"La Politica è una cosa difficile, talvolta terribile, ma tuttavia umana! Anche nella Politica ci deve essere il disgusto, la pulizia! Non ci si può sporcare di fango, nemmeno per un'idea alta!"
(Boris Eltsin - "Il diario del Presidente")
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ROMA (ITALIA) - Quando la politica diventa solo propaganda, bisogna avere la forza e il coraggio di affermare la verità. Probabilmente uno degli errori più clamorosi che mi si possano imputare è proprio questo: ho sottovalutato la portata del fenomeno fake news. Per quale ragione? Forse per una forma di arroganza o di sopravvalutazione delle mie capacità comunicative. Pensavo di poter spiegare la verità, mi sono sempre fidato della realtà, quando invece contro di me hanno messo in campo strumenti di odio e di falsità. Ho dato per scontato che il mio racconto della verità sarebbe stato accolto e ho sottovalutato la loro capacità di raccontare bugie. Sia chiaro, non provo alcun rancore. Bisogna saper sorridere di tutto, anche di queste cose. Ho imparato a sorridere della colata di fango che mi è stata rovesciata addosso e non consentirò a chi mi ha massacrato mediaticamente di guastarmi il carattere: sono più forte delle menzogne che mi hanno cucito addosso e vado avanti. Ma so anche che in tanti hanno sofferto, a cominciare dalla mia famiglia, per l’odio gratuito con cui hanno investito la mia vita. Proviamo a fare mente locale. Non mi hanno accusato solo per l’aereo di Stato e per i sacchetti di plastica, ma sono diventati virali in rete video delle mie vacanze in Lamborghini a Ibiza a spese degli italiani, notizie su mio fratello portaborse, mia cugina imprenditrice, mia sorella raccomandata. Tutte false, ovviamente. E, ancora, i bambini africani dell’Unicef, i Rolex arabi, gli sms per i terremotati, le spese folli e altre folli accuse. Si prende una storia e, di condivisione in condivisione, la si rende virale. E quello che era un semplice boy scout di provincia diventa un gangster che si è montato la testa e vive nel lusso alle spalle dei cittadini. Manca una sola accusa: essere il mandante del mostro di Firenze. E magari qualcuno prima o poi farà girare anche questa: del resto sono stato eletto nel collegio che comprende anche Scandicci.
Il sorriso va bene come reazione di difesa personale, ma alla fine c’è ben poco da ridere. Il tema è serio, ha a che fare con la manipolazione della realtà ed è dunque una questione decisiva per ogni paese democratico che voglia dirsi e rimanere tale. Riflettere pacatamente sul problema non vuol dire abdicare al senso di giustizia, e in alcuni casi ritengo doveroso dare avvio ad azioni legali in sede penale e civile. Difendo senza remore il ruolo e la funzione dei giornalisti, ma penso che se qualcuno rilancia volutamente una campagna di diffamazione quasi persecutoria vada querelato o comunque sia giusto agire in sede civile per la quantificazione del danno. Ho scelto di farlo in una decina di casi per affermare un principio di civiltà giuridica. Ma resta il fatto che se dovessi perseguire tutti quelli che mentono su di me, di mestiere farei più processi di un cancelliere di tribunale. E comunque rimane l’odore del fango, che non va più via. La strumentalizzazione di notizie false su di me e sulle persone a me vicine resterà negli annali delle tecniche di propaganda e di character assassination. Non avevano nulla. Mi hanno passato al setaccio per anni, mi hanno seguito fin da quando ero sindaco, controllato i movimenti bancari, le vacanze, i mutui, le macchine, persino le sigarette che non fumo. E comunque non avevano niente per attaccarmi. Bel problema per chi voleva distruggere la mia immagine: alla fine hanno fatto prima. Hanno inventato. Tuttavia sarebbe miope pensare che la rilevanza del tema sia legata al solo piano personale, mentre è emergenza politica di enorme portata: da che mondo è mondo la propaganda è un modo di fare politica, un’arma di gestione del potere. E allora proviamo ad allargare il ragionamento. Oltre la mia persona, oltre il nostro paese. Estratto da: Matteo Renzi, Un’altra strada. Idee per l’Italia di domani, Marsilio (pp. 240, euro 16). In libreria dal 15 febbraio 2019.
Arriva in edicola e nelle librerie italiane il nuovo libro di Matteo Renzi, dal titolo “Un’altra strada: Idee per l’Italia di domani”. Un racconto spassionato dell’ex premier che analizza i frutti raccolti nel passato per presentare al futuro un nuovo modo di fare politica. Renzi analizza anche e soprattutto gli errori suoi, da quando era sindaco a Firenze 10 anni fa, passando per la segreteria del Partito Democratico e ancora il referendum ed infine ila disfatta del 4 marzo. Oggi Renzi non è segretario del Pd ed ha anche deciso di rinnovare la sua carriera debuttando in televisione con “Firenze secondo me”: quattro puntate dedicate alla città con l’ex premier a fare da Cicerone. Il libro serve proprio a certificare una nuova vita politica di Matteo Renzi, che risponde alle “fake news” e la macchina del fango: “Ho imparato a sorridere della colata di fango che mi è stata rovesciata addosso e non consentirò a chi mi ha massacrato mediaticamente di guastarmi il carattere”.
Amando definire «inimitabile» la sua vita, Gabriele D'Annunzio costruisce intorno a sé il mito di una vita come un'opera d'arte. Gabriele D'Annunzio nasce a Pescara il 12 marzo 1863 da famiglia borghese, che vive grazie alla ricca eredità dello zio Antonio D'Annunzio. Compie gli studi liceali nel collegio Cicognini di Prato, distinguendosi sia per la sua condotta indisciplinata che per il suo accanimento nello studio unito ad una forte smania di primeggiare. Già negli anni di collegio, con la sua prima raccolta poetica Primo vere, pubblicata a spese del padre, ottiene un precoce successo, in seguito al quale inizia a collaborare ai giornali letterari dell'epoca. Nel 1881, iscrittosi alla facoltà di Lettere, si trasferisce a Roma, dove, senza portare a termine gli studi universitari, conduce una vita sontuosa, ricca di amori e avventure. In breve tempo, collaborando a diversi periodici, sfruttando il mercato librario e giornalistico e orchestrando intorno alle sue opere spettacolari iniziative pubblicitarie, il giovane D'Annunzio diviene figura di primo piano della vita culturale e mondana romana.
