA CAPIRE COME OGGI IL LIVELLO DI GUARDIA DEMOCRATICA SI SIA ALZATO PERICOLOSAMENTE...LA NOSTRA COSTITUZIONE REPUBBLICANA SEMBRA TORNARE OGGI AD ESSERE MINACCIATA E MINACCIATA E' ANCHE LA NOSTRA LIBERTA' SOCIALE ED INDIVIDUALE, LA NOSTRA SICUREZZA CHE A RAGIONE, COME DICE L'EX-MINISTRO DEGLI INTERNI MARCO MINNITI, E' SOPRATTUTTO LIBERTA'! IL RAZZISMO E LE DISCRIMINAZIONI RELIGIOSE STANNO TORNANDO VIOLENTEMENTE DI MODA NEL NOSTRO VIVERE QUOTIDIANO, NESSUNO E' PIU' AL SICURO IN ITALIA ED IN EUROPA: NON SIAMO AL SICURO DENTRO LE NOSTRE CHIESE CRISTIANE COSI' COME NON SIAMO PIU' SICURI DENTRO UNA MOSCHEA O DENTRO UNA SINAGOGA...CIO' E' GRAVE!!! RICORDATE GLI ATTACCHI ALLE MOSCHEE IN SVEZIA DEL 15 MARZO 2019? A CHRISTCHURCH PRECISAMENTE...QUI A META' ARTICOLO PER CHI RIESCE POTRA' VEDERE IL VIDEO INTEGRALE DI UNO DEI RAZZISTI CHE HA POSTATO LA DIRETTA SU FACEBOOK MENTRE UCCIDEVA DECINE DI PERSONE A SANGUE FREDDO, PER LA SOLA COLPA DI ESSERE IMMIGRATI DI RELIGIONE ISLAMICA...UN VIDEO CHE RAGGELA IL SANGUE NON TANTO PER LE CRUDE IMMAGINI MA PER LA FREDDEZZA APPUNTO DI QUESTO RAGAZZO SVEDESE CHE UCCIDE SENZA RIMORSI E SENZA PIETA' PERSONE, ESSERI UMANI CHE MAGARI NON CONOSCEVA NEPPURE...ANCHE IN ITALIA APPUNTO SIAMO A RISCHIO E DOBBIAMO RINGRAZIARE TUTTE LE NOSTRE FORZE DELL'ORDINE E TUTTI GLI UOMINI DELLA NOSTRA INTELLIGENCE CHE SONO I MIGLIORI DEL MONDO, PER IL LORO LAVORO E LA LORO LOTTA QUOTIDIANA CONTRO TERRORISMO, EVERSIONE E MAFIE DI OGNI GENERE!!! IL PARTITO DEMOCRATICO RIMANE L'ULTIMO BALUARDO POLITICO IN ITALIA PER ARGINARE QUESTA FOLLIA CHE A 70 ANNI DALLA FINE DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE STA TORNANDO IN VOGA NELLA NOSTRA SOCIETA' E REALTA' DI TUTTI I GIORNI: QUELLO CHE E' IL RAZZISMO PIU' SCHIFOSO E BECERO!!!

12.11.2019 - COLLE VAL D'ELSA (SIENA) - (TOSCANA)  Le indagini sarebbero partite da alcune conversazioni sui social, intercettate dagli investigatori della Digos, che inneggiavano all'odio razziale, al fascismo e al nazismo. Gli indagati, intercettati, avevano l'intenzione di costituire, come spiegano gli investigatori, una "struttura qualificata pronta per ogni evenienza!" La Digos cerca nei campi gli ordigni lasciati dagli estremisti di destra, che sarebbero almeno NOVE.
 
 
L'ARSENALE RITROVATO DALLA DIGOS
L’intenzione era quella di far saltare la moschea di Colle Val d’Elsa, in provincia di Siena, sabotando le tubature del gas. Il piano è stato sventato dalla polizia di Firenze e Siena che ha notato la presenza costante attorno l’edificio di un uomo di 60 anni, ora agli arresti per detenzione illecita di esplosivo e parte di ordigni bellici. Con lui anche il figlio di 22 anni. 12 in tutto gli indagati per detenzione abusiva di armi correlata alla costituzione di un’associazione con finalità eversiva nell’operazione coordinata dalla Dda.
Gli agenti, insieme agli uomini della Digos, hanno perquisito casa, capannoni e uffici, nei comuni di Sovicille e Poggibonsi e nel centro di Siena, di proprietà degli indagati, tutti presunti appartenenti ad ambienti di estrema destra: da quanto appreso dalla forze dell’ordine, durante i controlli sarebbe stato trovato dell’esplosivo e dei residuati bellici, così come armi, alcune delle quali regolarmente dichiarate. Tanto da richiedere l’intervento degli artificieri.
Dalle intercettazioni della polizia è emersa l’ipotesi che gli indagati avessero l’intenzione di costituire, come spiegano gli investigatori, una “struttura qualificata pronta per ogni evenienza”, una sorta di “guardia nazionale repubblicana” chiamata a intervenire “armi alla mano, senza chiamare le forze dell’ordine e fare giustizia sommaria“. Si lamentavano però che “noi, come ci si muove, siamo non guardati a vista… di più !”.
La indagini restano aperte: “Al momento – precisa il procuratore capo di Firenze, Giuseppe Creazzo – non abbiamo riscontri di correlazione con formazioni politiche di estrema destra già esistenti. La perquisizione è il primo atto di un’inchiesta ancora da sviluppare”. Le indagini sarebbero partite da alcune conversazioni, intercettate dagli investigatori della Digos sui social, che inneggiavano all’odio razziale e al fascismo: su Facebook il senese di 60 anni Andrea Chesi, dipendente della Banca Monte dei Paschi e nostalgico del fascismo e del nazismo, divulgava foto e scritte inneggianti le Ss, Adolf Hitler e Benito Mussolini.
L'ARSENALE RITROVATO DALLA DIGOS
Nel dettaglio: in una foto si vede il 60enne con addosso una mimetica delle Ss a bordo di un sidecar militare, in altre immagini l’uomo compare a Dongo, paesino sul Lago di Como dove venne catturato Mussolini nell’aprile 1945, intento a fare il saluto romano e mentre mima con le mani il gesto di sparare a un cartello dell’Anpi, l’associazione nazionale partigiani d’Italia. E ancora: una foto in cui il 60enne, che sulla sua pagina Facebook si qualifica come segretario della federazione di Siena del “Movimento Idea Sociale”, impugna un lanciarazzi e un album accompagnato dalla musica dell’inno ufficiale del partito nazista. Tra i 12 indagati c’è anche la moglie, di 52 anni, del 60enne. Sul profilo social della donna sono state pubblicate foto del marito davanti alla tomba di Mussolini a Predappio.
Secondo gli investigatori, il 60enne aveva l’abitudine di recuperare esplosivo da ordigni bellici inesplosi di cui era alla continua ricerca, sia nel territorio senese che in altre province. “Se devo tirare una pistolettata non mi faccio problemi… la destra estrema è una filosofia di vita“, diceva il 60enne intercettato.
 
