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« La mafia non è affatto invincibile. È un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio, e avrà anche una fine. Piuttosto bisogna rendersi conto che è un fenomeno terribilmente serio e molto grave e che si può vincere non pretendendo eroismo da inermi cittadini, ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni. » | |
(Giovanni Falcone, in un'intervista a Raitre)
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Giovanni Falcone (Palermo, 18 maggio 1939[1] – Palermo, 23 maggio 1992[2]) è stato un magistrato italiano. Assassinato insieme alla moglie e alla scorta dalla mafia, è considerato un eroe italiano, come Paolo Borsellino, di cui fu amico e collega.
Indice |
Biografia
Figlio di Arturo, direttore del Laboratorio chimico provinciale, e di
Luisa Bentivegna, aveva due sorelle maggiori, Anna e Maria. Giovanni
Falcone studiò al Convitto Nazionale di Palermo, poi al liceo classico
"Umberto I" e successivamente, dopo una breve esperienza all'Accademia Navale di Livorno, si iscrisse a giurisprudenza all'Università degli studi di Palermo dove si laureò nel 1961, con una tesi sulla "Istruzione probatoria in diritto amministrativo".[3]
Gli inizi in Magistratura
Falcone vinse il concorso in Magistratura nel 1964 e in quello stesso anno sposa la prima moglie Rita Bonnici, da cui divorzierà quattordici anni dopo. Per breve tempo fu pretore a Lentini. Fu poi sostituto procuratore al tribunale di Trapani per dodici anni. Qui, a poco a poco, nacque in lui la passione per il diritto penale.[4]
Fu trasferito a Palermo nel luglio 1978. Dopo l'omicidio del giudice Cesare Terranova fece domanda ed ottenne di lavorare all'Ufficio istruzione, che sotto la successiva guida di Rocco Chinnici, diviene un esempio innovativo di organizzazione giudiziaria. Chinnici chiamò al suo fianco anche Paolo Borsellino che divenne collega di Falcone nello sbrigare il lavoro arretrato di oltre cinquecento processi[5]. Nel maggio 1980 Chinnici affidò a Falcone le indagini contro Rosario Spatola: un lavoro che coinvolgeva anche criminali negli Stati Uniti e all'epoca osteggiato da alcuni altri magistrati.
Alle prese con questo caso, Falcone comprese che per indagare con
successo le associazioni mafiose era necessario basarsi anche su
indagini patrimoniali e bancarie. Ricostruire il percorso del denaro che
accompagnava i traffici ed avere un quadro complessivo del fenomeno.
Notò che gli stupefacenti venivano venduti negli Stati Uniti così chiese a tutti i direttori delle banche di Palermo e provincia di mandargli le distinte di cambio valuta estera dal 1975 in poi. Alcuni telefonarono personalmente a Falcone per capire che intenzione avesse e lui rimase fermo sulle sue richieste[6].
Grazie ad un attento controllo di tutte le carte richieste, una volta
superate le reticenze delle banche, e "seguendo i soldi" riuscì ad
iniziare a vedere il quadro di una gigantesca organizzazione criminale: i
confini di Cosa nostra.
Grazie ad un assegno dell'importo di centomila dollari cambiato presso
la Cassa di Risparmio di piazza Borsa di Palermo, Falcone, trovò la
prova che Michele Sindona
si trovava in Sicilia smascherando quindi il finto sequestro
organizzato a suo favore dalla mafia siculo-americana alla vigilia del
suo giudizio[6]. Nei primi giorni del mese di dicembre 1980 Giovanni Falcone si recò per la prima volta a New York per discutere di mafia e stringere una collaborazione con Victor Rocco, investigatore del distretto est[7].
Sono anni tumultuosi che vedono la prepotente ascesa dei Corleonesi,
i quali impongono il proprio feudo criminale insanguinando le strade a
colpi di omicidi. Emblematici i titoli del quotidiano palermitano L'Ora, che arriverà a titolare le sue prime pagine enumerando le vittime della drammatica guerra di mafia. Tra queste vittime anche svariati e valorosi servitori dello Stato come Pio La Torre, principale artefice della legge Rognoni-La Torre (che introdusse nel codice penale il reato di associazione mafiosa), e il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Infine lo stesso Chinnici, al quale succedette Antonino Caponnetto.
Gli anni del Pool antimafia
Caponnetto si insedia concependo la creazione di un "pool"
di pochi magistrati che, così come sperimentato contro il terrorismo,
potessero occuparsi dei processi di mafia, esclusivamente e a tempo
pieno, col vantaggio sia di favorire la condivisione delle informazioni
tra tutti i componenti e minimizzare così i rischi personali, che per
garantire in ogni momento una visione più ampia ed esaustiva possibile
di tutte le componenti del fenomeno mafioso.
Nello scegliere i suoi uomini, Caponnetto pensa subito a Falcone per l'esperienza ed il prestigio già da lui acquisiti, ed a Giuseppe Di Lello,
pupillo di Chinnici. Lo stesso Falcone suggerì poi l'introduzione di
Borsellino, mentre la scelta dell'ultimo membro ricadde sul giudice più
anziano, Leonardo Guarnotta.
La validità del nuovo sistema investigativo si dimostra subito
indiscutibile, e sarà fondamentale per ogni successiva indagine, negli
anni a venire.
Ma una vera e propria svolta epocale alla lotta alla mafia sarebbe stata impressa con l'arresto di Tommaso Buscetta,
il quale, dopo una drammatica sequenza di eventi, decise di collaborare
con la Giustizia. Il suo interrogatorio, iniziato a Roma nel luglio 1984 in presenza del sostituto procuratore Vincenzo Geraci e di Gianni De Gennaro del Nucleo operativo della Criminalpol,
si rivelerà determinante per la conoscenza non solo di determinati
fatti, ma specialmente della struttura e delle chiavi di lettura
dell'organizzazione definita Cosa nostra.
Il maxiprocesso di Palermo
Per approfondire, vedi la voce Maxiprocesso di Palermo. |
Le inchieste avviate da Chinnici e portate avanti dalle indagini di Falcone e di tutto il pool portarono così a costituire il primo grande processo contro la mafia.
