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sabato 27 agosto 2011

La NATO e Nicolas Sarkozy al banco degli accusati per l'inutile, sanguinaria e dannosa guerra in Libia: la guerra della vergogna è costata € 21 milioni di euro spesi al giorno dalla Nato dal 19 Marzo 2011 ad oggi e € 1.500.000 di euro spesi dall'Italia al giorno per sostenere la guerra in Libia! Tutto per l'ORO NERO, la corsa al Petrolio e alle risorse naturali dell'Africa! I CRIMINI DI GUERRA DELLA NATO GUIDATA DAI FRANCESI!


 GUARDA IL VIDEO: "I VERI MOTIVI DELLA GUERRA IN LIBIA!"
LIBIA - Tripoli pronta ad avviare un procedimento legale contro il presidente francese Nicolas Sarkozy per crimini contro l'umanita', nel quadro della ''campagna militare'' a guida Nato in Libia. Un funzionario del ministero della Giustizia libico, Ibrahim Boukhzam, ha fatto sapere che due avvocati francesi, Jacques Verges e Roland Dumas, si sono offerti di rappresentare le famiglie vittime dei bombardamenti condotti dall'Alleanza sul territorio libico.

''I due avvocati stanno per presentare una denuncia ai giudici francesi nei confronti del presidente Nicolas Sarkozy, in nome delle famiglie libiche'', ha detto Boukhzam nel corso di una conferenza stampa a Tripoli!"

Nei giorni scorsi il procuratore capo del Tribunale penale Internazionale, Luis Moreno Ocampo, aveva chiesto di emettere un mandato di cattura internazionale per crimini contro l'umanita' nei confronti del colonnello Muammar Gheddafi, del figlio Saif al Islam e del capo dei servizi libici Abdullah al Senoussi.

L’intervento militare si basa su una serie di menzogne e omissioni. I media internazionali sono stati i primi ad alimentare la disinformazione. Ma quante sono le vittime civili causate dai bombardamenti Nato? E la popolazione libica quanto patisce le conseguenze del conflitto?

