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domenica 8 gennaio 2012

Mafia Russa: Oligarchi senza scrupoli, banditi di ogni genere, trafficanti di droga, armi, organi umani, schiavi, auto di lusso, uranio...ma che cos’è realmente la temutissima Mafia Russa? La terribile Mafia Russa non ha più segreti: Eccezionale inchiesta shock sul mito che da 20 anni sta terrorizzando il mondo...

MOSCA - (FEDERAZIONE RUSSA) - La mafia russa con il crollo dell’unione sovietica, pur non avendo assolutamente alcuna consistenza, venne enormemente enfatizzata dal cinema e dagli altri media, creandone un mito che ha dato il via a fenomeni d’emulazione tra i banditelli russi e businessman che operavano in un contesto privo di leggi appropriate per il nuovo sistema capitalista. Tale fenomeno di imitazione che nella maggior parte dei casi si limita nell’acquisto di un macchinone di color “nero canna di fucile” con vetri scuri e abbigliamento sempre nero con soprabito in pelle, abbinato ad un atteggiamento tipico strafottente, ha dato il via a ciò che attualmente è il più noto stereotipo di “mafioso russo”. Il mafioso, in Russia e talmente mitizzato e emulato che di norma affari pienamente legali, vengono svolti con atteggiamenti da mafioso, con il tipico scambio di plichi di soldi dati in modo sospetto e furtivo per strada.
La mafia russa apparve come fenomeno nuovo con il crollo dell’unione sovietica e cominciò a preoccupare seriamente governi e polizie dei paesi occidentali. Un analista della Cia dichiarò al Congresso americano che questa nuova criminalità «è diventata una minaccia internazionale. Essa conduce azioni delittuose ben al di là dei confini nazionali e tocca anche le nostre sponde». Diversi studiosi condivisero questa analisi. Mark Galeotti, ad esempio, scrisse che la mafia ha «ambizioni senza confini. (…) È una forza conquistatrice che non si limita a opprimere il proprio gruppo etnico all’estero». Secondo questo autore, i Red Fellas (come li soprannominò l’Fbi) sono altamente sofisticati e si avvalgono di «prefetti» insediati in diversi Paesi, tra i quali il Canada, la Germania, i Paesi Bassi, Israele e l’ex Jugoslavia.
Ora è giunto il momento di valutare fino a che punto i «bravi ragazzi» dell’ex Urss si sono radicati nei paesi dell’Europa occidentale. Ma prima dell’analisi occorre fare chiarezza su alcuni concetti fondamentali. Una volta individuati quali siano i soggetti di cui stiamo trattando, è opportuno chiedersi perché essi vorrebbero espandere il loro raggio d’azione al di fuori del territorio nazionale. In altre parole, quali sono le motivazioni all’origine delle loro «ambizioni senza limiti»?
Vi sono almeno tre tipi di soggetti distinti che vengono rubricati sotto la definizione ombrello di mafia. I primi sono i produttori di beni e servizi legali. Fanno parte di questo gruppo gli oligarchi che divennero famosi ai tempi delle privatizzazioni degli anni Novanta, come Boris Berezovskii, Mikhail Khodorkovskij, Roman Abramovicv e Vladimir Potanin. Durante la presidenza Putin, alcuni di loro caddero in disgrazia e scapparono all’estero, come Vladimir Gusinskii (MediaMost) e Boris Berezovskii, oppure finirono in prigione come Mikhail Khodorkovskii (Jukos), arrestato nel 2003 e condannato a nove anni di reclusione.
Con l’avvento di Putin sulla scena politica, il capitalismo russo è cambiato, lo Stato è intervenuto più massicciamente nell’economia, sicché la lista dei nuovi oligarchi comprende alleati politici e cortigiani riuniti attorno all’uomo forte del Cremlino (oggi alla Casa Bianca russa), in maggior parte funzionari statali ed ex membri del Kgb. Questa fitta ragnatela di collaboratori e sodali controlla le imprese e le banche più importanti del paese. Ad esempio, il numero due dell’amministrazione presidenziale è a capo di Rosneft’, l’azienda petrolifera statale che ha incorporato Jukos dopo l’arresto di Khodorkovskij. Nonostante la quasi esclusiva attenzione riservata dalla stampa agli oligarchi, va ricordato che lo sviluppo dell’economia russa ha creato anche imprese medie e medio-piccole che producono beni e servizi legali e fanno parte del panorama economico del Paese.