Questa reagì bruciando il terreno attorno ai giudici: dopo l'omicidio di Giuseppe Montana e Ninni Cassarà nell'estate 1985, stretti collaboratori di Falcone e Borsellino,
si cominciò a temere per l'incolumità anche dei due magistrati, che
furono indotti per motivi di sicurezza a soggiornare qualche tempo con
le famiglie presso il carcere dell'Asinara
(incredibilmente dovettero pagarsi le spese di soggiorno e consumo
bevande, come ricordò Borsellino in un'intervista), dove gettarono le
basi dell'istruttoria.
Ma il 16 novembre 1987
diventa una data storica e insieme un momento fondamentale per il
Paese, che per la prima volta inchioda la mafia traducendola alla
Giustizia. Il Maxiprocesso
sentenzia 360 condanne per complessivi 2665 anni di carcere e undici
miliardi e mezzo di lire di multe da pagare, segnando un grande successo
per il lavoro svolto da tutto il pool antimafia.[8]
Nel dicembre 1986, Borsellino viene nominato Procuratore della Repubblica di Marsala
e lascia il pool. Come ricorderà Caponnetto, a quel punto gli sviluppi
dell'istruttoria includono ormai quasi un milione di fogli processuali,
rendendo necessaria l'integrazione di nuovi elementi per seguire
l'accresciuta mole di lavoro. Entrarono così a far parte del pool altri
tre giudici istruttori: Ignazio De Francisci, Gioacchino Natoli e Giacomo Conte.
La fine del Pool Antimafia
Se lo Stato aveva conseguito una vittoria memorabile, la partita era
lungi da considerarsi conclusa. Inoltre, Caponnetto si apprestava a
lasciare l'incarico per ragioni di salute, e raggiunti limiti di età.
Alla sua sostituzione vennero candidati Falcone, ed Antonino Meli. Nel settembre 1987, dopo una discussa votazione, il Consiglio Superiore della Magistratura nominò Meli. A favore di Falcone, votò anche il futuro Procuratore della Repubblica di Palermo, Giancarlo Caselli, in dissenso con la corrente di Magistratura Democratica cui apparteneva.
La scelta di Meli, generalmente motivata in base alla mera anzianità
di servizio, piuttosto che alla maggiore competenza effettivamente
maturata da Falcone, innescò amare polemiche, e venne interpretata come
una possibile rottura dell'azione investigativa, inoltre rese Falcone un
bersaglio molto più facile per la mafia, perché la sua perdita aveva
dimostrato che effettivamente non era stimato come si credeva;
Borsellino stesso aveva lanciato a più riprese l'allarme a mezzo stampa,
rischiando conseguenze disciplinari; esternazioni che di fatto non
sortirono alcun effetto.
Meli si insedia nel gennaio 1988
e finisce con lo smantellare il metodo di lavoro intrapreso,
riportandolo indietro di un decennio. Da qui in poi Falcone e i suoi
dovettero fronteggiare un numero sempre crescente di ostacoli alla loro
attività. La mafia intanto non ha abbassato la guardia, ed uccide l'ex
sindaco di Palermo Giuseppe Insalaco, che aveva denunciato le pressioni subite da Vito Ciancimino
durante il suo mandato. Tempo dopo, i due membri del pool Di Lello e
Conte si dimisero polemicamente. Non ultimo, persino la Cassazione
sconfessò l'unitarietà delle indagini in fatto di mafia affermata da
Falcone.
Il 30 luglio
Falcone richiese addirittura di essere destinato a un altro ufficio, e
Meli, ormai in aperto contrasto con Falcone, come predetto da
Borsellino, sciolse ufficialmente il pool. Un mese dopo, Falcone ebbe
l'ulteriore amarezza di vedersi preferito Domenico Sica alla guida dell'Alto Commissariato per la lotta alla Mafia.
Nonostante gli avvenimenti, tuttavia, Falcone proseguì ancora una volta
il suo straordinario lavoro, realizzando un'importante operazione
antidroga in collaborazione con Rudolph Giuliani, allora procuratore distrettuale di New York.
Il fallito attentato dell'Addaura e la vicenda del "corvo"
Il 21 giugno 1989,
Falcone divenne obiettivo di un attentato presso la villa al mare
affittata per le vacanze; su questo avvenimento, comunemente detto attentato dell'Addaura, ancora oggi non è stata fatta piena luce[9].
I sicari di Totò Riina
e di altri mafiosi ritenuti mandanti, piazzarono un borsone con
cinquantotto candelotti di tritolo in mezzo agli scogli, a pochi metri
dalla villa affittata dal giudice, che stava per ospitare i colleghi Carla del Ponte e Claudio Lehmann.
Il piano era probabilmente quello di assassinare il giudice allorché
fosse sceso dalla villa sulla spiaggia per fare il bagno, ma l'attentato
fallì. Inizialmente venne ritenuto che i killer non fossero riusciti a
far esplodere l'ordigno a causa di un detonatore
difettoso, dandosi quindi alla fuga e abbandonando il borsone.
Vent'anni dopo, nuove ipotesi investigative avallerebbero invece la
ricostruzione che l'ordigno venne reso inoffensivo nelle ore notturne
antecedenti dagli agenti Antonino Agostino ed Emanuele Piazza, fintisi sommozzatori. Agostino e Piazza verranno poi assassinati.
Falcone dichiarò al riguardo che a volere la sua morte si trattava
probabilmente di qualcuno che intendeva bloccarne l’inchiesta sul
riciclaggio in corso, parlando inoltre di "menti raffinatissime", e
teorizzando la collusione tra soggetti occulti e criminalità
organizzata, come avvenuto per l'omicidio Dalla Chiesa. Espressioni in
cui molti lessero i servizi segreti deviati. Il giudice, in privato, si manifestò sospettando di Bruno Contrada, funzionario del Sisde che aveva costruito la sua carriera al fianco di Boris Giuliano. Contrada verrà poi arrestato e condannato in primo grado a dieci anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa, sentenza poi confermata in Cassazione.
