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« La
mafia non è affatto invincibile. È un fatto umano e come tutti i fatti
umani ha un inizio, e avrà anche una fine. Piuttosto bisogna rendersi
conto che è un fenomeno terribilmente serio e molto grave e che si può
vincere non pretendendo eroismo da inermi cittadini, ma impegnando in
questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni. » |
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( Giovanni Falcone, in un'intervista a Raitre)
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Biografia
Un murales rappresentante i magistrati Falcone (a sinistra) e
Borsellino
Figlio di Arturo, direttore del Laboratorio chimico provinciale, e di
Luisa Bentivegna, aveva due sorelle maggiori, Anna e Maria. Giovanni
Falcone studiò al Convitto Nazionale di Palermo, poi al liceo classico
"Umberto I" e successivamente, dopo una breve esperienza all'
Accademia Navale di Livorno, si iscrisse a
giurisprudenza all'
Università degli studi di Palermo dove si laureò nel
1961, con una tesi sulla "Istruzione probatoria in diritto amministrativo".
[3]
Gli inizi in Magistratura
Falcone vinse il concorso in Magistratura nel
1964 e in quello stesso anno sposa la prima moglie
Rita Bonnici, da cui divorzierà quattordici anni dopo. Per breve tempo fu
pretore a
Lentini. Fu poi sostituto procuratore al
tribunale di
Trapani per dodici anni. Qui, a poco a poco, nacque in lui la passione per il
diritto penale.
[4]
Fu trasferito a
Palermo nel
luglio 1978. Dopo l'omicidio del giudice
Cesare Terranova fece domanda ed ottenne di lavorare all'
Ufficio istruzione, che sotto la successiva guida di
Rocco Chinnici, diviene un esempio innovativo di organizzazione giudiziaria. Chinnici chiamò al suo fianco anche
Paolo Borsellino che divenne collega di Falcone nello sbrigare il lavoro arretrato di oltre cinquecento processi
[5]. Nel maggio
1980 Chinnici affidò a Falcone le indagini contro
Rosario Spatola: un lavoro che coinvolgeva anche criminali negli
Stati Uniti e all'epoca osteggiato da alcuni altri magistrati.
Alle prese con questo caso, Falcone comprese che per indagare con
successo le associazioni mafiose era necessario basarsi anche su
indagini patrimoniali e bancarie. Ricostruire il percorso del denaro che
accompagnava i traffici ed avere un quadro complessivo del fenomeno.
Notò che gli stupefacenti venivano venduti negli
Stati Uniti così chiese a tutti i direttori delle banche di Palermo e provincia di mandargli le distinte di cambio valuta estera dal
1975 in poi. Alcuni telefonarono personalmente a Falcone per capire che intenzione avesse e lui rimase fermo sulle sue richieste
[6].
Grazie ad un attento controllo di tutte le carte richieste, una volta
superate le reticenze delle banche, e "seguendo i soldi" riuscì ad
iniziare a vedere il quadro di una gigantesca organizzazione criminale: i
confini di
Cosa nostra.
Grazie ad un assegno dell'importo di centomila dollari cambiato presso
la Cassa di Risparmio di piazza Borsa di Palermo, Falcone, trovò la
prova che
Michele Sindona
si trovava in Sicilia smascherando quindi il finto sequestro
organizzato a suo favore dalla mafia siculo-americana alla vigilia del
suo giudizio
[6]. Nei primi giorni del mese di
dicembre 1980 Giovanni Falcone si recò per la prima volta a
New York per discutere di mafia e stringere una collaborazione con Victor Rocco, investigatore del distretto est
[7].
Sono anni tumultuosi che vedono la prepotente ascesa dei
Corleonesi,
i quali impongono il proprio feudo criminale insanguinando le strade a
colpi di omicidi. Emblematici i titoli del quotidiano palermitano
L'Ora, che arriverà a titolare le sue prime pagine enumerando le vittime della drammatica guerra di mafia. Tra queste
vittime anche svariati e valorosi servitori dello Stato come
Pio La Torre, principale artefice della legge
Rognoni-
La Torre (che introdusse nel codice penale il reato di
associazione mafiosa), e il generale
Carlo Alberto Dalla Chiesa. Infine lo stesso Chinnici, al quale succedette
Antonino Caponnetto.
Gli anni del Pool antimafia
Caponnetto si insedia concependo la creazione di un "
pool"
di pochi magistrati che, così come sperimentato contro il terrorismo,
potessero occuparsi dei processi di mafia, esclusivamente e a tempo
pieno, col vantaggio sia di favorire la condivisione delle informazioni
tra tutti i componenti e minimizzare così i rischi personali, che per
garantire in ogni momento una visione più ampia ed esaustiva possibile
di tutte le componenti del fenomeno mafioso.
Nello scegliere i suoi uomini, Caponnetto pensa subito a Falcone per l'esperienza ed il prestigio già da lui acquisiti, ed a
Giuseppe Di Lello,
pupillo di Chinnici. Lo stesso Falcone suggerì poi l'introduzione di
Borsellino, mentre la scelta dell'ultimo membro ricadde sul giudice più
anziano,
Leonardo Guarnotta.
La validità del nuovo sistema investigativo si dimostra subito
indiscutibile, e sarà fondamentale per ogni successiva indagine, negli
anni a venire.
Ma una vera e propria svolta epocale alla lotta alla mafia sarebbe stata impressa con l'arresto di
Tommaso Buscetta,
il quale, dopo una drammatica sequenza di eventi, decise di collaborare
con la Giustizia. Il suo interrogatorio, iniziato a Roma nel luglio
1984 in presenza del sostituto procuratore
Vincenzo Geraci e di
Gianni De Gennaro del Nucleo operativo della
Criminalpol,
si rivelerà determinante per la conoscenza non solo di determinati
fatti, ma specialmente della struttura e delle chiavi di lettura
dell'organizzazione definita
Cosa nostra.