Oligarchi e grandi magnati, piccoli e medi imprenditori, amministratori e manager di banche e imprese a forte partecipazione pubblica hanno tutti una cosa in comune: la loro attività principale non è di per sé illegale. Essi possono essersi appropriati di beni pubblici in modo poco ortodosso e con la connivenza di politici senza scrupoli, possono aver commesso irregolarità finanziarie, ma non sono la «mafia russa». Se così fosse, ogni operatore economico attivo nel territorio ex sovietico rischierebbe di essere definito un gangster.
Il secondo gruppo è composto da semplici malviventi. Essi non hanno alcun interesse a monopolizzare un mercato oppure una specifica attività criminale. Come ebbe a scrivere il Nobel per l’economia Thomas Schelling, due ladri che si mettono in società per delinquere non fanno parte del «crimine organizzato», ma semplicemente lavorano insieme. I topi di appartamento oppure i rapinatori operano nell’illegalità, ma non aspirano a governare alcunché.
La mafia propriamente detta è una forma di governo extralegale di mercati e territori, in quest’ambito un Russia troviamo alcuni gruppi di banditelli arricchiti che nemmeno si sanno far il nodo alla cravatta: La brigata di Solncevo (Solncev-skaja bratva), radicata in un quartiere alla periferia di Mosca. Altri gruppirovki importanti sono la Izmajlovskaja, la Dolgoprudnenskaja e la Kurganskaja di Mosca, la Tambovskaja-Malysvevkaja di San Pietroburgo, e la Uralmasv e la Central’naja di Ekaterinburg. Come le mafie italiane, anche quelle russe hanno una struttura gerarchica, riti di iniziazione e regole di comportamento, spesso disattese.
Senza dubbio questi tre tipi di attori possono entrare in contatto tra loro, ma rimangono fondamentalmente distinti. Le attività che conducono, le sfide che li attendono e i rischi che corrono sono di natura diversa. Allo stesso tempo hanno in comune un unico ambito di provenienza, l’ex Unione Sovietica, e tutti e tre possono commettere reati all’estero.
Tra gli oligarchi dell’èra Putin, quello più discusso di recente in Inghilterra è Aleksandr Lebedev, proprietario di un terzo di Aeroflot, del quotidiano Novaja Gazeta e, dal gennaio del 2009, dell’Evening Standard. Negli anni Ottanta, Lebedev aveva lavorato per il Kgb proprio a Londra.
Vi sono almeno tre ragioni che spingono un’impresa legale a operare in un territorio straniero: La ricerca di risorse, di mercati e di opportunità di investimento.
Aprire una filiale oltre i confini nazionali può essere una decisione motivata dal desiderio di acquisire risorse come informazioni, attrezzature o manodopera da inserire nel proprio processo produttivo al minor costo possibile. Oppure un imprenditore può decidere di aprire una sede in un altro paese per vendere il suo prodotto in un nuovo mercato. Infine, un uomo d’affari può voler collocare i suoi profitti altrove e quindi ricerca opportunità di investimento all’estero.
Le tre motivazioni possono guidare anche coloro che operano nei mercati illegali. La ricerca di risorse corrisponde, in questo caso, all’acquisto di informazioni, di armi, di manodopera oltre confine. La ricerca di mercati consiste nel tentativo di penetrare settori legali e illegali all’estero. Quest’ultima aspirazione può avere due esiti differenti. Alcuni criminali semplicemente operano in un determinato ambito, senza voler essere gli unici attori. In altri casi, possono invece voler
controllare un territorio specifico oppure un settore economico. Il tentativo di diventare fornitori esclusivi di un bene illegale genera di norma scontri con altri gruppi che hanno lo stesso scopo, così come due Stati interessati al controllo di una regione possono farsi la guerra. La ricerca di opportunità di investimento infine comprende (ma non si esaurisce in questo) il riciclaggio: denaro di fonte illecita viene messo al sicuro e fatto fruttare attraverso l’acquisto di beni legittimi, come immobili e titoli azionari.
Studiosi e osservatori ritengono spesso che un criminale si trovi all’estero perché voleva emigrare. Invece a volte si emigra perché si è costretti. Malviventi e mafiosi sovente giungono in un territorio straniero per sfuggire alla giustizia o a guerre tra cosche in patria. Anche in questi casi è possibile che, una volta nel nuovo paese, si dedichino alla ricerca di risorse da importare nei luoghi di origine. Possono anche dedicarsi a riciclare denaro sporco e tentare di controllare determinati
mercati legali o illegali.