IL VIDEO INTEGRALE DI UNO DEGLI ATTACCHI
 
Christchurch, il 15 Marzo 2019 ci fu l'attacco in due moschee in Nuova Zelanda: che causarono 49 morti. La strage  fu ripresa in diretta Facebook on-line...
 
 
Christchurch -  (SVEZIA) - "Sentivo le urla strazianti dei tanti colpiti a morte. Sono rimasto immobile, pregando Dio di essere risparmiato. I killer hanno ucciso alla mia destra e alla mia sinistra. Poi si sono spostati nella stanza dove pregavano le donne e da lì sono arrivate altre urla che non riesco a dimenticare. Siamo fuggiti in massa, coperti di sangue...". E' la drammatica testimonianza raccolta dalla Afp da uno dei sopravvissuti alla strage della moschea di Al Noor, una delle due colpite nella città neozelandese di Christchurch. Un uomo che non vuole dire il suo nome: "Sono ancora terrorizzato". Al Noor è una delle due moschee colpite ieri in Nuova Zelanda durante la preghiera del Venerdì. Qui un commando di quattro persone guidate da un ventottenne australiano, Brenton Tarrant, ha assassinato 41 persone, mentre altre otto sono morte in una seconda moschea. Tarrant e i suoi hanno trasmesso live su Facebook il massacro. Poco prima online aveva pubblicato un manifesto dove si descriveva come "un normale uomo bianco". E affermava: "Mi sono ispirato alla strage compiuta ad Utoya, in Norvegia, da Anders Breivik nel 2011. Voglio uccidere gli stranieri invasori".
Gli attacchi sono avvenuti intorno alle 13.40 ora locale - l'1.40 del mattino in Italia - è il bilancio delle vittime è di almeno quarantanove morti. Tanto che la premier della Nuova Zelanda Jacinta Arden ha subito affermato in diretta televisiva: "E' uno dei giorni più bui della Nuova Zelanda. Siamo davanti a un atto di violenza senza precedenti".
Il primo allarme è arrivato dalla moschea di Al Noor, dove c'erano almeno 300 persone raccolte nella preghiera del venerdì. I killer hanno prima attaccato la sezione maschile e poi si sono spostati nella sala preghiere femminile. Poco dopo il secondo assalto alla moschea di Masjid nel sobborgo di Linwood. La dinamica del secondo attacco non è ancora chiara, ma comporterebbe delle auto cariche di esplosivi. A sparare invece sarebbe stato un commando formato da 3 uomini e una donna, che la polizia è successivamente riuscita a fermare. Ma si teme che ci siano altri complici, parte di una rete molto più larga.
"Il ritrovamento di esplosivi" ha detto il commissario di polizia neozelandese, Mike Bush, durante la prima concitata conferenza stampa "sottolinea la serietà dell'attacco". Tanto più che nelle stesse ore il centro della città era pieno di giovani diretti alla loclale manifestazione per il clima degli studenti, che per ragioni di sicurezza è stata poi cancellata. Fra gli scampati ci sono anche gli atleti della nazionale di cricket del Bangladesh che stavano aspettando dei compagni di squadra in ritardo in un parco, proprio per recarsi alla preghiera nella moschee sotto attacco. Sono riusciti a fuggire tutti illesi: ma il match di sabato con la nazionale neozelandese è stato comunque cancellato.
Non sembrano esserci dubbi sul fatto che matrice dell'attacco è il razzismo anti islamico. Poco prima della strage sui social era infatti apparso un manifesto di 87 pagine "anti-immigrati e anti-musulmani" che è stato poi cancellato. Secondo le prime ricostruzioni uno dei killer è di nazionalità australiana: lo ha confermato anche il premier di quel paese, Scott Morrison. Si tratta di un uomo bianco, tra i 30 e i 40 anni che indossava un'uniforme militare quando ha aperto il fuoco. A rendere ancora più odioso l'episodio, è la comparsa, in un tweet postato da uno terrorirsti di una
lista di eventi storici e di nomi di assassini di migranti scritti su alcuni caricatori di armi automatiche, dove compare anche quello dell'italiano Luca Traini, che nel 2018 tentò una strage di migranti a Macerata ferendo sei persone. "Sono sconcertato" ha detto Giancarlo Giulianielli, il legale di Traini. "Sono certo che anche Luca condannerà la strage. Ha rivisto il suo gesto e lo ha stigmatizzato in pubblico".
Il live della strage trasmesso su Facebook, subito ritirato dalla rete, sta purtroppo ancora circolando. Al punto che la polizia della Nuova Zelanda ha "esortato con forza" media e popolazione a non condividere quei 17 minuti di sangue girati e postati da uno dei killer. Anche molti utenti hanno esortato i social a rimuovere le terribili immagini. E infatti si è subito mossa anche Facebook, con il portavoce locale, Mia Garlick, che poche ore dopo ha confermato che il video della strage è stato rimosso.Per ragioni di sicurezza tutte le moschee del Paese sono state chiuse. Evacuate anche molte scuole.

 



giovedì 19 aprile 2018

IL PRESIDENTE DONALD TRUMP, CONSIGLIATO MALE DAI SUOI COLLABORATORI E MILITARI, PROPRIO COME UN ANNO FA NELL'APRILE 2017, E' CADUTO NELLA TRAPPOLA DEI RIBELLI ANTI-ASSAD CHE INSIEME ALL'AIUTO DEI SERVIZI SEGRETI FRANCESI, HANNO ORCHESTRATO LA FARSA DELL'ATTACCO CHIMICO, FAKE NEWS CHE AVEVA L'INTENTO DI PROVOCARE LA REAZIONE DEGLI AMERICANI CHE PROPRIO TRE GIORNI PRIMA DEL FALSO ATTACCO CHIMICO AVEVANO ANNUNCIATO IL RITIRO DELLE TRUPPE DALLA SIRIA...IL PRESIDENTE MACRON COME IL SUO EX-COLLEGA SARKOZY, E' PARTE ATTIVA PERCHE' VUOLE PREDOMINARE IN NORD-AFRICA PER AMMINISTRARE LE MATERIE PRIME COME ORO, DIAMANTI, COLTAN E LE RISORSE PETROLIFERE ESCLUDENDO DALL'AREA GLI ALTRI PAESI EUROPEI, IN PRIMIS L'ITALIA (RICORDIAMO I MILIARDI DI EURO ANDATI IN FUMO, CONTRATTI STIPULATI TRA LE IMPRESE ITALIANE COME L'ENI, CON IL GOVERNO LIBICO POI STRACCIATI PER COLPA DELLA GUERRA SCATENATA, SEMPRE GRAZIE A FAKE NEWS ED ALLE PRIMAVERE ARABE CAUSATE E FOMENTATE AD ARTE DAI SERVIZI SEGRETI FRANCESI, DALL'OCCIDENTE E DALLA NATO CONTRO GHEDDAFI) IL PRESIDENTE LEGITTIMO ASSAD E' L'UNICO BALUARDO CONTRO IL CAOS, IL SOLO CAPACE DI MANTENERE UNA SIRIA UNITA, LAICA E TOLLERANTE CONTRO IL FONDAMENTALISMO ISLAMICO! IN QUESTO CASO, VLADIMIR PUTIN CI HA VISTO GIUSTO!