Ma al Palazzo di Giustizia di Palermo aveva preso corpo anche la nota
vicenda del "corvo": una serie di lettere anonime (di cui un paio
addirittura composte su carta intestata della Criminalpol), che diffamarono il giudice ed i colleghi Giuseppe Ayala, Giammanco Prinzivalli più altri come il Capo della Polizia di Stato, Vincenzo Parisi, ed importanti investigatori come De Gennaro e Antonio Manganelli. In esse Falcone veniva millantato soprattutto di avere "pilotato" il ritorno di un pentito, Totuccio Contorno, al fine di sterminare i corleonesi, storici nemici della sua famiglia.
I fatti descritti venivano presentati come movente della morte di
Falcone ad opera dei corleonesi, i quali avrebbero organizzato il poi
fallito attentato come vendetta per il rientro di Contorno (e non, si
badi, per i decenni di inflessibile lotta senza quartiere che Falcone
aveva scatenato contro di loro...). I contenuti, particolarmente ben
dettagliati sulle presunte coperture del Contorno e gli accadimenti
all'interno del tribunale, furono alimentati ad arte sino a destare
notevole inquietudine negli ambienti giudiziari, tanto che nello stesso
ambiente degli informatori di polizia queste missive vennero attribuite
ad un "corvo", ossia un magistrato.
Sebbene sul momento la stampa non lo spiegasse apertamente al grande
pubblico, infatti, tra gli esperti di "cose di cosa nostra" (come
Falcone) era risaputo che, nel linguaggio mafioso, tale appellativo
designasse proprio i magistrati (dalla toga nera che indossano in
udienza); le missive avrebbero così inteso insinuare la certezza che in
realtà il pool operasse al di fuori dalle regole, immerso tra invidie,
concorrenze e gelosie professionali.
Gli accertamenti per individuare gli effettivi responsabili portarono alla condanna in primo grado per diffamazione del giudice Alberto Di Pisa,
identificato grazie a dei rilievi dattiloscopici. Le impronte digitali -
raccolte con un artificio dal magistrato inquirente - furono però
dichiarate processualmente inutilizzabili, oltre a lasciare dubbi sulla
loro validità probatoria (sia il bicchiere di carta su cui erano state
prelevate le impronte, sia l'anonimo con cui furono confrontate, erano
alquanto deteriorati).
Una settimana dopo il fallito attentato, il C.S.M. decise la nomina
di Falcone a procuratore aggiunto presso la Procura della Repubblica. Di
Pisa, che tre mesi dopo davanti al C.S.M. avrebbe mosso gravi rilievi
allo stesso Falcone sia sulla gestione dei pentiti che sull'operato,
verrà poi assolto in Appello per non aver commesso il fatto[10].
Molti testimoni diretti dei fatti dell'Addaura morirono in circostanze sospette: Antonino Agostino, agente del SISDE, che si ipotizza lavorasse per proteggere Falcone, venne ucciso insieme alla moglie Ida Castelluccio il 5 agosto del 1989 da un commando in motocicletta; Emanuele Piazza, collega di Agostino al SISDE, venne ucciso per strangolamento dalla mafia il 15 marzo 1990;
il microcriminale Francesco Paolo Gaeta, che quel giorno aveva
casualmente assistito alle manovre militari intorno alla villa del
giudice, venne ucciso a colpi di pistola il 2 settembre 1992;
il mafioso Luigi Ilardo, informatore del colonnello dei carabinieri
Michele Riccio - e che a questi aveva confidato di sapere che «a
Palermo c'era un agente che faceva cose strane e si trovava sempre in
posti strani. Aveva la faccia da mostro. Siamo venuti a sapere che era
anche nei pressi di Villagrazia quando uccisero il poliziotto Agostino» - venne assassinato il 10 maggio 1996, qualche giorno prima di mettere a verbale le sue confessioni[9].
La stagione dei veleni
Nell'agosto 1989 iniziò a collaborare coi magistrati anche il mafioso Giuseppe Pellegriti, fornendo preziose informazioni sull’omicidio del giornalista Giuseppe Fava, e rivelando al pubblico ministero Libero Mancuso di essere venuto a conoscenza, tramite il boss Nitto Santapaola, di fatti inediti sul ruolo del politico Salvo Lima negli omicidi di Piersanti Mattarella e Pio La Torre. Mancuso informò subito Falcone, che interrogò il pentito a sua volta, e, dopo due mesi di indagini, lo incriminò insieme ad Angelo Izzo,
spiccando nei loro confronti due mandati di cattura per calunnia (poi
annullati dal Tribunale della libertà in quanto essi erano già in
carcere). Pellegriti, dopo l’incriminazione, ritrattò, attribuendo a
Izzo di essere l’ispiratore delle accuse.
Lima e la corrente di Giulio Andreotti, erano spregiati dal sindaco di Palermo, Leoluca Orlando,
e tutto il movimento antimafia, e l’incriminazione di Pellegriti venne
vista come una sorta di cambiamento di rotta del giudice dopo il fallito
attentato, tanto che ricevette nuove e dure critiche al suo operato da
parte di esponenti come Carmine Mancuso, Alfredo Galasso e in maniera minore anche da Nando Dalla Chiesa, figlio del compianto generale. Gerardo Chiaromonte, presidente della Commissione Antimafia,
scriverà poi, in riferimento al fallito attentato all'Addaura contro
Falcone: «I seguaci di Orlando sostennero che era stato lo stesso
Falcone a organizzare il tutto per farsi pubblicità».
