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sabato 17 maggio 2008

I demoni rossi...

(La copertina del libro "I demoni rossi")

Di Daniele Lembo - E’ in uscita, per i tipi della MA.RO EDITRICE di Copiano (PV), il nuovo libro Daniele Lembo dal titolo “I DEMONI ROSSI”.Il prolifico Giornalista e saggista, nel suo nuovo lavoro tratta dei mezzi corazzati italiani nel secondo conflitto mondiale. Il titolo Demoni Rossi è mutuato dall’inno dei carristi le cui parole sono, a dir poco, travolgenti:” Baldo carrista/lancia al vento del tuo cuore la canzone/ che è l’inno tuo di fede e di passione/per la tua Patria, per il Re, per il tuo Duce. E canta il core/l’accompagna col suo ritmo anche il motore/ dice a chi lo guida nel cimento:“ Demone rosso avanti tu sei fra tutti quanti il re dell’ardimento”Secondo l’autore, il tema della preparazione bellica italiana nel secondo conflitto mondiale è stato più volte affrontato dando vita, purtroppo, a tesi storiche basate più su luoghi comuni e sui “sentito dire” che su un serio e coscienzioso studio delle passate vicende nazionali. In troppi hanno affrontato gli studi storici avvalendosi di notizie frammentarie e spesso partigiane in quanto frutto, il più delle volte, della radicata e compiaciuta abitudine di parlare male di tutto ciò che è avvenuto in Italia nel Ventennio fascista. Un modo di fare che ha trasformato la Storia di quella guerra italiana in una sorta di racconto mitologico. Come quel conflitto sia poi andato a finire è cos a nota a tutti. La guerra fu persa e, se è vero che anche nella sconfitta bisogna essere capaci di mantenere la dignità, c’è da dire che quella guerra non fu persa nel migliore dei modi. Nel dopoguerra, in molti si sarebbero improvvisati strateghi e tutti costoro si sarebbero rivelati infallibili nella scienza dei “ma” e dei “se”, indicando con certezza quali erano stati gli errori che si sarebbero dovuti accuratamente evitare nel conflitto passato. Tutti questi esperti militari del giorno dopo sarebbero stati accomunati dal fatto di voler spiegare le ragioni della sconfitta con l’insufficiente e vetusto armamento ed equipaggiamento delle Forze Armate Italiane. Con il tempo, poi, che la disfatta fosse stata causata dai carri armati di latta e dai biplani di legno è diventata una professione di fede dell’intero popolo italiano, insomma una sorta di dogma storico/religioso nazionale. Per il vasto pubblico, quindi, la seconda guerra mondiale è e resterà lo scontro bellico al quale gli uomini del Regio Esercito presero parte calzati di scarpe fatte di cartone e armati con fucili ‘91 e carri armati giocattolo, meglio conosciuti come “scatole di sardine”.A fronte di un modo di fare Storia per luoghi comuni, ma che rischiano di sostituire alla Storia una vulgata popolare, con questo nuovo lavoro, Daniele Lembo intende fornire al lettore almeno una chiave di lettura che lo metta in condizione di comprendere, con maggiore serenità, quale fu la realtà italiana dei mezzi e delle forze corazzate in quel conflitto. E’ un tentativo esperito da Lembo, di fornire un piccolo e sereno contributo alla verità storica. Il volume si articola in dodici capitoli. Nel primo capitolo si tratta dell’impiego dei carri in Africa Orientale e in Spagna e, in particolare, del Carro Veloce italiano. Dal capitolo secondo al sesto i temi affrontati sono: La dottrina circa l’impiego dei carri armati e la situazione in Italia in vista del conflitto; I primi combattimenti sul fronte delle Alpi e su quello africano; La guerra in Africa settentrionale; L’attacco all’Italia e la caduta del Fascismo; l’Armistizio e l’impiego dei carri da parte delle Forze Armate della Repubblica Sociale Italiana. Dopo aver affrontato l’argomento dei carri stranieri valutati dal Regio Esercito, quelli di preda bellica e dell’acquisizione di carri armati tedeschi, nel capitolo ottavo e nono, l’autore, dedica spazio ad alcune considerazioni sui carri italiani e sulla produzione nazionale. Quasi come un appendice, i due ultimi capitoli sono dedicati ai treni armati italiani nel periodo tra le due guerre e nel secondo conflitto mondiale. Si tratta di un’opera agevole che, in poco più di cento pagine, sviluppa l’argomento in modo gradevole e leggibile. Il libro ruota intorno ad un assioma, secondo il quale la quale i mezzi corazzati italiani, quando furono guidati da mani esperte, impiegati in massa e non si trovarono in condizioni di scandalosa inferiorità numerica, non sfigurarono di fronte al nemico. Ne fu prova la vittoria a Bir El Gobi, dove si dimostrò ch e la Divisione italiana Ariete poteva, se impiegata in battaglia nei dovuti modi, contrastare e sconfiggere le forze corazzate britanniche, anche quando queste erano in evidente sovrannumero. In conclusione, si tratta di un lavoro destinato ai giovani perché sappiano e ricordino chi, in quella guerra, è rimasto sotto la neve di Russia, soldato di ghiaccio, o a sentinella in un mare di sabbia, a fare la guardia al sogno di una Patria più grande e più bella. La finalità dell’opera è resa chiara dalla dedica del libro: “Verso le ore 15,30 della giornata in cui i carri della Divisione Ariete sostennero quello che fu il loro ultimo combattimento a El Alamein, un ufficiale carrista avrebbe inviato il seguente messaggio radio: =Carri armati nemici fatta irruzione a sud; Ariete accerchiata . Trovasi circa cinque km. N-O Bir el Abd. Carri Ariete Combattono=.Questo libro è dedicato a quell’uomo, ma è dedicato anche a mio figlio Matteo e ai suoi amici sperando che imparino che nella vita non è necessario vincere, ma è indispensabile combattere e mantenere fede agli impegni del dovere e dell’onore.”
L'opera si avvale delle illustrazioni a cura dell’ottimo Sergio Pietruccioli, i cui lavori sono visionabili sul sito : http://www.cestra.eu/franco/MilitaryInPictures/chisiamo.htm
Per contattare l’autore: danielelembo@email.it Per contattare Sergio Pietruccioli: sergio.pi46@gmail.comEdizioni MA.RO. EDITRICE .- Copiano, costo Euro 20.

