Visualizzazioni totali delle visite sul blog "Mitrokhin" dalla sua nascita: 08 Novembre 2007

Classifica settimanale delle news piu' lette sul blog Mitrokhin...

Cerca nel blog

Vota il mio blog...

siti migliori

Translator (Translate blog entries in your language!)

Post in evidenza

"I MIEI BRANI" 🎸🎶💞 TUTTI I VIDEO UFFICIALI DI TORRI CRISTIANO CANTAUTORE DI CARRARA (MS) - TOSCANA

TORRI CRISTIANO CANTAUTORE CANALE YOUTUBE DI CRISTIANO TORRI CANALE UFFICIALE DI TORRI CRISTIANO SU SPOTIFY PROFILO FACEBOOK DI TORRI CRISTI...

Visualizzazione post con etichetta Rivoluzione. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Rivoluzione. Mostra tutti i post

venerdì 11 gennaio 2019

La Rivoluzione cubana compie 60 anni e non li dimostra!!! (1959 - 2019) Da Fidel Castro a Miguel Díaz-Canel

Ernesto Che Guevara, La Rivoluzione Cubana: 1959
LA RIVOLUZIONE CUBANA - GENNAIO 1959
 
Il primo gennaio del 1959 segna la vittoria, con la fuga a Santo Domingo del dittatore “fantoccio” degli Usa Fulgenzio Batista, di una rivoluzione che ha cambiato più di quanto si possa pensare la storia del mondo.
Una rivoluzione pensata, organizzata e portata a termine da un gruppo di rivoluzionari di grande spessore politico, culturale ed ideale, con il sostegno del popolo cubano, che prosegue il suo processo anche nel secolo che si è appena aperto.
Fidel e Raul Castro, Ernesto Guevara, Camilo Cienfuegos sono i punti di riferimento fondamentali di questa rivoluzione. Una rivoluzione che ha parlato anche italiano grazie alla presenza nella spedizione del Granma del nostro carissimo e fraterno compagno Gino Donè, che purtroppo ci ha da poco lasciato.
Ma se parlassimo della rivoluzione cubana sono da un punto di vista storico o per pura commemorazione commetteremmo un errore politico e di analisi.
Infatti, Cuba parla a noi uomini e donne contemporanei; ci parla della lotta contro quello sfruttamento capitalistico che oggi più di ieri è presente. Ci parla della lotta di classe che, purtroppo, in occidente la fanno solo i padroni e non più le classi lavoratrici.
Fidel Castro aveva predetto da tempo, con lucidità, che il sistema finanziario speculativo sarebbe imploso causando una crisi di proporzioni gigantesche.
Cuba ci dimostra, e questa è la sua colpa più grande agli occhi degli USA e dei suoi accoliti, che si può costruire il socialismo e che senza un giusto equilibrio fra uguaglianza e libertà non può pienamente sostanziarsi la democrazia.
Cuba con il suo esempio e la sua azione è riuscita a dare anche un fondamentale contributo alla nuova stagione rivoluzionaria e progressista dell’America Latina di questi anni.
Senza Cuba il Foro di San Paolo, che nacque nel 1990 quando nel mondo, specie in Europa, terminavano gran parte delle esperienze dei partiti comunisti ed operai dopo la caduta del Muro di Berlino, difficilmente si sarebbe consolidato. In quel Foro si riunivano, e si riuniscono tuttora, i partiti e movimenti della sinistra latinoamericana (dai cattolici della Teologia della Liberazione ai settori rivoluzionari) che con grande umiltà e capacità politica cominciavano a riprendere il cammino della rivincita e della speranza di costruire un mondo dove il socialismo potesse essere di nuovo una delle stelle polari per i popoli della terra.
In quell’anno la sola Cuba aveva un governo rivoluzionario mentre il resto del continente era sotto il tallone di ferro degli Stati Uniti attraverso governi militari, reazionari e dittature feroci. Oggi a distanza di 18 anni si parla di rinascimento latinoamericano.
La capacità unitaria di Cuba, unitamente al PT di Lula, al PCdoB, ai Venezuelani, ai Nicaraguensi ecc. ha permesso che oggi il latino-America sia il continente dove la realizzazione del socialismo, senza gli errori tragici del passato, è ben più che una speranza.
Lo si sta costruendo, al di là di differenze e contraddizioni, in una realtà plurale e articolata, ma sempre più concreta. Ogni paese applica le sue regole politiche, ma tutti sanno che il nemico da battere è l’imperialismo statunitense.
Sotto questo aspetto tutti sono uniti e tutti lottano, secondo le proprie necessità, i rapporti di forza politici, per rendere i loro paesi e il continente latinoamericano autonomo e indipendente dagli interessi Usa.