Il maxiprocesso di Palermo
Le inchieste avviate da Chinnici e portate avanti dalle indagini di Falcone e di tutto il
pool portarono così a costituire il primo grande processo contro la mafia.
Questa reagì bruciando il terreno attorno ai giudici: dopo l'omicidio di
Giuseppe Montana e
Ninni Cassarà nell'estate
1985, stretti collaboratori di Falcone e
Borsellino,
si cominciò a temere per l'incolumità anche dei due magistrati, che
furono indotti per motivi di sicurezza a soggiornare qualche tempo con
le famiglie presso il carcere dell'
Asinara
(incredibilmente dovettero pagarsi le spese di soggiorno e consumo
bevande, come ricordò Borsellino in un'intervista), dove gettarono le
basi dell'istruttoria.
Ma il
16 novembre 1987
diventa una data storica e insieme un momento fondamentale per il
Paese, che per la prima volta inchioda la mafia traducendola alla
Giustizia. Il
Maxiprocesso
sentenzia 360 condanne per complessivi 2665 anni di carcere e undici
miliardi e mezzo di lire di multe da pagare, segnando un grande successo
per il lavoro svolto da tutto il pool antimafia.
[8]
Nel dicembre
1986, Borsellino viene nominato Procuratore della Repubblica di
Marsala
e lascia il pool. Come ricorderà Caponnetto, a quel punto gli sviluppi
dell'istruttoria includono ormai quasi un milione di fogli processuali,
rendendo necessaria l'integrazione di nuovi elementi per seguire
l'accresciuta mole di lavoro. Entrarono così a far parte del pool altri
tre giudici istruttori:
Ignazio De Francisci,
Gioacchino Natoli e
Giacomo Conte.
La fine del Pool Antimafia
La scelta di Meli, generalmente motivata in base alla mera anzianità
di servizio, piuttosto che alla maggiore competenza effettivamente
maturata da Falcone, innescò amare polemiche, e venne interpretata come
una possibile rottura dell'azione investigativa, inoltre rese Falcone un
bersaglio molto più facile per la mafia, perché la sua perdita aveva
dimostrato che effettivamente non era stimato come si credeva;
Borsellino stesso aveva lanciato a più riprese l'allarme a mezzo stampa,
rischiando conseguenze disciplinari; esternazioni che di fatto non
sortirono alcun effetto.
Meli si insedia nel gennaio
1988
e finisce con lo smantellare il metodo di lavoro intrapreso,
riportandolo indietro di un decennio. Da qui in poi Falcone e i suoi
dovettero fronteggiare un numero sempre crescente di ostacoli alla loro
attività. La mafia intanto non ha abbassato la guardia, ed uccide l'ex
sindaco di Palermo
Giuseppe Insalaco, che aveva denunciato le pressioni subite da
Vito Ciancimino
durante il suo mandato. Tempo dopo, i due membri del pool Di Lello e
Conte si dimisero polemicamente. Non ultimo, persino la Cassazione
sconfessò l'unitarietà delle indagini in fatto di mafia affermata da
Falcone.
Il
30 luglio
Falcone richiese addirittura di essere destinato a un altro ufficio, e
Meli, ormai in aperto contrasto con Falcone, come predetto da
Borsellino, sciolse ufficialmente il pool. Un mese dopo, Falcone ebbe
l'ulteriore amarezza di vedersi preferito
Domenico Sica alla guida dell'
Alto Commissariato per la lotta alla Mafia.
Nonostante gli avvenimenti, tuttavia, Falcone proseguì ancora una volta
il suo straordinario lavoro, realizzando un'importante operazione
antidroga in collaborazione con
Rudolph Giuliani, allora procuratore distrettuale di
New York.
Il fallito attentato dell'Addaura e la vicenda del "corvo"
Il
21 giugno 1989,
Falcone divenne obiettivo di un attentato presso la villa al mare
affittata per le vacanze; su questo avvenimento, comunemente detto
attentato dell'Addaura, ancora oggi non è stata fatta piena luce
[9].
I sicari di
Totò Riina
e di altri mafiosi ritenuti mandanti, piazzarono un borsone con
cinquantotto candelotti di tritolo in mezzo agli scogli, a pochi metri
dalla villa affittata dal giudice, che stava per ospitare i colleghi
Carla del Ponte e
Claudio Lehmann.
Il piano era probabilmente quello di assassinare il giudice allorché
fosse sceso dalla villa sulla spiaggia per fare il bagno, ma l'attentato
fallì. Inizialmente venne ritenuto che i killer non fossero riusciti a
far esplodere l'ordigno a causa di un
detonatore
difettoso, dandosi quindi alla fuga e abbandonando il borsone.
Vent'anni dopo, nuove ipotesi investigative avallerebbero invece la
ricostruzione che l'ordigno venne reso inoffensivo nelle ore notturne
antecedenti dagli agenti
Antonino Agostino ed
Emanuele Piazza, fintisi sommozzatori. Agostino e Piazza verranno poi assassinati.
Falcone dichiarò al riguardo che a volere la sua morte si trattava
probabilmente di qualcuno che intendeva bloccarne l’inchiesta sul
riciclaggio in corso, parlando inoltre di "menti raffinatissime", e
teorizzando la collusione tra soggetti occulti e criminalità
organizzata, come avvenuto per l'omicidio Dalla Chiesa. Espressioni in
cui molti lessero i
servizi segreti deviati. Il giudice, in privato, si manifestò sospettando di
Bruno Contrada, funzionario del
Sisde che aveva costruito la sua carriera al fianco di
Boris Giuliano. Contrada verrà poi arrestato e condannato in primo grado a dieci anni di carcere per concorso esterno in
associazione mafiosa, sentenza poi confermata in Cassazione.