Quali sono le attività illecite dei cittadini dell’ex Unione Sovietica in Europa? Per rispondere a questa domanda, utilizzerò qui di seguito le tre categorie analitiche appena discusse di ricerca di risorse, di opportunità di investimento e di mercati.
A) Ricerca di risorse. Gli imprenditori legali che vogliono acquisire prodotti da immettere nel processo produttivo o commerciale delle loro aziende sono di norma interessati a beni leciti. Quando si adoperano per nascondere l’origine dei capitali che intendono usare per i loro acquisti fanno nascere nelle polizie occidentali il sospetto che essi siano mafiosi o criminali comuni. Una lettura istruttiva è la richiesta di archiviazione redatta nel 2008 dai procuratori di Bologna Morena Plazzi e Paolo Giovagnoli per la posizione di 187 persone (russi, svizzeri, uzbeki, algerini, francesi
e italiani) sospettati di associazione a delinquere di stampo mafioso e di riciclaggio di denaro sporco sulla riviera romagnola. All’origine dell’inchiesta vi furono informazioni dell’Fbi secondo cui diverse banche russe utilizzavano conti di corrispondenza con la Bank of New York per trasferire ingenti somme di denaro a diverse società fittizie, le quali a loro volta le giravano verso istituti di credito di numerosi paesi, tra cui l’Italia. Dopo dieci anni di indagini, i magistrati hanno appurato che diversi uomini d’affari ricorrevano a questi metodi per fare acquisti legittimi di beni e macchinari. Ad esempio, scrivono i magistrati, «per quanto concerne i rapporti intercorsi tra il Gruppo Fornari e i soggetti russi, si rileva che tali rapporti erano riconducibili all’attività di commercio (al minuto e all’ingrosso) e a quella di import-export di abbigliamento e calzature». I difetti del sistema finanziario e fiscale russo spingono gli imprenditori a operare come se stessero riciclando denaro sporco.
Non mi pare che vi siano esempi eclatanti di importazione dall’Europa occidentale verso est di risorse illegali ad opera di delinquenti comuni o mafiosi dell’ex Urss. Per quanto attiene al traffico di droga, la cocaina prodotta in America Latina in alcuni casi raggiunge i paesi dell’Est e la Russia, ma l’Europa risulta un punto di transito non significativo. Ad esempio, la polizia dei Paesi Bassi ha individuato non più di una decina di corrieri in un periodo di tre anni, dal 1999 al 2002. Le grandi partite di stupefacenti arrivano in Russia direttamente dal Sud-Est asiatico, senza passare per l’Europa. L’aumento del loro consumo produce incentivi a introdurre questo bene nel Paese, ma l’Europa rimane un luogo di transito marginale.
B) Ricerca di opportunità di investimento.  La fuga di capitali dalla Russia è endemica. Non deve stupire se molti operatori economici sono tentati di nascondere i loro profitti all’estero, per sfuggire proprio alla mafia, ai funzionari corrotti, all’incertezza politica, alle strutture finanziarie deboli e alla tassazione elevata. Secondo le stime contenute in un rapporto della Banca mondiale pubblicato a Mosca nel marzo del 2009, «nel quarto trimestre del 2008, il deflusso totale netto di capitali dalla Russia è stato di 130,5 miliardi di dollari. Di questi, 56,2 miliardi proveniva no dal settore bancario e 74,3 miliardi dal settore non bancario» 6. Nel periodo compreso tra il 1998 e 2000, il valore del deflusso oscillava tra il 7 e l’11% del pil (e poi del 5% nel 2001; del 2,5% nel 2002; dello 0,5% nel 2003 e del 3% nel 2004).
Solo un osservatore male informato può sostenere che tali fondi siano tutti d’origine illecita. I beneficiari della privatizzazione delle industrie sovietiche sono stati gli stessi manager e gli oligarchi, molto meno le mafie e gli investitori stranieri.
Un ristretto gruppo di banchieri si è appropriato delle imprese del settore energetico (che produce circa la metà del pil) e delle risorse naturali, i due comparti che generano la maggior quantità di ricchezza esportabile all’estero. In altre parole, sono gli imprenditori, i funzionari statali e i dirigenti privati che spostano ingenti flussi di denaro fuori dal Paese. Ad esempio, nel 2000, diversi individui che agivano per conto di imprese russe, hanno condotto transazioni sospette per circa 200 milioni di dollari nei Paesi Bassi. L’inchiesta non è riuscita a dimostrare che la fonte del denaro fosse illecita, per quanto all’origine della fuga di capitali sembra vi fossero irregolarità finanziarie.