Perfettamente il contrario di ciò che avviene in Europa!
Parlare dell’esperienza rivoluzionaria cubana vuol dire parlare del suo percorso, ma anche dei suoi errori, delle sue rettifiche ma sempre avendo ben presente l’idea che tutto è stato fatto per migliorare le condizioni di vita del popolo cubano e per la solidarietà con i popoli del mondo.
Quella cubana è stata una Rivoluzione vera, realizzata dal popolo cubano e che vive attraverso il suo consenso, perché senza di questo sarebbe stato impossibile per la Rivoluzione resistere al disfacimento, senza nessun onore, dell’URSS e dei suoi stati satelliti.
L’Unione Sovietica, è utile ricordarlo, è svanita nel nulla dopo che un ubriacone come Eltsin guidò un golpe farsa e con i milioni di iscritti del PCUS che si erano da tempo volatilizzati e la Romania di Ceausescu scomparve in meno di una notte malgrado un apparato, quello sì, repressivo molto forte.
Con quel cataclisma e gli Usa a poche miglia, che si facevano sempre più arroganti, come poteva resistere una repubblica socialista di una piccola isola senza petrolio, senza risorse e che improvvisamente perdeva l’86% dei suoi
traffici commerciali che aveva con gli stati socialisti e con un blocco che dopo il 1991 fu violentemente inasprito con la legge Torricelli prima e poi la Helms Burton?
Cuba ha resistito perché i cubani sanno che se crolla la rivoluzione le multinazionali torneranno a fare ciò che vogliono del loro paese e delle loro vite; sanno che le conquiste della rivoluzione in settori fondamentali come
la sanità, l’istruzione, la scienza li pongono al di sopra degli abitanti dei paesi del terzo mondo di cui Cuba fa parte, ma che le loro condizioni di vita non sono minimamente paragonabili a questi paesi, anzi in alcuni settori, come la sanità, hanno standard da paesi europei.
I cubani conoscono perfettamente la triste condizione dei popoli latinoamericani che nel corso dei decenni hanno abbracciato le teorie
del FMI e della Banca Mondiale, e che oggi vivono nella miseria, nella disperazione senza un futuro degno di questo nome per i propri figli.
I cubani sanno questo e sanno che ogni popolo ha il diritto inalienabile di scegliere la propria strada alla democrazia e al soddisfacimento dei propri bisogni. Essi non dimenticano la loro storia ma anzi facendone tesoro, hanno deciso, ad esempio, che il loro sistema elettorale e la loro idea di democrazia non deve essere quella borghese applicata in Europa e negli Usa.
Ma non per questo la partecipazione democratica e popolare ai processi decisionali è inferiore alla nostra, anzi è ben superiore alla nostra tanto per essere chiari e per capirlo basterebbe guardare a Cuba senza pregiudizi o lenti ideologiche avverse a quel sistema politico.
I cubani caparbiamente difendono questo principio sancito dalle Nazioni Unite e la loro indipendenza dagli Usa, dei quali conoscono bene metodi e sistemi colonialistici e imperialistici di sfruttamento.
A Cuba, piaccia o no agli Usa e ai nostri politicanti, i diritti umani sono garantiti, non esistono desaparecidos e tutti debbono osservare le leggi della Repubblica. I bambini cubani non sniffano colla e non sono costretti a vivere per strada prostituendosi e diventando delinquenti. E non sono assassinati dagli squadroni della morte. Essi possono godersi la propria infanzia, quel diritto umano inalienabile e fra i più violati nel mondo, mentre a Cuba è garantito e protetto.
Ovviamente come in tutti i paesi del mondo ci sono cose che non vanno anche a Cuba. Il governo di Raul Castro ci sta lavorando e molto altro dovrà essere fatto. Ma la odiosa e falsa propaganda che i media italiani diffondono, alcuni probabilmente perché hanno ricevuto una parte di quei 36 milioni di dollari che il governo Usa ha stanziato per diffondere le “verità di Washington” in Europa, e dunque anche in Italia, è davvero oltre ogni limite.
Fonte: http://www.granma.cu/

sabato 20 ottobre 2012

Un anno fa, il 20 Ottobre 2011, la morte del Leader Libico Gheddafi; HRW denuncia l'esecuzione sommaria eseguita senza processo ed ordinata dai Servizi Segreti Francesi che volevano sbarazzarsi di un ingombrante e scomodo testimone di oltre 40 anni di intrighi, durante la "Guerra Fredda" tra l'Est e l'Ovest del Mondo!

