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mercoledì 11 gennaio 2012

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La Corea del Nord di Oggi

“Non si può parlare di nessuno e di niente dopo visite di poche ore o seguendo obsolete immagini di Popoli e Culture diverse; prima di arrivare in Corea tutti i Visitatori sanno già tutto: sono anni che si scrive di Corea stando a Parigi o Londra o New York...” Massimo Urbani
 

Nessuna citazione potrebbe essere più azzeccata di questa osservazione del dott. Urbani [coordinatore residente della cooperazione italiana e Console Corrispondente del Governo Italiano a Pyongyang dal 1997 al 2007, NdA]: da anni si parla di Corea del Nord, basandosi su pregiudizi e dati sballati, raccogliendo testimonianze dubbie o smentite dagli stessi autori, proponendo video o immagini montate sapientemente. Vorremmo quindi portare, con queste righe, un contributo “fuori dal coro”, semplicemente riepilogando cosa è accaduto negli ultimi anni a nord del 38° parallelo, e come appare in questa fine 2008 la Repubblica Popolare Democratica di Corea.

Alcune questioni politiche: il Juché e il Songun

La Repubblica Popolare Democratica di Corea subì in maniera pesante il crollo del socialismo nell’est europeo, i cui paesi rappresentavano i maggiori partner commerciali. Oltre a questo, nella metà di quell’infausto decennio, il paese venne colpito da enormi catastrofi naturali a cui si sommarono le sanzioni economiche imposte dagli Stati Uniti. Infine, vi furono tentativi esterni mirati a sfruttare la scomparsa del presidente Kim Il Sung per minare la stabilità interna del sistema socialista.
Nel contesto del crollo del “socialismo reale”, i paesi “superstiti” affrontarono ognuno in modo diverso la situazione: Cuba inaugurò la fase del periodo especial; la Cina accelerò sulla via del socialismo di mercato, seguita in forme più o meno diverse da Laos e Vietnam. Si tratta di scelte che hanno consentito sia il mantenimento e la stabilità del socialismo, sia lo sviluppo delle forze produttive.
La leadership coreana rispose alla situazione in maniera diversa: il Partito del Lavoro decise infatti di inaugurare una nuova stagione politica definita Songun, che possiamo tradurre come priorità all’esercito e quindi alla difesa. Le ragioni di questa scelta vanno in primo luogo ricercate nella pesante presenza militare statunitense nel sud della penisola, che costituiscono una continua minaccia per la RPDC, considerando anche che l’esercito americano dispone in quell’area di decine di testate nucleari (“dettaglio” spesso ignorato dagli osservatori). Leggendo ogni testo circa questa nuova fase politica si viene indotti a pensare che la Corea del Nord sia un paese estremamente militarizzato, tuttavia chiunque viaggi in Corea del Nord percepisce difficilmente questa “militarizzazione”: è raro vedere soldati o anche poliziotti armati, e ci si stupisce quando non si scorgono guardie attorno ai ministeri o agli altri palazzi del governo. Dare la “priorità all’esercito” significa dunque rafforzare l’esercito dal punto di vista militare verso possibili minacce esterne ed è un errore grossolano, linguistico ma anche politico, tradurre “songun” addirittura come “dominio” (questa è stata l’interpretazione data in Italia da alcuni).
Nei suoi scritti sul Songun, il compagno Kim Jong Il esalta la preparazione ideologica dei soldati, la loro fedeltà al Partito (in cui vige un ferreo centralismo democratico) e sottolinea che l’Esercito ha fatto proprio lo spirito d’avanguardia rivoluzionaria tipico della classe operaia. I soldati coreani non sono “immobilizzati” nell’attesa di possibili attacchi: l’esercito ha infatti funzioni di protezione civile, gestisce fabbriche, aiuta i contadini nei campi ed è frequente vedere i soldati all’opera nei cantieri, assieme agli operai. Grazie alla politica del Songun, al rafforzamento quindi della difesa, sostengono i coreani, è stato possibile evitare gli attacchi statunitensi durante il periodo della grande crisi ed è stato possibile mediare alla pari su questioni spinose come la denuclearizzazione della penisola senza subire diktat. Non è un caso quindi che l’ultimo atto dell’amministrazione Bush sia stato l’accettazione delle condizioni imposte a Hill durante la visita di questi a Pyongyang nello scorso autunno, ed è un peccato in questo contesto constatare l’atteggiamento ostile dei nuovi governanti di Seoul, guidati dal presidente Lee Myung-bak (eletto nel dicembre 2007), ben lontano dal clima di distensione voluto dai precedenti leader sudcoreani (ma su questo complesso argomento ritorneremo magari in un altro articolo).
Un altro motivo per cui la Repubblica Popolare Democratica di Corea non fu coinvolta nel tracollo del socialismo est-europeo va ricercato nella politica di indipendenza perseguita da Kim Il Sung, ovvero il Juché (che letteralmente significa “autosufficienza”, “contare sulle proprie forze”), che venne posta con forza, e non a caso, proprio nella metà degli anni ’50 del secolo scorso, gli anni in cui iniziava la frattura nel campo socialista che divenne palese a seguito del XX° Congresso del PCUS per poi esplodere con le note denunce del Partito Comunista Cinese e del Partito del Lavoro d’Albania contro i “revisionisti sovietici”. I dirigenti coreani, pur essendo contrari alle tesi di Khruscev e condannandone il revisionismo, seguirono la via della non ingerenza negli affari interni degli altri paesi, articolando rapporti con ognuno di essi ed evitando di allinearsi in maniera acritica a questo o quel “blocco”. In questo modo, la RPDC non fu né satellite dell’URSS, né dipendente dalla vicina Repubblica Popolare Cinese e sottolineiamo che questa posizione dei coreani non venne mai usata dagli imperialisti in chiave anticinese o antisovietica, come accadde invece in fasi diverse con Tito e Ceaușescu.
Questo atteggiamento del Partito coreano suscitò, tra gli altri, l’interesse del PCI, e sono noti i rapporti amichevoli tra la segreteria di Berlinguer e la leadership comunista coreana. L’indipendenza politica della Corea del Nord corrispose alla costruzione di una indipendente politica economica sulla cui base si decise di progredire in tutti i settori, dall’agricoltura all’industria pesante, al tessile e così via. Questo atteggiamento viene di solito visto come “autarchia”, accusa tuttavia ingiustificata visti gli scambi economici, tecnici e di know how da sempre incoraggiati dal governo coreano.
Assieme al Songun quindi, l’indipendenza economica e politica basate sul Juché hanno evitato che l’effetto domino partito in Europa dell’est coinvolgesse anche Pyongyang: l’enorme crisi che colpì anche la Corea assieme agli altri fattori citati prima non bastò a mettere in discussione il sistema socialista coreano che anzi ne uscì rafforzato. Pur tra mille difficoltà infatti vennero mantenute tutte le conquiste del socialismo, senza cedere alle pressioni esterne che avrebbero voluto, se non proprio il crollo del sistema, almeno una apertura sostanziale al mercato.