La Nato dichiara “significativi progressi” nella guerra in Libia, soprattutto nel nord ovest del Paese. Intanto, però, il Consiglio Nazionale di transizione, con sede a Bengasi, non riesce ad avere un’azione amministrativa “efficace” nelle regioni conquistate. Centinaia le vittime civili prodotte dai bombardamenti dell’Alleanza Atlantica, mentre le città sono sotto assedio e la popolazione vive condizioni di estremo disagio.
Hai scritto che la Guerra in Libia è “la madre di tutte le bugie”. Perché? Quali sono le reali ragioni che stanno dietro all’intervento militare?
“Questa che è la quinta guerra combattuta dall’Italia in venti anni, contro un Paese che non ci ha aggrediti, raggiunge il top quanto a propaganda e disinformazione, impiegate in abbondanza per giustificare, per spacciare come umanitario un intervento che ha ragioni geostrategiche e che peraltro per l’Italia è sicuramente un danno. Già nelle guerre precedenti contro l’Iraq, l’ Afghanistan e il Kosovo, le bugie, le menzogne di guerra, la propaganda hanno fatto una parte da leone, però questa volta di più. In realtà sono stati i media a cominciare e tra questi, anche media in precedenza più indipendenti come Al jazeera che però evidentemente hanno conosciuto un percorso a ritroso quanto a libertà di informazione.
Questi media internazionali, sin dall’inizio degli eventi in Libia e quindi delle manifestazioni che sono subito diventate armate, hanno cominciato a disinformare, come poi è stato verificato, e purtroppo come si sa le smentite non hanno mai spazio. Tutto parte in realtà da un ballon d’essai secondo me, la madre di tutte le bugie come l’ho chiamata, un twitter della tv saudita e quindi della monarchia saudita, Al Arabiya che sparava questa cifra già il 23 febbraio: 10 mila morti sotto i colpi dei miliziani di Gheddafi. Tra parentesi c’è anche un fatto terminologico perché in questa guerra l’esercito libico è sempre chiamato “insieme di miliziani, miliziani di Gheddafi, mercenari, cecchini” mentre gli altri sono i combattenti per la libertà. Appunto questo twitter lanciava 10 mila morti e 50 mila feriti. La fonte del messaggio era un tale Sayed Al Shanuka che parlava da Parigi e diceva di essere rappresentante della Corte Penale internazionale e quindi senza prove video o fotografie il rappresentante sedicente della Corte lancia questa cifra. Il twitter di Al Arabiya fa il giro del mondo e da lì parte tutto tant’è che si arriva al Consiglio di Sicurezza dell’Onu senza mandare nel Paese una missione di verifica delle Nazioni Unite come chiedeva lo stesso governo libico. Il giorno dopo la Corte penale dice che Sayed Al Shanuka non è affatto un proprio rappresentante, dunque se la fonte era sbagliata, sarebbe stato logico verificare la cifra. Tuttavia tutto è andato avanti, si è cominciato a parlare di fosse comuni salvo poi anche lì verificare che il famoso cimitero in riva al mare non era un fossa comune ma un normale cimitero e il video si riferiva a mesi prima. Si è parlato di bombardamenti sui quartieri di Tripoli, io sono stata a Tripoli e anche i migranti che sono rimasti lì, che non hanno quindi nessun particolare ruolo governativo né di altro genere, mi hanno detto che non c’è mai stato nessun bombardamento dell’esercito libico su Tripoli, i bombardamenti sono quelli della nato e stanno facendo danni incalcolabili. Quindi tutto è iniziato in questo modo e poi è andato avanti. Dopodichè dopo alcuni mesi la stessa Corte penale internazionale, pur avendo incriminato Gheddafi, parla di 200 morti negli scontri iniziali compresi i pro governativi, quindi non 10 mila morti e 50 mila feriti, una cosa nazista praticamente, ma 200 da entrambe le parti.”
Per giustificare la guerra, si era parlato di migliaia di vittime del regime di Gheddafi. Ma quante sono le vittime civili causate dai bombardamenti NATO? Quanto la popolazione libica patisce questa situazione?
“Si infatti, la Nato sta inanellando una serie di crimini di guerra come abbiamo già visto nelle guerre precedenti. Si è resa responsabile di stragi di civili: pochi giorni fa nel villaggio di Majar, vicino Zliten, sono stati mostrati i cadaveri di persone che non erano certo morte di polmonite e non erano soldati, ma donne e bambini e anche anziani, 85 morti. La Nato ha detto che queste case di campagna che erano state colpite nascondevano l’esercito libico, anzi come dice la nato “i miliziani di Gheddafi”, ma queste persone non erano militari, le case distrutte erano piene di oggetti della vita quotidiana e comunque come dice un avvocato italiano, Claudio Giangiacomo dell’Associazione Ialana, anche colpire l’esercito libico se non sta aggredendo delle città, come in questo caso, sarebbe illegale. Ma soffermiamoci sui civili che la Nato dovrebbe proteggere, sono surreali le conferenze stampa della Nato, suggerisco di guardarne qualcuna, questi civili sono ammazzati, feriti… Mentre ero a Tripoli, ho incontrato