Nel gennaio '90, Falcone coordina un'altra importante inchiesta che
porta all'arresto di trafficanti di droga colombiani e siciliani. Ma a
maggio riesplose, violentissima, la polemica, allorquando Orlando
interviene alla seguitissima trasmissione televisiva di Rai 3, Samarcanda dedicata all'omicidio di Giovanni Bonsignore,
scagliandosi contro Falcone, che, a suo dire, avrebbe "tenuto chiusi
nei cassetti" una serie di documenti riguardanti i delitti eccellenti
della mafia[11]. Le accuse erano indirizzate anche verso il giudice Roberto Scarpinato, oltre al procuratore Pietro Giammanco, ritenuto vicino ad Andreotti. Si asseriscono responsabilità politiche alle azioni della cupola mafiosa (il cosiddetto "terzo livello")
ma Falcone dissente sostanzialmente da queste conclusioni, sostenendo,
come sempre, la necessità di prove certe e bollando simili affermazioni
come "cinismo politico". Rivolto direttamente ad Orlando, dirà: "Questo è
un modo di far politica attraverso il sistema giudiziario che noi
rifiutiamo. Se il sindaco di Palermo sa qualcosa, faccia nomi e cognomi,
citi i fatti, si assuma le responsabilità di quel che ha detto.
Altrimenti taccia: non è lecito parlare in assenza degli interessati"[12]
La polemica ha continuato ad alimentarsi anche dopo la morte del
giudice Falcone. In particolare, la sorella Maria Falcone in un
collegamento telefonico con il programma radiofonico "Mixer" ha accusato
Leoluca Orlando
di aver infangato suo fratello, « hai infangato il nome, la dignità e
l' onorabilità di un giudice che ha sempre dato prova di essere
integerrimo e strenuo difensore dello Stato contro la mafia[...]lei ha
approfittato di determinati limiti dei procedimenti giudiziari, per
fare, come diceva Giovanni, politica attraverso il sistema giudiziario»[13].
In un'intervista a Klauscondicio, Leoluca Orlando ha dichiarato di non
essersi pentito riguardo alle accuse che rivolse a Falcone.
Ad Anno zero il senatore Roberto Castelli all'epoca Ministro della Giustizia, ha accusato Leoluca Orlando
di aver indebitamente attaccato Giovanni Falcone perché il giudice
siciliano aveva fatto riarrestare Ciancimino, colpevole di aver stretto
affari con lo stesso Orlando.
Nel settembre 1991 Salvatore Cuffaro,
all'epoca deputato regionale poi presidente della Regione Siciliana per
il centro-destra ed eurodeputato UDC, intervenne ad una puntata
speciale della trasmissione televisiva Samarcanda condotta da Michele
Santoro in collegamento con il Maurizio Costanzo Show e dedicata alla
commemorazione dell'imprenditore Libero Grassi, ucciso dalla mafia. In
quella occasione, Cuffaro - presente tra il pubblico - si scagliò con
veemenza contro conduttori ed ospiti (tra cui Falcone), sostenendo come
le iniziative portate avanti da un certo tipo di "giornalismo mafioso"
fossero degne dell'attività mafiosa vera e propria, tanto criticata e
comunque lesive della dignità della Sicilia. Cuffaro parlò di certa
magistratura "che mette a repentaglio e delegittima la classe dirigente
siciliana", con chiaro riferimento a Mannino, in quel momento uno dei
politici più influenti della Dc[14].
In un'intervista del 2008 al Corriere della Sera il Presidente emerito Francesco Cossiga
ha imputato al Csm grosse responsabilità riguardo alla morte del
Giudice Falcone, ha infatti affermato : "i primi mafiosi stanno al CSM.
[Sta scherzando?] Come no? Sono loro che hanno ammazzato Giovanni
Falcone negandogli la DNA e prima sottoponendolo a un interrogatorio.
Quel giorno lui uscì dal CSM e venne da me piangendo. Voleva andar via.
Ero stato io a imporre a Claudio Martelli di prenderlo al Ministero
della Giustizia."
La polemica sancì la rottura del fronte antimafia, e da allora in poi
Cosa Nostra si avvantaggerà della tensione strisciante nelle
istituzioni, cosa che avvelenò sempre più il clima attorno a Falcone,
isolandolo. Alle seguenti elezioni dei membri togati del Consiglio
superiore della magistratura del 1990,
Falcone venne candidato per le liste collegate "Movimento per la
giustizia" e "Proposta 88", ma non viene eletto. Fattisi poi via via
sempre più aspri i dissensi con Giammanco, Falcone optò per accettare la
proposta di Claudio Martelli,
allora vicepresidente del Consiglio e ministro di Grazia e Giustizia ad
interim, a dirigere la sezione Affari Penali del ministero.
L'ultima battaglia
In questo periodo, che va dal 1991
alla sua morte, Falcone fu molto attivo, cercando in ogni modo di
rendere più incisiva l'azione della magistratura contro il crimine.
Tuttavia, la vicinanza di Giovanni Falcone al socialista Claudio Martelli
costò al magistrato siciliano violenti attacchi da buona parte del
mondo politico. In particolare, l'appoggio di Martelli fece destare
sospetti da parte dei partiti di centro sinistra che fino ad allora
avevano appoggiato una possibile candidatura di Falcone.
Falcone in realtà profuse tutta la propria professionalità nel
preparare leggi che il Parlamento avrebbe successivamente approvato, ed
in particolare sulla procura nazionale antimafia.
Alcuni magistrati, tra i quali lo stesso Paolo Borsellino,
criticarono poi il progetto della Superprocura, denunciando il rischio
che essa costituisse paradossalmente un elemento strategico
nell'allontanamento di Falcone dal territorio siciliano e nella
neutralizzazione reale delle sue indagini.[15]
Il 15 ottobre 1991 Giovanni Falcone è costretto a difendersi davanti al CSM in seguito all'esposto presentato il mese prima (l'11 settembre) da Leoluca Orlando.
L'esposto contro Falcone era il punto di arrivo della serie di accuse
mosse da Orlando al magistrato palermitano, il quale ribatté ancora alle
accuse definendole «eresie, insinuazioni» e «un modo di far politica
attraverso il sistema giudiziario». Sempre davanti al CSM Falcone, commentando il clima di sospetto creatosi a Palermo,
affermò che «non si può investire nella cultura del sospetto tutto e
tutti. La cultura del sospetto non è l’anticamera della verità, è
l’anticamera del khomeinismo».