FAKE NEWS SULLA SIRIA E SU ASSAD
 
La solita #FakeNews già dell'#Aprile2017 (primo lancio di 59 #missili da parte delle #ForzeArmate #Usa ordinato dall'allora neo-eletto Presidente #DonaldTrump contro la #Siria di #Assad) a distanza di un anno preciso ritorna riesumata a fare danni...#Trump è di nuovo caduto nella trappola tesa dai ribelli anti-Assad, guarda caso proprio tre giorni dopo l'annuncio dello stesso #tycoon sulla volontà di ritirare presto le truppe USA dal territorio Siriano! Pare che questa #farsa... sia stata montata ad arte dai #servizisegreti Francesi, già attivi e distruttivi con le loro fake nella #Libia di #Gheddafi e dunque già esperti nel manipolare cose e uomini per fornire ad hoc prove false contro il governo di #Damasco!!! In questo #Aprile2018 è necessario ora attivare tutti i canali diplomatici e fare pressing sull'#ONU per far terminare finalmente una #guerra sanguinosa che dura ormai da 7 anni...ricordiamoci che è solo grazie alle #primaverearabe fomentate dall'#occidente con in testa la #Francia, dobbiamo la nascita del #Califfato dell'#ISIS con tutti i morti causati non solo dalle guerre civili, ma anche dagli attentati compiuti in mezzo mondo negli ultimi 8 anni per non parlare dei milioni di #profughi che sono scappati dall'inferno della #guerrasanta in #Europa inceppando la macchina degli aiuti e dell'#accoglienza!!!
 
 

Il video di un presunto attacco chimico girato e diffuso da un gruppo ribelle jihadista può bastare a scatenare la guerra? Se pensiamo alla storia recente e alle immagini finte o contraddittorie emerse dal caos siriano la risposta  può essere soltanto no. Ecco cinque casi d’autore che c’impongono di dubitare e riflettere anziché seguire chi invita alla guerra contro la Siria di Bashar al Assad.
 
1) Febbraio 2003. Il segretario di Stato Usa Colin Powell si presenta davanti al Consiglio di Sicurezza dell’Onu  per convincere il mondo a intervenire contro Saddam Hussein accusato di possedere arsenali chimici e biologici in grado di minacciare la comunità internazionale. Tra le altre prove esibisce le immagini di alcuni laboratori mobili utilizzati per spostare i gas e gli agenti nervini. I laboratori e i depositi di armi chimiche non verranno mai ritrovati. E alla fine gli Stati Uniti dovranno ammettere che la guerra a Saddam Hussein è stata lanciata sulla base d’informazioni d’intelligence sbagliate o manipolate. 
 2) Febbraio 2011. Pochi giorni dopo lo scoppio della rivolta anti Gheddafi televisioni e giornali di tutto il mondo pubblicano le foto di quelle che vengono definite fosse comuni utilizzate per seppellire le vittime della violenta repressione attuata dal regime. Pochi giorni dopo si scoprirà che quelle sono le immagini del cimitero di Sidi Habed. E che le presunte vittime della repressione sono un’invenzione della propaganda anti-regime orchestrata da  Al Jazeera  e dal Qatar di concerto con i gruppi jihadisti protagonisti della ribellione. Il tutto sotto gli occhi di una Francia ansiosa di trovare un pretesto per l’intervento.
 3)  Agosto 2016.  Le immagini del bambino Omran  fanno piangere il mondo. Il bimbo, si dice, è stato estratto dai cosiddetti Elmetti Bianchi dalle macerie della sua casa di Aleppo Est distrutta da una bomba russa. Le foto vengono diffuse dall’Aleppo Media Center, l’ufficio stampa  di Jabhat Al Nusra, la costola siriana di Al Qaida  che al tempo controlla quella zona della città. Ma i media internazionali  non ci fanno caso e danno per buona la storia. Dopo la liberazione di Aleppo dai ribelli, Mohamad  Kheir Daqneesh, il padre di Omran,  racconterà che i cosiddetti “Elmetti Bianchi”  gli strapparono  il figlio dalle braccia e, anziché portarlo all’ospedale, persero tempo a    fotografarlo e filmarlo.
 4) Siria (?) 2014  Il filmato di un bambino siriano che salva la sorellina dai colpi dei cecchini di Bashar Assad nonostante sia stato lui stesso ferito fa il giro del web raccogliendo milioni di commenti entusiastici.  A novembre il regista norvegese Lars Klevberg racconta di aver girato quel video a Malta usando il set del film “Il Gladiatore”,   alcuni attori professioni e qualche comparsa arruolata tra i rifugiati siriani. Proprio per dimostrare come in guerra realtà e finzione possono venir facilmente capovolte.
 5)  Aprile 2018.  Un video diffuso sabato 7 aprile  dai  ribelli di Jaysh Al Islam,   la fazione jihadista finanziata dall’Arabia Saudita  che in quei giorni controlla ancora la  città di Douma nella regione di Ghouta,  mostra le terribili conseguenze di un presunto attacco con agenti chimici messo a segno  poche ore prima  da  due elicotteri governativi. Da tempo però gira in rete un filmato in cui si vede come nelle scuole controllate dai  ribelli s’insegni  ai bimbi a mimare le conseguenze di un finto attacco chimico. Le immagini sono facilmente sovrapponibili. E ben difficilmente distinguibili. 
 