anche una donna superstite di una famiglia nel quartiere Al Arada, colpito dai bombardamenti. E poi ci sono i danni collaterali. Centinaia di miglialia di migranti che sono dovuti tornare nei loro paesi. Ho parlato con un ragazzo del Niger, che è rimasto in Libia, ma mi ha riferito che è devastante quello che sta succedendo in Niger, un paese poverissimo che adesso si deve far carico di decine di migliaia di famiglie tornate lì. Ci sono famiglie spostate dalle zone di conflitto, ho parlato anche con degli sfollati libici, che da Misurata la famosa città sotto assedio, si sono rifugiati a Tripoli. Mi hanno raccontato che sono i ribelli ad andare in giro per le case ad ammazzare le persone e tutto quanto. Tripoli è sotto assedio, quindi una città con milioni di abitanti adesso si trova ad avere tagliati gli approvvigionamenti di gas, di benzina tra un po’ anche di scorte alimentari. Questo perché con il blocco navale, con le condutture che sono state tagliate dai ribelli, l’unica via di approvvigionamento per gli alimentari erano i camion dalla Tunisia ma adesso anche in quella zona ci sono scontri. Poi per quanto riguarda i carburanti, che servono anche per far funzionare i frigoriferi e e le cucine, c’era un’unica raffineria ormai che non era tagliata fuori a Zawia ma anche lì i ribelli sono avanzati, quindi probabilmente anche questa via di approvvigionamento per Tripoli sarà interrotta. Con le navi non arriva qusi nulla perché, anche se il materiale civile potrebbe passare, il comitato per le sanzioni dell’Onu ritarda, come succedeva anche per l’Iraq, i permessi e quindi di fatto Tripoli è una città che vogliono prendere per fame.”
I migranti stanno subendo forse più di altri le conseguenze del conflitto…
Molti sono andati via perché le aziende hanno chiuso. Questo ragazzo del Niger, ad esempio, lavorava per i cinesi e loro sono partiti tutti. Adesso lui si arrangia un po’ con dei lavoretti. È molto interessante quello che dicono. Oltre a confermare che non ci sono stati i famosi attacchi indiscriminati ai civili che sarebbero stati la causa dell’intervento della Nato, dipingono il quadro di una Libia sotto assedio in cui si attenta ai beni necessari alla vita quotidiana.
Due donne parlavano di fronte alla chiesa che è il punto dove si ritrovano i migranti, perché non ci sono libici cattolici ma ci sono molti migranti dalle Filippine, dall’Africa. Due donne del Ghana e del Togo parlavano tra di loro e dicevano “Adesso la Libia è diventata come l’Africa. Anche qua non c’è nemmeno l’elettricità. Dove andiamo?” e poi ho parlato con un pakistano che vendeva delle croci davanti alla chiesa. È lì da ventun’anni e mi ha detto “ma se arrivano i ribelli”- che tra l’altro si sono dimostrati parecchio razzisti – “io dove vado? Se torno in Pakistan la nostra vita è in pericolo”. In effetti in Pakistan i cristiani sono messi molto male. Quindi, e questo va detto, il Governo libico ha sempre protetto le altre religioni. I migranti africani comunque avevano lì una situazione di lavoro e anche abitativa e di permessi buona. Chi è in Libia non in transito ma per lavoro non si deve nascondere come i clandestini in Italia. Può rimanere, non viene espulso. Quindi il fatto di avere costretto i bengalesi, le persone Bangladesh a ritornare a migliaia nel loro Paese, è un danno collaterale enorme: il Bangladesh è un paese poverissimo. Poi ho incontrato anche le famiglie degli sfollati da Misurata, da Brega, da Tobruk. Quindi dall’Est, da Bengasi. Persone che avevano una casa ed una vita normale che adesso vivono nei container lasciati liberi dai cinesi alle porte di Tripoli. Persone che vivono accampate lì che non sanno quando torneranno perché nell’Est la situazione non è affatto tranquilla per chi non è dalla parte dei ribelli. Quindi ecco c’è una situazione umana devastante. Così come per le altre guerre è sempre angosciante chiedersi che fare. Chi è contro la guerra e ne conosce gli effetti si chiede come può impegnarsi. Come rete “No war”, un piccolo gruppo pacifista italiano, abbiamo iniziato una campagna alla quale tutti possono aderire mandando una mail non al nostro Governo, alla Francia, agli Stati Uniti ma ai membri non belligeranti del consiglio di Sicurezza. Il Consiglio di sicurezza ha quindici membri, tra permanenti e non permanenti, dodici non partecipano a questa guerra. Ci sono Russia, Cina che hanno diritto di veto, India, Brasile, Sud Africa, dei Paesi molto importanti. Possiamo noi fare appello a loro affinché isolino i Paesi belligeranti, nel caso del Consiglio di sicurezza sono Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti, perché Cina e Russia pongano il veto a Settembre, affinché decada il mandato della Nato, braccio armato dell’Onu come non dovrebbe essere. Se volete sapere di più su questo appello basta andare su questo sito www.interculture.it/libia. E lì trovate l’appello e anche le mail a cui mandarlo”.