Dopo il successo di Canto novo e di Terra vergine (1882), nel 1883 hanno grande risonanza la fuga e il matrimonio con la duchessina Maria Hardouin di Gallese, unione da cui nasceranno tre figli, ma che, a causa dei suoi continui tradimenti, durerà solo fino al 1890. Compone i versi l'Intermezzo di rime ('83), la cui «inverecondia» scatena un'accesa polemica; mentre nel 1886 esce la raccolta Isaotta Guttadàuro ed altre poesie, poi divisa in due parti L'Isottèo e La Chimera (1890). Ricco di risvolti autobiografici è il suo primo romanzo Il piacere (1889), che si colloca al vertice di questa mondana ed estetizzante giovinezza romana. Nel 1891 assediato dai creditori si allontana da Roma e si trasferisce insieme all'amico pittore Francesco Paolo Michetti a Napoli, dove, collaborando ai giornali locali trascorre due anni di «splendida miseria». La principessa Maria Gravina Cruyllas abbandona il marito e va a vivere con il poeta, dal quale ha una figlia. Alla fine del 1893 D'Annunzio è costretto a lasciare, a causa delle difficoltà economiche, anche Napoli. Ritorna, con la Gravina e la figlioletta, in Abruzzo, ospite ancora del Michetti. Nel 1894 pubblica, dopo le raccolte poetiche Le elegie romane ('92) e Il poema paradisiaco ('93) e dopo i romanzi Giovanni Episcopo ('91) e L'innocente ('92), il suo nuovo romanzo Il trionfo della morte. I suoi testi inoltre cominciano a circolare anche fuori dall'Italia. Nel 1895 esce La vergine delle rocce, il romanzo in cui si affaccia la teoria del superuomo e che dominerà tutta la sua produzione successiva. Inizia una relazione con l'attrice Eleonora Duse, descritta successivamente nel romanzo «veneziano» Il Fuoco (1900); e avvia una fitta produzione teatrale: Sogno d'un mattino di primavera ('97), Sogno d'un tramonto d'autunno, La città morta ('98), La Gioconda ('99), Francesca da Rimini (1901), La figlia di Jorio (1903). Nel '97 viene eletto deputato, ma nel 1900, opponendosi al ministero Pelloux, abbandona la destra e si unisce all'estrema sinistra (in seguito non verrà più rieletto). Nel '98 mette fine al suo legame con la Gravina, da cui ha avuto un altro figlio. Si stabilisce a Settignano, nei pressi di Firenze, nella villa detta La Capponcina, dove vive lussuosamente prima assieme alla Duse, poi con il suo nuovo amore Alessandra di Rudinì. Intanto escono Le novelle della Pescara (1902) e i primi tre libri delle Laudi: Maia, Elettra, Alcyone (1903). Il 1906 è l'anno dell'amore per la contessa Giuseppina Mancini. Nel 1910 pubblica il romanzo Forse che sì, forse che no, e per sfuggire ai creditori, convinto dalla nuova amante Nathalie de Goloubeff, si rifugia in Francia. Vive allora tra Parigi e una villa nelle Lande, ad Arcachon, partecipando alla vita mondana della belle époque internazionale. Compone opere in francese; al «Corriere della Sera» fa pervenire le prose Le faville del maglio; scrive la tragedia lirica La Parisina, musicata da Mascagni, e anche sceneggiature cinematografiche, come quella per il film Cabiria (1914). Nel 1912, a celebrazione della guerra in Libia, esce il quarto libro delle Laudi (Merope. il quinto, Asterope, sarà completato nel 1918 e i restanti due, sebbene annunciati, non usciranno mai). Nel 1915, nell'imminenza dello scoppio della prima guerra mondiale, torna in Italia. Riacquista un ruolo di primo piano, tenendo accesi discorsi interventistici e, traducendo nella realtà il mito letterario di una vita inimitabile, partecipa a varie e ardite imprese belliche, ampiamente autocelebrate. Durante un incidente aereo viene ferito ad un occhio. A Venezia, costretto a una lunga convalescenza, scrive il Notturno, edito nel 1921. Nonostante la perdita dell'occhio destro, diviene eroe nazionale partecipando a celebri imprese, quali la beffa di Buccari e il volo nel cielo di Vienna. Alla fine della guerra, conducendo una violenta battaglia per l'annessione all'Italia dell'Istria e della Dalmazia, alla testa di un gruppo di legionari nel 1919 marcia su Fiume e occupa la città, instaurandovi una singolare repubblica, la Reggenza italiana del Carnaro, che il governo Giolitti farà cadere nel 1920. Negli anni dell'avvento del Fascismo, nutrendo una certa diffidenza verso Mussolini e il suo partito, si ritira, celebrato come eroe nazionale, presso Gardone, sul lago di Garda, nella villa di Cargnacco, trasformato poi nel museo-mausoleo del Vittoriale degli Italiani. Qui, pressoché in solitudine, nonostante gli onori tributatigli dal regime, raccogliendo le reliquie della sua gloriosa vita, il vecchio esteta trascorre una malinconica vecchiaia sino alla morte avvenuta il primo marzo 1938.
Il futurismo ha una data di nascita precisa: il 20 febbraio 1909. In quel giorno, infatti, Marinetti pubblicò sul «Figaro», giornale parigino, il Manifesto del Futurismo. In questo scritto sono già contenuti tutti i caratteri del nuovo movimento. Dopo una parte introduttiva, Marinetti sintetizza in undici punti i principi del nuovo movimento. Noi vogliamo cantar l’amor del pericolo, l’abitudine all’energia e alla temerità. Il coraggio, l’audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia. La letteratura esaltò fino ad oggi l’immobilità pensosa, l’estasi e il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo e il pugno. Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità. Un automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo… un automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Vittoria di Samotracia. Noi vogliamo inneggiare all’uomo che tiene il volante, la cui asta ideale attraversa la Terra, lanciata a corsa, essa pure, sul circuito della sua orbita. Bisogna che il poeta si prodighi, con ardore, sfarzo e magnificenza, per aumentare l’entusiastico fervore degli elementi primordiali. Non v’è più bellezza, se non nella lotta. Nessuna opera che non abbia un carattere aggressivo può essere un capolavoro. La poesia deve essere concepita come un violento assalto contro le forze ignote, per ridurle a prostrarsi davanti all’uomo. Noi siamo sul promontorio estremo dei secoli!… Perché dovremmo guardarci alle spalle, se vogliamo sfondare le misteriose porte dell’Impossibile? Il Tempo e lo Spazio morirono ieri. Noi viviamo già nell’assoluto, poiché abbiamo già creata l’eterna velocità onnipresente. Noi vogliamo glorificare la guerra – sola igiene del mondo – il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertarî, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna. Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d’ogni specie, e combattere contro il moralismo, il femminismo e contro ogni viltà opportunistica. Noi canteremo le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa: canteremo le maree multicolori e polifoniche delle rivoluzioni nelle capitali moderne; canteremo il vibrante fervore notturno degli arsenali e dei cantieri incendiati da violente lune elettriche; le stazioni ingorde, divoratrici di serpi che fumano; le officine appese alle nuvole pei contorti fili dei loro fumi; i ponti simili a ginnasti giganti che scavalcano i fiumi, balenanti al sole con un luccichio di coltelli; i piroscafi avventurosi che fiutano l’orizzonte, le locomotive dall’ampio petto, che scalpitano sulle rotaie, come enormi cavalli d’acciaio imbrigliati di tubi, e il volo scivolante degli aeroplani, la cui elica garrisce al vento come una bandiera e sembra applaudire come una folla entusiasta.