Il presidente USA Donald Trump ha attaccato la Siria  nella notte di Sabato 13 Aprile 2018 con una serie di bombardamenti aerei contro alcuni importanti siti strategici di armi chimiche controllati dal regime di Bashar al-Assad (qui puoi seguire tutti gli aggiornamenti).
L’intervento militare a guida USA, con il supporto delle forze aeree di Francia e Regno Unito, giunge in risposta all’attacco chimico di Douma di una settimana fa, che ha causato la morte di almeno 100 persone. Sui social media di tutto il mondo sono stati diffusi video falsi sull’attacco di sabato notte avvenuto in Siria da parte degli aerei statunitensi, francesi e britannici.
Tuttavia, come succede anche per altri eventi come per esempio quando si verificano attacchi terroristici, viene diffusa molta disinformazione, anche dai media.
Ecco alcuni dei video e delle immagini condivisi ampiamente su Twitter e Facebook che in realtà non corrispondono agli attacchi aerei avvenuti la notte del 13 aprile 2018 in Siria.

Non in Siria, ma in Ucraina: Il video più ampiamente condiviso, anche da grandi testate internazionali come NBC News, PressTV e Telemundo, presumibilmente mostra diversi missili che colpiscono obiettivi in Siria. Il video tuttavia non è stato girato durante gli attacchi aerei di sabato in Siria, ma in Ucraina. Il filmato è stato caricato per la prima volta nel febbraio 2015.

Per ulteriori approfondimenti con video integrali clicca qui sul link:

di Fabrizio Casari tratto da http://www.altrenotizie.org/

Senza lo straccio di una prova, senza nessuna verifica circa l’accertamento dei fatti e le responsabilità, senza nessuna certezza sul materiale chimico utilizzato e, con esso, sull’identità dell’eventuale possessore, gli Stati Uniti hanno sferrato un attacco a base di missili Tomahawk sulla base militare siriana di Al Shayrat. Il Presidente Trump ha così avuto il suo “battesimo del fuoco”, rito di passaggio di ogni presidente statunitense che segna il passaggio dalla sua elezione all’assunzione effettiva di ruolo.
Stavolta è toccato alla Siria, il cui governo sembra effettivamente poco entrarci con le armi chimiche che hanno avvelenato decine di vittime. Ma non c’è nessuna prova che accusi le forze armate siriane dell’accaduto, che riferiscono invece di aver centrato con i loro aerei un deposito di armi dei terroristi jahidisti, dove evidentemente erano stoccate anche quelle chimiche.
Che l’Isis e le fazioni terroristiche facenti riferimento ad Al-Nusra dispongano di armi chimiche non è un segreto: gliele hanno fornite i turchi un anno fa su indicazione statunitense. Le hanno già usate in diverse occasioni, a Palmira come ad Aleppo, ma nel silenzio dei media occidentali che, del resto, tacciono anche sul flagello saudita su Sana’a e derubricano a incidente il massacro USA a Mosul. Come a dire che le vittime pesano a seconda di chi le fa.
Ma in guerra, come in politica, di fronte agli eventi domandarsi a chi giovano è esercizio ineliminabile se si vuole limitare i danni della propaganda. E anche in questo caso andrebbe fatto. E qui davvero non si comprende quale utilità avrebbe avuto Assad all’utilizzo di armi chimiche. In primo luogo la guerra in Siria è agli sgoccioli e l’alleanza tra Damasco e Mosca, con l’aiuto di Teheran e Hezbollah libanesi, ha praticamente vinto. Dunque perché provocare la comunità internazionale quando si sta già decidendo sede e composizione del tavolo della pace sulla Siria?
In secondo luogo: visto che la Siria ha dichiarato di aver inviato a suo tempo a Gioia Tauro tutte le armi chimiche siriane e che la Russia si è resa garante internazionalmente della moratoria sul loro uso, perché mai effettuare una sortita così goffa che distruggere la credibilità di Mosca e Damasco di fronte alla comunità internazionale? E tutto questo, ovvero un prezzo altissimo, sarebbe stato pagato per avere ragione di una casamatta dell’Isis in un paese senza particolare importanza, quando per la stessa presa di Aleppo, ben più importante strategicamente e politicamente, non è stato fatto?
Per sostenere la tesi dell’attacco aereo con armi chimiche su Khan Sheikhoun bisognerebbe ritenere che Assad sia stupido. Ma stupido non è. Lo fosse, non avrebbe resistito per anni e vinto una guerra con la quale tutto l’Occidente, in forma diretta e per procura con i terroristi islamici, ha tentato di spodestarlo. Damasco può semmai essere accusata di cinismo, di opportunismo, autoritarismo, ma certo non di stupidità.
La nuova crociata intrapresa si spiega con ragioni di politica interna statunitense, abilmente sollecitate. L’intenzione di Trump è di offrire spazio all'apparato militare statunitense per poter rafforzare una presidenza altrimenti già in crisi di credibilità, caratterizzata ogni giorno da licenziamenti, dimissioni e gaffes. L'apparato bellico statunitense, già in disaccordo con Obama sul mancato attacco in Siria, è il bastone indispensabile per Trump, l'unico in grado di bilanciare l'ostilità di CIA e FBI verso il tycoon, che deve quindi, in primo luogo, divincolarsi dalle accuse di collusione con Putin. In questa direzione va il licenziamento di Bannon, voluto dal falco McMaster: Trump cerca di acconsentire alle tesi guerrafondaie dei neocons, per cumulare forze utili a ridurre l’impatto dell’offensiva democratica, che punta a costruire le condizioni per arrivare in tempi rapidi all’impeachment.
Tutto ciò non esaurisce le motivazioni dietro all’ordine di attacco impartito ieri, vi sono anche ragioni di politica internazionale ancor più serie, non ultima quella di assegnare al presidente un profilo di uomo determinato, capace di sorvolare sulle ragioni della mediazione politica a favore del decisionismo. Le coincidenze non vanno mai sottovalutate. Trump attacca Damasco soprattutto per inviare un monito a Pechino.
Ospite del governo statunitense in Florida, il Presidente cinese è stato il vero destinatario del messaggio. Il riferimento è al nuovo equilibrio di forze che Trump chiede alla Cina. Un avvertimento forte circa la Corea del Nord, sul quale Washington la ritiene non sufficientemente attiva nel controllo e poco trasparente nelle sue intenzioni.
Quello che Trump vuole è un sostanziale reset del quadro delle relazioni con i cinesi, che comprenda la disputa sul Mar della Cina, il destino di Taiwan e, appunto, la soluzione della questione spinosa di Pyongyang. In cambio di questo offre l’apertura di relazioni commerciali prive delle logiche protezionistiche che si vorrebbero imporre al resto del mondo. L’Asia, i suoi immensi mercati, il suo ruolo geostrategico sono l’essenza della visione di politica estera della Casa Bianca e raggiungere un accordo con la Cina che veda gli Stati Uniti come dominus nell’area è il suo vero indirizzo strategico in politica estera.
Le reazioni russe all’attacco sono state dure, ma si sono fermate allo scontro politico e diplomatico, almeno per ora. Ha sospeso il memorandum con la coalizione a guida americana per la prevenzione degli incidenti e la garanzia della sicurezza dei voli ed ha annunciato che rafforzerà la difesa aerea siriana e chiesto una riunione urgente del Consiglio di sicurezza dell’Onu.
Nella valutazione di Mosca pesa la sostanza militare dell’operazione, davvero per ora assai limitata. Il bombardamento ha colpito una base militare già evacuata, nessun missile ha colpito Damasco né obiettivi politici. Si può quindi definire l’azione militare una iniziativa che, sebbene rischi di innescare conseguenze gravi – resta comunque un gesto a carattere sostanzialmente dimostrativo.
La valutazione di Putin è che l’offensiva politica e diplomatica occidentale contro Mosca tende a stroncare sul nascere il clima di dialogo tra Putin e Trump. In questo senso pur muovendo le pedine politico-diplomatiche si guarda bene dall’incrementare lo scontro, consapevole che l’obiettivo strategico è quello di riportare il dialogo con Washington ad un livello che consenta il definitivo sdoganamento di Mosca nel grande risiko internazionale.
Obiettivo però ostacolato in diversi modi e da diverse forze. Gli interessi in gioco sono enormi e vanno da quelli del Pentagono, che senza la “minaccia russa” vedrebbe una diminuzione effettiva del suo ruolo e, in conseguenza, del budget per la Difesa. Ci sono poi gli interessi europei, tedeschi in testa, che puntano al rafforzamento della tensione con Mosca utilizzando la Crimea, l’Ucraina e le accuse di ingerenze russe nelle elezioni europee.
Parigi è interessata ad uno scontro politico aperto con Putin nella speranza che nell’attuale campagna elettorale francese questo possa danneggiare Marine Le Pen, che di Putin è estimatrice, mentre alla Germania giova un clima di tensione crescente con la Russia. Nella strategia tedesca c’è l’intenzione di candidare Berlino a un ruolo di garante politico verso i paesi dell’ex Patto di Varsavia.
La Germania pensa in sostanza di poterne rappresentare uno scudo politico e militare, prefigurando una sorta di suo protettorato verso Est e, in questa veste, disporre di una interlocuzione esclusiva con Mosca, bypassando la stessa UE, che considera un problema e non una soluzione.
Vedremo quali saranno gli sviluppi nelle prossime ore. Nel frattempo si può solo registrare come l’attacco alla Siria non abbia nulla a che vedere con la sorte delle vittime, a maggior ragione in un paese dove la guerra scatenata dall’Occidente in cinque anni ha lasciato sul terreno 270.000 morti di cui 14.000 bambini e mezzo milione di profughi. E’ solo il teatro cinico ed ipocrita di una colossale fake news avente come oggetto il tentativo disperato d’invertire le sorti del campo di battaglia, nella speranza di fermare una storia già scritta, quella della sconfitta occidentale in Siria.

