LA MORTE DI ELUANA ENGLARO EI POLITICI POCO CREDIBILI - STUDIO APERTO DEL 09/02/09...
"La Politica è una cosa difficile, talvolta terribile, ma tuttavia umana! Anche nella Politica ci deve essere il disgusto, la pulizia! Non ci si può sporcare di fango, nemmeno per un'idea alta!" (Boris Eltsin - "Il diario del Presidente")
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martedì 10 febbraio 2009
Eluana è morta... Rissa in aula durante la seduta del 9 Febbraio...
Eluana Englaro è morta da pochi minuti...dopo l'annuncio della sua scomparsa trà i deputati che erano a favore del protocollo medico della morte e trà i deputati che volevano che Eluana vivesse ancora è bagarre...scoppia la lite!!!
E' MORTA ELUANA ENGLARO...
E' morta Eluana Englaro...
http://www.inindia.it/index.htm
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http://www.prout.it/
"La modernità ha fallito. Bisogna costruire un nuovo umanesimo, altrimenti il pianeta non si salva!".
---Albert Einstein---
ELUANA ENGLARO E' MORTA - ELUANA IS DEAD - 9 / 02 / 2009 ore 20:10...
ADDIO ELUANA RIPOSA IN PACE - ELUANA ENGLARO E' MORTA IL 9 FEBBRAIO 2009. UN MINUTO DI SILENZIO ALLA CAMERA DEI DEPUTATI...
La ragazza è morta alle 20,10 dopo
un altro giorno di caos proprio mentre
il Parlamento stava discutendo la legge
MARCO NEIROTTI e FABIO POLETTI
INVIATI A UDINE
Se n’è andata lieve - dissolvendo qualunque previsione - dalle contrapposizioni di fede, dal frastuono della guerra politica, dalle prove di forza che si agitavano fuori della sua stanza per tutta Italia e che lei non sentiva nella casa di cura La Quiete. E neppure ha percepito il rosario sempre più corale, le voci salite alle 20,10, poco dopo l’ora della fine, a mescolarsi con le campane che d’improvviso suonavano a morto. Poco prima suonavano nella camera del piano terreno gli allarmi ritmici dei monitor, decretando la fine. Non sono state compiute manovre rianimatorie, equivalenti a un accanimento terapeutico. E un’ipotesi di tempi brevi era stata ritenuta possibile già dopo l’emorragia di ottobre.
Tra le telecamere, le macchine fotografiche si è fatta largo alle 20,30 un’auto inviata dalla Procura della Repubblica per «acquisire» la cartella clinica. Quando una pattuglia dei carabinieri aspettava che si aprisse il cancello, qualcuno ha lasciato la preghiera, ha battuto sui vetri e, come una supplica: «Giustizia per Eluana», «Verità per Eluana». Poi, con la notizia che scivolava per Udine, la folla è cresciuta, la voce anche: «Asino», ha gridato un tono roco al personale medico. Poco dopo è stato issato un tricolore, sul bianco la scritta: «Beppino De Monte Campeis assassini vergogna d’Italia».
Il professor Amato De Monte ha telefonato a Beppino Englaro e gli ha dato di persona la notizia. Poi è uscito, si è allontanato per espletare le formalità immediate. Il neurologo Carlo Alberto Defanti, che ha seguito Eluana per anni, ha commentato: «La natura ha fatto il suo corso». Sulla strada, sotto l’insegna «La Quiete», un collega neurologo di De Monte nello stesso ospedale, Giancarlo Gigli, da sempre contrario al protocollo per sospendere idratazione e alimentazione, ha commentato: «Vogliamo sapere come è morta Eluana. Chiediamo venga fatta giustizia, nulla sia risparmiato per accertare con esattezza le cause della morte, attraverso tutti gli accertamenti clinici e tossicologici, con un’autopsia giudiziaria». I diciassette anni di stato vegetativo sono finiti nella stanza al piano terreno, una finestra all’angolo fra due vie, un letto, i macchinari per monitorare le condizioni, per le prime settantadue ore le sacche elettrolitiche, poi, avviato il protocollo, divenute inutili. Intorno a lei, a turno, quindici tra medici e infermieri, otto di loro donne, la maggior parte giovani di età, tutti volontari.