In un altro suo scritto, Marinetti disse come doveva essere l’artista futurista. «Chi pensa e si esprime con originalità, forza, vivacità, entusiasmo, chiarezza, semplicità, agilità e sintesi. Chi odia i ruderi, i musei, i cimiteri, le biblioteche, il culturismo, il professoralismo, l’accademismo, l’imitazione del passato, il purismo, le lungaggini e le meticolosità. Chi vuole svecchiare, rinvigorire e rallegrare l’arte italiana, liberandola dalle imitazioni del passato, dal tradizionalismo e dall’accademismo e incoraggiando tutte le creazioni audaci dei giovani». L’adesione al futurismo coinvolse molte delle giovani leve di artisti, tra cui numerosi pittori che crearono nel giro di pochi anni uno stile futurista ben chiaro e preciso. Tra essi, il maggior protagonista fu Umberto Boccioni al quale si affiancarono Giacomo Balla, Gino Severini, Luigi Russolo e Carlo Carrà. Il movimento ebbe due fasi, separate dalla prima guerra mondiale. Lo scoppio della guerra disperse molti degli artisti protagonisti della prima fase del futurismo. Boccioni morì nel 1916 in guerra. Carrà, dopo aver incontrato De Chirico, si rivolse alla pittura metafisica e come lui, altri giovani pittori, quali Mario Sironi e Giorgio Morandi, i cui esordi erano stati da pittori futuristi. Nel dopoguerra il carattere di virile forza di questo movimento finì per farlo integrare nell’ideologia del fascismo, esaurendo così la sua spinta rinnovatrice e finire paradossalmente assorbito negli schemi di una cultura ufficiale e reazionaria. La sua rivalutazione sta avvenendo solo da pochi anni e solo dopo che soprattutto la storiografia inglese ha storicamente rivalutato questo fenomeno artistico.
Uno dei tratti più tipici del futurismo è proprio la grande produzione di manifesti. Attraverso questi scritti gli artisti dichiaravano i propri obiettivi e gli strumenti per ottenerli. Essi risultano, quindi, molto importanti per la comprensione del futurismo. Da essi è possibile non solo valutare le intenzioni degli artisti, ma anche in che misura le intenzioni si sono attuate nella loro produzione reale. Il primo manifesto sulla pittura futurista risale al 1910. A firmarlo furono Boccioni, Carrà, Russolo, Severini e Balla. In esso non si va molto oltre della semplici enunciazioni di principi che ricalcano gli obiettivi fondamentali del movimento.
La macchina è l’asse portante, è l’innovazione tecnologica di questo inizio secolo, è strumento di trasformazione della coscienza e della sensibilità umana. In questo inizio d’epoca che va anche sotto il nome di “Bella epoque” si registrano profondi mutamenti: Il 1905 è importante per il cinema – si gira “La presa di Roma” il primo film italiano a soggetto. Sempre in quest’anno fanno la prima apparizione: la macchina del caffè espresso l’orologio da polso l’aspirina, un miracoloso antinevralgico e antinfluenzale della Bayer.
L’avvocato di Voghera Enrico Marinetti, dopo aver sposato la milanese Amalia Grolli, si trasferisce ad Alessandria d’Egitto e si arricchisce notevolmente aprendo prima uno e poi diversi altri studi di civilista ad Alessandria e in altre città egiziane. Dalla coppia nascono due figli, Leone, il primogenito, e poi - il 22 dicembre 1876 - Filippo Tommaso. I ragazzi studiano in Egitto in scuole di lingua francese. Non appena i ragazzi hanno terminato gli studi liceali, forse per consentire loro di frequentare un’università italiana o forse perché ormai si era arricchita a sufficienza, la famiglia lascia l’Egitto e si trasferisce a Milano in via Senato 2, in un grande appartamento al primo piano della casa all’angolo con corso Venezia, tuttora esistente. L’appartamento viene arredato in stile moresco con oggetti acquistati in Oriente. I milanesi, colpiti dalle grandi disponibilità finanziarie dei Marinetti, sostengono malignamente che l’avvocato aveva fatto i soldi con la tratta delle bianche. Siamo nel 1893, Leone e Tommaso si iscrivono, su insistenza del padre, alla facoltà di giurisprudenza dell’Università di Pavia, ma l’improvviso cambiamento di clima provoca ben presto una terribile tragedia. Leone, già sofferente di reumatismi, viene colpito da una forma acuta di artrite che gli danneggia il cuore e lo uccide. Per evitare altre tragedie, Tommaso viene mandato a studiare a Genova dove si laurea nel 1899. Tornato a Milano, Tom (così infatti era chiamato in famiglia) inizia a frequentare letterati e critici come Giovanni e Francesco Pozza, Sem Benelli, Guido da Verona e Umberto Notari. Il suo interesse va però prevalentemente a quanto sta succedendo a Parigi, fucina dei nuovi movimenti artistici “simbolista” e “umanista”. A Parigi pubblica nel 1902 un poema epico, La Conquête des Étoiles, che inizia a far circolare il suo nome in quell’ambiente, seguito a due anni di distanza da Destruction, sempre in francese. Nel frattempo muore la madre. I due maschi superstiti, padre e figlio, decidono di dividere in due parti il grande appartamento di via Senato per acquistare entrambi una maggiore libertà d’azione, specialmente in caso di avventure galanti. Tom però non pensa solo alle donne e decide di utilizzare il suo nuovo spazio per avviare un’iniziativa editoriale di prestigio che gli consenta di essere maggiormente conosciuto in Italia e all’estero. Fonda perciò nel 1904 una rivista letteraria dal nome molto sintetico e diretto - “Poesia” - il cui primo numero esce nel gennaio 1905. E’ una pubblicazione molto elegante, dal formato grande, quasi quadrato, stampata su una splendida carta a mano a caratteri grandi. La copertina, che cambia colore ad ogni numero, è disegnata dall’incisore Alberto Martini di Oderzo. Vi compare raffigurata una rupe che si leva su un piano coperto di sozze figure striscianti nel fango. Sulla vetta una figurina di donna nuda (la Poesia) con in mano un arco che ha colpito con una freccia il mostro padre-madre che sta allattando un mostriciattolo. Non abbiamo purtroppo riferimenti espliciti sul significato preciso del mostro a tre teste in lotta con la Poesia. Le illustrazioni nelle pagine interne della rivista sono molto scarse. Compaiono di tanto in tanto dei ritratti a penna realizzati da Ugo Valeri. La rivista doveva uscire ogni mese al prezzo di una lira per numero. Di fatto usciranno molti numeri doppi o tripli ma di notevole spessore per compensare gli abbonati. La rivista, che porta il sottotitolo di “Rassegna internazionale” contiene realmente molti contributi poetici stranieri, soprattutto francesi e mira principalmente a sprovincializzare l’ambiente letterario italiano, seguendo un filone tipicamente milanese, inaugurato mezzo secolo prima da Carlo Cattaneo e Carlo Tenca. Malgrado la violenta copertina, mancano invece gli accenti polemici, anzi, Marinetti mira soprattutto a farsi accettare da tutti gli ambienti letterari italiani ai quali la pubblicazione è diretta ed è molto scrupoloso nell’assicurarsi la presenza di ciascuna delle diverse tendenze. Sulla copertina dei primi sette numeri figurano come direttori, oltre a Marinetti, anche Sem Benelli e Vitaliano Ponti, ma la loro collaborazione cesserà a partire dal n. 8 del 1906. Comunque il lavoro organizzativo è assicurato da due fedelissimi di Marinetti, Elisa Spada per la parte amministrativa e Decio Cinti per quella redazionale. Pur impegnato in questa iniziativa, Marinetti continua a tenere strette relazioni con Parigi dove nel 1905 viene pubblicata e rappresentata la sua prima opera teatrale, la tragedia satirica Roi Bombace (Re Baldoria). Il dramma è dedicato “Ai grandi cuochi della felicità universale: Filippo Turati, Enrico Ferri e Arturo Labriola”. Marinetti aveva partecipato ai grandi comizi di Milano svoltisi in occasione dello sciopero generale del settembre 1904 e ne aveva tratto una sua filosofia sociale che vedeva il mondo diviso “tra chi mangia troppo e chi mangia troppo poco”. Qualsiasi rivoluzione comunque avrebbe riportato le cose, prima o dopo, a questo punto di partenza. Milano in questi anni sta attraversando un periodo di grande travaglio politico. Le lotte sociali portano nel 1906 alla formazione della Confederazione Generale del Lavoro e della Lega degli industriali. Cominciano a circolare “gli automobili” (allora si usava il maschile) e i primi aeromobili. Il traforo del Sempione e molte altre innovazioni tecnologiche esplodono nell’Esposizione internazionale del 1906 al Parco Sempione. L’Umanitaria, forte dei milioni ereditati da Moisè Loria, costruisce il Quartiere Solari, il primo esempio moderno di edilizia popolare mentre al Teatro Dal Verme la borghesia è estasiata dalla Vedova allegra di Franz Lehar. Il 1906 è anche l’anno dello scandalo seguito alla pubblicazione del romanzo Quelle signore di Umberto Notari accusato di oltraggio al pudore. Marinetti interviene al processo come esperto per attestare il carattere artistico dell’opera, mentre tra gli avvocati difensori si mette in luce Cesare Sarfatti, un socialista veneziano da poco arrivato a Milano con la moglie Margherita (vedi in questo sito), grande appassionata d’arte. E’ il preludio ad un secondo processo, ancora più famoso, che toccherà direttamente Marinetti nel 1910.