venerdì 15 luglio 2016

COSA SI NASCONDE DIETRO IL FALLITO GOLPE CONTRO ERDOGAN? LA TURCHIA STA ANDANDO VERSO UN ISLAMIZZAZIONE DI MASSA FORZATA? "RIVOGLIAMO VLAD TEPES L'IMPALATORE DEI TURCHI MUSSULMANI...EVVIVA IL CONTE DRAKULA!!!" #ISIS #nizza #Francia #estremismoislamico #attentato #corano #Golpe #ColpodiStato #Turchia #Erdogan #Ankara #Turkey

Turchia verso l'Islamizzazione forzata di massa?

5 risposte sul tentato colpo di stato in Turchia: Perché c'è stato, intanto, e perché è fallito? E con chi sta la popolazione turca?

C’è ancora molta incertezza dopo il fallito colpo di stato in Turchia nella notte tra venerdì e sabato. Il governo dice che tutti i partecipanti sono stati arrestati, che 265 persone sono morte e più di mille sono rimaste ferite e che nella repressione governativa dopo il fallimento migliaia tra militari e magistrati sono stati arrestati o rimossi dal loro incarico. Il tentativo di golpe, nonostante sia arrivato a sorpresa, ha delle radici nel difficile rapporto tra il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e l’esercito turco, l’unico vero rivale alla sua autorità nel paese. Il tentato colpo di stato e la successiva risposta del governo racconta in generale molte cose della difficile situazione politica turca, e della gestione del potere portata avanti da Erdogan negli ultimi anni.
Perché c’è stato un colpo di stato?
Come ha scritto Jeremy Bowen, caporedattore per il Medio Oriente di BBC: «Il colpo di stato è avvenuto perché il paese è profondamente diviso sul progetto del presidente Erdogan di cambiare il paese, e a causa dell’influenza della guerra civile siriana». Nel loro primo comunicato, i leader del golpe avevano detto che la loro operazione era dettata dalla necessità di fermare la deriva autoritaria e l’islamizzazione del paese voluta da Erdogan. I golpisti hanno anche parlato dell’incapacità suo governo di prevenire attacchi e attentati, come quello avvenuto lo scorso giugno all’aeroporto Ataturk di Istanbul.