E’ un angolo della casa di cura allestito per consentire tranquillità appartata. C’è anche una stanza per ospitare in qualunque momento il papà della donna. Da martedì, per le prime settantadue ore Eluana rimane in una sorta di stand-by, controllata, nutrita dal sondino nasogastrico. Dalle sei di venerdì tutto viene sospeso. Soltanto un farmaco - Fenobarbital - continua a scorrerle nelle vene via flebo: è antiepilettico, evita convulsioni legate alla assenza totale di farmaci e nutrimento. Domenica mattina si aggiunge un sedativo. Niente altro. In quella stanza rimane un silenzio costante e rimangono, ora per ora, i movimenti, i gesti, che vestono Eluana di rispetto, di «cura» amorevole anche senza «terapia»: il lavaggio nel letto, i capelli neri fino alle spalle sempre lisci e pettinati. La cartella clinica riporta dati precisi, come il peso, la condizione del viso. La semplicità non scientifica vede un corpo esile, sempre più esile prima ancora di venerdì. Raccontava proprio quel giorno lo zio, Armando Englaro: «Non l’ho vista per un mese e l’ho rivista appena arrivata qui. Com’era già indebolita in quei trenta giorni». E ieri sera soltanto una parola: «Serenissimo». Poi, dopo il riconoscimento: «Da adesso ci lascerete in pace».
Lei immobile, gli occhi aperti, smunta. Intorno De Santi, la sua équipe e i due consulenti nominati dalla Procura per seguire tutto l’iter e scrivere una relazione. Per ventiquattr’ore tutti, alternandosi, con lo stesso passo, le stesse mani di una qualunque camera di degenza. Fuori le preghiere, i fiori, i lumini, i palloncini bianchi con su scritto «il tuo respiro è la nostra vita», le veglie, le messe nella vicinissima basilica di «Santa Maria delle Grazie», con il vescovo che chiedeva a Dio di fermare la mano di chi eseguiva una «tragica sentenza» ma invitava fermo a evitare le contrapposizioni. Ieri sera monsignor Pietro Brollo si è raccolto in preghiera nella cappella privata e con profondo dolore si è rivolto a Eluana: «Ora la tua mano è diventata fredda ma il Signore la sta stringendo con amore per condurti nella sua casa».
Alla Quiete arriva il sindaco di Udine, Furio Honsell, mentre l’avvocato Campeis raggiunge i medici per le formalità con la polizia giudiziaria. Aulo Maieron, sindaco di Paluzza, il paese dov’è la tomba di famiglia degli Englaro, è commosso e provato insieme: «Dovremmo tutti ringraziare Beppino che si è caricato di un peso enorme, che ci insegnerà ad avere più coraggio». Lassù, oltre Tolmezzo, in un paese di 2500 anime, colori scuri di inverno tagliati dalla nebbia come un arcobaleno ingrigito, aspetta Eluana per accompagnarla in chiesa l’ultima volta il parroco, don Tarcisio Puntel: «Eluana come un problema da discutere? Siamo noi il problema. Ora dovremo essere vicini alla sua famiglia». Cresceva, ieri sera, la folla davanti alla stanza del silenzio. Crescevano gli striscioni, le riprese tv, le parole, le preghiere, le verità certe di ciascuno. Una donna - cattolica e con un rosario - mentre si buttavano in giro sospetti, ha detto: «Chissà? Pregavamo perché sospendessero. Dio ha sentito le preghiere e ha sospeso lui il suo calvario e lo scippo, la rapina politica del suo corpo e della sua anima, fatti simbolo anziché vita e morte».
Fonte: http://www.lastampa.it
ELUANA ENGLARO E' MORTA ALLE 20:10...
Il silenzio vale piu' di ogni altra cosa ....
Alle 20.10 si è fermato il cuore della donna in stato vegetativo da 17 anni e ricoverata nella casa di riposo "La Quiete" di Udine. Il Senato sospende i lavori per l'approvazione del ddl. Sacconi: "L'iter deve proseguire nonostante la morte della donna". Il legale della famiglia Englaro: "Momento tragico". Il padre Beppino chiede di rimanere da solo. Berlusconi: "Resa impossibile azione per salvarla". Neurologo Gigli: "Subito l'autopsia".
Martedì 10 febbraio
06.25 - Oggi decisione su autopsia. E' previsto per stamani, alla Procura della Repubblica di Udine, un incontro tra il pm Antonio Biancardi e l'anatomopatologo Carlo Moreschi per decidere se effettuare l'autopsia sul corpo di Eluana Englaro, la donna morta nella clinica "La Quiete" dopo 17 anni trascorsi in stato vegetativo. Davanti alla struttura sanitaria i canti e le preghiere per Eluana sono proseguiti fino a tarda notte, accompagnati dalla luce di decine di candele e fiaccole.