Il primo gruppo di poeti
Tra i primissimi collaboratori di “Poesia” vanno ricordati soprattutto due poeti, che sono ancora oggi figure di primo piano della letteratura italiana del Novecento: Gian Pietro Lucini (vedi schede ) e Paolo Buzzi (vedi schede ). Gian Pietro Lucini nasce a Milano nel 1867 e rappresenta un ponte tra la seconda Scapigliatura milanese e le nuove tendenze di rottura del nuovo secolo. Gravemente ammalato di tubercolosi ossea che lo aveva costretto a farsi amputare una gamba, Lucini è un personaggio anomalo nell’ambiente milanese, fortemente critico nei confronti della cultura ufficiale. L’incontro con Marinetti lo spinge verso un maggiore sperimentalismo che sfocerà nella sua proposta del Verso libero, prima pietra fondamentale della futura poesia futurista. Paolo Buzzi, nato nel 1874 e quasi coetaneo di Marinetti, diventa ben presto molto amico dell’estroso poeta di Alessandria. Laureato in legge e poi avvocato. Entra quasi subito nell’Amministrazione Provinciale di Milano e inizia una brillante carriera di funzionario che lo porterà in pochi anni a ricoprire la carica di Primo Segretario. Con Marinetti inizia una doppia vita che lo vedrà impeccabile funzionario di giorno e (prudentemente) scatenato futurista di notte. Nel 1907 muore il padre di Marinetti e l’appartamento di via Senato 2 viene riunito. In quell’occasione Marinetti fa togliere dalla casa tutti gli specchi compreso quello dello sportello di un grande armadio che viene sostituito con un pannello decorato. Aveva infatti il terrore degli specchi rotti tanto che in viaggio portava con sè soltanto uno specchio di acciaio. Grazie alla maggiore disponibilità economica acquisita in seguito all’eredità, Marinetti può allargare le attività della rivista, della quale diventa caporedattore l’amico Buzzi. Per aggregare nuove voci attorno al ristretto gruppo degli amici iniziali, organizza concorsi per giovani poeti. Il premio per il migliore libro di versi era di L. 3000, una cifra molto elevata che corrisponde a più di 50 milioni di oggi. La prima gara è vinta da Emilio Zanetti, la seconda da Enrico Cavacchioli (vedi scheda) con L’incubo velato. I testi vincenti vengono pubblicati dalla stessa rivista che inizia così una propria attività editoriale. I libri avevano copertine semplici senza fronzoli, destinate a colpire con il titolo. A partire dal 1907 uno dei compiti principali della rivista diventa quello di pubblicizzare, anche mediante brevi anticipazioni, le nuove pubblicazioni e principalmente quelle di Lucini, di Buzzi e di Cavacchioli.
Muore la rivista e nasce il nuovo
Movimento futurista
Nella primavera del 1908, Marinetti accetta l’invito a partecipare ad una manifestazione irredentista a Trieste dove porta tutto il suo entusiasmo e la sua euforia. Al suo ritorno a Milano decide di prendere la patente di guida e di acquistare un automobile. Alla prima uscita da Milano capita però un incidente che poteva essere molto grave, ma che è ritenuto da Marinetti il fattore scatenante grazie al quale nascerà il movimento futurista. L’episodio è riportato nel testo del celebre Manifesto del Futurismo pubblicato in francese sul giornale “Figaro” del 20 febbraio 1909 e ripubblicato da “Poesia” nel numero 1-2 dello stesso anno (vedi Appendice). Nel Manifesto l’episodio è raccontato con molte “licenze poetiche”. Un racconto più veritiero anche se espresso nel suo geniale linguaggio futurista ce lo fornisce lo stesso Marinetti nel suo ultimo libro, La grande Milano tradizionale e futurista: Non sono versi liberi ma parole in libertà i ruggiti del tubo di scappamento della mia centocavalli che senza sapere guidare guido in vie deserte o spaventate fin in Piazza d'Armi Velocità crescente e impeto del motore che vuole strapparmi il volante dalle mani mie fragili di poeta Nessuno davanti al mio slancio ed è un inaspettato lirismo che spalanca orizzonti sbaraglia a destra e a sinistra caseggiati che il sogno sonno immensifica Rasentare un canale di fangosa acqua d'officina e scorgere a 100 metri due incauti ciclisti già promessi alla furente ingordigia delle mie ruote ed eccomi pietoso al punto di rosicchiare colle mie ruote di destra l'orlo del fosso mentre ricordo d'aver letto la morte del mio amico Simon parigino sventratosi in un rovesciamento d'automobili Istintivamente per questo scarto il mio ventre dal volante quando sento planetariamente capovolgersi lenta meno lenta prestissimo la mia centocavalli su me Tattilismo olfattivo di mota bava mentastri petrolio untume forfora sudori olio benzina sterpi fieno moscaio formicaio scorie limature carbone con il corpo inerte di 80 chili del meccanico a caldo liquido premente sempre più quintale Atroce impasto che spera dispera E sotto sotto sotto torcersi di una seconda imbottitura tattile di plumbeo destino che ha sapore-odore di aceto melassa spinaci in bocca e nei bronchi catarri a furente tubo di scappamento e acidi gas fischianti corpo a corpo collo smisurato cetaceo ruote all'aria roteanti Pesantissimo cielo che mi schiaccia coi suoi blocchi di cobalto No no no no non dilaniarmi la schiena Faticosamente a rantoli mentre operai accorrono - Prest prest ciapa i cord che se dev tirà su i reud prima che el motor ciapa feug Giovan porta el cric e i cord - Sunt mort sotta prest tira su Mi estraggono straccio fangoso elettrizzato da una gioia acutissima che collauda con spasimosi rigurgiti di orgoglio volitivo il Futurismo Orestano la definirà giustamente poesia ad ogni costo ... (da La grande Milano..., p. 88) Salvo per miracolo e medicato alla meglio, parte