L’esercito turco ha sempre avuto un ruolo molto rilevante nella vita pubblica del paese, e nella storia recente è intervenuto in maniera diretta per tre volte per rovesciare i governi in carica: nel 1960, nel 1971 e nel 1980. L’esercito turco è considerato il guardiano della costituzione laica del paese e in genere è intervenuto per garantire l’ordine costituito da minacce vere o presunte, come l’affermarsi di partiti o movimenti di ispirazione islamista o di sinistra radicale. Spesso, i periodi di massima influenza dell’esercito sulla vita pubblica hanno coinciso con campagne di arresti degli oppositori, sparizioni e omicidi politici, in maniera non troppo differente da quelle sperimentate dai regimi militari sudamericani. Fino a pochi anni fa, l’esercito turco era di fatto un corpo indipendente dal resto dello stato, solo formalmente sottoposto alla supervisione del governo civile. Con l’arrivo di Erdogan, il politico turco di gran lunga più abile e popolare della sua generazione, la situazione ha iniziato a cambiare.
Al momento non sappiamo ancora molto delle personalità e delle motivazioni degli ufficiali che hanno organizzato il golpe di venerdì, ma sono state fatte diverse ipotesi. Una delle più diffuse è che Erdogan si stesse preparando a un nuovo giro di epurazioni e sostituzioni e che quindi i golpisti abbiano tentato di anticiparlo, mettendo in atto un colpo di stato in maniera sbrigativa e raffazzonata. È una tesi che al momento non è sostenuta da nessuna prova certa, ma che si basa su un paio di indizi: il primo è che il colpo di stato è stato eseguito in maniera molto approssimativa, il secondo è che a meno di 24 ore dall’inizio del golpe, Erdogan aveva già ordinato l’arresto o la rimozione di migliaia di magistrati e ufficiali non direttamente coinvolti nelle operazioni militari, il ché lascia supporre che gli elenchi dei sospetti fossero già stati compilati.
Perché il colpo di stato è fallito?
La prima ragione sembra essere che al golpe ha partecipato solo una piccola frazione delle forze armate turche, qualche migliaio di soldati, forse 2.000, ha scritto Edward Luttwak su Foreign Policy. Si tratta di un numero chiaramente insufficiente per prendere il controllo di un intero paese. Luttwak, un commentatore popolare e controverso anche sui media italiani, è considerato un esperto di colpi di stato e per la Harvard Press scrisse nel 1968 un “Manuale pratico” per golpe che è diventato un classico tradotto in 16 lingue e ripubblicato in un’edizione aggiornata proprio quest’anno. Secondo Luttwak l’operazione di venerdì notte, più che un golpe, è sembrata una rivoluzione: un’azione avventata da parte di un pugno di ufficiali che speravano di ottenere l’appoggio della popolazione e del resto delle forze armate dopo una rapida vittoria. L’idea che più di un golpe si sia trattato di una rivoluzione sembra spiegare almeno parte dei numerosi errori compiuti dai golpisti.

Il primo è stato quello di colpire durante la sera, intorno alle 21, quando tutti di solito sono ancora svegli. Solitamente, i colpi di stato avvengono a notte fonda, con le truppe e i carri armati che occupano i luoghi strategici e arrestano i leader rivali prima che qualcuno abbia la possibilità di reagire. Attaccando così presto, i militari hanno dato la possibilità a Erdogan di richiamare i suoi sostenitori in strada e di organizzare un contrattacco. Al contrario, per provocare una rivoluzione non avrebbe senso colpire a notte fonda. Un altro errore dei golpisti è che non sono riusciti ad arrestare o neutralizzare nessuna delle figure chiave del governo.
Il resort dove si trovava Erdogan, nella città meridionale di Marmaris, è stato effettivamente attaccato, ma il presidente era già fuggito. Il primo ministro Binali Yildirim ha potuto annunciare il colpo di stato in televisione senza alcun ostacolo e ha continuato tutta la notte a scrivere su Twitter. Quasi nessun importante leader dell’AKP, il partito di Erdogan, è stato bloccato. L’unico successo su questo fronte è stato l’arresto del capo di stato maggiore dell’esercito, ad Ankara. Parte di questi fallimenti è probabilmente dovuta al fatto che i congiurati disponevano di troppi pochi soldati per portare a termine tutti i loro obbiettivi.
Perché molti dicono che è stata una montatura?
Insieme e quasi contemporaneamente alle notizie sullo svolgimento del golpe, qualcuno ha sostenuto che fosse stato organizzato dallo stesso Erdogan per aumentare il suo potere. Una premessa: in Turchia, un po’ come succedeva all’Italia degli anni Settanta-Ottanta, quando avviene una strage o un attentato, in molti vedono la mano dello stato. Secondo molti commentatori, in Turchia esiste uno “stato profondo”, cioè una rete parallela fatta da polizia e servizi segreti, incaricata di compiere attacchi e altre operazioni per giustificare misure repressive. La bomba alla marcia per la pace di Ankara, in cui lo scorso ottobre furono uccise più di cento persone, inizialmente fu imputata da molti agli agenti dello “stato profondo”. È abbastanza normale, quindi, sentir parlare oggi di “false flag”, cioè di montatura.

La Turchia, in effetti, è uno dei pochi paesi al mondo dove situazioni del genere sono effettivamente plausibili. Negli ultimi anni sono emersi diversi scandali in cui il governo turco ha dimostrato di essere spregiudicato nel perseguire i suoi fini. I servizi di intelligence, per esempio, hanno organizzato spedizioni segrete di armi a gruppi di estremisti islamici in Siria, mentre lo stesso Erdogan è stato registrato mentre parlava della possibilità di organizzare un “incidente” in modo da aver una scusa per invadere la Siria senza sembrare l’aggressore.
Ci sono molti elementi, però, che spingono a trattare questa ipotesi con estrema prudenza. L’assunto alla base di questa teoria che Erdogan fosse a conoscenza del complotto, che sapesse che c’erano dietro soltanto pochi ufficiali e che quindi li abbia lasciati fare, sapendo di poterli sconfiggere e quindi di ottenere i benefici politici. Si tratta di un atteggiamento spericolato, ai limiti dell’incoscienza. Una volta avuta notizia di un golpe, è molto difficile avere la certezza che sarà portato avanti soltanto da un pugno di militari e che il resto dell’esercito resterà nelle caserme, come è avvenuto nella notte tra venerdì e sabato. Ed è altrettanto difficile prevedere con certezza da che parte si schiererà la popolazione. In passato è già accaduto che tra i militari si spargesse l’idea di un colpo di stato e la reazione di Erdogan è sempre stata la repressione immediata.
La popolazione è dalla parte di Erdogan? Erdogan è senza dubbio il leader più popolare nella storia recente della Turchia e alle recenti elezioni di novembre il suo partito è nuovamente riuscito ad ottenere la maggioranza assoluta dei seggi in parlamento. Ma come molti leader carismatici, la sua figura è molto divisiva. Erdogan gode di un ampio consenso nella Turchia rurale, a Istanbul e tra i conservatori religiosi, mentre è osteggiato dalla sinistra, dai sindacati, dalla popolazione urbana della costa occidentale e da una parte significativa della minoranza curda. I suoi oppositori criticano le sue tendenze autoritarie, la repressione della libertà di stampa e della magistratura e la guerra contro le milizie curde del PKK, brutalmente condotta nel sudest del paese.
Già dalle prime ore del golpe, però, i partiti di opposizione, compreso il curdo HDP, si sono schierati contro i militari, così come hanno fatto anche numerosi attivisti e altri oppositori, che pure negli anni scorsi erano scesi in piazza contro il governo e avevano subito la repressione violenta delle forze di polizia. Nella notte di venerdì ci sono state alcuni episodi di apprezzamento per i militari, con applausi e grida di incoraggiamento, ma la stragrande maggioranza degli oppositori è rimasta a casa. A scendere in piazza sono stati i sostenitori di Erdogan.
La loro organizzazione è stata uno degli elementi che più hanno sorpreso gli analisti. Alle 23 e 30 di venerdì, Erdogan si è collegato con CNN Turkey tramite un’app per videochiamate del suo smartphone e ha chiesto alla popolazione di scendere in piazza per sostenere il suo governo. In quel momento, a molti è sembrata una mossa disperata, ma nel giro di pochi minuti le moschee di Istanbul hanno iniziato a chiamare in piazza i fedeli e in poco tempo le strade si sono riempite di sostenitori del governo. Tra loro era praticamente impossibile vedere delle donne, e moltissimi uomini avevano barbe e baffi – di solito evitati dai turchi con convinzioni più secolari – e cantavano slogan religiosi. I manifestanti, con l’appoggio delle forze di polizia, hanno disarmato moltissimi militari, che in molti casi si sono rifiutati di aprire il fuoco sulla folla. Ci sono state eccezioni, a Istanbul, dove per ore i militari hanno sparato per tenere lontano la folla, soprattutto in aria, ma causando anche morti e feriti. Quando all’alba il presidio si è arreso, diversi militari sono stati linciati dalla folla.
Cosa succederà ora?
Al momento Erdogan sta portando avanti delle vaste epurazioni nei confronti degli apparati dello stato che non ritiene ancora completamente fedeli, in particolare esercito e magistratura. Secondo tutti gli esperti, Erdogan uscirà dal golpe con un controllo ancora più saldo sul paese. L’esercito, fino a oggi l’unico rivale alla sua autorità, sarà ulteriormente ridimensionato. La successiva prevedibile instabilità, però, potrebbe finire con il danneggiare ulteriormente la situazione economica turca, già in difficoltà da un anno, e questo, nel medio periodo, potrebbe iniziare a far diminuire il consenso di cui gode Erdogan.