Ma al Palazzo di Giustizia di Palermo aveva preso corpo anche la nota
vicenda del "corvo": una serie di lettere anonime (di cui un paio
addirittura composte su carta intestata della
Criminalpol), che diffamarono il giudice ed i colleghi
Giuseppe Ayala, Giammanco Prinzivalli più altri come il Capo della
Polizia di Stato,
Vincenzo Parisi, ed importanti investigatori come De Gennaro e
Antonio Manganelli. In esse Falcone veniva millantato soprattutto di avere "pilotato" il ritorno di un
pentito,
Totuccio Contorno, al fine di sterminare i corleonesi, storici nemici della sua famiglia.
I fatti descritti venivano presentati come movente della morte di
Falcone ad opera dei corleonesi, i quali avrebbero organizzato il poi
fallito attentato come vendetta per il rientro di Contorno (e non, si
badi, per i decenni di inflessibile lotta senza quartiere che Falcone
aveva scatenato contro di loro...). I contenuti, particolarmente ben
dettagliati sulle presunte coperture del Contorno e gli accadimenti
all'interno del tribunale, furono alimentati ad arte sino a destare
notevole inquietudine negli ambienti giudiziari, tanto che nello stesso
ambiente degli informatori di polizia queste missive vennero attribuite
ad un "corvo", ossia un magistrato.
Sebbene sul momento la stampa non lo spiegasse apertamente al grande
pubblico, infatti, tra gli esperti di "cose di cosa nostra" (come
Falcone) era risaputo che, nel linguaggio mafioso, tale appellativo
designasse proprio i magistrati (dalla toga nera che indossano in
udienza); le missive avrebbero così inteso insinuare la certezza che in
realtà il pool operasse al di fuori dalle regole, immerso tra invidie,
concorrenze e gelosie professionali.
Gli accertamenti per individuare gli effettivi responsabili portarono alla condanna in primo grado per diffamazione del giudice
Alberto Di Pisa,
identificato grazie a dei rilievi dattiloscopici. Le impronte digitali -
raccolte con un artificio dal magistrato inquirente - furono però
dichiarate processualmente inutilizzabili, oltre a lasciare dubbi sulla
loro validità probatoria (sia il bicchiere di carta su cui erano state
prelevate le impronte, sia l'anonimo con cui furono confrontate, erano
alquanto deteriorati).
Una settimana dopo il fallito attentato, il C.S.M. decise la nomina
di Falcone a procuratore aggiunto presso la Procura della Repubblica. Di
Pisa, che tre mesi dopo davanti al C.S.M. avrebbe mosso gravi rilievi
allo stesso Falcone sia sulla gestione dei pentiti che sull'operato,
verrà poi assolto in Appello per non aver commesso il fatto
[10].
Molti testimoni diretti dei fatti dell'Addaura morirono in circostanze sospette:
Antonino Agostino,
agente del
SISDE, che si ipotizza lavorasse per proteggere Falcone, venne ucciso insieme alla moglie Ida Castelluccio il
5 agosto del
1989 da un commando in motocicletta;
Emanuele Piazza, collega di Agostino al SISDE, venne ucciso per strangolamento dalla mafia il
15 marzo 1990;
il microcriminale Francesco Paolo Gaeta, che quel giorno aveva
casualmente assistito alle manovre militari intorno alla villa del
giudice, venne ucciso a colpi di pistola il
2 settembre 1992;
il mafioso Luigi Ilardo, informatore del colonnello dei carabinieri
Michele Riccio - e che a questi aveva confidato di sapere che
«a
Palermo c'era un agente che faceva cose strane e si trovava sempre in
posti strani. Aveva la faccia da mostro. Siamo venuti a sapere che era
anche nei pressi di Villagrazia quando uccisero il poliziotto Agostino» - venne assassinato il
10 maggio 1996, qualche giorno prima di mettere a verbale le sue confessioni
[9].
La stagione dei veleni
Nell'agosto
1989 iniziò a collaborare coi magistrati anche il mafioso
Giuseppe Pellegriti, fornendo preziose informazioni sull’omicidio del giornalista
Giuseppe Fava, e rivelando al
pubblico ministero Libero Mancuso di essere venuto a conoscenza, tramite il boss
Nitto Santapaola, di fatti inediti sul ruolo del politico
Salvo Lima negli omicidi di
Piersanti Mattarella e
Pio La Torre. Mancuso informò subito Falcone, che interrogò il
pentito a sua volta, e, dopo due mesi di indagini, lo incriminò insieme ad
Angelo Izzo,
spiccando nei loro confronti due mandati di cattura per calunnia (poi
annullati dal Tribunale della libertà in quanto essi erano già in
carcere). Pellegriti, dopo l’incriminazione, ritrattò, attribuendo a
Izzo di essere l’ispiratore delle accuse.
Lima e la corrente di
Giulio Andreotti, erano spregiati dal sindaco di Palermo,
Leoluca Orlando,
e tutto il movimento antimafia, e l’incriminazione di Pellegriti venne
vista come una sorta di cambiamento di rotta del giudice dopo il fallito
attentato, tanto che ricevette nuove e dure critiche al suo operato da
parte di esponenti come
Carmine Mancuso,
Alfredo Galasso e in maniera minore anche da
Nando Dalla Chiesa, figlio del compianto generale.
Gerardo Chiaromonte, presidente della
Commissione Antimafia,
scriverà poi, in riferimento al fallito attentato all'Addaura contro
Falcone: «I seguaci di Orlando sostennero che era stato lo stesso
Falcone a organizzare il tutto per farsi pubblicità».