per un lungo viaggio in Europa al ritorno dal quale, l’11 ottobre 1908, riesce a racchiudere le sue idee in un’unica parola: Futurismo. Il primo nome che aveva pensato per il movimento era “elettricismo”, ma temeva che li avrebbero chiamati “elettricisti”. Poi “dinamismo”, ma anche questo non era proprio soddisfacente. Il fatto che sia stato pensato il giorno 11 ci ricorda inoltre che questo numero, e i suoi multipli, era considerato “fausto” da Marinetti. Molte sue successive pubblicazioni, e soprattutto i vari Manifesti, portano infatti la data dell’11. (Manifesti futuristi on line ) Il manifesto del nuovo movimento, come si è detto, verrà pubblicato per la prima volta da “Le Figaro” il 20 febbraio 1909. In realtà doveva essere pubblicato prima dalla rivista “Poesia”, ma il terremoto di Messina (28 dicembre 1908) lo convince a rinviare l’annuncio di un mese perché l’attenzione di tutti era concentrata in quel momento sul tragico avvenimento. Una preoccupazione superflua perché nessun giornale in Italia registra la nuova iniziativa culturale che fu del tutto ignorata dall’opinione pubblica. Solo alcuni letterati entusiasti vi aderiscono e inviano alla rivista il loro plauso e le loro opere. Il gruppetto iniziale di poeti si arricchisce così di nuovi nomi, tra i quali troviamo Aldo Palazzeschi, Luciano Folgore, Auro d’Alba e Libero Altomare. Anche i poeti del vecchio gruppo, come rinvigoriti dalla nascita del movimento, pubblicano in quest’anno alcune delle loro opere migliori. Paolo Buzzi pubblica Aeroplani, Enrico Cavacchioli Le ranocchie turchine, Gian Pietro Lucini Revolverate.Quest’ultimo titolo viene suggerito a Lucini da Marinetti che lo convince ad accettarlo dopo molte insistenze e sapienti “ruffianerie”. Sarà però l’ultima volta che Lucini si farà convincere. Staccatosi dal movimento in disaccordo con la violenta requisitoria contro gli amati musei e biblioteche, Lucini si ritira a Breglia sul lago di Como dove muore nel 1914 a soli 47 anni. Marinetti dal canto suo pubblica a Parigi il suo libro più famoso: Mafarka le Futuriste. Con il 1909 la rivista cessa le pubblicazioni e si trasforma in Casa editrice mentre il movimento futurista, che all’estero aveva già cominciato a suscitare un certo interesse, si prepara a decollare.
Il Futurismo
Il 1910 è l’anno del trionfo futurista. In gennaio Marinetti conosce Umberto Boccioni che porta nel gruppo anche gli amici Luigi Russolo e Carlo Carrà, con i quali frequentava il Caffè del Centro in via Carlo Alberto. Sempre attraverso Boccioni entreranno nel movimento anche il suo maestro Balla che stava a Roma e l’amico Severini che risiedeva da qualche anno a Parigi. Il nuovo gruppo firma l’11 febbraio il Manifesto dei pittori futuristi che viene stampato e diffuso in migliaia di copie. Marinetti intanto, dall’inizio dell’anno ha avviato il programma delle “Serate futuriste”, una serie di interventi provocatori in alcuni dei maggiori teatri italiani per scuotere l’opinione pubblica ed arrivare finalmente a far parlare i giornali del Futurismo. Il programma inizia il 12 gennaio dal Politeama di Trieste. Il 15 febbraio al Teatro Lirico di Milano Palazzeschi (vedi scheda) declama le poesie Fontana malata (vedi testo on line) e L’orologio, ma il putiferio si scatena alla lettura delle liriche di Paolo Buzzi scritte in onore del tenente generale Asinari di Bernezzo, che era stato messo a riposo per punizione dopo un suo violento discorso antiaustriaco. La rissa dentro e fuori il teatro non si verifica quindi per motivi estetici, ma tra persone favorevoli o contrarie alle lotta per la liberazione di Trento e Trieste. Paolo Buzzi in ogni caso, per la carica pubblica che ricopriva, deve tenersi prudentemente tra le quinte. Il programma delle manifestazioni futuriste continua l’8 marzo al Teatro Chiarella di Torino dove Boccioni declama il Manifesto dei pittori futuristi al quale seguirà l’11 aprile un testo più dettagliato: il Manifesto tecnico della pittura futurista. Le manifestazioni pubbliche si concludono con uno spettacolare lancio di volantini dalla Torre dell’Orologio in piazza San Marco a Venezia. Il volantino, intitolato Contro Venezia passatista è una violenta requisitoria contro la mentalità tradizionalista. Ormai il movimento è lanciato. In una piccola sezione di una mostra organizzata dalla Famiglia artistica a Milano compaiono in pubblico i primi quadri futuristi di Boccioni, Carrà e Russolo, tra i quali spicca Una baruffa, poi intitolato Rissa in galleria (Brera, Collezione Jesi), ancora post-impressionista nella tecnica ma già influenzato dal Futurismo nella ricerca del movimento e nel soggetto che racconta uno scontro avvenuto realmente tra pacifisti e nazionalisti. Balilla Pratella completa il quadro scrivendo il Manifesto dei musicisti tecnici, pubblicato l’11 gennaio 1911. La campagna pubblicitaria a favore del Futurismo è degnamente completata dal processo che si apre l’8 ottobre 1910 contro la traduzione italiana del romanzo Mafarka il Futurista di Marinetti, accusato di oltraggio al pudore. Luigi Capuana interviene come tecnico citando una serie di classici licenziosi a dimostrazione della possibilità di convivenza tra arte ed erotismo. Tra gli avvocati spicca anche in questo caso Cesare Sarfatti, che tramite la moglie Margherita (amica, forse amante, di Boccioni) aveva ormai allacciato stretti legami con i futuristi. La stampa dà grande risalto al processo che si conclude con un’assoluzione in primo grado, seguita da una condanna a due anni e mezzo con la condizionale in Appello e in Cassazione.