In questo contesto fortemente negativo, nel marzo 1992 viene assassinato Salvo Lima,
omicidio che rappresenta un importante segnale dell'inasprimento della
strategia mafiosa la quale rompe così gli equilibri consolidati ed alza
il tiro verso lo Stato per ridefinire alleanze e possibili collusioni.
Falcone era stato informato poco più di un anno prima con un dossier dei
Carabinieri del ROS
che analizzava l'imminente neo-equilibrio tra mafia, politica ed
imprenditoria, ma il nuovo incarico non gli aveva permesso di
ottemperare ad ulteriori approfondimenti.
Il ruolo di "Superprocuratore" a cui stava lavorando avrebbe
consentito di realizzare un potere di contrasto alle organizzazioni
mafiose sin lì impensabile. Ma ancor prima che egli vi venisse
formalmente indicato, si riaprirono ennesime polemiche sul timore di una
riduzione dell'autonomia della Magistratura ed una subordinazione della
stessa al potere politico. Esse sfociarono per lo più in uno sciopero
dell'Associazione Nazionale Magistrati e nella decisione del Consiglio Superiore della Magistratura che per la carica gli oppose inizialmente Agostino Cordova.
Sostenuto da Martelli, Falcone rispose sempre con lucidità di analisi
e limpidezza di argomentazioni, intravedendo, presumibilmente, che il
coronamento della propria esperienza professionale avrebbe definito
nuovi e più efficaci strumenti al servizio dello Stato. Eppure,
nonostante la sua determinazione, egli fu sempre più solo all'interno
delle istituzioni, condizione questa che prefigurerà tristemente la sua
fine. Emblematicamente, Falcone ottenne i numeri per essere eletto
Superprocuratore il giorno prima della sua morte.
Nell'intervista rilasciata a Marcelle Padovani per "Cose di Cosa Nostra",
Falcone attesta la sua stessa profezia: "Si muore generalmente perché
si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande. Si muore
spesso perché non si dispone delle necessarie alleanze, perché si è
privi di sostegno. In Sicilia la mafia colpisce i servitori dello Stato
che lo Stato non è riuscito a proteggere."
La strage di Capaci
Per approfondire, vedi la voce Strage di Capaci. |
Giovanni Falcone viene assassinato in quella che comunemente è detta strage di Capaci, il 23 maggio 1992[16].
Stava tornando, come era solito fare nei fine settimana, da Roma. Il
jet di servizio partito dall'aeroporto di Ciampino intorno alle 16:45
arriva a Punta Raisi dopo un viaggio di 53 minuti. Lo attendono tre Fiat Croma blindate, con un gruppo di scorta sotto il comando dell'allora capo della squadra mobile di Palermo, Arnaldo La Barbera.
Appena sceso dall'aereo, Falcone si sistema alla guida della Croma bianca, ed accanto prende posto la moglie Francesca Morvillo mentre l'autista giudiziario Giuseppe Costanza va ad occupare il sedile posteriore. Nella Croma marrone c'è alla guida Vito Schifani, con accanto l'agente scelto Antonio Montinaro e sul retro Rocco Dicillo,
mentre nella vettura azzurra ci sono Paolo Capuzzo, Gaspare Cervello e
Angelo Corbo. Al gruppo è in testa la Croma marrone, poi la Croma bianca
guidata da Falcone, e in coda la Croma azzurra. Alcune telefonate
avvisano della partenza i sicari che hanno sistemato l'esplosivo per la
strage.
I particolari sull'arrivo del giudice dovevano essere coperti dal più
rigido riserbo; indicativo del clima di sospetto che si viveva nel
Paese, è il fatto che nell'aereo di Stato - che lo riportava a Palermo -
avevano avuto un passaggio diversi "grandi elettori" (deputati,
senatori e delegati regionali) siciliani reduci dagli scrutini di
Montecitorio per l'elezione del Capo dello Stato, prolungatisi invano
fino al sabato mattina. Uno di essi sarebbe stato addirittura inquisito
per associazione a delinquere di stampo mafioso tre anni dopo; ma
nessuna verità definitiva fu acquisita in sede processuale sull'identità
della fonte che aveva comunicato alla mafia la partenza di Falcone da
Roma e l'arrivo a Palermo per l'ora stabilita.
Le auto lasciano l'aeroporto imboccando l'autostrada in direzione
Palermo. La situazione appare tranquilla, tanto che non vengono attivate
neppure le sirene. Su una strada parallela, una macchina si affianca
agli spostamenti delle tre Croma blindate, per darne segnalazione ai
killer in agguato sulle alture sovrastanti il litorale; sono gli ultimi
secondi prima della strage.
Otto minuti dopo, alle ore 17:58, presso il km 5 della A29, una carica di cinque quintali di tritolo
posizionata in una galleria scavata sotto la sede stradale nei pressi
dello svincolo di Capaci-Isola delle Femmine viene azionata per
telecomando da Giovanni Brusca, il sicario incaricato da Totò Riina.
Pochissimi istanti prima della detonazione, Falcone si era accorto che
le chiavi di casa erano nel mazzo assieme alle chiavi della macchina, e
le aveva tolte dal cruscotto, provocando un rallentamento improvviso del mezzo. Brusca,
rimasto spiazzato, preme il pulsante in anticipo, sicché l'esplosione
investe in pieno solo la Croma marrone, prima auto del gruppo,
scaraventandone i resti oltre la carreggiata opposta di marcia, e su
fino ad una zona pianeggiante alberata; i tre agenti di scorta muoiono
sul colpo.
La seconda auto, la Croma bianca guidata dal giudice, avendo
rallentato, si schianta invece contro il muro di cemento e detriti
improvvisamente innalzatosi per via dello scoppio. Falcone e la moglie,
che non indossano le cinture di sicurezza, vengono proiettati
violentemente contro il parabrezza. Falcone, che riporta ferite solo in
apparenza non gravi, muore dopo il trasporto in ospedale a causa di
varie emorragie interne.
Rimangono feriti gli agenti della terza auto, la Croma azzurra, che
infine resiste, e si salvano miracolosamente anche un'altra ventina di
persone che al momento dell'attentato si trovano a transitare con le
proprie autovetture sul luogo dell'eccidio.