00.52 - Napolitano chiama Fini. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e il presidente della Camera Gianfranco Fini, a quanto si apprende da fonti parlamentari, hanno avuto stasera un colloquio telefonico mentre era in corso la seduta del Senato, dopo la notizia della morte di Eluana Englaro.
Lunedì 9 febbraio
23.46 - Sacconi: "Legge in due settimane". Se la novità è costituita dalla disponibilità delle opposizioni per garantire l'esame del provvedimento penso che sia giusto prevedere un tempo di due settimane per esaminare l'intero ddl sul testamento biologico e il fine vita".
23.48 - Eluana morta per arresto cardiaco. La morte di Eluana Englaro è avvenuta per arresto cardiocircolatorio. Lo afferma - secondo quanto si apprende da fonti sanitarie - la documentazione clinica all'interno della casa di riposo La Quiete.
23.30 - Vedova Welby. Impatto fortissimo. "E' stato un impatto fortissimo, ma poi ho provato una sensazione di pace e sollievo. Le stesse che ho avuto quando mori' mio marito": Mina Welby ha vissuto cosi' la morte di Eluana Englaro, la donna che si e' spenta questa sera dopo 17 anni di stato vegetativo persistente.
23.25 - Colloquio telefonico Napolitano-Schifani. Questa sera dopo le 22 il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha sentito telefonicamente ilpresidente del Senato Renato Schifani. Lo stesso Schifani a raccontare di questo colloquio telefonico alla presidente dei senatori del Pd Anna Finocchiaro. Infatti, durante l'intervento in aula della Finocchiaro, Schifani si è intrattenuto al telefono.
23.23 - "Iter Eluana accelerato". Nell'ultima fase di vita di Eluana Englaro "c'è stata una dichiarata accelerazione del protocollo, che e' stato pochissimo sorvegliato": lo ha detto il sottosegretario al Welfare Eugenia Roccella.
22.43 - Fini attacca Gasparri. "Gasparri è un irresponsabile che dovrebbe imparare a tacere perché il rispetto per la massima autorita' dello Stato dovrebbe animare chiunque, in particolar modo il presidente del gruppo di maggioranza numericamente piu' consistente". Lo afferma in una nota il presidente della Camera Gianfranco Fini.
22.18 - Taormina: "Li denuncio per omicidio premeditato". Domani Carlo Taormina, ex magistrato e ex sottosegretario agli Interni, presenterà una querela per omicidio premeditato alla Procura di Roma in merito alla morte di Eluana Englaro. Lo ha annunciato lo stesso avvocato. "Si è consumato un omicidio vero e proprio", spiega il giurista convinto che "sia stato preso per i fondelli lo stesso parlamento".
22.12 - Gasparri: "Sono certo, morte Eluana è stata accelerata". La morte di Eluana Englaro "è stata accelerata: la penso così, è quello che pensano tutti, ne sono
certo, mi assumo le responsabilità di quanto dichiarato". Lo dice il capogruppo del Pdl al Senato, Maurizio Gasparri, al termine della capigruppo a Palazzo Madama.
22.02 - "Lasciate in pace Beppino". "Faccio un appello affinché lascino tranquillo Beppino Englaro. Non l'hanno lasciato mai tranquillo. Gli hanno fatto addirittura vivere questo ultimo drammatico momento con i carabinieri intorno alla figlia: ora lo lascino in pace". Sono le parole di Vittorio Angiolini, legale della famiglia Englaro, che ha seguito per molti anni il padre di Eluana nella vicenda giudiziaria.
ELUANA ENGLARO E' MORTA IL 09/02/09...
(ANSA) -UDINE, 9 FEB -Eluana Englaro e' morta. La notizia e' stata confermata a Udine da fonti dell'amministrazione comunale e regionale e delle forze dell'ordine. La conferma della morte di Eluana Englaro e' arrivata anche dalla presidente della Quiete, Ines Domenicali. ''E' morta, non so dire l'ora. Non chiedetemi altro!!!''.
Udine, Eluana Englaro è morta...