Nel breve termine, c’è sostanzialmente una questione ancora aperta: quella della base di Incirlik, nel sud della Turchia. È un’installazione militare dove si trovano numerosi soldati americani che operano le missioni di bombardamento contro l’ISIS, in Siria. La base, al momento, è isolata e la corrente è stata scollegata (la base comunque è dotata di generatori autonomi). Ufficialmente, la motivazione dell’isolamento della base è il timore che possa essere utilizzata dai golpisti, ma in molti sospettano che la vera ragione sia una rappresaglia nei confronti degli Stati Uniti, con i quali le relazioni sono peggiorate da mesi.
Secondo alcuni esponenti del governo turco, gli americani sarebbero i veri organizzatori del golpe. Erdogan non ha ancora detto niente di così grave, ma ha chiesto agli Stati Uniti di estradare Fethullah Gülen, un religioso che vive da anni in esilio autoimposto in Pennsylvania. Negli anni, Erdogan ha accusato Gülen di ogni sorta di complotto nei suoi confronti e nella retorica del presidente il religioso appare spesso un capro espiatorio per tutti i problemi della Turchia. Gli Stati Uniti hanno chiesto di fornire prove del coinvolgimento di Gülen nel colpo di stato e hanno respinto ogni accusa di aver avuto a che fare con i golpisti. Nel pomeriggio di domenica, la base è tornata quasi alla normalità, anche se la corrente non è ancora stata riallacciata. L’incidente, ha mostrato comunque a che livello di tensione siano arrivati i rapporti tra i due alleati.



Il fallimento del golpe in Turchia, con tutte le debolezze infine palesate dai congiurati, ha indotto molti a credere in una messinscena operata dallo stesso Presidente Erdoğan, che ora dovrebbe beneficiarne in termini di popolarità e nuove occasioni d'epurazione. Quest'ipotesi ha trovato spazio anche nel "Corriere della Sera" grazie a un intervento di Antonio Ferrari. Rimane tuttavia più facile credere a un golpe genuino ma mal congegnato, piuttosto che a un'ardita ed elaborata macchinazione di Erdoğan. In assenza di prove più consistenti per la teoria del complotto, il rasoio di Occam suggerisce di tenere per buona la tesi più semplice.
D'altro canto, il golpe che ora appare a tutti ridicolo, un "golpe da operetta", un "golpetto", agli occhi degli stessi, intorno a mezzanotte di venerdì era perfettamente riuscito. Lo titolavano i siti dei grandi giornali italiani, lo si poteva leggere scritto da molti commentatori illustri sui rispettivi social network. Rammento distintamente l'ilarità suscitata dall'intervento di tramite video-telefonino d'una conduttrice tv, o le sagaci battute sul fatto che i cittadini turchi sarebbero sì scesi in strada (come richiesto dal loro Presidente), ma non certo per fronteggiare i carri armati, bensì per assaltare i Bancomat. Il tutto mentre Erdoğan veniva avvistato sui cieli di mezzo mondo, in fuga e a richiedere asilo immancabilmente negato. Spiace constatarlo, ma ancora una volta la stampa italiana ha mostrato superficialità e mancanza di comprensione e analisi su un fatto internazionale (e questo è imputabile anche ai tagli cui le redazioni esteri sono soggette da anni).
Gran parte delle mancanze dei golpisti, evidenziate da chi crede alla tesi dell'auto-attentato, si possono spiegare più semplicemente col numero limitato di congiurati e col ruolo preponderante svolto da ufficiali non d'alto rango. Evidentemente il piano contava di sfruttare l'assenza di Erdoğan dalla capitale, neutralizzare rapidamente la polizia e l'intelligence (fedeli al Presidente e ben armate) per prendere il controllo di Ankara e Istanbul, occupare lo Stato Maggiore delle Forze Armate per paralizzare la catena di comando formale. In sostanza, i golpisti contavano di impedire ogni reazione all'autorità politica, alle forze dell'ordine e alle forze armate, disarticolandone gli automatismi tramite loro decapitazione. Quindi, presentandosi alla tv pubblica come la nuova autorità, i militari, i funzionari statali e la pubblica opinione, privi d'altra guida, avrebbero accettato il fatto compiuto. In particolare, è ragionevole credere che i golpisti si attendessero un'adesione spontanea degli altri comandi militari e dei partiti politici oppositori dell'Akp.
Il piano è fallito, come noto, ma il suo collasso in poche ore non autorizza a bollarlo di "golpe da operetta" (ripetiamo: dopo che gli stessi commentatori l'avevano dato per vittorioso). Per sua natura, un colpo di Stato così congegnato era destinato a vincere o abortire nel giro d'una notte, mancando della massa critica per condurre una lotta frontale contro le autorità. Tra i fattori che hanno determinato il fallimento del piano, si può citare il notevole ritardo nell'occupare la tv pubblica (almeno un'ora dopo aver bloccato i ponti sul Bosforo, in un'infelicissima scelta delle priorità), senza tra l'altro che nessun congiurato si presentasse col proprio volto e nome, proponendo l'immagine reale di un potere alternativo a quello di Erdoğan e dei suoi ministri e parlamentari. I quali invece sono stati tutt'altro che evanescenti, poiché non siamo più nel 1980 e nemmeno nel 1997, e ormai in Turchia ci sono numerosi canali televisivi e radiofonici. Per tutta la nottata, il governo ha saputo comunicare meglio dell'impalpabile "Comitato per la pace" che avrebbe dovuto rovesciarlo.
Erdoğan ha saputo mobilitare prontamente una parte della popolazione cospicua e agguerrita, come ha dimostrato nel bene e nel male, sfidando carri armati e autoblindo a mani nude, ma anche linciando militari golpisti caduti nelle sue mani. E questa mobilitazione Erdoğan l'ha ottenuta combinando strumenti moderni (si pensi alla videotelefonata con "Face Time" trasmessa in tv) a strumenti tradizionali (il richiamo dei muezzin, questa volta non alla preghiera ma alla manifestazione in piazza, è riecheggiato prontamente a Istanbul e Ankara). Questo succede quando s'unisce un partito politico di massa a una rete religiosa, il tutto in un contesto di popolazione giovane e devota.
I golpisti hanno perso davvero quando il comandante della Prima Armata (quella di Istanbul), Umit Dundar, per primo ha sconfessato il golpe e rimarcato la lealtà sua e dei suoi soldati alle istituzioni. In quel momento a tutti - alla popolazione, agli altri militari, persino ai soldati utilizzati come manovalanza dai congiurati e non necessariamente ben informati su quanto stesse accadendo - è apparso evidente come non si fosse di fronte a un vero golpe dei militari contro il governo, bensì al tentativo di una semplice fazione. Non a caso il Genrale Dundar è stato prontamente ricompensato con la promozione a Capo di Stato Maggiore.
A differenza di quanto scritto la mattina successiva al golpe da "Repubblica", non è vero che le dichiarazioni di Obama e della Merkel avrebbero avuto un ruolo nel determinare il fallimento del golpe. Entrambe sono arrivate solo quando esso era ormai evidente. Al contrario gli Usa sono stati molto ambigui nella prima dichiarazione di Kerry, che non ha preso posizione malgrado si trattasse dell'attacco a un governo formalmente alleato. A ciò si unisca il fatto che Gülen, principale indiziato della Turchia per il golpe, è ospitato dagli Usa stessi, e che nelle ore più concitate, quando la popolazione aveva cominciato a scendere in piazza contro i golpisti, la rete statunitense Nbc propagandava la notizia di improbabili fughe di Erdogan - evidentemente forgiata ad arte per scoraggiare la mobilitazione dei suoi sostenitori. E citava a sostegno niente meno che fonti militari statunitensi.
Non sorprende che ora la tensione tra Ankara e Washington sia palpabile. Il fallito golpe in Turchia è la pietra tombale su otto anni di fallimenti in politica estera dell'Amministrazione Obama.