L’economia nordcoreana: aperture al mercato?

Proprio l’economia nordcoreana è attualmente fonte di dibattito: alcuni vi vedono delle aperture, altri continuano a sottolinearne la chiusura, altri ancora scrutano dei “primi segnali” al mercato. Senza tornare indietro di troppi decenni, bisogna specificare che nel territorio della RPDC esiste addirittura dagli anni ’80 del secolo scorso la zona speciale di Rason, nata per la cooperazione economica e commerciale con l’allora Unione Sovietica e la Repubblica Popolare Cinese. Nel 2002, in piena Sunshine Policy, nel periodo di riavvicinamento tra i due stati, vennero invece istituite la zona industriale speciale di Kaesong, per promuovere innanzitutto lo scambio e la cooperazione tra la Repubblica Popolare Democratica di Corea e la Corea del Sud, e la zona turistica di Kumgangsan, visitata in 6 anni da quasi un milione di sudcoreani. La legislazione che regola queste zone speciali, così come gli investimenti esteri sul territorio della Repubblica Popolare Democratica (anch’essi possibili, la Legge sugli Investimenti Stranieri è del 1992) è articolata e mira al “beneficio reciproco”: garantire ovviamente un adeguato profitto a chi investe, mantenendo inalterato il sistema economico socialista, i diritti dei lavoratori (sanciti dalla Legge del Lavoro Socialista del 1978) e nel rispetto dell’ambiente (la Legge sulla Protezione dell’Ambiente è datata 1986). Per i coreani, avere investimenti esteri significa in questo momento avere la possibilità di modernizzare la propria tecnologia, investire nella ricerca con strumenti adeguati, e costruire su larga scala quei prodotti che attualmente vengono importati dall’estero per applicare pienamente il Juché in campo economico (ricordiamo che i prodotti, più che venduti, vengono distribuiti ai cittadini coreani a prezzo “politico”, non al prezzo “di mercato”).
Circa il discusso rapporto tra la RPDC e la globalizzazione, riportiamo invece stralci di un articolo apparso il 17 dicembre 2008 sul Rodong Sinmun , il quotidiano del Partito del Lavoro di Corea:
La comunità internazionale è impegnata per trovare una via d’uscita dalla crisi finanziaria mondiale partita dagli Stati Uniti. I fatti insegnano che il sistema di dominio finanziario monopolare del dollaro americano è al collasso, mentre sta emergendo nel mondo finanziario un periodo di multipolarità.
I fatti sopra esposti indicano che è estremamente importante rafforzare l’indipendenza dell’economia nazionale e sviluppare l’economia sulla base di una corretta teoria economica, mentre l’introduzione selvaggia di capitali esteri può portare l’economia nazionale alla bancarotta.
In primo luogo, le potenze occidentali dovrebbero immediatamente fermare la loro politica estera di aggressione, il cui unico scopo è violare la sovranità degli altri paesi e delle altre nazioni.
La moneta di un solo paese non dovrebbe venire considerata come “valuta principale”, mentre dovrebbe essere stabilito un sistema valutario multilaterale.
Questo è importante al fine di evitare che l’economia nazionale possa fallire entrando nel vortice della “globalizzazione”.
Un’altra lezione importante è la seguente: se un paese si incammina verso uno sviluppo economico disordinato basato sulla legge della giungla, senza promuovere il progresso economico sulla base di una corretta teoria economica, sulla scienza e sulla tecnologia, può in qualsiasi momento essere colpito da un’altra crisi economica...