MILANO - Eluana Englaro è morta. La donna - che da 17 anni era in stato vegetativo a seguito di un incidente stradale avvenuto nel 1992 - ha cessato definitivamente di vivere alle 20,10, per un arresto cardiaco dovuto probabilmente ad una sopraggiunta insufficienza renale, a quattro giorni dal ricovero alla casa di riposo «La Quiete» di Udine, dove era stata trasferita per l'avvio del processo di sospensione dell'alimentazione e dell'idratazione forzata che la tenevano in vita. A quanto si apprende, la situazione di Eluana Englaro è rimasta stabile fino al primo pomeriggio, dopodiché sarebbe avvenuto un improvviso peggioramento che ha condotto la donna alla morte. La conferma arriva anche dal neurologo che la segue da anni, Carlo Alberto Defanti. «È morta all'improvviso - ha spiegato - ed è una cosa che non prevedevamo. Ha avuto una crisi improvvisa, sulla cui natura dirà una parola certa l'autopsia che era già programmata». IL SENATO SI FERMA - La notizia è giunta mentre il Senato stava discutendo il disegno di legge con cui il governo ha cercato di interrompere il processo autorizzato da una sentenza della Corte d'Appello di Milano. Il presidente dell'Aula, Renato Schifani, ha subito chiesto ai senatori di osservare un minuto di silenzio. Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, ha invece fatto sapere di avere appreso «con profondo dolore» la notizia della morte di Eluana Englaro. «È grande il rammarico - ha deto - che sia stata resa impossibile l'azione del governo per salvare una vita». Schifani ha poi deciso di interrompere i lavori di Palazzo Madama e di convocare immediatamente la riunione dei capigruppo. Il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, ha chiesto che comunque il provvedimento possa essere portato a conclusione, così da coprire il vuoto legislativo in cui si è inserito il dibattito di questi ultimi giorni e «per evitare che il sacrificio di Eluana sia stato vano».
LA NOTIZIA AL PADRE - È stato l'anestesista Amato De Monte a telefonare a Beppino Englaro per comunicare la notizia del decesso di Eluana. Il medico era stato subito allertato ai primi segnali di malore e una staffetta della polizia inviata dalla Questura lo ha prelevato a casa sua e condotto in pochi minuti alla casa di riposo, dove è stato constatato il decesso. «Sì, ci ha lasciati - è stato subito dopo il primo commento rilasciato dal padre della donna -. Ma non voglio dire niente, voglio soltanto stare solo».
LE CARTELLE CLINICHE - Nel frattempo sono state acquisite dalla procura di Udine le cartelle cliniche di Eluana Englaro. Si saprà solo martedì mattina se sul corpo della donna verrà effettuata o no l'autopsia. Lo deciderà il procuratore capo Antonio Biancardi insieme al medico legale e a un consulente nominato dalla procura. Tra gli elementi da valutare, anche la corretta applicazione del protocollo per fugare ogni dubbio sull'improvviso decesso di Eluana alla vigilia del voto sul ddl. Una circostanza, questa, giudicata molto strana sia da neurologo Gianluigi Gigli, membro del comitato Per Eluana, sia da alcuni esponenti del centrodestra.
LE REAZIONI DI VATICANO E POLITICA - Molto dura la reazione del Vaticano alla notizia del decesso di Eluana: «Che il Signore li perdoni» ha detto Javier Lozano Barragan, presidente del Pontificio consiglio per gli operatori sanitari. Immediate, dopo la comunicazione della notizia, anche le reazioni del mondo politico, alcune particolarmente dure tanto che nella stessa Aula del Senato si è sfiorata la rissa, con i parlamentari del Pdl che hanno gridato «assassini, assassini».
VEGLIE DI PREGHIERA - Davanti alla casa di riposo «La Quiete» decine di persone hanno deciso di salutare Eluana Englaro con canti, preghiere e tante candele accese. Anche a Lecco le suore Misericordine della clinica Beato Luigi Talamoni hanno accolto con sgomento la notizia della morte di Eluana. Le religiose hanno scelto la strada della preghiera e del silenzio. Non hanno partecipato al momento di preghiera organizzato nella basilica di San Nicolò, situata a poche decine di metri nella struttura privata in cui Eluana è rimasta fino a lunedì scorso. Hanno preferito pregare nella riservatezza della cappella della clinica lecchese. Le suore Misericordine hanno recitato il rosario su invito del cappellano, don Vittorio Baroni, con cui si sono sentite dopo aver appreso alla tv la notizia della morte di Eluana Englaro.
Fonte: http://www.corriere.it
lunedì 9 febbraio 2009
Le nuove relazioni tra Cina e Taiwan...
Nel corso degli ultimi anni, le relazioni tra Cina e Taiwan sono nettamente migliorate. Questo rapido processo, accolto favorevolmente dalla popolazione di entrambi i Paesi, è cominciato a partire dalla caduta di Chen-Shui Bian e sembra destinato a rafforzarsi ulteriormente. L’unica scontenta è Washington. Pare dunque utile cercare di capire sia le cause di questo avvicinamento che della scarsa soddisfazione americana - sorprendentemente, si vedrà che tutta la situazione scaturisce da un’unica causa, la crescita cinese.