La detonazione provoca un'esplosione immane ed una voragine enorme sulla strada.[17].
In un clima irreale e di iniziale disorientamento, altri automobilisti
ed abitanti dalle villette vicine danno l'allarme alle autorità e
prestano i primi soccorsi tra la strada sventrata ed una coltre di
polvere.
Venti minuti dopo circa, Giovanni Falcone viene trasportato sotto
stretta scorta di un corteo di vetture e di un elicottero dell'Arma dei
Carabinieri presso l'ospedale Civico di Palermo. Gli altri agenti e i
civili coinvolti vengono anch'essi trasportati in ospedale mentre la
Polizia Scientifica esegue i primi rilievi ed i Vigili del Fuoco
espletano il triste compito di estrarre i cadaveri irriconoscibili di
Schifani, Montinaro e Di Cillo.
Intanto i media iniziano a diffondere la notizia di un attentato a
Palermo, ed il nome del giudice Falcone trova via via conferma. L'Italia
intera, sgomenta, trattiene il fiato per la sorte delle vittime con
tensione sempre più viva e contrastante, sinché alle 19:05, ad un'ora e
sette minuti dall'attentato, Giovanni Falcone muore dopo alcuni
disperati tentativi di rianimazione, a causa della gravità del trauma
cranico e delle lesioni interne. Francesca Morvillo morirà anch'essa,
intorno alle 22.
Due giorni dopo, il 25 maggio mentre a Roma viene eletto presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, a Palermo, nella Chiesa di San Domenico, si svolgono i funerali delle vittime ai quali partecipa l'intera città, assieme a colleghi e familiari e personalità come Giuseppe Ayala e Tano Grasso. I più alti rappresentanti del mondo politico, come Giovanni Spadolini, Claudio Martelli, Vincenzo Scotti, Giovanni Galloni,
vengono duramente contestati dalla cittadinanza; e le immagini
televisive delle parole e del pianto straziante della vedova Schifani
susciteranno particolare emozione nell'opinione pubblica.
Il giudice Ilda Boccassini
urlerà la sua rabbia rivolgendosi ai colleghi nell'aula magna del
Tribunale di Milano: «Voi avete fatto morire Giovanni, con la vostra
indifferenza e le vostre critiche; voi diffidavate di lui; adesso
qualcuno ha pure il coraggio di andare ai suoi funerali». Nel suo sfogo
il magistrato, che si farà trasferire a Caltanissetta per indagare sulla strage di Capaci,
ricorderà anche il linciaggio subito dall'amico Falcone da parte dei
suoi colleghi magistrati, anche facenti capo alla stessa corrente cui
Falcone aderiva:
« Due mesi fa ero a Palermo in un'assemblea dell'Anm. Non potrò mai dimenticare quel giorno. Le parole più gentili, specie da Magistratura democratica, erano queste: Falcone si è venduto al potere politico. Mario Almerighi lo ha definito un nemico politico. Ora io dico che una cosa è criticare la Superprocura. Un'altra, come hanno fatto il Consiglio superiore della Magistratura, gli intellettuali e il cosiddetto fronte antimafia, è dire che Giovanni non fosse più libero dal potere politico. A Giovanni è stato impedito nella sua città di fare i processi di mafia. E allora lui ha scelto l'unica strada possibile, il ministero della Giustizia, per fare in modo che si realizzasse quel suo progetto: una struttura unitaria contro la mafia. Ed è stata una rivoluzione. » |
La Boccassini criticherà anche l'atteggiamento dei magistrati milanesi impegnati in Mani pulite:
« Tu, Gherardo Colombo, che diffidavi di Giovanni, perché sei andato al suo funerale? Giovanni è morto con l'amarezza di sapere che i suoi colleghi lo consideravano un traditore. E l'ultima ingiustizia l'ha subìta proprio da quelli di Milano, che gli hanno mandato una richiesta di rogatoria per la Svizzera senza gli allegati. Mi ha telefonato e mi ha detto: "Non si fidano neppure del direttore degli Affari penali" » |
Ilda Boccassini, confermerà le critiche in un'intervista a La Repubblica del maggio 2002[18],
in occasione dell'affissione di targa in memoria di Giovanni Falcone al
ministero della Giustizia. Il magistrato criticherà gli onori postumi
offerti a Falcone, sostenendo che
« Né il Paese né la magistratura né il potere, quale ne sia il segno politico, hanno saputo accettare le idee di Falcone, in vita, e più che comprenderle, in morte, se ne appropriano a piene mani, deformandole secondo la convenienza del momento.[...] Non c'è stato uomo la cui fiducia e amicizia è stata tradita con più determinazione e malignità. Eppure le cattedrali e i convegni, anno dopo anno, sono sempre affollati di "amici" che magari, con Falcone vivo, sono stati i burattinai o i burattini di qualche indegna campagna di calunnie e insinuazioni che lo ha colpito » |
Nell'intervista ricorderà anche come diversi magistrati e politici,
sia vicini a partiti della sinistra che della destra, criticarono
fortemente Falcone quando questo era ancora vivo.
In particolare, l'opposizione a Falcone dei magistrati vicini al Pds fu fortissima: al Csm,
per tre volte il magistrato palermitano subì dei veti. Quando concorse
al posto di super-procuratore antimafia, gli venne preferito Agostino Cordova, procuratore capo di Palmi. Alessandro Pizzorusso, componente laico del Csm designato dal Partito Comunista, firmò un articolo sull'Unità
sostenendo che Falcone non fosse "affidabile" e che essendo
"governativo", avrebbe perso le sue caratteristiche di indipendenza.
Successivamente, quando al Consiglio superiore della magistratura si
dovette decidere se Falcone dovesse essere posto o meno a capo
dell'Ufficio istruzione di Palermo, gli venne preferito Antonino Meli; votarono per quest'ultimo e quindi contro Falcone anche gli esponenti di Magistratura democratica, vicini al Pds, Giuseppe Borré ed Elena Paciotti, quest'ultima poi eletta europarlamentare dei Democratici di Sinistra.
