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CILE - In quelle prime ore il Presidente Allende e il ministro della Difesa
Orlando Letelier ricevettero informazioni incomplete sul golpe e
pensavano che solo una parte della Marina avesse cospirato contro il
governo. Non riuscirono a comunicare né con Gustavo Leigh, capo
dell’Aeronautica militare, né con Augusto Pinochet, il generale capo
dell’esercito che Allende stesso aveva nominato il 23 agosto
1973. Allende era convinto della lealtà di Pinochet e disse a un
giornalista che i responsabili del colpo di Stato dovevano evidentemente
averlo imprigionato. Era stato invece Pinochet a coordinare il colpo di
stato con le altre forze militari.
Solo alle 8.30, quando le forze armate dichiararono di aver preso il
controllo sul paese, fu chiaro quello che era successo. Nonostante la
mancanza di qualsiasi sostegno militare, Allende rifiutò di dare le
proprie dimissioni come gli avevano chiesto i golpisti e tenne un ultimo discorso
di addio alla nazione attraverso radio Magallanes in cui disse: «Viva
il Cile! Viva il popolo! Viva i lavoratori! Queste sono le mie ultime
parole e ho la certezza che il mio sacrificio non sarà vano. Ho la
certezza che, per lo meno, ci sarà una lezione morale che castigherà la
vigliaccheria, la codardia e il tradimento».
Verso mezzogiorno i militari ribelli circondarono con i carri armati
il palazzo presidenziale e gli aerei militari iniziarono a
bombardarlo. Luis Sepúlveda, lo scrittore che sarebbe stato incarcerato
durante il regime di Pinochet per la sua attività politica, in un
articolo tradotto e pubblicato su Repubblica, ricorda così quelle ultime ore:
Il giorno più nero della storia del Cile spuntò coperto di nuvole. La primavera alle porte, atterrita dall’orrore che si avvicinava, aveva deciso di negarci i primi tepori. (…) Il golpe fascista era iniziato, truppe e carri armati accerchiarono il palazzo, riecheggiarono i primi spari tra difensori e golpisti, le forze aeree bombardarono le antenne delle radio finché ne rimase soltanto una, quella di radio Magallanes, grazie alla quale ascoltammo e avremmo ascoltato le ultime parole del compagno presidente, quel «metallo tranquillo della mia voce». Con la Moneda assediata, Allende diede ordine di far uscire chiunque lo desiderasse, lui sarebbe rimasto a baluardo della Costituzione e della legalità democratica. In mezzo ai colpi d’arma da fuoco e ai proiettili esplosivi dell’artiglieria, un pugno di poliziotti socialisti decise di restare, e anche i GAP dissero chiaramente che la guardia non si arrendeva né abbandonava il Compagno Presidente. (…) Quando era quasi mezzogiorno, le forze aeree bombardarono la Moneda, le fiamme cominciarono a divampare nel palazzo ma il GAP non mollò. Rimane per sempre un’immagine di quel momento: il GAP Antonio Aguirre Vásquez, un patagone eroico, che spara dal balcone principale con la sua mitragliatrice calibro 30 finché le bombe non cancellano completamente la facciata della Moneda.
Alle due del pomeriggio era tutto finito. Alla guida del paese si
insediò il generale Augusto Pinochet che governò fino al 1988. Nei
combattimenti dell’11 settembre 1973 morirono 34 persone tra i militari
ribelli e 46 tra i GAP. All’interno del palazzo della Moneda morirono
due persone: il giornalista Augusto Olivares e il presidente Allende.
La morte di Allende
Il giorno del golpe, Salvador Allende fu ritrovato morto nel suo ufficio alla Moneda. Ci sono state numerose indagini e discussioni per stabilire se fosse stato assassinato o se si fosse suicidato prima di essere catturato. Nel 2011, dopo la riesumazione del corpo chiesta dalla famiglia, la commissione incaricata di chiarire le circostanze della morte dell’ex presidente ha affermato, come sostenuto nella versione ufficiale, che sia stato un suicidio. La versione ufficiale, sostenuta anche dal medico personale di Allende presente al suo fianco durante il golpe, è che il presidente si sia tolto la vita con un fucile AK-47 che gli era stato regalato da Fidel Castro. L’inchiesta ha concluso che Allende morì in seguito a due colpi d’arma da fuoco sparati con un fucile che teneva in mezzo alla gambe.
Il giorno del golpe, Salvador Allende fu ritrovato morto nel suo ufficio alla Moneda. Ci sono state numerose indagini e discussioni per stabilire se fosse stato assassinato o se si fosse suicidato prima di essere catturato. Nel 2011, dopo la riesumazione del corpo chiesta dalla famiglia, la commissione incaricata di chiarire le circostanze della morte dell’ex presidente ha affermato, come sostenuto nella versione ufficiale, che sia stato un suicidio. La versione ufficiale, sostenuta anche dal medico personale di Allende presente al suo fianco durante il golpe, è che il presidente si sia tolto la vita con un fucile AK-47 che gli era stato regalato da Fidel Castro. L’inchiesta ha concluso che Allende morì in seguito a due colpi d’arma da fuoco sparati con un fucile che teneva in mezzo alla gambe.