Una volta di più, e forse mai come questa volta, un giornalismo totalmente embedded rispetto alle leadership europee e alla Nato ci ha ammannito la rappresentazione mediatica della guerra in Libia, mostrandoci folle festanti che agitano bandiere, giovani guerrieri col mitra che sorridono alle telecamere, e lontani fumi che si alzano da macerie non ben identificabili.
Ma dove sono i morti? Quanti civili sono stati uccisi? Quante donne e bambini? Come mai non ne vediamo traccia?
Certo, la guerra in sé non è mica bella da vedere. Meglio costruire una narrazione senza veri testimoni, meglio far parlare un solo punto di vista, una sola parte.
Altrimenti come si potrebbe rappresentare la guerra come una festa, la violenza come promessa di giustizia e democrazia, le bombe come salvatrici dei popoli oppressi?
Con quanta tronfia ipocrisia l’Occidente si erge a difensore delle “primavere arabe”, nelle terre che non più di un secolo fa ha saccheggiato e sfruttato, e con quale rapida intesa i leader europei hanno forzato i termini della risoluzione Onu per lanciarsi nell’ennesima, maledetta guerra del petrolio a suon di bombe.
Davvero non esisteva altra strada per liberarsi di un dittatore? Davvero la gente libica non poteva iniziare una resistenza pacifica, forse lunga e pericolosa, ma certo meno sanguinosa di una guerra gestita dalla Nato?
Davvero non si poteva aspettare per capire cosa realmente la gente volesse, prima di seminare bombe sulla testa dei civili e probabilmente creare una frattura insanabile fra le diverse anime tribali di cui è composto il paese? Ora si parla di una taglia sulla testa di Gheddafi, wanted per prossima esecuzione. Tutto il mondo trasformato nel Far West senza regole che gli Usa ci hanno abituato da tempo a conoscere.
Questa overdose di informazione televisiva “in tempo reale” ad alcune persone forse regala l’illusione di condividere il farsi della storia mentre, al contrario, ci si stanno vieppiù ottenebrando le comuni capacità critiche. Nulla più è verificabile, tutto è falsificabile con una potenza mai raggiunta prima.
Una potenza così schiacciante da riuscire ad annientare anche le tradizionali voci di dissenso che, per quanto poche, comunque esistevano e resistevano.
La violazione della risoluzione Onu, che non consentiva i bombardamenti, e dell’articolo 11 della nostra Costituzione, è passata nel totale silenzio, come se non rappresentasse un segnale devastante rispetto ai rapporti interni e internazionali.
Le regole non servono, quando occorre si violano: questa è la filosofia delle cosiddette “democrazie” occidentali. In altre parole, la legge della giungla. E con questo tipo di democrazia si va a “salvare” un popolo dalla dittatura.
Solo uno sparuto gruppo di superstiti nel pacifismo, nel femminismo, nel giornalismo critico ha avuto la forza di continuare a protestare. Il timore di farsi prendere per “amici di Gheddafi” è grande, come se qualcuno potesse ignorare che sono sempre state queste voci a condannare i crimini di ogni dittatura e specificamente anche quelli di Gheddafi, in particolare per gli orrori contro i migranti nei campi di raccolta.
In compenso si sente parlare la destra che prende i panni di un pacifismo d’accatto, sottolineando i danni economici che la caduta del rais ci potrà comportare!
Purtroppo il potere e la potenza nel mondo sono nelle mani di leadership costituite in massima parte da uomini (e da qualche donna) mai evolutisi rispetto a una fase di infantile onnipotenza: prendo ciò che voglio e lo prendo con la forza. Sono più forte e quindi il diritto è mio.
Faccio la guerra perché non so o non voglio nemmeno immaginare un’altra via per risolvere i conflitti, e la chiamo pace. Faccio la guerra anche se è il più tragico spreco di vite e di risorse che si possa immaginare.
Faccio la guerra come se fosse un gioco. Gioco ovviamente maschile, oltre che infantile.
Ecco perché le donne consapevoli dovrebbero riprendere con grande impegno quel discorso contro le guerre che negli anni Novanta ha prodotto esperienze di grandissimo interesse e che si è poi affievolito fino a sbiadire del tutto.
Ma le guerre continuano e anzi ritornano.
Il triangolo di resistenza e di fuga di Gheddafi. Dopo i titoli avventati sulla Tripoli Liberata, la complessità torna nelle sabbia mobili delle trattative incrociate tra kabile fedeli e ribelli. Tra Kabile incerte e kabile in vendita. Tra potenze liberatrici e potenze da liberare da lucrosi contratti petroliferi. Tra diplomatici spia e spie travestite da diplomatico. Ancora settimane di guerra, prevedono gli esperti sul campo, e le possibili vie di fuga nel deserto del Rais. Le semplificazioni propagandistiche, nella guerra combattuta, procurano solo guai. Sul campo il caos di Tripoli appare piuttosto come una fase rumorosa di pausa per trattative inconfessabili.