 
Il golpe in Turchia? La voce girava già da qualche mese, a Washington. Secondo Giulietto Chiesa, giornalista esperto di politica estera (e maestro di complottismo) viene intervistato dal blogger Claudio Messora (aka Byoblu) e dice la sua sulle ultime, cruente ore tra Ankara e Istanbul. Si parte da marzo, quando un influente neocon americano, Michael Rubin, scrive un articolo premonitore, dal titolo sibillino: "Ci può essere un golpe in Turchia?". "Di fatto - spiega Chiesa - sostiene che i militari ribelli non avrebbero avuto nulla da temere da Usa e Unione europea". "Una delle origini di questo golpe, dunque - sentenzia il giornalista italiano - è stato l'invito esplicito che viene dai neocon americani". Due mosse recenti del presidente turco Erdogan, sottolinea Chiesa, sono da interpretare alla luce di quanto accaduto venerdì sera: "Ha chiesto scusa a Putin per l'abbattimento del suo caccia e ha riallacciato i rapporti diplomatici con Israele. Due tentativi di parare il colpo in extremis: io non credo affatto alla tesi che sarebbe stato il suo nemico giurato Gulen a organizzare il colpo di Stato militare, non aveva potere sufficiente. Credo che Erdogan ha rotto le scatole a tutti, ai russi, agli americani e agli europei, e ora esce da questo golpe più debole di prima, è un vincitore zoppo e ne vedremo ancora delle belle. Non tutto quello che abbiamo visto finora è chiaro". Sorprendentemente, però, Chiesa si dimostra scettico sulla voce che sta facendo impazzire i dietrologi del web: Erdogan avrebbe organizzato un finto "auto-golpe" per poter fare un colpo di mano autoritario sulla Costituzione. "Improbabile - taglia corto il giornalista - sarebbe stata una scelta molto rischiosa. Ci sono stati molti morti e l'esercito si è diviso. Da tempo esisteva una fronda kemalista laica a cui non piace l'Erdogan islamico". 

Fonte: http://tv.liberoquotidiano.it 

 

venerdì 11 settembre 2015

L'11 settembre è il 254º giorno del calendario gregoriano (il 255º negli anni bisestili). Mancano 111 giorni alla fine dell'anno...


 Cerimoniale in ricordo delle vittime
11 Settembre 2001 - 11 Settembre 2015

L'11 settembre è il 254º giorno del calendario gregoriano (il 255º negli anni bisestili). Mancano 111 giorni alla fine dell'anno.

Indice

Eventi

Nati

Ci sono circa 630 voci su persone nate l'11 settembre; vedi la pagina Nati l'11 settembre per un elenco descrittivo o la categoria Nati l'11 settembre per un indice alfabetico.

Morti

Ci sono circa 300 voci su persone morte l'11 settembre; vedi la pagina Morti l'11 settembre per un elenco descrittivo o la categoria Morti l'11 settembre per un indice alfabetico.

Feste e ricorrenze

Nazionali

Religiose

Laiche

  • Cina – Festa nazionale dei Pompieri della Repubblica Popolare Cinese. Il giorno è scelto per il fatto che l'undicesimo giorno del nono mese (settembre) corrisponde al 119, il numero telefonico dei pompieri in Cina.
  • USA – Giorno del numero di emergenza "911"

ITALIA-CINA

ITALIA-CINA
PER L'ALLEANZA, LA COOPERAZIONE, L'AMICIZIA E LA COLLABORAZIONE TRA' LA REPUBBLICA ITALIANA E LA REPUBBLICA POPOLARE CINESE!!!