Prima del golpe
Il 3 novembre del 1970 il leader del Partito Socialista Salvador Allende era stato eletto presidente del Cile, guidando un’ampia coalizione di sinistra. Oltre all’appoggio degli operai e degli studenti, aveva l’aiuto della borghesia progressista e di molti intellettuali di sinistra (Pablo Neruda e Victor Jara, per citare solo i più conosciuti). Allende iniziò subito a muoversi per realizzare una riforma in senso socialista della società cilena. Fu avviato un programma di nazionalizzazione delle miniere e delle principali industrie private, fu creata una sorta di tassa sulle plusvalenze, fu decisa una riforma agraria e annunciata una sospensione del pagamento del debito estero. Furono molte le riforme anche dal punto di vista sociale: l’introduzione del divorzio, l’annullamento delle sovvenzioni statali alle scuole private, l’estensione del congedo di maternità.
Il 3 novembre del 1970 il leader del Partito Socialista Salvador Allende era stato eletto presidente del Cile, guidando un’ampia coalizione di sinistra. Oltre all’appoggio degli operai e degli studenti, aveva l’aiuto della borghesia progressista e di molti intellettuali di sinistra (Pablo Neruda e Victor Jara, per citare solo i più conosciuti). Allende iniziò subito a muoversi per realizzare una riforma in senso socialista della società cilena. Fu avviato un programma di nazionalizzazione delle miniere e delle principali industrie private, fu creata una sorta di tassa sulle plusvalenze, fu decisa una riforma agraria e annunciata una sospensione del pagamento del debito estero. Furono molte le riforme anche dal punto di vista sociale: l’introduzione del divorzio, l’annullamento delle sovvenzioni statali alle scuole private, l’estensione del congedo di maternità.
La politica di Allende, sempre più orientata a sinistra, e i suoi
stretti rapporti con Cuba – Fidel Castro trascorse un mese a Santiago
nel 1971 – furono accolte con preoccupazione della gran parte della
borghesia cilena, dei proprietari terrieri, degli imprenditori, della
Chiesa Cattolica e degli Stati Uniti, spaventati dalla possibilità che
il comunismo contagiasse il Sudamerica. Subito dopo la vittoria di
Allende, Henry Kissinger, consigliere per la sicurezza nazionale e
segretario di stato durante la presidenza di Richard Nixon, disse: «Non
vedo perché dovremmo restare con le mani in mano a guardare mentre un
Paese diventa comunista a causa dell’irresponsabilità del suo popolo. La
questione è troppo importante perché gli elettori cileni possano essere
lasciati a decidere da soli». L’amministrazione Nixon cominciò dunque a
esercitare una pressione economica sempre maggiore attraverso diversi
canali: l’embargo, il finanziamento degli oppositori politici nel
Congresso Cileno e, nel 1972, l’inconsueto appoggio economico al
sindacato dei camionisti, che portò a continui scioperi e
manifestazioni. Non ci sono prove che gli Stati Uniti abbiano appoggiato
direttamente il colpo di Stato di Pinochet nel 1973: da un rapporto che
si è concluso nel 2000 è risultato che la CIA «non assistette Pinochet
nell’assumere la presidenza». Dallo stesso documento risulta però che
gli Stati Uniti fornirono un supporto materiale al regime dopo il golpe e che molti uomini di Pinochet divennero informatori degli Stati Uniti.
L’anno del colpo di stato l’economia cilena era in forte crisi e la
situazione sociale e politica molto tesa. Il 29 giugno, un reggimento
dell’esercito cileno circondò con i carri armati La Moneda e cercò di
rovesciare il governo: il tentativo fallì per l’intervento di una parte
“lealista” dei vertici militari, ma fu poi considerato una “prova generale” del
colpo di stato del successivo settembre. Il 22 agosto di quello stesso
anno, i membri cristiano-democratici e del Partito Nazionale (il centro e
la sinistra della Camera dei deputati diventati sempre più compatti
nella loro opposizione a Allende) scrissero un documento in cui
accusavano il governo di atti incostituzionali e si appellavano
all’esercito per rimuovere il presidente. Il documento non ottenne il
voto favorevole dei due terzi del parlamento, ma dimostra come anche la
situazione politica del governo Allende fosse in grande difficoltà.
Gli anni di Pinochet
La giunta che prese il potere dopo il colpo di stato dell’11 settembre 1973 era formata da quattro persone che si accordarono per una presidenza a rotazione (cosa che poi non avvenne) e nominarono Pinochet capo permanente. Il 13 settembre, la giunta militare sciolse l’Assemblea Nazionale, distrusse i registri elettorali, mise fuori legge tutti i partiti che avevano fatto parte di Unidad Popular, la coalizione di Allende, decise da subito una serie di restrizioni della libertà individuale dei cittadini e emanò delle leggi speciali per la magistratura.