Tripoli liberata dal giornalismo di emozione. Titoli che si inseguono e si smentiscono. Tripoli liberata. No, a Tripoli si combatte. Conquistato il palazzo di Gheddafi. Ma Gheddafi non c'era. Bufala bis della statua di Saddam abbattuta a Baghdad, immagini televisive in campo stretto, per non far vedere che il popolo plaudente era fatto solo da giornalisti e troupe televisive. Oppure il pittoresco sacrificio volontario della barba di qualche poveraccio nella Kabul liberata, pagato da una troupe televisiva per farsi telebano pentito nell'Afghanistan liberato dagli studenti del corano, dai burka e dalle barbe integrali e integraliste.

I tre capisaldi di Gheddafi. Peccato che in Libia le cose siano molto più serie, e più pericolose. Restano fedeli al Rais i reparti beduini, i più mobili e meglio armati, e le postazioni avanzate nel deserto, basi militari della lontana guerra contro il Ciad. Disegniamolo questo triangolo della morte, questa punta di lancia che dalla costa porterà il beduino Gheddafi verso il deserto profondo e la via di fuga. Tripoli (dove ancora si combatte duramente) e Sirte (la città natale), tracciano la base. Poi una puntata a sud, verso il cuore della regione del Fezzan, città oasi di Sabha, la "fedelissima". Oltre soltanto il deserto, le tribù tuareg e l'immensità dell'Africa.

Sebha o Sabha e la storia militare. Era la capitale della storica regione del Fezzan. Data la sua posizione al centro del deserto libico, Sebha è stata fino al secolo scorso un importante centro di sosta e smistamento delle carovane che attraversavano il Sahara. Ora è la rotta della disperazione per decine di migliaia di migranti sub-sahariani. L'Oasi di Sebha è stato un sito per testare i razzi Otrag. Nel 1981 dalla base libica di Sebha fu lanciato un razzo Otrag con un'altezza massima raggiungibile di 50 km. Esistono ancora quei razzi? E con quali proiettili? Ufficialmente la società Otrag ha chiuso per pressioni politiche da parte degli Usa.

O la fuga o l'olocausto. C'è un segreto tra i segreti. L'incubo delle armi chimiche che fanno ancora parte dell'arsenale non colpito a disposizione del despota che non molla. Forse è anche per questo che ancora oggi si tratta. I kalasnikov sparano per coreografia televisiva ad anticipare un vittoria che potrebbe costare prezzi ancora elevatissimi, e nel segreto, le trattative sotterranee tra governati ed insorti. Tra insorti e insorti. Tra spie e spie. Geopolitica delle "kabile" che governano territori, popoli ed eserciti del caos Libia. Warfalla contro i Qadadhifa (tribù da cui prende il nome lo stesso Rais) e via spartendo. Nuclei che il dopo Gheddafi lo contrattano in potere e petrolio.

Le quattro componenti. Il fronte anti-gheddafiano è diviso al suo interno. Quattro le componenti principali. Prima è l'attuale dirigenza del Comitato nazionale di Transizione di Jalil e Jibril, che tenta di portare avanti una politica unitaria. La seconda è quella filo-francese, minoritaria all'interno degli insorti, ma che vede al suo interno le kabile che controllano le principali fonti energetiche del paese. Quella che potrebbe favorire Parigi nei nuovi contratti. Terza, quella che esprimeva l'assassinato generale Janous, composta dalla "lobby" militare che ha abbandonato il rais. Quarta, all'italiana, quella dei "pontieri" non ostili a Gheddafi pronti a mediare. 