domenica 25 novembre 2007

"Il piacere" di Gabriele D'Annunzio...una delle sue opere più belle!




Il piacere è un romanzo di Gabriele d'Annunzio, scritto nel 1888 e pubblicato nel 1889.
Così come un secolo prima Le ultime lettere di Jacopo Ortis di Ugo Foscolo aveva diffuso in Italia la corrente e la sensibilità romantica, Il piacere e il suo protagonista Andrea Sperelli introducono nella cultura italiana di fine Ottocento la tendenza decadente e l'Estetismo. Come affermò Benedetto Croce, con d'Annunzio "risuonò nella letteratura italiana una nota, fino ad allora estranea, sensualistica, ferina, decadente", in contrapposizione al naturalismo ed al positivismo che in quegli anni sembravano aver ormai conquistato la letteratura italiana, con la pubblicazione del Mastro-don Gesualdo di Giovanni Verga. Per uscire dai canoni del naturalismo, d'Annunzio inaugura un tipo di prosa psicologica, che avrà in seguito un grande successo e gli permetterà di indagare gli errori e le contrarietà della vita dell'"ultimo discendente d'una razza intellettuale".


Il contesto storico


Nel 1876 cade la Destra storica che aveva governato l'Italia dalla formazione del Regno nel 1861. Il re chiama al governo Agostino Depretis, un ex-mazziniano che forma un ministero con uomini della Sinistra parlamentare, tenendo il potere fino al 1887. A Depretis succede Francesco Crispi, che governa, a fasi alterne, fino al '96. Politica economica della Sinistra: protezionismo delle industrie e delle grandi aziende agrarie nazionali, fino alla guerra doganale con la Francia. Politica estera: 1882: Triplice Alleanza, a carattere difensivo, con Austria e Germania. Inaugurazione di una politica coloniale, con l'occupazione dell'Eritrea sfociata nella sconfitta di Dogali del 1887. Governo Crispi: nuovo codice penale - codice Zanardelli - che abolisce la pena di morte;azione repressiva nei confronti delle associazioni cattoliche e del movimento operaio; ulteriore spinta al protezionismo; rigida applicazione del trattato di alleanza con Austria e Germania; ripresa della politica coloniale: 1889 trattato di Uccialli e costituzione della colonia Eritrea. I fatti qui citati si collocano nel pieno della "grande depressione" economica che colpì l'Europa alla fine del secolo scorso. Il periodo fu caratterizzato da alcuni mutamenti nella struttura socio-economica delle grandi nazioni occidentali: concentrazioni industriali e finanziarie (trust, monopoli) sostenute dallo Stato (protezionismo); conseguente crisi del liberalismo e nascita di nuove tendenze autoritarie. Queste tendenze si scontrano con le conquiste sociali precedentemente ottenute dalle classi lavoratrici e con la conseguente formazione di grandi partiti di massa (socialisti e socialdemocratici), che diventano la struttura portante della società industriale. In questa situazione, artisti e intellettuali scelgono spesso una collocazione divergente o di autoemarginazione dalle masse, dalla vita "ordinaria" promossa dal nuovo modello produttivo capitalistico, e dalla mercificazione dell'opera d'arte, assumendo atteggiamenti accentrici ed elitari, o provocatori e demistificanti.


Il protagonista: Andrea Sperelli


