In una complessa analisi di dati satellitari ed epidemiologici pubblicata di recente dalla rivista Proceedings of the National Academy of Sciencies, MacDonald e Erin Mordecai della Stanford University hanno riferito di un significativo impatto della deforestazione sulla trasmissione della malaria nel bacino dell’Amazzonia, in linea con alcune ricerche precedenti.
In media, hanno stimato che tra il 2013 e il 2015 un incremento della perdita di foresta del 10% l’anno abbia portato a un incremento del 3% dei casi di malaria. Ad esempio, nel corso di un anno di studio, la cancellazione di una porzione di foresta di 1600 chilometri quadrati (l’equivalente di 300.000 campi di calcio) è stata correlata a 10.000 casi aggiuntivi di malaria. Un effetto ancora più pronunciato nelle aree più interne della foresta, dove alcune porzioni sono rimaste intatte e forniscono l’habitat umido che piace alle zanzare.
Con i continui incendi amazzonici, questi risultati non promettono nulla di buono. Gli ultimi dati, pubblicati questa settimana, dicono che fino ad ora è stata distrutta un’area pari a 12 volte New York City.
“Sono preoccupato di come possa procedere la trasmissione della malattia alla fine di questi incendi”, dice MacDonald.
Vittor sottolinea che con l’ecologia delle zanzare è difficile fare delle generalizzazioni, perché molto dipende dalle specie e dalle regioni. In Africa gli studi hanno trovato scarse associazioni tra malaria e deforestazione - forse perché lì le zanzare preferiscono riprodursi in corpi d’acqua illuminati dal sole e privilegiano le colture all’aperto alle aree forestali ombreggiate. Ma a Sabah, nel Borneo malese, le epidemie di malaria si verificano in tandem con le deforestazioni effettuate per far spazio alle palme da olio e altre colture.
Le zanzare non sono gli unici animali in grado di trasmettere malattie mortali all’uomo. Infatti il 60% delle nuove malattie infettive che colpiscono l’uomo - comprese HIV, Ebola e Nipah, tutte originate da animali che vivevano nella giungla - vengono trasmesse da altri animali, la maggior parte dei quali selvatici.
In uno studio del 2015, i ricercatori della Ecohealth Alliance, una no-profit di base a New York che tiene traccia delle malattie infettive nel mondo, hanno scoperto che “quasi un’epidemia su tre di malattie nuove ed emergenti è collegata all’utilizzo della terra, come la deforestazione”, secondo quanto ha twittato Peter Daszak, presidente dell’organizzazione.
Nella foresta molti virus convivono con gli animali senza conseguenze perché gli animali sono evoluti insieme a loro. Può capitare, però, che gli uomini ospitino - inconsapevolmente - questi virus nel momento in cui si spingono all’interno di foreste o cambino habitat forestale.
“Stiamo trasformando completamente la struttura della foresta” dice Carlos Zambrana-Torrelio, ecologo delle malattie alla Ecohealth Alliance.
Può anche capitare che una malattia si sviluppi perché una specie vettore che viveva nella foresta, viene attratta in un nuovo habitat.
Ad esempio in Liberia la deforestazione per fare spazio alle palme da olio attrae orde di topi che vivono in queste aree, attratti dall’abbondanza dei frutti prodotti - appunto - dalle palme nelle piantagioni e negli insediamenti circostanti. L’uomo può contrarre il virus Lassa quando entra in contatto con cibo od oggetti contaminati dalle feci o dall’urina dei roditori o con liquidi corporei di persone già infette. Negli uomini il virus provoca febbre emorragica - lo stesso tipo di sintomo causato da Ebola - e in Liberia ha ucciso il 36% delle persone contagiate.
Roditori con il virus in corpo sono stati osservati anche nelle aree deforestate a Panama, in Bolivia e in Brasile. Alfonso Rodriguez-Morales, medico ricercatore ed esperto di malattie tropicali all’Universidad Tecnologica de Pereira in Colombia, teme che possano diffondersi anche altrove in seguito alla ripresa degli incendi amazzonici avvenuta nel 2019.