Nel corso degli ultimi anni, Cina e Taiwan hanno visto le loro relazioni economiche, culturali e infine politiche rafforzarsi sensibilmente fino a livelli che sarebbero parsi impossibili solo un quinquennio addietro.
Questo processo è tanto interessante quanto singolare in quanto Cina e Taiwan vivono un antagonismo storico, dovuto al fatto che i due Paesi rappresentano uno la negazione dell’altro. Taiwan fu fondata da Chiang Kai- Shek, il leader del Kuomintag che, sconfitto da Mao nel 1948, rifugiò sull’isola di Taipei. Subito rinominata Cina, essa divenne la base dalla quale sperava di riconquistare Pechino. La Guerra fredda spinse inizialmente Washington a sostenere Taiwan. Ma quando, con i dissapori e il distacco della Cina dall’orbita sovietica nel corso degli anni ‘60, Washington scorse la ghiotta opportunità di allearsi con Mao, le ragioni di Taiwan vennero presto sacrificate sull’altare della Real Politik, prima da Nixon, che compì il famoso viaggio nella capitale cinese, e poi da Carter che istituzionalizzò le relazioni tra i due Paesi.
Ciononostante, Washington ha sempre offerto il suo sostegno difensivo a Taiwan, non tanto per ideali democratici, quanto piuttosto perché se la Cina avesse conquistato l’isola, la sua presa geopolitica sull’Est Asia sarebbe diventata ancora più solida.
Il sostegno a Taiwan va infatti compreso in un più grande disegno geopolitico volto a bilanciare la crescita della Cina. Gli Stati Uniti, attraverso il loro sistema di basi militari dislocate nel pacifico, la cooperazione del Giappone e di Taiwan, i loro soldati in Corea, l’alleanza informale con Australia e Filippine e quella strumentale di Thailandia e Vietnam, sono per l’appunto in grado di prevenire il rafforzamento marittimo di Pechino.
Questo sistema, che finora ha funzionato, ha però due grandissimi problemi. In primo luogo, tutti questi Paesi sono minuscoli se paragonati alla Cina. Inoltre, Corea del Sud, Taiwan, Giappone e, in parte, Filippine, non hanno indipendenza terrestre, nel senso che sono insulari o peninsulari e la terra ferma che li domina è quella cinese senza contare che tra questi Paesi non vi è continuità territoriale. Dunque una rappresaglia cinese nei loro confronti sarebbe devastante oltre che non particolarmente impegnativa da parte di Pechino. Come gli studi nel campo hanno dimostrato, il problema principale delle alleanze è di cooperation. Ogni attore ha il classico terrore di restare “con il cerino in mano“. Gli Stati Uniti devono quindi assolutamente evitare che anche uno solo di questi Paesi si discosti dalla protezione americana - il rischio tutt’altro che remoto sarebbe di vedere tutti questi Paesi scappare uno dopo l’altro da Washington per paura di restare l’unico avamposto con funzione anti-cinese in Asia.
In secondo luogo, l’Asia sta osservando un drammatico rafforzamento politico (economico, sociale, militare) della Cina. In altre parole, la Cina sta diventando sempre più forte e per quanto questi Paesi possano tentare di pareggiare questa crescita, è chiaro a tutti che neppure la loro più stretta collaborazione, nel lungo termine, potrà alcunché - proprio come la lezione che Messico e Canada hanno imparato rispetto agli Stati Uniti.
Il miglioramento delle relazioni tra Cina e Taiwan va dunque guardato, e spiegato, in questo più ampio contesto e non può certo sfuggire che dinamiche assolutamente analoghe si sono sviluppate anche in Thailandia, in Corea del Sud e in Vietnam.
Per inferenza, pare chiaro che la distensione dei rapporti tra la Cina e i vari Stati dell’Est Asia si debba all’inquietudine che la crescita cinese suscita in questi Paesi. Consci dell’impossibilità di resistere ad una guerra (sia politica, che economica o militare) con la Cina (specie alla luce del declino relativo americano), questi Stati, Taiwan incluso, si stanno adeguando ad un nuovo assetto geopolitico nella regione.
Non sorprende dunque che l’unico antagonista a questo processo sia Washington. Se le relazioni in Est Asia dovessero distendersi, la Cina si troverebbe assolutamente egemone in tutta la regione. Non solo infatti la giustificazione della presenza militare americana in loco verrebbe a mancare, ma Washington subirebbe crescenti pressioni per ritirarsi. In questa situazione, l’America non potrebbe più controllare e limitare l’ascesa cinese, politica, economica ma soprattutto militare (marittima). E la via al multipolarismo sarebbe definitivamente aperta…
Afghanistan, Kyrgizstan, Russia e Iran: la sfida impossible...