Il trasloco da via Senato 2 alla Casa Rossa
Nel 1911 Marinetti trasloca da via Senato in un appartamento al primo piano della Casa Rossa, la grande casa dei fratelli Ciani decorata con modanature e rilievi in cotto di soggetto risorgimentale. Si trovava al numero 61 di corso Venezia, all’angolo con via Boschetti. Demolita nel 1928, è stata sostituita da un grande palazzo moderno che porta oggi il numero 37. Qui vengono trasportati anche tutti gli arredi orientali della famiglia compreso il grande armadio ormai privo dello specchio. E’ proprio durante questo trasloco che Balla vede l’armadio e si offre di ridecorarne il pannello di legno. Oggi questo celebre armadio appartiene ad una collezione americana. Ormai il Futurismo è un caso nazionale. Il 30 aprile in un padiglione dismesso della ditta Ricordi si apre la Prima esposizione d’arte libera con 50 quadri futuristi di Boccioni, Carrà e Russolo. Boccioni espone Care puttane (La retata, Coll. privata) che solleva uno scandalo per il titolo. Espone anche uno dei suoi quadri più noti, La risata (New York, Museum of Modern Art) (vedi l'interpretazione del quadro), che viene sfregiato da un visitatore e parzialmente ridipinto. La mostra solleva moltissime critiche denigratorie dal parte della critica tradizionale, accolte con viva soddisfazione dal gruppo, ma anche critiche spiacevoli. Il pittore toscano Ardengo Soffici li critica pesantemente sulla “Voce” del 22 giugno accusandoli di provincialismo e di non conoscere il cubismo, il movimento artistico più interessante sorto in quegli anni in Europa. “... [i dipinti futuristi] non rappresentano in nessun modo una visione d’arte personalissima come forse crede qualche intrepido gazzettiere. No. Sono anzi sciocche e laide smargiassate di poco scrupolosi messeri, i quali vedendo il mondo torbidamente, senza senso di poesia, con gli occhi del più pachidermico maialaio d’America, voglion far credere di vederlo fiorito e fiammeggiante, e credono che lo stiaffar colore da forsennati su un quadro di bidelli d’Accademia, o il ritirare in piazza il filacciume del divisionismo, questo morto errore segantiniano, possa far riuscire il loro gioco al cospetto della folla babbea.” La reazione è rabbiosa. Viene organizzata una spedizione punitiva a Firenze che viene così descritta da Carrà nelle sue memorie: “Giunti, ci recammo guidati da Palazzeschi al Caffè delle Giubbe Rosse, dove sapevamo di trovare il gruppo vociano. Ben presto infatti ci fu indicato Soffici e Boccioni lo apostrofò: E’ lei Ardengo Soffici? alla risposta affermativa volò uno schiaffo. Soffici reagì energicamente tirando colpi a destra e a sinistra col suo bastone. In breve il pandemonio fu infernale: tavolini che si rovesciavano trascinando con sè i vassoi carichi di bicchieri e di chicchere, vicini che scappavano gridando, camerieri che accorrevano per ristabilire l’ordine; e arrivò anche un commissario di polizia che si interpose facendo cessare la mischia.” L’ostilità tra i futuristi e i vociani perdurerà ancora per due anni e si placherà solo quando alcuni vociani usciranno dalla rivista per fondare “Lacerba”. La critica però ha toccato un tasto dolente che induce i pittori futuristi a prendere atto del cubismo e ad abbandonare le ultime tracce di divisionismo ancora largamente presenti. Boccioni avvia la preparazione degli Stati d’animo, che alcuni ritengono il suo capolavoro. Anche Marinetti, sull’onda del successo-scandalo della pittura futurista, rilancia con Uccidiamo il chiaro di luna (vedi testo on line) e il Manifesto tecnico della letteratura futurista (vedi testo on line) più avanzate proposte letterarie. Il gruppo dei poeti è cresciuto ed è ormai possibile pubblicare l’antologia I poeti futuristi che raccoglie il meglio della loro produzione. Intanto anche la politica italiana sta diventando sempre più “futurista”, vale a dire nazionalista e guerrafondaia. In settembre inizia la spedizione in Libia alla quale si aggrega Marinetti come corrispondente del giornale parigino “L’intransigeant”. L’assenza di Marinetti da Milano consiglia di spostare all’anno successivo la grande mostra d’arte che si voleva organizzare a Parigi e che verrà inaugurata alla galleria Berheim Jeune nel febbraio del 1912. La mostra è accompagnata da un’importante prefazione scritta da Boccioni, Carrà, Russolo, Balla e Severini, nella quale si sottolineano le differenze rispetto al cubismo, che non conosce il dinamismo. Boccioni espone La città che sale, (New York, Museum of Modern Art, bozzetto al CIMAC, Coll. Jesi), dipinto nel 1910-11, il primo suo quadro che cerca di attuare pienamente il programma futurista, gli Stati d’animo (CIMAC, New York), Visioni simultanee (Wuppertal, Var der Heydt Museum), La strada entra nella casa (Hannover, Sprengler Museum) tutti dipinti nel 1911. Lasciata Parigi, la mostra si sposta in tutte le principali città europee - Londra, Berlino, L’Aja, Amsterdam, Monaco, Amburgo - diffondendo sempre più il vangelo futurista, che ha già raggiunto l’arte della fotografia e che presto si estenderà alla scultura, al teatro e alla danza. La poesia futurista, superato il verso libero che sembra ormai troppo tradizionalista, scopre le “parole in libertà” una tecnica dove arte e poesia si fondono in un collage di parole e simboli disposti liberamente sul foglio. Carrà nel 1913 arriva a pubblicare La pittura dei suoni, rumori e odori (vedi il testo on line), dove tutto si mescola nel più assoluto disordine.
Dall’arte alla politica
Finita la guerra di Libia, una ben più grave tempesta si sta profilando all’orizzonte, non solo per l’Italia. L’anno 1914 segna per il movimento futurista il passaggio dalle teorie estetiche all’intervento politico. In quest’anno Balla, Carrà, Marinetti, Piatti, Russolo e Boccioni pubblicano il manifesto: Sintesi futurista della guerra. In settembre Marinetti, Boccioni e altri seguaci del movimento vengono arrestati durante una manifestazione interventista e restano per cinque giorni in carcere perché avevano bruciato in piazza del Duomo otto bandiere austriache. Nel febbraio del 1915 Marinetti è nuovamente arrestato a Roma durante una manifestazione interventista davanti al Parlamento. Con lui viene arrestato Mussolini, che Marinetti aveva conosciuto socialista nel salotto della Sarfatti in corso Venezia e che ora da qualche mese aveva rotto con i socialisti e si era lanciato in una campagna per l’intervento. I due si trovano ora a fianco nella stessa lotta, che li vedrà ancora in guardina assieme in aprile in seguito ai disordini scoppiati durante un’altra delle tante manifestazioni interventiste che si susseguono in tutta l’Italia. Quando finalmente l’Italia decide di intervenire nel conflitto, Marinetti, Sant’Elia, Boccioni, Russolo, Carrà, Funi, Erba, Sironi e Piatti si arruolano nel “Battaglione lombardo volontari ciclisti” e partono per il fronte. In settembre passano negli alpini o in fanteria. La sorte disporrà molto diversamente per ciascuno di loro. Boccioni, tornato dal fronte in dicembre, utilizza i primi mesi del 1916 per sperimentare un nuovo tipo di pittura, molto lontana dal Futurismo. Dipinge il Ritratto del maestro Ferruccio Busoni (Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna), il Ritratto della Signora Busoni II (CIMAC) e il suo ultimo olio, la Natura morta (CIMAC) dove è evidente l’influsso di Cézanne. Richiamato alle armi in luglio, muore a Verona il 16 agosto in seguito a una caduta da cavallo. Carrà, arruolatosi pieno di entusiasmo per la guerra, dopo molte