Nel gennaio '90, Falcone coordina un'altra importante inchiesta che
porta all'arresto di trafficanti di droga colombiani e siciliani. Ma a
maggio riesplose, violentissima, la polemica, allorquando Orlando
interviene alla seguitissima trasmissione televisiva di
Rai 3,
Samarcanda dedicata all'omicidio di
Giovanni Bonsignore,
scagliandosi contro Falcone, che, a suo dire, avrebbe "tenuto chiusi
nei cassetti" una serie di documenti riguardanti i delitti eccellenti
della mafia
[11]. Le accuse erano indirizzate anche verso il giudice
Roberto Scarpinato, oltre al procuratore
Pietro Giammanco, ritenuto vicino ad Andreotti. Si asseriscono responsabilità politiche alle azioni della cupola mafiosa (il cosiddetto "
terzo livello")
ma Falcone dissente sostanzialmente da queste conclusioni, sostenendo,
come sempre, la necessità di prove certe e bollando simili affermazioni
come "cinismo politico". Rivolto direttamente ad Orlando, dirà: "Questo è
un modo di far politica attraverso il sistema giudiziario che noi
rifiutiamo. Se il sindaco di Palermo sa qualcosa, faccia nomi e cognomi,
citi i fatti, si assuma le responsabilità di quel che ha detto.
Altrimenti taccia: non è lecito parlare in assenza degli interessati"
[12]
La polemica ha continuato ad alimentarsi anche dopo la morte del
giudice Falcone. In particolare, la sorella Maria Falcone in un
collegamento telefonico con il programma radiofonico "Mixer" ha accusato
Leoluca Orlando
di aver infangato suo fratello, « hai infangato il nome, la dignità e
l' onorabilità di un giudice che ha sempre dato prova di essere
integerrimo e strenuo difensore dello Stato contro la mafia[...]lei ha
approfittato di determinati limiti dei procedimenti giudiziari, per
fare, come diceva Giovanni, politica attraverso il sistema giudiziario»
[13].
In un'intervista a Klauscondicio, Leoluca Orlando ha dichiarato di non
essersi pentito riguardo alle accuse che rivolse a Falcone.
Ad
Anno zero il senatore
Roberto Castelli all'epoca Ministro della Giustizia, ha accusato
Leoluca Orlando
di aver indebitamente attaccato Giovanni Falcone perché il giudice
siciliano aveva fatto riarrestare Ciancimino, colpevole di aver stretto
affari con lo stesso Orlando.
Nel settembre 1991
Salvatore Cuffaro,
all'epoca deputato regionale poi presidente della Regione Siciliana per
il centro-destra ed eurodeputato UDC, intervenne ad una puntata
speciale della trasmissione televisiva Samarcanda condotta da Michele
Santoro in collegamento con il Maurizio Costanzo Show e dedicata alla
commemorazione dell'imprenditore Libero Grassi, ucciso dalla mafia. In
quella occasione, Cuffaro - presente tra il pubblico - si scagliò con
veemenza contro conduttori ed ospiti (tra cui Falcone), sostenendo come
le iniziative portate avanti da un certo tipo di "giornalismo mafioso"
fossero degne dell'attività mafiosa vera e propria, tanto criticata e
comunque lesive della dignità della Sicilia. Cuffaro parlò di certa
magistratura "che mette a repentaglio e delegittima la classe dirigente
siciliana", con chiaro riferimento a Mannino, in quel momento uno dei
politici più influenti della Dc
[14].
In un'intervista del 2008 al Corriere della Sera il Presidente emerito
Francesco Cossiga
ha imputato al Csm grosse responsabilità riguardo alla morte del
Giudice Falcone, ha infatti affermato : "i primi mafiosi stanno al CSM.
[Sta scherzando?] Come no? Sono loro che hanno ammazzato Giovanni
Falcone negandogli la DNA e prima sottoponendolo a un interrogatorio.
Quel giorno lui uscì dal CSM e venne da me piangendo. Voleva andar via.
Ero stato io a imporre a Claudio Martelli di prenderlo al Ministero
della Giustizia."
La polemica sancì la rottura del fronte antimafia, e da allora in poi
Cosa Nostra si avvantaggerà della tensione strisciante nelle
istituzioni, cosa che avvelenò sempre più il clima attorno a Falcone,
isolandolo. Alle seguenti elezioni dei membri togati del Consiglio
superiore della magistratura del
1990,
Falcone venne candidato per le liste collegate "Movimento per la
giustizia" e "Proposta 88", ma non viene eletto. Fattisi poi via via
sempre più aspri i dissensi con Giammanco, Falcone optò per accettare la
proposta di
Claudio Martelli,
allora vicepresidente del Consiglio e ministro di Grazia e Giustizia ad
interim, a dirigere la sezione Affari Penali del ministero.
L'ultima battaglia
In questo periodo, che va dal
1991
alla sua morte, Falcone fu molto attivo, cercando in ogni modo di
rendere più incisiva l'azione della magistratura contro il crimine.
Tuttavia, la vicinanza di Giovanni Falcone al socialista
Claudio Martelli
costò al magistrato siciliano violenti attacchi da buona parte del
mondo politico. In particolare, l'appoggio di Martelli fece destare
sospetti da parte dei partiti di centro sinistra che fino ad allora
avevano appoggiato una possibile candidatura di Falcone.
Falcone in realtà profuse tutta la propria professionalità nel
preparare leggi che il Parlamento avrebbe successivamente approvato, ed
in particolare sulla procura nazionale antimafia.
Alcuni magistrati, tra i quali lo stesso Paolo Borsellino,
criticarono poi il progetto della Superprocura, denunciando il rischio
che essa costituisse paradossalmente un elemento strategico
nell'allontanamento di Falcone dal territorio siciliano e nella
neutralizzazione reale delle sue indagini.