A poche settimane dal giuramento che ha portato alla Casa Bianca Barack Obama, gli Stati Uniti, forti anche dei successi in Iraq, stanno concentrando la loro attenzione sull’altro pilastro della guerra al terrorismo, l’Afghanistan. Dopo sette anni di operazioni, non solo Osama Bin Laden non è stato catturato, ma i talebani, mese dopo mese, hanno riconquistato molte delle loro posizioni (perse nella prima parte dell’invasione americana iniziata nel 2001). Per bocca dello stesso Segretario alla Difesa Robert Gates, gli Stati Uniti stanno fissando degli obiettivi minimi in Afghanistan: combattere il terrorismo, ed evitare che il Paese sprofondi nel caos. Democrazia, libertà, sviluppo sociale e politico - per il momento - sono fuori portata.
Purtroppo, anche gli obiettivi minimi sembrano però diventare giorno dopo giorno tutt’altro che di facile portata. In questo articolo cerchiamo di spiegare per quale ragione l’Afghanistan troverà difficilmente in breve tempo una soluzione stabile.
La Geopolitica dell’Asia CentraleIl primo fattore che rende difficile una soluzione alla questione afghana è rappresentato dalla geopolitica centrasiatica. Bisogna innanzitutto ricordare che, con l’Operazione Enduring Freedom, gli Stati Uniti hanno raggiunto un obiettivo mai neppure immaginato dalle potenze marittime. Washington è riuscita a dislocare delle basi militari in Asia Centrale: in Afghanistan, in Uzbekistan, in Kyrgizstan. Si era nel 2001 e 2002. La Cina era appena entrata nel WTO e voleva mantenere neutre le sue relazioni con Washington per far proseguire la sua crescita economica, politica e anche militare. La Russia stava lentamente ristabilendo la sua autorità interna, volta a riacquistare la sua posizione internazionale. In quella fase, anche alla luce degli orrendi attentati dell’11 settembre, permettere agli USA di entrare in Asia Centrale sembrava inevitabile (e anche utile). Mosca e Pechino diedero il lasciapassare (consapevoli anche di non avere molte altre alternative). Progressivamente, però, la politica americana è diventata più audace (leggi: arrogante), mentre la posizione americana si è progressivamente erosa. La guerra in Iraq prima, il sostegno alla Georgia e all’Ucraina dopo. Lo scudo missilistico in Europa, la politica spesso provocatoria sulla questione di Taiwan, la retorica democratizzante portata, con totale assenza di lungimiranza, fino a Pechino hanno contribuito ad allontanare Cina e Russia. Nel frattempo, gli Stati Uniti hanno visto la loro posizione declinare. La loro quota del prodotto mondiale è scesa, la loro efficacia militare è rimasta impantanata nelle sabbie mesopotamiche, il loro primato economico e tecnologico sfidato dalla crescita di nuove o vecchie potenze.
Il risultato di questo processo è che, nel 2009, né Russia né Cina hanno più interesse ad avere gli Stati Uniti in Asia centrale - e forti della loro ritrovata potenza, possono permettersi di sollevare numerose obiezioni. La Cina sa che gli idrocarburi centrasiatici saranno sempre più importanti per la sua crescita economica. La Russia non vuole che attraverso quegli stessi idrocarburi la sua posizione di quasi monopsonio verso l’Europa venga intaccata. Attraverso il controllo dell’Afghanistan passa dunque la posizione futura dei due Paesi. Non potendo sabotare direttamente la missione in Afghanistan, Cina e Russia possono però abilmente lavorare per renderla difficile, in modo da favorire un progressivo abbandono da parte degli Stati Uniti dell’Asia Centrale, o certamente così da far loro raggiungere obiettivi davvero, davvero minimi.
La Lotta al Terrorismo: Al-Qaeda e PakistanIl secondo problema che rende la missione in Afghanistan una sfida quasi impossibile è legato al nemico. Al-Qaeda, i talebani e chi li sostiene. Proprio come durante la Guerra Fredda, per motivi sia ideologici che di consenso interno, si preferì a lungo considerare i nemici come un fronte unico, unito e compatto, così nella guerra al terrorismo si è a lungo deciso di non considerare le differenze tra i vari gruppi e individui e così offrire un unico pacchetto: appunto la guerra al terrorismo. Di sicuro ciò serve a fini interni: troppi dettagli confondono l’opinione pubblica e rendono più difficile il sostegno a politiche pluriennali di sicurezza nazionale. Ma questa politica erga omnes ha anche i suoi lati negativi. Essa non permette infatti di sfruttare la cosiddetta wedge strategy: cioè far leva sulle differenze e i dissidi interni al fronte nemico in modo da isolarne la frangia più pericolosa.