La giunta che prese il potere dopo il colpo di stato dell’11 settembre 1973 era formata da quattro persone che si accordarono per una presidenza a rotazione (cosa che poi non avvenne) e nominarono Pinochet capo permanente. Il 13 settembre, la giunta militare sciolse l’Assemblea Nazionale, distrusse i registri elettorali, mise fuori legge tutti i partiti che avevano fatto parte di Unidad Popular, la coalizione di Allende, decise da subito una serie di restrizioni della libertà individuale dei cittadini e emanò delle leggi speciali per la magistratura.
Oltre alle modifiche legislative, il regime di Pinochet si
caratterizzò per l’uso della violenza fisica come strumento della
propria azione di governo. Subito dopo il golpe, lo Stadio Nazionale di
Santiago venne trasformato in un enorme campo di concentramento dove,
nel corso di quei primi mesi, vennero torturate e interrogate migliaia
di persone. Moltissime donne vennero stuprate dai militari addetti al
“campo”. Migliaia di persone scomparvero nel nulla. Il governo cileno ha
finora riconosciuto più di 40 mila torturati, uccisi o perseguitati dal regime.
Pinochet attuò una politica economica fortemente liberista ispirata
al pensiero di Milton Friedman e alla scuola di Chicago: ridimensionò il
ruolo dello stato, privatizzò molte aziende, riformò il mercato del
lavoro, avviò un programma di totale apertura verso l’estero. In questo
venne appoggiato dall’oligarchia finanziaria, dalle classi medie e dalle
multinazionali a cui aveva affidato il controllo delle imprese che
Allende aveva nazionalizzato: l’economia cilena ne trasse benefici
alterni, ma fu schiantata dalla grande crisi mondiale del 1982, in
seguito alla quale Pinochet annullò gran parte degli interventi iniziali
e dell’approccio della scuola di Chicago. Alcuni commentatori dissero
che sarebbero state le iniziative successive, che smentirono gran parte
delle politiche liberiste, a salvare e aiutare a crescere l’economia
cilena dopo le difficoltà gravissime del governo Allende, separando il
giudizio sulla violenza sanguinosa del regime.
Fino al 27 giugno 1974 Pinochet rimase a capo della Giunta militare,
poi, il 17 dicembre di quell’anno, assunse il titolo di “Capo Supremo
della Nazione” e di Presidente del Cile. La Moneda venne ricostruita,
venne varata una nuova Costituzione e Pinochet cominciò ad apparire in
pubblico in abiti civili. Durante gli anni Ottanta le conseguenze della
crisi economica, il crescere delle proteste contro il governo e uno
sciopero generale, aumentarono le difficoltà del regime.
La fine della dittatura
Nell’ottobre del 1988 venne deciso un plebiscito per votare un nuovo mandato presidenziale di 8 anni per Pinochet, che era convinto di vincere e dunque di veder riconfermata la propria carica. Vinsero invece i sostenitori del “no” con il 55,99 per cento dei voti. In accordo con le norme della costituzione furono dunque convocate delle elezioni libere che si svolsero l’anno dopo. Pinochet rimase in Cile a capo delle forze armate fino al 1998 e poi come senatore a vita, godendo così dell’immunità parlamentare. Il Cile, intanto, accelerò il percorso verso il ritorno alla democrazia che raggiunse pienamente negli anni successivi.
Nell’ottobre del 1988 venne deciso un plebiscito per votare un nuovo mandato presidenziale di 8 anni per Pinochet, che era convinto di vincere e dunque di veder riconfermata la propria carica. Vinsero invece i sostenitori del “no” con il 55,99 per cento dei voti. In accordo con le norme della costituzione furono dunque convocate delle elezioni libere che si svolsero l’anno dopo. Pinochet rimase in Cile a capo delle forze armate fino al 1998 e poi come senatore a vita, godendo così dell’immunità parlamentare. Il Cile, intanto, accelerò il percorso verso il ritorno alla democrazia che raggiunse pienamente negli anni successivi.
Nel 1998, il giudice spagnolo Baltasar Garzón emise contro
Pinochet un mandato di cattura internazionale per la sparizione di
cittadini spagnoli durante la dittatura. Pinochet venne accusato di
genocidio, terrorismo e tortura. Fu arrestato a Londra dove si trovava
per farsi curare, ma non venne mai condannato. Il 2 marzo del 2000 il
ministro dell’Interno inglese Jack Straw decise di liberarlo e di farlo
tornare in patria dove riuscì ripetutamente a evitare qualsiasi processo
a suo carico e dove morì per un attacco di cuore il 10 dicembre del
2006, a 91 anni.
Fonte: http://www.ilpost.it