[15]
Il 15 ottobre 1991 Giovanni Falcone è costretto a difendersi davanti al
CSM in seguito all'esposto presentato il mese prima (l'11 settembre) da
Leoluca Orlando.
L'esposto contro Falcone era il punto di arrivo della serie di accuse
mosse da Orlando al magistrato palermitano, il quale ribatté ancora alle
accuse definendole «eresie, insinuazioni» e «un modo di far politica
attraverso il sistema giudiziario». Sempre davanti al
CSM Falcone, commentando il clima di sospetto creatosi a
Palermo,
affermò che «non si può investire nella cultura del sospetto tutto e
tutti. La cultura del sospetto non è l’anticamera della verità, è
l’anticamera del
khomeinismo».
In questo contesto fortemente negativo, nel marzo 1992 viene assassinato
Salvo Lima,
omicidio che rappresenta un importante segnale dell'inasprimento della
strategia mafiosa la quale rompe così gli equilibri consolidati ed alza
il tiro verso lo Stato per ridefinire alleanze e possibili collusioni.
Falcone era stato informato poco più di un anno prima con un dossier dei
Carabinieri del
ROS
che analizzava l'imminente neo-equilibrio tra mafia, politica ed
imprenditoria, ma il nuovo incarico non gli aveva permesso di
ottemperare ad ulteriori approfondimenti.
L'albero davanti al palazzo dove abitava Falcone
Il ruolo di "Superprocuratore" a cui stava lavorando avrebbe
consentito di realizzare un potere di contrasto alle organizzazioni
mafiose sin lì impensabile. Ma ancor prima che egli vi venisse
formalmente indicato, si riaprirono ennesime polemiche sul timore di una
riduzione dell'autonomia della Magistratura ed una subordinazione della
stessa al potere politico. Esse sfociarono per lo più in uno sciopero
dell'
Associazione Nazionale Magistrati e nella decisione del
Consiglio Superiore della Magistratura che per la carica gli oppose inizialmente
Agostino Cordova.
Sostenuto da Martelli, Falcone rispose sempre con lucidità di analisi
e limpidezza di argomentazioni, intravedendo, presumibilmente, che il
coronamento della propria esperienza professionale avrebbe definito
nuovi e più efficaci strumenti al servizio dello Stato. Eppure,
nonostante la sua determinazione, egli fu sempre più solo all'interno
delle istituzioni, condizione questa che prefigurerà tristemente la sua
fine. Emblematicamente, Falcone ottenne i numeri per essere eletto
Superprocuratore il giorno prima della sua morte.
Nell'intervista rilasciata a
Marcelle Padovani per "
Cose di Cosa Nostra",
Falcone attesta la sua stessa profezia: "Si muore generalmente perché
si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande. Si muore
spesso perché non si dispone delle necessarie alleanze, perché si è
privi di sostegno. In Sicilia la mafia colpisce i servitori dello Stato
che lo Stato non è riuscito a proteggere."
La strage di Capaci
Giovanni Falcone viene assassinato in quella che comunemente è detta
strage di Capaci, il
23 maggio 1992[16].
Stava tornando, come era solito fare nei fine settimana, da Roma. Il
jet di servizio partito dall'aeroporto di Ciampino intorno alle 16:45
arriva a
Punta Raisi dopo un viaggio di 53 minuti. Lo attendono tre
Fiat Croma blindate, con un gruppo di scorta sotto il comando dell'allora capo della squadra mobile di Palermo,
Arnaldo La Barbera.
Appena sceso dall'aereo, Falcone si sistema alla guida della Croma bianca, ed accanto prende posto la moglie
Francesca Morvillo mentre l'autista giudiziario
Giuseppe Costanza va ad occupare il sedile posteriore. Nella Croma marrone c'è alla guida
Vito Schifani, con accanto l'agente scelto
Antonio Montinaro e sul retro
Rocco Dicillo,
mentre nella vettura azzurra ci sono Paolo Capuzzo, Gaspare Cervello e
Angelo Corbo. Al gruppo è in testa la Croma marrone, poi la Croma bianca
guidata da Falcone, e in coda la Croma azzurra. Alcune telefonate
avvisano della partenza i sicari che hanno sistemato l'esplosivo per la
strage.
I particolari sull'arrivo del giudice dovevano essere coperti dal più
rigido riserbo; indicativo del clima di sospetto che si viveva nel
Paese, è il fatto che nell'aereo di Stato - che lo riportava a Palermo -
avevano avuto un passaggio diversi "grandi elettori" (deputati,
senatori e delegati regionali) siciliani reduci dagli scrutini di
Montecitorio per l'elezione del Capo dello Stato, prolungatisi invano
fino al sabato mattina. Uno di essi sarebbe stato addirittura inquisito
per associazione a delinquere di stampo mafioso tre anni dopo; ma
nessuna verità definitiva fu acquisita in sede processuale sull'identità
della fonte che aveva comunicato alla mafia la partenza di Falcone da
Roma e l'arrivo a Palermo per l'ora stabilita.
Le auto lasciano l'aeroporto imboccando l'autostrada in direzione
Palermo. La situazione appare tranquilla, tanto che non vengono attivate
neppure le sirene. Su una strada parallela, una macchina si affianca
agli spostamenti delle tre Croma blindate, per darne segnalazione ai
killer in agguato sulle alture sovrastanti il litorale; sono gli ultimi
secondi prima della strage.
Otto minuti dopo, alle ore 17:58, presso il km 5 della
A29, una carica di cinque quintali di
tritolo
posizionata in una galleria scavata sotto la sede stradale nei pressi
dello svincolo di Capaci-Isola delle Femmine viene azionata per
telecomando da
Giovanni Brusca, il sicario incaricato da
Totò Riina.