L’ultima relazione della Direzione nazionale antimafia (Dna) avverte che ingenti somme sono state investite in varie zone della Lombardia, in particolare nell’acquisto di immobili di lusso, alberghi e strutture turistiche. Anche a Roma sembra operare un gruppo dedito al riciclaggio. In questo contesto sarebbe maturato il tentato omicidio di un cittadino greco di origine armena il 10 giugno 2008. Eppure i dati pubblicati dalla Dna non sono sufficienti per riconoscere con sicurezza la
provenienza criminale o meno di questo denaro.
Anche i Red Fellas esportano capitali verso l’Europa occidentale. Ad esempio, un inviato della Solncevskaja arrivò a Roma alla metà degli anni Novanta con il compito di reinvestire i patrimoni della stessa Solncevskaja, della Izmajlovskaja e della Kurganskaja. Il denaro era usato per l’acquisto di beni in Italia, tra cui un’azienda ittica (i protagonisti di questa storia furono arrestati nel 1997 ma, a causa di un difetto di forma, il processo non si celebrò ed essi furono semplicemente espulsi).
I capitali russi di fonte criminale si indirizzano più spesso verso le nuove economie dell’Europa dell’Est, come la Repubblica Ceca e l’Ungheria, e la City di Londra, piuttosto che verso l’Italia. Negli anni Novanta, la Solncevskaja, attraverso l’uomo d’affari di origine ucraina Semën Judkovicv Mogilevicv, riuscì a mettere le mani su una vasta rete di imprese ungheresi, sopratutto nel settore della produzione di armi e nell’import-export del petrolio. Mogilevicv fu anche coinvolto nello
scandalo della Bank of New York e riuscì a penetrare la Borsa canadese. La sua carriera è finita nel 2008, quando è stato arrestato a Mosca.
Anche Londra è meta di capitali sospetti, secondo fonti della Serious and Organized Crime Agency (Soca), la struttura di polizia e di intelligence creata da Tony Blair nel 2006 col compito di contrastare il crimine organizzato. Ingenti somme vengono investite soprattutto nell’acquisto di dimore di lusso. Una destinazione relativamente nuova è la Spagna, paese al centro di diverse indagini della polizia locale in collaborazione con Soca. Gennadij Petrov, il presunto boss
della Tambovskaja-Malysvevkaja di San Pietroburgo, è stato arrestato nel giugno del 2008 a Maiorca, insieme con venti complici. Gli sono stati sequestrati un prezioso quadro di Salvador Dalì e conti correnti del valore di 14 milioni di euro. Petrov e altri 17 individui sono accusati di aver riciclato denaro attraverso l’acquisto di diverse proprietà in quella che viene definita «Costa del crimine».
C) Penetrazione e controllo di mercati illegali.
Penetrazione: Un mercato dove i criminali provenienti della defunta Unione Sovietica sono attivi in Italia è quello della prostituzione. In esso si ritrovano almeno due strutture organizzative distinte. La prima consiste in un gruppo etnico che ha il controllo dall’inizio alla fine dell’intero commercio. Questo sembra essere il caso dei moldavi arrestati dalla polizia di Roma nel 1999 e condannati a pesanti pene: al capo fu inflitta in primo grado una pena di trent’anni di reclusione per associazione a delinquere. Gli italiani coinvolti furono pochi e con ruoli marginali.
Nonostante le pesanti condanne, un’indagine del 2007 ha messo in luce come un gruppo di moldavi continui a operare a Roma nello stesso settore, a riprova che la domanda locale di prostituzione genera guadagni sufficienti per continuare questo traffico. Il rapporto della Dna avanza il sospetto che l’organizzazione sia anche in grado di effettuare estorsioni e minacce nei confronti di esponenti della propria comunità a Roma e di imprese di trasporti sulla rotta tra le capitali dei due paesi. Se così fosse, saremmo in presenza di una forma rudimentale di mafia limitata a un gruppo etnico.
