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lunedì 17 marzo 2008

GIOVEDI' 16 MARZO 1978: 30 ANNI FA' IL SEQUESTRO MORO!

Roma - Aldo Moro (Maglie, 23 settembre 1916Roma, 9 maggio 1978) è stato un politico italiano, cinque volte Presidente del Consiglio dei ministri e presidente del partito della Democrazia Cristiana.
Venne rapito il 16 marzo 1978 ed ucciso il 9 maggio successivo da appartenenti al gruppo terrorista delle Brigate Rosse.
Moro era considerato un mediatore capace e particolarmente abile nella gestione e nel coordinamento politico delle cosiddette "correnti" all'interno del suo partito. Fu un convinto assertore della necessità di un centrosinistra, da raggiungersi in forma di coalizione politica.
Nacque a Maglie, in provincia di Lecce, da genitori di origine barese. Conseguita la Maturità Classica al Liceo "Archita" di Taranto, si iscrisse presso l'Università degli studi di Bari alla Facoltà di Giurisprudenza, dove conseguì la laurea con una tesi su "La capacità giuridica penale".
Militò, assieme a Giulio Andreotti, nella Federazione Universitaria Cattolica Italiana, di cui fu presidente nazionale tra il 1938 e il 1941. Dopo qualche anno di carriera accademica, fondò nel 1943 a Bari, con alcuni amici, il periodico «La Rassegna» che uscì fino al 1945, anno in cui sposò Eleonora Chiavarelli, con la quale ebbe quattro figli.
Nel 1945 diventò inoltre presidente del Movimento Laureati dell'Azione Cattolica e direttore della rivista «Studium».
Tra il 1943 ed il 1945 aveva iniziato ad interessarsi di politica ed in un primo tempo mostrò particolare attenzione alla componente della "destra" socialista, successivamente però il suo forte credo cattolico lo spinse verso il costituendo movimento democristiano. Nella DC fin da subito mostrò la sua tendenza democratico-sociale, aderendo alla componente dossettiana (in pratica la "sinistra DC").
Nel 1946 fu vicepresidente della Democrazia Cristiana e fu eletto all'Assemblea Costituente, ove entrò a far parte della Commissione che si occupò di redigere il testo costituzionale. Eletto deputato al parlamento nelle elezioni del 1948, fu nominato sottosegretario agli esteri nel gabinetto De Gasperi.
Divenne professore ordinario di diritto penale presso l'Università di Bari e nel 1953 fu rieletto alla Camera, ove fu presidente del gruppo parlamentare democristiano. Nel 1955 fu ministro di Grazia e Giustizia nel governo Segni e l'anno dopo risultò tra i primi eletti nel consiglio nazionale del partito durante il VI congresso nazionale del partito.
Ministro della Pubblica Istruzione nei due anni successivi (governi Zoli e Fanfani), introdusse lo studio dell'educazione civica nelle scuole. Nel 1959 ebbe affidata la segreteria del partito durante il VII congresso nazionale. Nel 1963 ottenne il trasferimento all'Università di Roma, in qualità di titolare della cattedra di Istituzioni di Diritto e Procedura penale presso la Facoltà di Scienze Politiche.
Fino al 1968 ricoprì la carica di Presidente del Consiglio alla guida di governi di coalizione con il Partito Socialista Italiano, insieme agli alleati tradizionali della DC: i socialdemocratici ed i repubblicani.
Dal 1969 al 1974, assunse l'incarico di ministro degli Esteri, per divenire nuovamente presidente del consiglio fino al 1976. Nel 1975 il suo governo conclude il Trattato di Osimo, con cui si sanciva l'apparteneza della Zona B del Territorio Libero di Trieste alla Jugoslavia.
Nel 1976 fu eletto Presidente del consiglio nazionale del partito.
Il 10 marzo 1977 Luigi Gui esponente democristiano, venne rinviato all'Alta Corte per lo scandalo Lockheed. In questo frangente, Aldo Moro, con un lungo discorso al parlamento difese l'operato della Democrazia Cristiana e dei suoi uomini pronunciando una frase "Non ci lasceremo processare in piazza" che divenne famosa, perché emblematica di un certo periodo e di un certo pensiero. La frase contenuta nel discorso di Moro, sia pur tardivamente, era la risposta all'incitamento a processare pubblicamente la DC che Pier Paolo Pasolini scrisse il 28 agosto 1975, sul Corriere della Sera, nelle pagine della sua rubrica "tribuna libera" [2].