Pochissimi istanti prima della detonazione, Falcone si era accorto che
le chiavi di casa erano nel mazzo assieme alle chiavi della macchina, e
le aveva tolte dal
cruscotto, provocando un rallentamento improvviso del mezzo.
Brusca,
rimasto spiazzato, preme il pulsante in anticipo, sicché l'esplosione
investe in pieno solo la Croma marrone, prima auto del gruppo,
scaraventandone i resti oltre la carreggiata opposta di marcia, e su
fino ad una zona pianeggiante alberata; i tre agenti di scorta muoiono
sul colpo.
La seconda auto, la Croma bianca guidata dal giudice, avendo
rallentato, si schianta invece contro il muro di cemento e detriti
improvvisamente innalzatosi per via dello scoppio. Falcone e la moglie,
che non indossano le cinture di sicurezza, vengono proiettati
violentemente contro il parabrezza. Falcone, che riporta ferite solo in
apparenza non gravi, muore dopo il trasporto in ospedale a causa di
varie emorragie interne.
Rimangono feriti gli agenti della terza auto, la Croma azzurra, che
infine resiste, e si salvano miracolosamente anche un'altra ventina di
persone che al momento dell'attentato si trovano a transitare con le
proprie autovetture sul luogo dell'eccidio.
La detonazione provoca un'esplosione immane ed una voragine enorme sulla strada.
[17].
In un clima irreale e di iniziale disorientamento, altri automobilisti
ed abitanti dalle villette vicine danno l'allarme alle autorità e
prestano i primi soccorsi tra la strada sventrata ed una coltre di
polvere.
Venti minuti dopo circa, Giovanni Falcone viene trasportato sotto
stretta scorta di un corteo di vetture e di un elicottero dell'Arma dei
Carabinieri presso l'ospedale Civico di Palermo. Gli altri agenti e i
civili coinvolti vengono anch'essi trasportati in ospedale mentre la
Polizia Scientifica esegue i primi rilievi ed i Vigili del Fuoco
espletano il triste compito di estrarre i cadaveri irriconoscibili di
Schifani, Montinaro e Di Cillo.
Intanto i media iniziano a diffondere la notizia di un attentato a
Palermo, ed il nome del giudice Falcone trova via via conferma. L'Italia
intera, sgomenta, trattiene il fiato per la sorte delle vittime con
tensione sempre più viva e contrastante, sinché alle 19:05, ad un'ora e
sette minuti dall'attentato, Giovanni Falcone muore dopo alcuni
disperati tentativi di rianimazione, a causa della gravità del trauma
cranico e delle lesioni interne. Francesca Morvillo morirà anch'essa,
intorno alle 22.
Volantini recanti una citazione del giudice Falcone: "Gli uomini
passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali e
continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini".
Due giorni dopo, il
25 maggio mentre a Roma viene eletto presidente della Repubblica
Oscar Luigi Scalfaro, a
Palermo, nella
Chiesa di San Domenico, si svolgono i funerali delle vittime ai quali partecipa l'intera città, assieme a colleghi e familiari e personalità come
Giuseppe Ayala e
Tano Grasso. I più alti rappresentanti del mondo politico, come
Giovanni Spadolini,
Claudio Martelli,
Vincenzo Scotti,
Giovanni Galloni,
vengono duramente contestati dalla cittadinanza; e le immagini
televisive delle parole e del pianto straziante della vedova Schifani
susciteranno particolare emozione nell'opinione pubblica.
Il giudice
Ilda Boccassini
urlerà la sua rabbia rivolgendosi ai colleghi nell'aula magna del
Tribunale di Milano: «Voi avete fatto morire Giovanni, con la vostra
indifferenza e le vostre critiche; voi diffidavate di lui; adesso
qualcuno ha pure il coraggio di andare ai suoi funerali». Nel suo sfogo
il magistrato, che si farà trasferire a
Caltanissetta per indagare sulla
strage di Capaci,
ricorderà anche il linciaggio subito dall'amico Falcone da parte dei
suoi colleghi magistrati, anche facenti capo alla stessa corrente cui
Falcone aderiva:
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« Due mesi fa ero a Palermo in un'assemblea dell'Anm. Non potrò mai dimenticare quel giorno. Le parole più gentili, specie da Magistratura democratica,
erano queste: Falcone si è venduto al potere politico. Mario Almerighi
lo ha definito un nemico politico. Ora io dico che una cosa è criticare
la Superprocura. Un'altra, come hanno fatto il Consiglio superiore della Magistratura,
gli intellettuali e il cosiddetto fronte antimafia, è dire che Giovanni
non fosse più libero dal potere politico. A Giovanni è stato impedito
nella sua città di fare i processi di mafia. E allora lui ha scelto
l'unica strada possibile, il ministero della Giustizia, per fare in modo che si realizzasse quel suo progetto: una struttura unitaria contro la mafia. Ed è stata una rivoluzione. » |
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« Tu, Gherardo Colombo,
che diffidavi di Giovanni, perché sei andato al suo funerale? Giovanni è
morto con l'amarezza di sapere che i suoi colleghi lo consideravano un
traditore. E l'ultima ingiustizia l'ha subìta proprio da quelli di Milano,
che gli hanno mandato una richiesta di rogatoria per la Svizzera senza
gli allegati. Mi ha telefonato e mi ha detto: "Non si fidano neppure del
direttore degli Affari penali" » |
Ilda Boccassini, confermerà le critiche in un'intervista a
La Repubblica del maggio 2002
[18],
in occasione dell'affissione di targa in memoria di Giovanni Falcone al
ministero della Giustizia. Il magistrato criticherà gli onori postumi
offerti a Falcone, sostenendo che
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« Né
il Paese né la magistratura né il potere, quale ne sia il segno
politico, hanno saputo accettare le idee di Falcone, in vita, e più che
comprenderle, in morte, se ne appropriano a piene mani, deformandole
secondo la convenienza del momento.[...] Non c'è stato uomo la cui
fiducia e amicizia è stata tradita con più determinazione e malignità.