Nel caso particolare dell’Afghanistan, l’errore più grande è stato quello di approcciare talebani e al-Qaeda come un blocco unico. I talebani non hanno lanciato l’11 settembre: hanno dato ospitalità e forse connivenza ad al-Qaeda ma alla fine erano soltanto degli afghani che volevano una società particolarmente arcaica e ortodossa nel loro Paese. Questi erano radicati nel territorio, lo conoscevano, avevano amicizie e legami tribali. Non erano stati eletti, ma come in tutte le dittature vale la vecchia regola: senza un minimo consenso, nessuna dittatura può sopravvivere.
Invece di allearsi con i talebani, o per lo meno con le numerose frange che al loro interno erano disposte ad un accordo politico, gli Stati Uniti hanno preferito dare loro la caccia, come se fossero membri di Al-Qaeda. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: come già detto, mese dopo mese, i talebani hanno riconquistato le loro posizioni e l’operazione in Afghanistan, come ricorda il Gen. Petraeus (che pare sottoscrivere la nostra analisi) è lungi dall’ottenere anche solo un parziale successo.
La differenza tra al-Qaeda e talebani ci riporta ad un altra grande contraddizione della guerra in Afghanistan: il Pakistan. Per anni, gli Stati Uniti lanciavano strali a favore della democrazia e simultaneamente sostenevano politicamente, economicamente e militarmente Musharraf, non certo il prodotto più raffinato della democrazia liberale. La discrasia tra parole e azioni, insieme ad una non insignificante dose di ottusità, ha portato Musharraf fuori dal potere e poi alle elezioni in Pakistan. Presto gli americani hanno scoperto come le democrazie non necessariamente abbiano le stesse vedute. Da quando Musharraf è caduto, il Pakistan è diventato sempre più insofferente della politica americana in Afghanistan mentre, al suo interno, gli scontri e le divisioni non hanno smesso di crescere, ponendo crescenti dubbi sulla capacità del Governo di gestire la sicurezza interna.
Il punto attuale è abbastanza drammatico: non solo l’Afghanistan non è pacificato, ma il grande rischio è che ora a cadere nel baratro sia il Pakistan, con le sue arme nucleari. Con una politica più comprensiva verso i talebani (assolutamente non differente dalla surge di Petraeus in Iraq, che ha avuto successo grazie alla cooperazione iraniana e sunnita), le vicende afghane sarebbero completamente diverse e il Pakistan non sarebbe nell’attuale disperata situazione. Purtroppo, il tempo utile è stato perso, Al-Qaeda si è rafforzata in Afghanistan ed è riuscita a ramificarsi ancora meglio in Pakistan. La lotta al terrorismo sarà dunque ancora più complicata, negli anni a venire.
Alleati in inaffidabili: la NATO e il suo contributoL’ulteriore tassello che complica la missione Enduring Freedom e la missione ISAF riguarda il rapporto degli Stati Uniti con l’Europa e in particolare verso la NATO. Conviene ricapitolare brevemente l’andamento dei fatti. L’Operazione Enduring Freedom fu guidata dagli USA con il supporto, minimo, di inglesi e australiani. Nonostante la NATO, per la prima volta nella storia, avesse invocato il famoso articolo 5, quello che prescrive la reciproca difesa, gli Stati Uniti preferirono declinare l’offerta di aiuto che giungeva dall’Europa. Memori dei problemi che il comando condiviso NATO aveva portato alle operazioni in Serbia, gli USA preferirono andare da soli. Difficile dar loro torto. Il problema è che, come spesso è successo nella storia della politica estera americana, Washington si è presto accorta di non essere in grado di fare tutto da sola in Afghanistan - anche perché ad un certo punto decise di dirottare i suoi sforzi verso l’Iraq. Il coinvolgimento NATO fu dunque inevitabile.