peripezie burocratiche finisce col prestare servizio presso l’ospedale di Ferrara dove conosce De Chirico, Savinio e De Pisis assieme ai quali elabora la “pittura metafisica”, uno stile artistico agli antipodi del futurismo. Antonio Sant’Elia, il giovane e geniale architetto che si era rivelato con una serie di disegni nel maggio del 1914, muore sul campo di battaglia il 10 ottobre 1917, a soli 29 anni. Luigi Russolo viene ferito sul Monte Grappa. Anche Marinetti viene ferito nel 1917 durante la battaglia del Kuk. Ritorna però a combattere, partecipando all’ultima campagna di Vittorio Veneto che pone termine alla guerra, dove prenderà una seconda medaglia al valore. Tornato a Milano, scrive il Manifesto del partito futurista italiano che dà il via alla fondazione dei Fasci futuristi a Ferrara, Firenze, Roma e Taranto. I legami con Mussolini “il rivoluzionario” in questo periodo si fanno sempre più stretti fino alla storica manifestazione del 23 marzo 1919 nel palazzo di piazza San Sepolcro, alla quale Marinetti interviene con un discorso. In seguito Marinetti sarà ancora presente nella cosiddetta “battaglia di via Mercanti” del 15 aprile, culminata con l’assalto alla redazione dell’Avanti! e nel maggio successivo ospiterà nella sua casa di corso Venezia il primo nucleo milanese degli Arditi fondato da Ferruccio Vecchi, malgrado le proteste dei condomini e delle sue vecchie cameriere. E’ candidato (con Arturo Toscanini e altri uomini di cultura) nella lista del Partito fascista alle elezioni politiche del 16 novembre 1919, ma la lista ottiene pochissimi voti e Marinetti torna alla letteratura. Cerca di riprendere le pubblicazioni di “Poesia”, ma ormai è passato il tempo dei dibattiti letterari e l’impresa si ferma al primo numero. Ormai il futurismo è un movimento d’avanguardia come molti altri, che non solleva più un eccessivo scandalo, ma può esplorare molte direzioni espressive grazie anche all’ingresso in campo di nuove leve come Fortunato Depero e altri. Nel 1925, in un’Italia ormai “pacificata” da Mussolini, Marinetti si traferisce con la moglie a Roma dove vivrà per il resto della sua vita con le figlie Vittoria, Ala e Luce, ricevendo persino nel 1929 il titolo, paradossale, di Accademico d’Italia. Lo spirito futurista però non si è affatto spento, e soprattutto la passione per la guerra. Dal 22 ottobre 1935 all’aprile 1936, alla bella età di 60 anni, partecipa come volontario alla guerra d’Etiopia e durante la seconda guerra mondiale, tra il 1942 e il 1943, trascorre alcuni mesi con l’esercito italiano in Russia. Rientrato in Italia, trascorre l’inverno tra il 1943 e il 1944 a Venezia dove scrive un libro di rievocazioni del suo glorioso passato milanese: La grande Milano tradizionale e futurista, pubblicato dopo la guerra. Nell’agosto del 1944 si traferisce a Cadenabbia e poi a Bellagio dove muore colpito da infarto il 2 dicembre dello stesso anno. Pochi giorni dopo si svolgono a Milano i funerali solenni con un grande concorso di cittadini che accompagnano il poeta fino al Cimitero Monumentale dove viene sepolto. Interpretando questo episodio come un omaggio al fascismo da parte della città, Mussolini decide di tenere il 16 dicembre al Teatro Lirico quello che sarà il suo ultimo comizio politico.
Bibliografia
Sul web c'è un numero enorme di siti dedicati al Futurismo. Ne abbiamo scelto alcuni:Vedi anche questo grande sito sul Futurismo in inglese. Belloli, Carlo (a cura di), Aspetti inediti e meno noti del futurismo in Lombardia, fascicolo speciale della "Martinella", XXX, fasc. I-II, gennaio-febbraio 1976 Borghese, Alessandra, Intorno al futurismo, Roma, Leonardo-De Luca Illuminato, Sergio 1991 Carrà, Carlo, La mia vita, Milano, Feltrinelli 1981 Coen, Ester, Futurismo, allegato n. 2, maggio 1986, di "Art e dossier" Grimoldi, A., Il folle palazzo Fidia, in "Ottagono", n. 58, settembre 1980 Marinetti, Filippo, La grande Milano tradizionale e futurista, Milano, Tommaso Mondadori 1969 (Opere di F.T. Marinetti, vol. III-IV) (Brera T 69 D 174) Marinetti e Fillia, La cucina futurista, Milano, Longanesi 1986 (Brera Coll. It. P 425/135) Ravegnani, Giuseppe (a cura di), Poeti futuristi, Milano, Nuova Accademia, 1963 Vaccari, Walter, Vita e tumulti di Marinetti, Milano, Omnia 1959 (Brera Coll. It. P 157/2) Verzotti, Giorgio, Boccioni. Catalogo completo, Firenze, Cantini 1989 La raccolta completa di "Poesia" dal 1905 al 1909 più il numero unico del 1920 si trova a Brera con la collocazione Per 818.
Il piacere è un romanzo di Gabriele d'Annunzio, scritto nel 1888 e pubblicato nel 1889. Così come un secolo prima Le ultime lettere di Jacopo Ortis di Ugo Foscolo aveva diffuso in Italia la corrente e la sensibilità romantica, Il piacere e il suo protagonista Andrea Sperelli introducono nella cultura italiana di fine Ottocento la tendenza decadente e l'Estetismo. Come affermò Benedetto Croce, con d'Annunzio "risuonò nella letteratura italiana una nota, fino ad allora estranea, sensualistica, ferina, decadente", in contrapposizione al naturalismo ed al positivismo che in quegli anni sembravano aver ormai conquistato la letteratura italiana, con la pubblicazione del Mastro-don Gesualdo di Giovanni Verga. Per uscire dai canoni del naturalismo, d'Annunzio inaugura un tipo di prosa psicologica, che avrà in seguito un grande successo e gli permetterà di indagare gli errori e le contrarietà della vita dell'"ultimo discendente d'una razza intellettuale".
Il contesto storico
Nel 1876 cade la Destra storica che aveva governato l'Italia dalla formazione del Regno nel 1861. Il re chiama al governo Agostino Depretis, un ex-mazziniano che forma un ministero con uomini della Sinistra parlamentare, tenendo il potere fino al 1887. A Depretis succede Francesco Crispi, che governa, a fasi alterne, fino al '96. Politica economica della Sinistra: protezionismo delle industrie e delle grandi aziende agrarie nazionali, fino alla guerra doganale con la Francia. Politica estera: 1882: Triplice Alleanza, a carattere difensivo, con Austria e Germania. Inaugurazione di una politica coloniale, con l'occupazione dell'Eritrea sfociata nella sconfitta di Dogali del 1887. Governo Crispi: nuovo codice penale - codice Zanardelli - che abolisce la pena di morte;azione repressiva nei confronti delle associazioni cattoliche e del movimento operaio; ulteriore spinta al protezionismo; rigida applicazione del trattato di alleanza con Austria e Germania; ripresa della politica coloniale: 1889 trattato di Uccialli e costituzione della colonia Eritrea. I fatti qui citati si collocano nel pieno della "grande depressione" economica che colpì l'Europa alla fine del secolo scorso. Il periodo fu caratterizzato da alcuni mutamenti nella struttura socio-economica delle grandi nazioni occidentali: concentrazioni industriali e finanziarie (trust, monopoli) sostenute dallo Stato (protezionismo); conseguente crisi del liberalismo e nascita di nuove tendenze autoritarie. Queste tendenze si scontrano con le conquiste sociali precedentemente ottenute dalle classi lavoratrici e con la conseguente formazione di grandi partiti di massa (socialisti e socialdemocratici), che diventano la struttura portante della società industriale. In questa situazione, artisti e intellettuali scelgono spesso una collocazione divergente o di autoemarginazione dalle masse, dalla vita "ordinaria" promossa dal nuovo modello produttivo capitalistico, e dalla mercificazione dell'opera d'arte, assumendo atteggiamenti accentrici ed elitari, o provocatori e demistificanti.