Cnt: ci vorranno 10 anni per ricostruire il Paese - Il Consiglio Nazionale Transitorio prosegue comunque per la sua strada, e ha annunciato che da Giovedì 25 agosto la sua nuova sede non è più la 'periferica' Bengasi, ma Tripoli stessa, dove il governo-ombra ha tenuto la prima seduta. Dal Cnt è arrivato anche un primo bilancio di questi sei mesi di guerra: 20 mila morti.
Intanto da Istanbul, dove aveva partecipato a una riunione tecnica del Gruppo Internazionale di Contatto, il premier Mahmoud Jibril è tornato a insistere sulla necessità di ricevere aiuti finanziari, così da garantire la stabilità del Paese mentre il nuovo corso prende piede. Jibril ha sottolineato anche l'intenzione di rifondare Forse Armate e Polizia: ma anche per questo, ha avvertito, "ci occorrono capitali". A proposito della ricostruzione, il ministro degli Esteri, Franco Frattini, ha respinto le indiscrezioni di stampa secondo cui si sarebbe aperta una "competizione" tra Italia e Francia per lo sfruttamento delle ricchezze libiche. "Siamo stati e saremo il primo partner economico della Libia", ha detto il capo della Farnesina. "L'Italia continuerà ad avere il ruolo che ha sempre avuto", ha assicurato. Frattini ha inoltre ribadito che l'amministratore delegato del'Eni, Paolo Scaroni, viaggerà a Bengasi Lunedì 29 agosto e "sottoscriverà accordi importanti che faranno ripartire gli impianti di estrazione di gas e petrolio fortunatamente non danneggiati. Onorerà l'impegno di fornitura al Consiglio nazionale transitorio (Cnt) di gas e benzina, importati dall'Italia e anticipati a valere sulla futura estrazione in Libia!"