Eppure le cattedrali e i convegni, anno dopo anno, sono sempre affollati
di "amici" che magari, con Falcone vivo, sono stati i burattinai o i
burattini di qualche indegna campagna di calunnie e insinuazioni che lo
ha colpito » |
Nell'intervista ricorderà anche come diversi magistrati e politici,
sia vicini a partiti della sinistra che della destra, criticarono
fortemente Falcone quando questo era ancora vivo.
In particolare, l'opposizione a Falcone dei magistrati vicini al
Pds fu fortissima: al
Csm,
per tre volte il magistrato palermitano subì dei veti. Quando concorse
al posto di super-procuratore antimafia, gli venne preferito
Agostino Cordova, procuratore capo di
Palmi.
Alessandro Pizzorusso, componente laico del Csm designato dal
Partito Comunista, firmò un articolo sull'
Unità
sostenendo che Falcone non fosse "affidabile" e che essendo
"governativo", avrebbe perso le sue caratteristiche di indipendenza.
Successivamente, quando al Consiglio superiore della magistratura si
dovette decidere se Falcone dovesse essere posto o meno a capo
dell'Ufficio istruzione di Palermo, gli venne preferito
Antonino Meli; votarono per quest'ultimo e quindi contro Falcone anche gli esponenti di
Magistratura democratica, vicini al
Pds,
Giuseppe Borré ed
Elena Paciotti, quest'ultima poi eletta europarlamentare dei
Democratici di Sinistra.
Dopo la sua morte,
Leoluca Orlando,
commentando l'ostracismo che Falcone subì da parte di alcuni colleghi
negli ultimi mesi di vita, dirà: «L'isolamento era quello che Giovanni
si era scelto entrando nel Palazzo dove le diverse fazioni del regime
stavano combattendo la battaglia finale».
All'esecrazione dell'assassinio, il
4 giugno si unisce anche il Senato degli
Stati Uniti,
con una risoluzione (la n. 308) intesa a rafforzare l'impegno del
gruppo di lavoro italo-americano, di cui Falcone era componente
[17]. Intanto,
Paolo Borsellino,
intraprenderà la sua ultima lotta contro il tempo, che durerà appena
altri cinquantotto giorni, indagando nel tentativo di dare giustizia
all'amico Giovanni.
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« Il vero obiettivo del CSM era eliminare al più presto Giovanni Falcone » |
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« Quando Giovanni Falcone solo, per continuare il suo lavoro, propose la sua aspirazione a succedere ad Antonino Caponnetto, il CSM, con motivazioni risibili gli preferì il consigliere Antonino Meli.
Falcone concorse, qualche Giuda si impegnò subito a prenderlo in giro, e
il giorno del mio compleanno il CSM ci fece questo regalo. Gli preferì
Antonino Meli. » |
L'eredità
Francobollo commemorativo
Al magistrato, in Sicilia e nel resto d'
Italia sono state dedicate molte scuole e strade, nonché una piazza nel centro di
Palermo (nel giugno del
2008). A Falcone e al suo collega Borsellino il comune di
Castellammare di Stabia ha dedicato l'aula del consiglio comunale intitolandola a loro nome,nel comune di
Scafati è dedicata loro, una piazza proprio difronte alla scuola elementare "FERDINANDO II DI BORBONE",e anche nel comune di
Casaluce
in provincia di Caserta,è stata dedicata a Falcone una piazza su un
bene confiscato alla camorra,Inoltre ai due colleghi magistrati è stato
dedicato anche l'
Aeroporto di Palermo-Punta Raisi. Un albero situato di fronte l'ingresso del suo appartamento, nella centralissima via
Emanuele Notarbartolo a Palermo, raccoglie messaggi, regali e fiori dedicati al giudice: è "
l'albero Falcone"
[21].
All'uscita dell'
autostrada Palermo-Capaci, in prossimità del luogo dell'attentato, è stata eretta una colonna che espone i nomi delle vittime di quel
23 maggio 1992.
Qui il giudice, sua moglie e la scorta vengono commemorati il giorno
dell'anniversario della strage, con la chiusura del tratto al traffico,
come avvenuto anche nel
2010[23].
Opere
- Rapporto sulla mafia degli anni '80. Gli atti dell'Ufficio istruzione del tribunale di Palermo, Palermo, S. F. Flaccovio, 1986.
- Cose di Cosa Nostra, in collaborazione con Marcelle Padovani, Milano, Rizzoli, 1991.
- Io accuso. Cosa nostra, politica e affari nella requisitoria del maxiprocesso, Roma, Libera informazione, 1993.
Nella cultura popolare
Teatro, cinema e televisione
Musica
Onorificenze
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Medaglia d'oro al valor civile |
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«Magistrato
tenacemente impegnato nella lotta contro la criminalità organizzata,
consapevole dei rischi cui andava incontro quale componente del 'pool
antimafia', dedicava ogni sua energia a respingere con rigorosa coerenza
la sfida sempre più minacciosa lanciata dalle organizzazioni mafiose
allo Stato democratico. Proseguiva poi tale opera lucida, attenta e
decisa come Direttore degli Affari Penali del Ministero di Grazia e
Giustizia ma veniva barbaramente trucidato in un vile agguato, tesogli
con efferata ferocia, sacrificando la propria esistenza, vissuta al
servizio delle Istituzioni.»