Questi processi non si limitano alle malattie tropicali. Alcune ricerche di MacDonald hanno rivelato una curiosa associazione tra deforestazione e malattia di Lyme negli Stati Uniti nord-orientali.
Borrelia burgdorferi, il batterio che provoca la malattia di Lyme, viene trasmesso dalle zecche che si riproducono sui cervi di foresta, ricavando il sangue necessario per sopravvivere. Ma MacDonald dice che il batterio è stato anche trovato nel topo dai piedi bianchi, che prospera nelle foreste frammentate dagli insediamenti umani.
Il passaggio di queste malattie dagli animali all’uomo - aggiunge - avviene più facilmente ai tropici perché in queste aree c’è maggiore diversità di fauna e di patogeni. Da quelle parti, diverse malattie trasmesse da un’ampia varietà di animali - dalle cimici che succhiano il sangue alle lumache - sono state correlate alla deforestazione. Oltre alle
malattie già note, i ricercatori temono che diverse ancora sconosciute rimangano in agguato nelle foreste e potrebbero manifestarsi nel momento in cui l’uomo ci si avventura.
Secondo Zambrana-Torrelio le probabilità che le malattie passino all’uomo potrebbe aumentare man mano che il clima si riscalda, spingendo gli animali (e con loro, i virus che ospitano) verso regioni dove non sono mai stati in precedenza.
Se queste malattie rimarranno confinate nelle foreste o si faranno spazio negli organismi umani, scatenando una potenziale pandemia, dipende dal modo in cui si trasmettono. Vittor aggiunge che alcuni virus, come Ebola o Nipah, possono trasmettersi direttamente da una persona all’altra consentendo, potenzialmente, la loro propagazione in tutto il mondo.
Al virus Zika, che è stato scoperto nelle foreste ugandesi nel Ventesimo secolo, basterebbe viaggiare via nave per infettare milioni di esseri umani, dal momento che ha trovato un vettore in Aedes aegypti, una zanzara che prospera nelle aree urbane.
“Non vorrei mai che uno o altri patogeni possano fare la stessa cosa, ma sarebbe stupido non pensare che questa sia una possibilità alla quale dobbiamo prepararci”, dice Vittor.
I ricercatori di Ecohealth Alliance propongono che il contenimento delle malattie debba essere considerato un nuovo servizio ecosistemico, cioè un beneficio che gli esseri umani ottengono liberamente dagli ecosistemi naturali, come l’immagazzinamento del carbonio e la fotosintesi.
Il team di ricercatori sta lavorando nel Borneo malese per quantificare il costo esatto della malaria, fino al singolo posto letto in ospedale e la siringa usata dai medici. Hanno scoperto che in media il governo spende intorno ai 5.000 dollari per trattare ogni singolo nuovo caso di malaria nella regione, e in alcune aree persino di più di quanto spende per il controllo della malattia.
Queste cifre si sommano nel tempo, superando i profitti che potrebbero essere ottenuti abbattendo le foreste. Questo sarebbe, dice Daszak, un convincente argomento finanziario per lasciare alcune foreste in piedi. Lui e i suoi colleghi stanno iniziando a lavorare con il governo malese per incorporare questi studi alla pianificazione dell’uso della terra. Progetti simili sono in corso anche con le autorità della Liberia per calcolare il costo causato dalle epidemie di febbre di Lassa.
MacDonald vede in questa idea un valore: “Se riusciamo a proteggere l’ambiente, forse riusciremo a proteggere anche la salute”, dice, “questo penso sia il lato positivo che dobbiamo sempre tenere a mente”.
15/04/2020
Il coronavirus che ha scatenato l'epidemia
COVID-19 proviene dai patogeni degli animali selvatici: ciò significa che gli animali selvatici sono pericolosi o colpevoli?