Dopo la sua morte, Leoluca Orlando,
commentando l'ostracismo che Falcone subì da parte di alcuni colleghi
negli ultimi mesi di vita, dirà: «L'isolamento era quello che Giovanni
si era scelto entrando nel Palazzo dove le diverse fazioni del regime
stavano combattendo la battaglia finale».
All'esecrazione dell'assassinio, il 4 giugno si unisce anche il Senato degli Stati Uniti,
con una risoluzione (la n. 308) intesa a rafforzare l'impegno del
gruppo di lavoro italo-americano, di cui Falcone era componente[17]. Intanto, Paolo Borsellino,
intraprenderà la sua ultima lotta contro il tempo, che durerà appena
altri cinquantotto giorni, indagando nel tentativo di dare giustizia
all'amico Giovanni.
Il 25 giugno 1992, durante un Convegno a Palermo organizzato da La Rete e dalla rivista Micromega[19][20], Paolo Borsellino affermò:
« Il vero obiettivo del CSM era eliminare al più presto Giovanni Falcone » |
« Quando Giovanni Falcone solo, per continuare il suo lavoro, propose la sua aspirazione a succedere ad Antonino Caponnetto, il CSM, con motivazioni risibili gli preferì il consigliere Antonino Meli. Falcone concorse, qualche Giuda si impegnò subito a prenderlo in giro, e il giorno del mio compleanno il CSM ci fece questo regalo. Gli preferì Antonino Meli. » |
L'eredità
Al magistrato, in Sicilia e nel resto d'Italia sono state dedicate molte scuole e strade, nonché una piazza nel centro di Palermo (nel giugno del 2008). A Falcone e al suo collega Borsellino il comune di Castellammare di Stabia ha dedicato l'aula del consiglio comunale intitolandola a loro nome,nel comune di Scafati è dedicata loro, una piazza proprio difronte alla scuola elementare "FERDINANDO II DI BORBONE",e anche nel comune di Casaluce
in provincia di Caserta,è stata dedicata a Falcone una piazza su un
bene confiscato alla camorra,Inoltre ai due colleghi magistrati è stato
dedicato anche l'Aeroporto di Palermo-Punta Raisi. Un albero situato di fronte l'ingresso del suo appartamento, nella centralissima via Emanuele Notarbartolo a Palermo, raccoglie messaggi, regali e fiori dedicati al giudice: è "l'albero Falcone"[21].
Il 23 gennaio 2008, su proposta del sindaco Walter Veltroni,
con una risoluzione approvata all'unanimità dal Consiglio dell'VIII
Municipio di Roma, la località Ponte di Nona è stata rinominata Villaggio Falcone in suo onore[22].
All'uscita dell'autostrada Palermo-Capaci, in prossimità del luogo dell'attentato, è stata eretta una colonna che espone i nomi delle vittime di quel 23 maggio 1992.
Qui il giudice, sua moglie e la scorta vengono commemorati il giorno
dell'anniversario della strage, con la chiusura del tratto al traffico,
come avvenuto anche nel 2010[23].
La Corte Suprema degli Stati Uniti, massimo organo giurisdizionale USA, ricorda il 29 ottobre 2009 Giovanni Falcone in una seduta solenne quale "martire della causa della giustizia"[24].
Opere
- Rapporto sulla mafia degli anni '80. Gli atti dell'Ufficio istruzione del tribunale di Palermo, Palermo, S. F. Flaccovio, 1986.
- Cose di Cosa Nostra, in collaborazione con Marcelle Padovani, Milano, Rizzoli, 1991.
- Io accuso. Cosa nostra, politica e affari nella requisitoria del maxiprocesso, Roma, Libera informazione, 1993.
Nella cultura popolare
Teatro, cinema e televisione
- Giovanni Falcone di Giuseppe Ferrara, (1993);
- I giudici - Vittime eccellenti di Ricky Tognazzi, (1999)
- Giovanni Falcone, l'uomo che sfidò Cosa Nostra di Andrea e Antonio Frazzi, (2006)
- In un altro paese di Marco Turco, (2006), recensione sul quotidiano la Repubblica (22 luglio 2007);
- Vi perdono ma inginocchiatevi di Claudio Bonivento, film tv (2012)
Musica
- Stefano Fonzi (musiche), Giommaria Monti (testi). Il coraggio della solitudine. Edizioni Musicali Rai Trade, 2007[25]
Onorificenze
Medaglia d'oro al valor civile | |
«Magistrato
tenacemente impegnato nella lotta contro la criminalità organizzata,
consapevole dei rischi cui andava incontro quale componente del 'pool
antimafia', dedicava ogni sua energia a respingere con rigorosa coerenza
la sfida sempre più minacciosa lanciata dalle organizzazioni mafiose
allo Stato democratico. Proseguiva poi tale opera lucida, attenta e
decisa come Direttore degli Affari Penali del Ministero di Grazia e
Giustizia ma veniva barbaramente trucidato in un vile agguato, tesogli
con efferata ferocia, sacrificando la propria esistenza, vissuta al
servizio delle Istituzioni.» — Palermo, 5 agosto 1992 |
Note
- ^ Citato in: Maria Falcone, Giovanni Falcone un eroe solo, Rizzoli, 2012, pagina 29.
- ^ Citato in: L. Tescaroli, Perché fu ucciso Giovanni Falcone, Rubbettino Editore, Catanzaro 2001, p. 3.
- ^ Francesco La Licata, Storia di Giovanni Falcone, pp. 23-36
- ^ Francesco La Licata, Storia di Giovanni Falcone, pp. 37-44
- ^ Saverio Lodato, I professionisti dell'antimafia in Trent'anni di mafia, Rizzoli [2008], pp. 52-53. ISBN 978-88-17-01136-5
- ^ a b Saverio Lodato, I professionisti dell'antimafia in Trent'anni di mafia, Rizzoli [2008], pp. 55-56. ISBN 978-88-17-01136-5
- ^ Saverio Lodato, I professionisti dell'antimafia in Trent'anni di mafia, Rizzoli [2008], p. 58. ISBN 978-88-17-01136-5
- ^ Enrico Deaglio, Raccolto rosso: la mafia, l'Italia e poi venne giù tutto
- ^ a b Addaura, nuova verità sull'attentato a Falcone, Attilio Bolzoni, La Repubblica, 7 maggio 2010.