Il problema è che l’Afghanistan non pone una minaccia all’Europa. Nessun Paese Europeo sente la propria sicurezza a rischio per via dell’andamento dell’Operazione ISAF. Il risultato, per nulla sorprendente, è che nessun Paese Europeo ha dato anima e corpo per l’Afghanistan. Anche in questo caso: come dar loro torto? Se perfino gli Stati Uniti preferivano concentrarsi altrove (l’Iraq), perché mai i Paesi europei avrebbero dovuto fornire uomini e mezzi per una missione che né avevano iniziato, né avevano finora avuto modo di influenzare e, soprattutto, che neppure avrebbe mai dato loro sensibili vantaggi materiali?
Il fatto che sia Germania che Francia abbiano già detto di non voler mandare nuovi uomini in Afghanistan è di per sé abbastanza indicativo - con buona pace della speranza dei democratici americani che speravano, con l’arrivo di Obama, in una maggiore cooperazione da parte dell’Europa.
La guerra in Afghanistan è una guerra americana. La NATO vi è stata tirata dentro con forza. Lentamente, i Paesi NATO si stanno defilando, perché in Afghanistan i loro interessi sono minimi. Prima Washington capirà questo semplice dato, prima riuscirà ad elaborare una strategia efficace. Il problema è che la cultura americana fa fatica a concepire gli interessi americani come distaccati da quelli dell’umanità - da qui deriva la retorica universalistica e provvidenzialistica che ha sempre caratterizzato la politica estera USA. Pensare dunque che a Washington possano accettare e riconoscere l’assenza di interessi strategici europei in Afghanistan sembra davvero difficile.
Logistica… quella sconosciuta.L’ultima questione che rende l’avventura afghana un sogno impossibile è la logistica, la geografia, a cui gli altri tre fattori non sono estranei. L’Afghanistan è situato nel bel mezzo dell’Asia Centrale. E’ circondato da Paesi poco sviluppati, autocratici e dotati di notevoli risorse energetiche. Per arrivare in Afghanistan, non ci sono molte strade. Basti dire che, fino al 2005, gli elicotteri americani venivano portati in loco da una compagnia russa, l’unica dotata di velivoli grandi abbastanza per trasportarli. Non è necessario dire che la compagnia russa passava da Ovest, e dunque i mezzi americani partivano dall’Europa. Se la compagnia fosse fallita o se la Russia non avesse più concesso il proprio spazio aereo, gli Americani non avrebbero più avuto i loro Apache in Afghanistan. Le altre due rotte usate per sostenere l’Operazione Enduring Freedom erano rappresentate dal Pakistan e dal Kyrgizstan. Il Pakistan, come abbiamo detto, è minato da una feroce lotta intestina, a cui al-Qaeda non è esterna. Due settimane fa un ponte essenziale per la logistica NATO, a 15 km da Peshawar, è stato distrutto. Forse non casualmente. Il Kyrgizstan ha annunciato la scorsa settimana di non voler più ospitare la base americana che si trova all’interno dei suoi confini. Proprio come fece l’Uzbekistan nel 2005, ora il Kyrgizstan ritiene più allettanti le offerte russe (e il neutrale compiacimento cinese: è infatti singolare che il Tajikistan, offrendosi di sostituire il Kyrgizstan, abbia già detto di concedere il suo spazio solo per supporto non-militare).
Ciò complica notevolmente tutta la strategia. Il Gen. Petraeus sta formulando una nuova dottrina da applicare al Paese: il rischio è di non poterla attuarla per incapacità logistica di raggiungerlo. Per sostenere la missione Enduring Freedom e l’operazione NATO ISAF è quindi necessario fare affidamento, per la logistica, sulla Russia (che, come il Tajikistan, concede il suo spazio solo per supporto civile), sulla Cina (che ha più di un interesse a tenere fuori dall’Asia centrale gli USA) e sull’Iran. Forse non è un caso che proprio negli ultimi giorni, Tehran abbia mostrato una scarsa disponibilità al dialogo con gli Stati Uniti. La sua posizione negoziale si è rinvigorita nel giro di ore - difficile aspettarsi un comportamento differente.
ConclusioniPriva del sostegno delle altre Grandi Potenze regionali, sprovvista di supporto logistico, avversata da un nemico subdolo e sofisticato, e schiacciata da interessi politici, economici e strategici differenti, la missione in Afghanistan sembra oggi essere soggetta a sfide molto più grandi di quelle che comunemente vengono percepite.
Si era andati in Afghanistan per portare la democrazia. Ora speriamo di riuscire a dare un minimo di sicurezza.
ITALIA-CINA
PER L'ALLEANZA, LA COOPERAZIONE, L'AMICIZIA E LA COLLABORAZIONE TRA' LA REPUBBLICA ITALIANA E LA REPUBBLICA POPOLARE CINESE!!!