In seguito a questi avvenimenti fu uno dei leader politici che maggiormente prestarono attenzione al progetto del cosiddetto Compromesso storico di Enrico Berlinguer, che nell'anno precedente pubblicamente aveva fatto lo strappo con Mosca, rendendosi quindi accettabile agli occhi democristiani. Il segretario nazionale del Partito Comunista Italiano aveva infatti proposto una innovativa solidarietà politica fra i Comunisti, Socialisti e Cattolici, in un momento di profonda crisi economica, sociale e politica in Italia.
All'inizio del 1978 Moro, allora presidente della Democrazia Cristiana fu l'esponente politico più importante fra coloro che individuarono una strada percorribile per un governo di "solidarietà nazionale" che includesse anche il PCI, sia pure senza suoi ministri nella prima fase di attuazione.
A questo proposito, scrive, nel 1982, Roberto Ruffilli, che sarà ugualmente vittima delle BR dieci anni dopo Moro: "In definitiva il presidente democristiano viene a far consistere la terza fase in due tempi diversi. Il primo è quello più noto della solidarietà di tutte le forze democratiche nella condizione di una emergenza assai pericolosa per la democrazia repubblicana. Ma nel medio lungo periodo il punto fermo è l'avvento di una democrazia dell'alternanza che consenta a tutte le formazioni popolari del paese di far valere i propri progetti e i propri programmi". Si trattava, insomma, di "sbloccare" la democrazia italiana ed arrivare infine ad una vera alternanza di governo. E' quello che le Brigate Rosse non potevano permettere.
Il 16 marzo 1978, giorno della presentazione del nuovo governo, guidato da Giulio Andreotti, l'auto che trasportava Moro dall'abitazione alla Camera dei Deputati fu intercettata in via Fani da un commando delle Brigate Rosse. In pochi secondi, i terroristi ne uccisero la scorta e sequestrarono il presidente della Democrazia Cristiana.
Dopo una prigionia di 55 giorni il cadavere di Aldo Moro fu ritrovato il 9 maggio nel cofano di una Renault 4 a Roma, in via Caetani, emblematicamente a poca distanza da Piazza del Gesù (dov'era la sede nazionale della Democrazia Cristiana) e via delle Botteghe Oscure (dove era la sede nazionale del Partito Comunista Italiano).
Dall'anno seguente alla sua uccisione, l'esponente della Democrazia Cristiana viene ogni anno ricordato con messaggi e cerimonie presenziate dalle cariche istituzionali. In questi anni, ad Aldo Moro sono state dedicate diverse trasmissioni televisive. Il 4 maggio 2007, il Parlamento ha votato e approvato una legge con il quale si istituisce il 9 maggio il "Giorno della memoria" in ricordo di Aldo Moro e di tutte le vittime del terrorismo.
Tra aprile e maggio 2007 è stata presentata presso la sede dell'Istituto San Giuseppe delle suore Orsoline a Terracina e presso la sede dell'associazione Forche Caudine a Roma (storico circolo dei Romani d'origine molisana), alla presenza di Agnese Moro, figlia del leader democristiano, una raccolta ragionata degli scritti giornalistici di Aldo Moro, curata dal giornalista Antonello Di Mario ed edita da Tullio Pironti.
Nella notte tra l' 8 e il 9 giugno 2007, giorni della visita del Presidente degli USA George W. Bush in Italia, la lapide di via Fani che ricorda il rapimento di Aldo Moro e le cinque persone della scorta uccise, è stata profanata con la scritta "Bush uguale a Moro". Le più alte cariche istituzionali, personalità politiche e rappresentanti della società civile si sono dette indignate per quello che ritengono un atto vile.