CEntotrentesimo giorno di guerra in Libia. A che punto è arrivato il costo del conflitto? Una prima stima, relativa alle sole spese della Coalizione, era stata fatta dopo la prima settimana di conflitto: 600 milioni di euro. 28 spesi dagli inglesi; 21 dai francesi; 12 dagli italiani, di cui 10 per l’aviazione e 2 per la marina; il resto in gran parte dagli Usa. Il che sostanzialmente coincide con i dati del Pentagono di fine marzo: 500 milioni di dollari, di cui il 60% in missili e bombe. Un’altra stima, questa complessiva, era stata fatta dal 19 marzo, inizio delle operazioni, al 2 maggio: 140 milioni di euro al giorno e 6 miliardi in totale. Di cui in dettaglio: 2 miliardi spesi dagli Alleati, pari a oltre 46 milioni al giorno; 3 da Gheddafi, pari a una settantina di milioni al giorno; e un miliardo dai ribelli, che infatti il 5 maggio avevano chiesto alla Coalizione un paio di miliardi per poter continuare la lotta. Se si fosse continuati a quel ritmo, si sarebbe arrivati a 18,2 miliardi. Che sarebbe ormai molto vicino a esaurire i 21,5 miliardi che Gheddafi aveva custoditi in banche Usa, e che gli sono stati sequestrati apposta per finanziare i ribelli e l’appoggio loro fornito. In dettaglio sarebbero più o meno 9 miliardi spesi da Gheddafi, 6 miliardi dagli Alleati e 3 dai ribelli. La somma totale farebbe 9 miliardi per sostenere Gheddafi e 9 miliardi per abbatterlo: perfetto stallo economico, che infatti traduce il perfetto stallo strategico sul terreno, con i contendenti che continuano a fare avanti e indietro dalle stesse posizioni attorno a Misurata, tra Tripoli e le montagne berbere e attorno a Brega.  
Certo, sono proiezioni astratte. Da una parte, bisogna tener conto del fatto che gli Usa dopo il grosso impegno iniziale hanno drasticamente limitato il loro impegno: da 130 milioni di dollari al giorno a 40 milioni di dollari al mese. Dall’altro, però, le spese degli altri partner tendono invece ad aumentare. Il 16 luglio, ad esempio, quando la Raf ha spedito a Gioia del Colle quattro nuovi Tornado, la stampa britannica ha calcolato che il loro impiego venisse 35.000 sterline all’ora: quasi 40.000 euro. In tutto, solo i 22 jet della Raf in missione sarebbero venuti a costare fino a quel momento 260 milioni di sterline, circa 290 milioni di euro, contro i 100 milioni preventivati dal governo di Londra. Il che vorrebbe dire che alla Raf la guerra sta costando 2,4 milioni di euro al giorno, e che al 130esimo giorno la spesa avrebbe oltrepassato i 317 milioni di euro. In effetti la previsione che il Segretario alla Difesa Liam Fox ha fatto in Parlamento sulla spesa per i primi sei mesi di guerra è un po’ più contenuta, ma non di molto: 120 milioni di sterline (quasi 135 milioni di euro) per il carburante e le spese operative di aerei, navi da guerra e sottomarini; 140 milioni di sterline (poco più di 157milioni di euro) da spendere per rimpiazzare i missili e le bombe sganciati sulla Libia. Totale sempre di 260 milioni di sterline; ma non per la sola Raf bensì per tutto, e spalmati non su 119 giorni, ma su 180.
Per la Francia i calcoli li ha fatti Le Figaro: 100 milioni di euro ogni 2 mesi. Che sarebbero 1,6 milioni di euro di spesa al giorno, e 216 milioni dall’inizio del conflitto. In questo caso va detto che, prudentemente, il primo ministro François Fillon non ha azzardato preventivi, ma si è limitato a ricordare che “difendere la popolazione libica non ha prezzo”. Altri costi parziali: un’ora di volo del drone americano Predator, il più economico tra i velivoli utilizzati, viene 6000 euro. Un Eurofughter Typhoon costa 32.000 euro per un’ora di volo, più 15.000 euro di manutenzione. Ogni bomba guidata costa tra i 30 e i 40.000 euro. Ogni missile da crociera Storm Shadow e Tomahawak viene un milione di euro. Per l’Italia, la portaerei Garibaldi, il cacciatorpediniere Andrea Doria, il pattugliatore Borsini e la rifornitrice Etna costano ogni giorno 300.000 euro di gasolio. Il costo dei primi tre mesi di campagna era stato stimato per l’Italia in mezzo miliardo dal ministro La Russa, in 700 milioni dalla Lega e in un miliardo dal Fatto.
Quanto alla Libia, il governo di Tripoli sostiene che l’intero conflitto è costato al Paese 50 miliardi di dollari nei primi cinque mesi: una stima da 3,5 miliardi di euro al mese, che comprende evidentemente non solo il mantenimento delle Forze Armate, ma anche le distruzioni e il blocco di un’economia che l’anno scorso era cresciuta del 10,3%. Almeno il 40% di questa cifra dipende dallo stop all’export di petrolio, che si è tradotto evidentemente in un danno proporzionale per l’Eni.

di Maurizio Stefanini
27/07/2011

Da dieci anni si combatte nel mondo la “Guerra al Terrore” aperta dal Presidente Bush dopo l’attentato dell’11 settembre 2001. Ora e’ il momento di fare un po’ di conti. I morti sono stati più di 300mila. L’agenzia Bloomberg ha calcolato poi che ai soli contribuenti americani Iraq Afghanistan e spese per la sicurezza hanno presentato un costo di 2mila miliardi di dollari. Bloomberg l’ha chiamata la Bin Laden Tax. Sul pianeta c’e’ chi dice che ora che il capo di Al Qaeda e’ morto sia arrivato il momento di por fine alle ostilita’. Ma non sara’ facile: molto forti sono gli interessi in campo.
(LIBIA) - Bengasi - Oltre 20mila persone sono morte in Libia nei sei mesi di guerra civile seguiti alla repressione delle proteste popolari attuata da Muammar Gheddafi. Lo ha detto il leader del Consiglio nazionale di transizione libico Mustafa Abdel Jalil. "Non ho una stima precisa, ma la guerra ha fatto più di 20mila morti!" ha detto Jalil a Bengasi. Jalil ha poi escluso il pericolo legato alla presenza sul territorio libico di armi chimiche: "Come ex membro del regime so molto bene che quelle armi non ci sono più", ha sottolineato.

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ITALIA-CINA

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