“Egli era per così dire tutto impregnato d’arte, […] poté compiere la sua straordinaria educazione estetica sotto la cura paterna, […]. Dal padre appunto ebbe il culto delle cose d’arte, il culto spassionato della bellezza, il paradossale disprezzo de’ pregiudizi, l’avidità del piacere. […] fin dal principio egli fu prodigo di sé; poiché la grande forza sensitiva, ond’egli era dotato, non si stancava mai di fornire tesori alle sue prodigalità. Ma l’espansione di quella forza era in la distruzione di un’altra forza, della forza morale che il padre stesso non aveva ritegno a reprimere. [...] Il padre gli aveva dato, tra le altre, questa massima fondamentale: bisogna fare la propria vita come un’opera d’arte. Bisogna che la vita d’un uomo d’intelletto sia opera di lui. La superiorità vera è tutta qui”. Il protagonista del romanzo è un esteta - come il Barone Des Esseintes di Joris Karl Huysmans o il Dorian Gray di Oscar Wilde - che, seguendo la tradizione di famiglia, ricerca il bello e disprezza il mondo borghese, conduce una vita eccezionale, vive la sua vita come un’opera d’arte e rifiuta le regole basilari del vivere morale e sociale. La sua sensibilità straordinaria implica, però, una certa corruzione, evidente nella sadica sovrapposizione delle due donne, corruzione che fa parte di quella necessità ideologica e psicologica del dandy, cagionata anche dalla Roma corrotta e lussuriosa. Anche se Andrea Sperelli la vive non senza un’intima sofferenza, dovuta dalla degradazione di quella forza morale, della sua personalità, perché le massime paterne presumono uno spirito forte, che domini le proprie debolezze. Questo suo atteggiamento ha, dunque, una ragione più profonda. Infatti, ha vissuto la separazione dei genitori, la madre ha anteposto l'amante al figlio e il padre lo ha spinto verso l'arte, l'estetica e gli amori e le avventure facili. È forse per questa infanzia che Andrea passa da una storia all'altra, senza nessun rimpianto o amarezza, che studia cinicamente e accuratamente ciò che dovrà dire ad una donna per sedurla ed ottenere da lei quello che lui vuole. Insomma, Andrea diventa una figura intermedia tra il superuomo e l’inetto, che ha perso il dominio di sé, la propria genuinità, la facoltà di agire senza ambivalenze e di godere a pieno i piaceri agognati. Perciò la sua eccezionalità ha anche un secondo risvolto negativo: è sempre e comunque destinato al fallimento, soprattutto in amore, prima con Elena Muti, poi con Maria Ferres. Questo personaggio, che è tipico della letteratura decadente e crepuscolare, segue l’ideologia dannunziana, non solo per quello che concerne l’estetismo, ma soprattutto perché denuncia la crisi dei valori ed egli ideali aristocratici a causa della violenza del mondo borghese. È importante che non si cada nel luogo comune che vuole Andrea Sperelli come l’alter ego di Gabriele D’Annunzio: l’autore si identifica, il narratore se ne distacca e lo critica pesantemente. Nel primo caso Andrea è ciò che D’Annunzio è e che vorrebbe essere, poiché impersona le sue esperienze effettive e quelle aspirate, è nobile e ricco, intellettuale e seduttore a tratti timido come Cherubino o cinico come Don Giovanni, accede facilmente ai ritrovi mondani e ai salotti della nobiltà. Nel secondo, la critica è indirizzata soprattutto all' “anima camaleontica, mutabile, fluida, virtuale”, alla sua falsità, alla sua doppiezza, alla menzogna e all’inganno che usa nei confronti delle donne da lui amate e possedute: il personaggio si scinde, infatti, in ciò che è internamente e in ciò che deve essere in realtà, in ciò che è e in ciò che vorrebbe essere.