Il protagonista: Andrea Sperelli
“Egli era per così dire tutto impregnato d’arte, […] poté compiere la sua straordinaria educazione estetica sotto la cura paterna, […]. Dal padre appunto ebbe il culto delle cose d’arte, il culto spassionato della bellezza, il paradossale disprezzo de’ pregiudizi, l’avidità del piacere. […] fin dal principio egli fu prodigo di sé; poiché la grande forza sensitiva, ond’egli era dotato, non si stancava mai di fornire tesori alle sue prodigalità. Ma l’espansione di quella forza era in la distruzione di un’altra forza, della forza morale che il padre stesso non aveva ritegno a reprimere. [...] Il padre gli aveva dato, tra le altre, questa massima fondamentale: bisogna fare la propria vita come un’opera d’arte. Bisogna che la vita d’un uomo d’intelletto sia opera di lui. La superiorità vera è tutta qui”. Il protagonista del romanzo è un esteta - come il Barone Des Esseintes di Joris Karl Huysmans o il Dorian Gray di Oscar Wilde - che, seguendo la tradizione di famiglia, ricerca il bello e disprezza il mondo borghese, conduce una vita eccezionale, vive la sua vita come un’opera d’arte e rifiuta le regole basilari del vivere morale e sociale. La sua sensibilità straordinaria implica, però, una certa corruzione, evidente nella sadica sovrapposizione delle due donne, corruzione che fa parte di quella necessità ideologica e psicologica del dandy, cagionata anche dalla Roma corrotta e lussuriosa. Anche se Andrea Sperelli la vive non senza un’intima sofferenza, dovuta dalla degradazione di quella forza morale, della sua personalità, perché le massime paterne presumono uno spirito forte, che domini le proprie debolezze. Questo suo atteggiamento ha, dunque, una ragione più profonda. Infatti, ha vissuto la separazione dei genitori, la madre ha anteposto l'amante al figlio e il padre lo ha spinto verso l'arte, l'estetica e gli amori e le avventure facili. È forse per questa infanzia che Andrea passa da una storia all'altra, senza nessun rimpianto o amarezza, che studia cinicamente e accuratamente ciò che dovrà dire ad una donna per sedurla ed ottenere da lei quello che lui vuole. Insomma, Andrea diventa una figura intermedia tra il superuomo e l’inetto, che ha perso il dominio di sé, la propria genuinità, la facoltà di agire senza ambivalenze e di godere a pieno i piaceri agognati. Perciò la sua eccezionalità ha anche un secondo risvolto negativo: è sempre e comunque destinato al fallimento, soprattutto in amore, prima con Elena Muti, poi con Maria Ferres. Questo personaggio, che è tipico della letteratura decadente e crepuscolare, segue l’ideologia dannunziana, non solo per quello che concerne l’estetismo, ma soprattutto perché denuncia la crisi dei valori ed egli ideali aristocratici a causa della violenza del mondo borghese. È importante che non si cada nel luogo comune che vuole Andrea Sperelli come l’alter ego di Gabriele D’Annunzio: l’autore si identifica, il narratore se ne distacca e lo critica pesantemente. Nel primo caso Andrea è ciò che D’Annunzio è e che vorrebbe essere, poiché impersona le sue esperienze effettive e quelle aspirate, è nobile e ricco, intellettuale e seduttore a tratti timido come Cherubino o cinico come Don Giovanni, accede facilmente ai ritrovi mondani e ai salotti della nobiltà. Nel secondo, la critica è indirizzata soprattutto all' “anima camaleontica, mutabile, fluida, virtuale”, alla sua falsità, alla sua doppiezza, alla menzogna e all’inganno che usa nei confronti delle donne da lui amate e possedute: il personaggio si scinde, infatti, in ciò che è internamente e in ciò che deve essere in realtà, in ciò che è e in ciò che vorrebbe essere.
La figura della donna: Elena Muti & Maria Ferres
L’immaginario della donna ne Il Piacere si lega a quello del Decadentismo: oscilla tra la sensualità sottile, metamorfica e finemente viziosa e l’immagine, prettamente stilnovista e preraffaelita, della donna delicata ed eterea, anche se entrambe estremizzante e molte volte mescolate. Tale immaginario si sdoppia tra la seduzione sessuale e passionale di Elena Muti, esponente di una cultura mediocre, dell’eros, dell’istinto carnale, espressione di piacere e lascivia, che ricorre spesso ai versi di Goethe (poeta sensuale) e la sanità spirituale e quasi mistica di Maria Ferres, colta, intelligente e sensibile all’arte e alla musica, legata alla famiglia ed in particolare alla figlia Delfina, molto religiosa, che nel corso del romanzo assume una natura quasi misteriosa, passionale, inafferrabile, ricorrendo ai versi di un poeta malinconico, quale Shelley. La contrapposizione tra le due si fa emblematica anche nel nome: la prima ricorda colei che fece scoppiare la guerra di Troia, la seconda la madre di Cristo. La donna, però, non deve essere concepita come un personaggio autonomo, ma piuttosto come lo specchio del conflitto interno dell’uomo, tormentato dalla volontà di autoaffermarsi e di dominare l’altro e dal fascino dei fantasmi di distruzione della propria potenza, rappresentati dalla donna. Questo appare palese nella deforme mistione cerebrale che Andrea fa tra le due donne: è un processo di identificazione, che conduce dapprima ad una sovrapposizione sentimentale e poi allo scambio dell’una con l’altra.
La struttura del romanzo
Il lessico utilizzato è conforme al comportamento ed all’educazione da esteta di Andrea Sperelli: pregiato, quasi artefatto, aulico e molto elaborato, in particolar modo nella descrizione degli ambienti e nell’analisi degli stati d’animo; si prendano ad esempio l’uso di parole tronche, o le forme arcaiche e letterarie, come nel caso di articoli e preposizioni articolate. Anche se l’eloquenza e la ricercatezza tendono ad appiattire il registro verbale, come succede per l’uso di metafore e comparazione che talvolta complicano ed intensificano momenti carichi di tensione. È naturale che la sintassi sia prettamente paratattica, in grado di rafforzare la tendenza all’elencazione, alla comparazione, all’anafora e che la prosa sia ricca, allusiva e musicale, tanto da assumere una funzione espressiva, non più comunicativa. Non dimentichiamo che D’Annunzio affida la narrazione delle vicende ad un narratore onnisciente in terza persona; che usa fare riferimenti ad opere letterarie ed artistiche per conferire un tono più elevato al romanzo, senza prescindere da vocaboli in inglese, francese e latino. In ultimo, per smorzare una narrazione generalmente statica, segnata da un’eccessiva narrazione che prevale sui dialoghi, e nel tentativo di coinvolgere l’autore, D’Annunzio fa uso del flashback.