giovedì 3 gennaio 2008

TREVISO - Il falegname confessa: "Ho ucciso da solo Iole Tassitani!"

L'applauso di tremila al funerale di Iole Tassitani! Intanto l'accusato dell'omicidio della figlia del notaio confessa dopo 9 ore di interrogatorio. La prigione dell'ostaggio nella casa del suo killer. "Individuo psichicamente disturbato!"

TREVISO - Nove ore di interrogatorio il giorno di San Silvestro, Michele Fusaro è crollato: "Ho ucciso da solo", ha detto. Negli interrogatori precedenti, il falegname accusato di aver tagliato a pezzi Iole Tassitani, la figlia di un notaio a Castelfranco Veneto, aveva addirittura fatto i nomi di presunti complici. Poi, due giorni fa, ha cambiato versione. Sembra invece certo che la prigione dell'ostaggio sia stata proprio l'abitazione del suo killer. Il procuratore capo della Dda Vittorio Borraccetti non aggiunge altro: ha secretato l'esito dell'ultimo incontro con il detenuto. L'avvocato del falegname ha la bocca chiusa - "Non posso dire nulla" - ma la confessione di colui che resta l'unico indagato per l'omicidio della 42enne sequestrata il 12 dicembre scorso, sembra confermata dalle stesse parole del procuratore che ha ammesso di non aver raccolto finora "riscontri positivi sulla presenza dei complici". Il funerale. Stamane, a Castelfranco Veneto il sindaco ha decretato il lutto cittadino. Commozione e rabbia ai funerale di Iole, nel duomo della città. Sulla bara di legno chiara e di fattura molto semplice, un cuscino di rose bianche. Nell'omelia il vescovo di Treviso Andrea Bruno Mazzuccato, ha detto che Iole è stata sottratta ai suoi cari "in modo terribile" affidando il suo "calvario" a Dio. "Siamo increduli e disorientati - ha aggiunto - che tanto male possa essersi scatenato in mezzo a noi". Un lungo applauso ha salutato il feretro all'uscita dal duomo. Almeno tremila persone all'interno della chiesa. "Questa famiglia" ha detto l'avvocato dei Tassitani, Roberto Quintavalle - è stata sorretta da un incredibile coraggio cristiano". Il vicegovernatore del Veneto Luca Zaia ha chiesto una pena esemplare per l'omicida: "Ripudiamo cittadini come questo assassino, deve marcire in carcere".
L'inchiesta. Molte le prove contro il falegname: non solo per aver proposto il sequestro all'ex cognato qualche giorno prima della sparizione della vittima, ma perché aveva nel garage di casa, a Bassano del Grappa, i resti della donna e i suoi vestiti insanguinati. Aveva anche i suoi anelli, i braccialetti, i telefonini, parrucche per travestirsi e "pizzini" su cui aveva scritto la richiesta di riscatto inviata con un sms.
"Dà l'impressione di un individuo psichicamente disturbato", dice uno degli investigatori. "Uno squilibrato", aggiunge uno dei magistrati che indagano. Ci vorranno delle perizie per chiarire le condizioni psichiche dell'imputato. Tutto diverso il parere del suo datore di lavoro, Cristiano Molon, del mobilificio "Giemme" di Romano d'Ezzelino, che descrive Michele Fusaro come una persona "tranquilla e riservata" che non aveva mai dato problemi: "un insospettabile". Fisico atletico e massiccio, maniaco della cura del corpo, amante del jogging, frequentatore di palestre, consumatore di integratori alimentari, appassionato di esoterismo e di viaggi, Fusaro si era sposato con una marocchina che gli aveva dato un figlio, poi aveva divorziato e attualmente aveva una storia con una donna sposata. Con lei era andato a cena, dopo aver fatto jogging, la sera che lo hanno arrestato. La sua casa era tenuta perfettamente in ordine. Ma i soldi erano la sua ossessione. Non gli bastavano mai. Per questo, oltre a fare il falegname, vendeva pentole a domicilio e distribuiva i volantini pubblicitari di un supermercato. Dal sequestro di Iole voleva ricavare 800.000 euro: "Voglio sistemarmi", aveva detto al suo ex cognato marocchino.


ITALIA-CINA

ITALIA-CINA
PER L'ALLEANZA, LA COOPERAZIONE, L'AMICIZIA E LA COLLABORAZIONE TRA' LA REPUBBLICA ITALIANA E LA REPUBBLICA POPOLARE CINESE!!!