Lo “spettro” della fame

Di Corea si parla spesso anche per evocare il continuo spettro della fame che affliggerebbe milioni di coreani. Sapendo dai nostri mass media che in Corea del Nord ci sarebbero 2 milioni o 6 milioni di affamati (su 24 milioni di abitanti) un visitatore mediamente accorto si potrebbe chiedere dove siano nascosti, dato che in nessun luogo capita di venire avvicinati o comunque di vedere mendicanti o persone malnutrite. Dallo scorso agosto, la macabra altalena di cifre ha parlato di 3, 6 e infine 2 milioni di norcdoreani a rischio. A causa della crisi degli anni ’90 del secolo scorso, delle presunte migrazioni di massa, delle persecuzioni da parte del regime che coinvolgerebbero milioni e milioni di persone, in Corea attualmente dovrebbero esserci rimasti solo i funzionari di partito... Con un minimo di serietà, consultando dati di organizzazioni certamente non asservite a Pyongyang, si evince che nel 1994, secondo ONU e Banca Mondiale, nella RPDC c'erano 20.689.150 di abitanti. L'UNICEF, nel novembre 2006, ne stimò oltre 23,5 milioni di cui 6,8 milioni sotto i 18 anni. Eppure, ancora nello scorso autunno alcuni “ricercatori” scrissero addirittura di casi di cannibalismo!
La RPDC non ha raggiunto l’autosufficienza alimentare, anzi!, ma sono proprio le autorità nordcoreane a ricordare che solo il 13% del territorio nazionale è arabile e di questo vaste aree sono soggette a inondazioni. Il clima inoltre non consente determinate colture e questo genera alcune carenze ad esempio di vitamina C. Vi sono anche carenze di calcio nell’alimentazione dei bambini, per via del poco latte di mucca, ma siamo ben lontani dalle assurdità che capita di leggere e le forniture del Programma Alimentare Mondiale, come di altre associazioni o istituzioni, suppliscono a queste carenze: nei piani del governo coreano vi è comunque la piena autosufficienza alimentare, che secondo i progetti dovrebbe essere raggiunta entro pochi anni. In ogni caso, nei periodi a rischio è lo stesso Governo di Pyongyang a dichiarare lo stato d’allerta o a richiedere aiuti, e ciò avviene pubblicamente anche attraverso il sito web del Korean Central News Agency e le associazioni di amicizia, come appunto la Korean Friendship Association.
Il problema dell’autosufficienza riguarda anche l’energia. A cadenze regolari, vengono riproposte le immagini notturne dai satelliti, dove il nord della penisola di Koryo è senza dubbio “oscuro” rispetto al sud o alle aree urbane di altri paesi vicini. Anche in questo caso, nessuno fa riferimento alle sanzioni e agli embarghi che hanno minato l’approvvigionamento energetico coreano, ed è comunque da segnalare che attualmente solo le strade sono al buio nelle ore notturne, mentre il problema è ormai risolto nelle abitazioni. Potrà sembrare di poco conto, tuttavia lampade e lampadine a basso consumo sono utilizzate ormai in ogni luogo della RPDC, mentre il positivo processo di denuclearizzazione potrebbe portare entro breve ad un sostanziale impiego di energie rinnovabili.

Questo breve panorama sulla Corea socialista non è di certo esauriente, contiamo tuttavia di tornare su argomenti specifici magari approfittando delle richieste dei lettori del Calendario del Popolo che ci ha offerto questo spazio.

Flavio Pettinari
Delegato Ufficiale della Korean Friendship Association

Per saperne di più

La Repubblica Popolare Democratica di Corea ha vari siti web ufficiali. Il più visitato e ricco di informazioni è www.korea-dpr.com che ha una parte in italiano, curata dalla Sezione Italiana della Korean Friendship Association, all’indirizzo www.korea-dpr.com/users/italy dove si possono trovare notizie costantemente aggiornate, informazioni sul paese e una interessante bibliografia.
La Korean Central News Agency, l’agenzia di stampa nordcoreana, ha un sito web in inglese consultabile alla pagina http://kcna.co.jp.

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