— Palermo, 5 agosto 1992 |
Note
- ^ Citato in: Maria Falcone, Giovanni Falcone un eroe solo, Rizzoli, 2012, pagina 29.
- ^ Citato in: L. Tescaroli, Perché fu ucciso Giovanni Falcone, Rubbettino Editore, Catanzaro 2001, p. 3.
- ^ Francesco La Licata, Storia di Giovanni Falcone, pp. 23-36
- ^ Francesco La Licata, Storia di Giovanni Falcone, pp. 37-44
- ^ Saverio Lodato, I professionisti dell'antimafia in Trent'anni di mafia, Rizzoli [2008], pp. 52-53. ISBN 978-88-17-01136-5
- ^ a b Saverio Lodato, I professionisti dell'antimafia in Trent'anni di mafia, Rizzoli [2008], pp. 55-56. ISBN 978-88-17-01136-5
- ^ Saverio Lodato, I professionisti dell'antimafia in Trent'anni di mafia, Rizzoli [2008], p. 58. ISBN 978-88-17-01136-5
- ^ Enrico Deaglio, Raccolto rosso: la mafia, l'Italia e poi venne giù tutto
- ^ a b Addaura, nuova verità sull'attentato a Falcone, Attilio Bolzoni, La Repubblica, 7 maggio 2010.
- ^ Anche
se al suo dossier difensivo al CSM il sostituto procuratore Ayala fa
discendere un ulteriore elemento di delegittimazione del pool antimafia,
cioè gli addebiti deontologici che portarono al suo trasferimento per
incompatibilità ambientale: Giuseppe AYALA: Chi ha paura muore ogni
giorno – Mondadori 2008.
- ^ Giovanni Falcone - Biografia. Fondazione Falcone. URL consultato il 18-07-2010.
- ^ «QUANDO COSSIGA CONVOCO' LE TOGHE DI SICILIA». La Repubblica, 21 10 1993, p. 4. URL consultato in data 24-01-2010.
- ^ Maria Falcone a Orlando: ha infangato mio fratello
- ^ «MANNINO NON E' MAFIOSO E IL CASO VIENE ARCHIVIATO». La Repubblica, 12 10 1991, p. 6. URL consultato in data 18-10-2009.
- ^ Citato in: F. La Licata, Storia di Giovanni Falcone, Feltrinelli, Milano 2006, pp. 120, 137-141.
- ^ Citato in: F. La Licata, Storia di Giovanni Falcone, Feltrinelli, Milano 2006, p. 169.
- ^ a b Si
veda: C. Lucarelli, Blu Notte - Misteri Italiani (sesta serie - 2004),
La Mattanza: dai silenzi sulla Mafia al silenzio della Mafia
- ^ Giuseppe D'Avanzo. «Boccassini: "Falcone un italiano scomodo"». La Repubblica, 21 5 2002. URL consultato in data 18-10-2009.
- ^ Una fra le numerose fonti online
- ^ Trascrizione intervento
- ^ Enrico Deaglio, Raccolto rosso: la mafia, l'Italia e poi venne giù tutto, p. 180
- ^ Nuova denominazione per Ponte di Nona P.d.z. "Villaggio Falcone"
- ^ AGI.it - FALCONE: ANAS DISPONE CHIUSURA AUTOSTRADA A/29 PER COMMEMORAZIONE
- ^ «Gli Usa ricordano Falcone». La Sicilia, 30 10 2009. URL consultato in data 30-10-2009.
- ^ Alessandrea Ziniti. «Falcone, mille ragazzi lo ricordano a Corleone». la Repubblica, 23 maggio 2003.
- ^ Giovanni Falcone, un eroe da ricordare - lagazzettaitaliana.com
Bibliografia
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- Giacomo Bendotti, Giovanni Falcone, Ed. BeccoGiallo, 2011, graphic novel, ISBN 978-88-85832-90-9
- Gian Carlo Caselli e Raoul Muhm, Il ruolo del Pubblico Ministero - Esperienze in Europa, Vecchiarelli Editore Manziana, Roma, 2005, ISBN 88-8247-156-X.
- Enrico Deaglio, Raccolto rosso: la mafia, l'Italia e poi venne giù tutto, Feltrinelli Editore, 1993, ISBN 978-88-07-12010-7.
- Anna Falcone, Maria Falcone, Leone Zingales, Giovanni Falcone, un uomo normale, Ed. Aliberti, 2007, ISBN 978-88-7424-253-5.
- Giovanni Falcone e Marcelle Padovani, Cose di Cosa Nostra, Milano, Rizzoli, 1991, ISBN 978-88-17-00233-2.
- Claudio Fava, Cinque delitti imperfetti: Impastato, Giuliano, Insalaco, Rostagno, Falcone, Mondadori, Milano 1994.
- Fondazione Giovanni Falcone, Giovanni Falcone: interventi e proposte (1982 – 1992) a cura di F. Patroni Griffi, Sansoni, Firenze, 1994.
- Luigi Garlando, Per questo mi chiamo Giovanni Fabbri, 2004.
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- Saverio Lodato, Ho ucciso Giovanni Falcone: la confessione di Giovanni Brusca, Milano, Mondadori, 1999.
- Saverio Lodato, Trent'anni di mafia, Rizzoli, 2008, ISBN 978-88-17-01136-5.
- Giammaria Monti, Falcone e Borsellino: la calunnia il tradimento la tragedia, Roma, Editori Riuniti, 1996.
- Luca Rossi, I disarmati: Falcone, Cassarà e gli altri, Milano, Mondadori, 1992.
- Alexander Stille, Excellent Cadavers, Vintage (Jonathan Cape), 1995.
- Maria Falcone, Francesca Barra, "Giovanni Falcone, un uomo solo", Milano, Rizzoli, aprile 2012, ISBN 978-88-17-05617-5.
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