No, al contrario, i colpevoli siamo noi. Gli animali, se lasciati in pace, non creano alcun problema. Ma se li cacciamo e distruggiamo i loro habitat, veniamo a stretto contatto coi loro virus, contro i quali non abbiamo difese. Quando il virus fa il salto di specie (detto spillover), scoppia l'epidemia.
È già successo e continuerà a succedere: il 75% delle nuove patologie infettive sono causate da virus provenienti dagli animali. È quanto è successo negli ultimi anni: SARS, MERS, influenza aviaria, influenza suina, e altre, che hanno ucciso ogni un numero enorme di persone.
Non parliamo del singolo animale che esce dal bosco per avvicinarsi alla città (e, comunque, se lo fanno, è solo a causa della distruzione del loro ambiente e delle caccia), ma di quantità enormi di animali sterminati, per mangiarli o per predare le risorse dell'ambiente in cui vivono.
Gli allevamenti amplificano i pericoli
I virus provengono dai selvatici, ma sono soprattutto gli allevamenti di animali per il consumo umano a scatenare il problema. Per tre ragioni:
primo, perché spesso il virus fa il salto di specie prima dagli animali selvatici a quelli allevati, e poi da questi all'uomo; negli allevamenti trova vita facile, dato l'affollamento, il numero enorme di animali e le loro pessime condizioni di salute.
Secondo, perché la creazione di nuovi allevamenti è una delle cause primarie di distruzione degli habitat, di deforestazione, soprattutto nelle foreste tropicali; si deforesta per far spazio ad allevamenti, oppure a coltivazioni per i mangimi degli animali allevati in altri posti.
Terzo, perché, quando nelle stesse aree disboscate vengono creati allevamenti, c'è una pericolosa vicinanza tra animali selvatici e allevati che aumenta moltissimo la probabilità di diffusione dei virus.
La deforestazione e gli allevamenti
Il geologo e divulgatore scientifico Mario Tozzi afferma: "Di particolare gravità è la deforestazione, come dimostra il caso del virus Nipah, comparso in Malesia nel 1998, e probabilmente legato all’intensificarsi degli allevamenti intensivi di maiali al limite della foresta, dove cioè si disboscava per ottenere terreni a spese dei territori di pertinenza dei pipistrelli della frutta, portatori del virus".
D'altra parte, se si vuole continuare con gli attuali consumi di carne, non esiste altra soluzione che disboscare (non solo nelle foreste tropicali, ma dappertutto): non c'è più spazio sul pianeta.
La foresta Amazzonica viene continuamente distrutta, incendiata per far spazio a pascoli e coltivazioni per i mangimi degli animali. Si parla di 13 milioni di ettari di foreste tropicali distrutti annualmente e in Amazzonia negli ultimi anni le cose stanno peggiorando: siamo arrivati a 10 mila km quadrati di foresta amazzonica disboscata.
Di nuovo Mario Tozzi spiega che il salto di specie dei virus è ancora più probabile quando la deforestazione avviene "a spese della foresta tropicale, cioè proprio dove la fauna selvatica è più importante per numero di specie e di individui e dove, di conseguenza, i patogeni sono più presenti e importanti".
Diamoci un taglio: alla carne, non alle foreste
Possiamo fare la nostra parte nel preservare le foreste e tutto l'ambiente naturale in un modo molto semplice: smettendo di consumare prodotti animali. Daremo così il nostro contributo per prevenire altre epidemie simili a quella del COVID-19, che continuano a verificarsi a distanza di pochi anni in diverse parti del mondo.
La nostra guida pratica ti aiuta nella transizione e ti spiega le tante ragioni aggiuntive per passare a un'alimentazione basata sui vegetali: quelle etiche e quelle salutistiche. Richiedila, è gratuita: la puoi scaricare e leggere subito.