- ^ Anche se al suo dossier difensivo al CSM il sostituto procuratore Ayala fa discendere un ulteriore elemento di delegittimazione del pool antimafia, cioè gli addebiti deontologici che portarono al suo trasferimento per incompatibilità ambientale: Giuseppe AYALA: Chi ha paura muore ogni giorno – Mondadori 2008.
- ^ Giovanni Falcone - Biografia. Fondazione Falcone. URL consultato il 18-07-2010.
- ^ «QUANDO COSSIGA CONVOCO' LE TOGHE DI SICILIA». La Repubblica, 21 10 1993, p. 4. URL consultato in data 24-01-2010.
- ^ Maria Falcone a Orlando: ha infangato mio fratello
- ^ «MANNINO NON E' MAFIOSO E IL CASO VIENE ARCHIVIATO». La Repubblica, 12 10 1991, p. 6. URL consultato in data 18-10-2009.
- ^ Citato in: F. La Licata, Storia di Giovanni Falcone, Feltrinelli, Milano 2006, pp. 120, 137-141.
- ^ Citato in: F. La Licata, Storia di Giovanni Falcone, Feltrinelli, Milano 2006, p. 169.
- ^ a b Si veda: C. Lucarelli, Blu Notte - Misteri Italiani (sesta serie - 2004), La Mattanza: dai silenzi sulla Mafia al silenzio della Mafia
- ^ Giuseppe D'Avanzo. «Boccassini: "Falcone un italiano scomodo"». La Repubblica, 21 5 2002. URL consultato in data 18-10-2009.
- ^ Una fra le numerose fonti online
- ^ Trascrizione intervento
- ^ Enrico Deaglio, Raccolto rosso: la mafia, l'Italia e poi venne giù tutto, p. 180
- ^ Nuova denominazione per Ponte di Nona P.d.z. "Villaggio Falcone"
- ^ AGI.it - FALCONE: ANAS DISPONE CHIUSURA AUTOSTRADA A/29 PER COMMEMORAZIONE
- ^ «Gli Usa ricordano Falcone». La Sicilia, 30 10 2009. URL consultato in data 30-10-2009.
- ^ Alessandrea Ziniti. «Falcone, mille ragazzi lo ricordano a Corleone». la Repubblica, 23 maggio 2003.
- ^ Giovanni Falcone, un eroe da ricordare - lagazzettaitaliana.com
Bibliografia
- Manfredi Giffone, Fabrizio Longo, Alessandro Parodi, Un fatto umano - Storia del pool anfimatia, Einaudi Stile Libero, 2011, graphic novel, ISBN 978-88-06-19863-3
- Giacomo Bendotti, Giovanni Falcone, Ed. BeccoGiallo, 2011, graphic novel, ISBN 978-88-85832-90-9
- Gian Carlo Caselli e Raoul Muhm, Il ruolo del Pubblico Ministero - Esperienze in Europa, Vecchiarelli Editore Manziana, Roma, 2005, ISBN 88-8247-156-X.
- Enrico Deaglio, Raccolto rosso: la mafia, l'Italia e poi venne giù tutto, Feltrinelli Editore, 1993, ISBN 978-88-07-12010-7.
- Anna Falcone, Maria Falcone, Leone Zingales, Giovanni Falcone, un uomo normale, Ed. Aliberti, 2007, ISBN 978-88-7424-253-5.
- Giovanni Falcone e Marcelle Padovani, Cose di Cosa Nostra, Milano, Rizzoli, 1991, ISBN 978-88-17-00233-2.
- Claudio Fava, Cinque delitti imperfetti: Impastato, Giuliano, Insalaco, Rostagno, Falcone, Mondadori, Milano 1994.
- Fondazione Giovanni Falcone, Giovanni Falcone: interventi e proposte (1982 – 1992) a cura di F. Patroni Griffi, Sansoni, Firenze, 1994.
- Luigi Garlando, Per questo mi chiamo Giovanni Fabbri, 2004.
- Lucio Galluzzo, Obiettivo Falcone, Napoli, Pironti, 1992.
- Francesco La Licata, Storia di Giovanni Falcone, Rizzoli, Milano 1993; Feltrinelli, Milano, 2005.
- Saverio Lodato, Ho ucciso Giovanni Falcone: la confessione di Giovanni Brusca, Milano, Mondadori, 1999.
- Saverio Lodato, Trent'anni di mafia, Rizzoli, 2008, ISBN 978-88-17-01136-5.
- Giammaria Monti, Falcone e Borsellino: la calunnia il tradimento la tragedia, Roma, Editori Riuniti, 1996.
- Luca Rossi, I disarmati: Falcone, Cassarà e gli altri, Milano, Mondadori, 1992.
- Alexander Stille, Excellent Cadavers, Vintage (Jonathan Cape), 1995.
- Maria Falcone, Francesca Barra, "Giovanni Falcone, un uomo solo", Milano, Rizzoli, aprile 2012, ISBN 978-88-17-05617-5.
Voci correlate
- Strage di Capaci
- Giovanni Falcone, l'uomo che sfidò Cosa Nostra (miniserie televisiva)
- Francesca Morvillo
- Paolo Borsellino
- Strage di via d'Amelio
Altri progetti
- Commons contiene file multimediali su Giovanni Falcone
- Wikiquote contiene citazioni di o su Giovanni Falcone
Collegamenti esterni
- Giovanni Falcone - Anomalia palermitana, La storia siamo noi - Rai Educational
- La strage di Capaci
- Fonte: La Repubblica, 22.12.2009, "Il custode dei segreti di Falcone: «Dai suoi archivi spariti molti dati»" - "Mancano 20 dischetti dall'archivio di Falcone"
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