La seconda modalità di organizzazione consiste in una struttura decentralizzata. Alcune inchieste condotte in Italia hanno portato all’identificazione di un gruppo di moldavi e russi che opera a Mosca, dove recluta delle giovani da avviare alla prostituzione in Israele o nei paesi dell’Unione Europea. A Mosca le vittime ottengono i documenti necessari all’espatrio e in alcuni casi un visto Schengen. Passano poi attraverso vari intermediari fino a giungere sotto il controllo di una rete romana indipendente dai «fornitori» di Mosca. Lo stesso meccanismo sembra applicarsi anche alla tratta di donne dirette verso Israele. Ad esempio, Ljudmila Balbinova, una giovane nata a Tiraspol e intervistata dal giornalista Misha Glenny, racconta che accettò un’offerta di lavoro in Israele. Dopo un viaggio in treno verso Odessa, arriva nella capitale russa dove viene presa in consegna dal racket. Con i suoi aguzzini vola alla volta del Cairo. In Egitto, viene venduta a dei beduini con i quali attraversa il deserto del Sinai. Questi arrivano con il loro carico a Bersabea, nel deserto del Negev, dove Ljudmila viene comprata dai gestori di un bordello di Tel Aviv. La «merce» passa per le mani di una lunga lista di mercanti – moldavi, ucraini, russi, egiziani, beduini, israeliani – ma non esiste un’organizzazione unica che controlla tutte le fasi di questo traffico.
Controllo: Il caso più significativo di gruppi mafiosi che sono riusciti a penetrare e gestire mercati legali e illegali è quello dell’Ungheria. Nel novembre del 2003, quattro uomini di origine ucraina, russa, georgiana e ungherese furono arrestati a Budapest e accusati di essere a capo di un racket della protezione che coinvolgeva non meno di mille piccole imprese e negozi. La polizia sostiene che il leader fosse un emissario della Solncevskaja. Secondo il rapporto annuale dell’Agenzia per la sicurezza ungherese del 2006, «i gruppi criminali autoctoni e quelli di origine russa continuano a essere la forza dominante nel paese» Tra i vari settori, sembra che i Red Fellas abbiano penetrato quello delle costruzioni e in particolare della vendita di materiale per l’edilizia. Il successo in Ungheria della mafia proveniente dall’ex Unione Sovietica dipende non tanto dalla sua capacità organizzativa, ma dalla debolezza strutturale del Paese, dalla lentezza e inefficienza delle istituzioni pubbliche e più in generale dalla presenza di mercati non protetti adeguatamente dalle autorità statali.
L’evoluzione dello Stato russo e degli altri paesi dell’ex Urss ha avuto e
continuerà ad avere un effetto cruciale sulla presenza di Red Fellas in Europa. Il
tanto discusso neoautoritarismo dell’era Putin va di pari passo con l’aumento del
ruolo dello Stato nell’economia, con l’espansione della burocrazia e la crescita
della corruzione. Pagare tangenti è diventata è notoriamente una norma ben radicata nella cultura russa. Allo stesso tempo, le infrastrutture finanziarie continuano a essere deboli e la protezione dei diritti di proprietà imperfetta. La fuga dei capitali all’estero e i tentativi di riciclaggio da parte di operatori economici e alti funzionari statali non sono destinati a diminuire. Le mafie operano relativamente indisturbate in un regime di autoritarismo moderato e corrotto. È possibile che esse vengano spinte ulteriormente verso i mercati illegali, in particolare quello della droga e della prostituzione, dove non sono in concorrenza con esponenti dello Stato. Senza dubbio, l’attuale crisi economica renderà tutti più poveri e dovrebbe portare a una riduzione in senso assoluto delle loro attività.
Mosca continuerà a essere un centro di smistamento delle giovani donne provenienti dai vari paesi dell’ex Unione Sovietica. Il modello «integrato» di questo traffico riduce gli intermediari e aumenta i margini di profitto, mentre il modello «decentrato» abbassa i costi di transazione e la necessità di far rispettare accordi complessi. In ogni caso, questo mercato continua a essere fiorente perché – vista l’impossibilità svolgere una vita sessualmente “normale” - la domanda alcuni paesi occidentali è inesauribile, e continua a mettere in pericolo le vittime poiché Paesi come l’Italia non prendono in considerazione l’ipotesi di regolamentare il settore.
La mafia in Europa non sembra aver avuto i successi previsti dalle agenzie di intelligence e da diversi studiosi vent’anni fa, ma si trova perfettamente a suo agio nel Paese di origine. Spetta dunque ai leader della Federazione Russa mettere mano alle debolezze strutturali del sistema finanziario e fiscale, rafforzare i diritti di proprietà, combattere la corruzione e stroncare il traffico di esseri umani. Ma le ragioni per essere ottimisti sono poche. Alexandre Dumas in Vent’anni dopo narra di un D’Artagnan senza macchia né paura che salva la monarchia di Francia dagli
intrighi del cardinal Mazzarino e dall’ansia di ribellione della Fronda. Nessun moschettiere sembra sul punto di fare lo stesso per la corte che si affaccia sulle sponde della Moscova.

Fonte: http://www.russologia.com 

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ITALIA-CINA

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