La figura della donna: Elena Muti & Maria Ferres


L’immaginario della donna ne Il Piacere si lega a quello del Decadentismo: oscilla tra la sensualità sottile, metamorfica e finemente viziosa e l’immagine, prettamente stilnovista e preraffaelita, della donna delicata ed eterea, anche se entrambe estremizzante e molte volte mescolate. Tale immaginario si sdoppia tra la seduzione sessuale e passionale di Elena Muti, esponente di una cultura mediocre, dell’eros, dell’istinto carnale, espressione di piacere e lascivia, che ricorre spesso ai versi di Goethe (poeta sensuale) e la sanità spirituale e quasi mistica di Maria Ferres, colta, intelligente e sensibile all’arte e alla musica, legata alla famiglia ed in particolare alla figlia Delfina, molto religiosa, che nel corso del romanzo assume una natura quasi misteriosa, passionale, inafferrabile, ricorrendo ai versi di un poeta malinconico, quale Shelley. La contrapposizione tra le due si fa emblematica anche nel nome: la prima ricorda colei che fece scoppiare la guerra di Troia, la seconda la madre di Cristo. La donna, però, non deve essere concepita come un personaggio autonomo, ma piuttosto come lo specchio del conflitto interno dell’uomo, tormentato dalla volontà di autoaffermarsi e di dominare l’altro e dal fascino dei fantasmi di distruzione della propria potenza, rappresentati dalla donna. Questo appare palese nella deforme mistione cerebrale che Andrea fa tra le due donne: è un processo di identificazione, che conduce dapprima ad una sovrapposizione sentimentale e poi allo scambio dell’una con l’altra.


La struttura del romanzo


Il lessico utilizzato è conforme al comportamento ed all’educazione da esteta di Andrea Sperelli: pregiato, quasi artefatto, aulico e molto elaborato, in particolar modo nella descrizione degli ambienti e nell’analisi degli stati d’animo; si prendano ad esempio l’uso di parole tronche, o le forme arcaiche e letterarie, come nel caso di articoli e preposizioni articolate. Anche se l’eloquenza e la ricercatezza tendono ad appiattire il registro verbale, come succede per l’uso di metafore e comparazione che talvolta complicano ed intensificano momenti carichi di tensione. È naturale che la sintassi sia prettamente paratattica, in grado di rafforzare la tendenza all’elencazione, alla comparazione, all’anafora e che la prosa sia ricca, allusiva e musicale, tanto da assumere una funzione espressiva, non più comunicativa. Non dimentichiamo che D’Annunzio affida la narrazione delle vicende ad un narratore onnisciente in terza persona; che usa fare riferimenti ad opere letterarie ed artistiche per conferire un tono più elevato al romanzo, senza prescindere da vocaboli in inglese, francese e latino. In ultimo, per smorzare una narrazione generalmente statica, segnata da un’eccessiva narrazione che prevale sui dialoghi, e nel tentativo di coinvolgere l’autore, D’Annunzio fa uso del flashback.



ITALIA-CINA

ITALIA-CINA
PER L'ALLEANZA, LA COOPERAZIONE, L'AMICIZIA E LA COLLABORAZIONE TRA' LA REPUBBLICA ITALIANA E LA REPUBBLICA POPOLARE CINESE!!!