TRIPOLI (LIBIA) - Dubbi e incertezze sulla morte di Gheddafi. Quasi un anno dopo l’uccisione dell’ex rais, permangono indecisioni circa le esatte circostanze che circondano la morte di Muammar Gheddafi avvenuta a Sirte il 20 ottobre 2011.
Secondo il rapporto di 58 pagine di Human Rights Watch (UNHCR) intitolato Death of a Dictator, oltre all’ex rais le milizie di Misurata avrebbero preso d'assalto il convoglio di Gheddafi in fuga presso l'Hotel Mahari a Sirte, catturando e uccidendo almeno 66 parenti del dittatore.
Inoltre la relazione sostiene l'idea, già avanzata da varie ONG internazionali, che Gheddafi potrebbe essere stato freddamente ucciso dai thuwwars (rivoluzionari), e non colpito accidentalmente in uno scontro a fuoco, come sostengono le autorità libiche che hanno sempre rifiutato di indagare sulle circostanze della morte dell'ex leader libico.
La mattina del 20 ottobre 2011, Mutassim Gheddafi suggerì a suo padre e al suo entourage di fuggire dalla loro roccaforte di Sirte, assediata dai ribelli sostenuti dalla NATO. Muammar Gheddafi e i suoi uomini fuggirono in un convoglio armato di cinquanta veicoli. Ma nelle vicinanze dell’ hotel Mahari il convoglio venne attaccato dalle milizie di Misurata. Muammar Gheddafi e i superstiti si rifugiarono in nelle vicinanze, prima di tentare di scappare ma vennero intercettati e fermati.
"Quando Gheddafi fu catturato, le milizie lo colpirono con la pistola e con calci e quando venne messo in ambulanza per essere trasportato a Misurata, era già morto", è scritto nel rapporto delle testimonianze dei sopravvissuti presenti quel giorno.
Sono passati diversi mesi da quando HRW e altre ONG hanno denunciato gli abusi dei thuwwars. Tra le nuove prove, c’è un video di sette minuti, girato da un combattente ribelle in cui si vedono 29 uomini di Gheddafi, seduti contro un muro mentre vengono insultati, umiliati, e colpiti. Secondo il rapporto, le forze anti-Gheddafi hanno catturato circa 150 persone quel giorno, 70 furono trasferite nella prigione a Misurata, invece altri 66 sono stati trovati morti il ​​giorno dopo nei pressi del Mahari Hotel. 
Nonostante le accuse di esecuzioni sommarie delle organizzazioni internazionali, nessuna indagine è stata condotta fino ad oggi dalle autorità libiche. La famiglia Gheddafi aveva presentato una denuncia per crimini di guerra dinanzi alla Corte penale internazionale. L'Alto Commissario ONU per i diritti dell'uomo e numerose ONG (Amnesty International, il Comitato Internazionale della Croce Rossa e Human Rights Watch) avevano anche richiesto un'indagine. Ma tali richieste sono rimaste inascoltate.
"Le autorità libiche non hanno mantenuto la promessa di indagare sulla morte di Gheddafi, 
né su quella di suo figlio", si legge nel rapporto di HRW. 


 
Libia, avvocato di Aisha Gheddafi: Processare responsabili di morte raìs! I responsabili dell'uccisione di Muammar Gheddafi dovrebbero essere portati davanti alla giustizia. Lo ha detto Nick Kaufman, l'avvocato israeliano della figlia dell'ex raìs, Aisha. Il legale, che nel passato ha rappresentato alcune figure controverse, è stato ingaggiato dalla donna l'anno scorso. Kaufman ha inoltre accusato le autorità libiche di non essere in grado di garantire un processo giusto al figlio di Gheddafi, Saif al-Islam, arrestato un mese dopo la morte del padre il 20 ottobre del 2011. La Corte penale internazionale, che ha formulato nei confronti di Saif al-Islam accuse di crimini contro l'umanità, non ha ancora deciso dove l'uomo sarà processato.

Morto il giovane che scovò Gheddafi, rapito e torturato, è spirato a Parigi...

Era diventato celebre per aver riconosciuto il dittatore, nascosto in una conduttura nei pressi di Sirte. Inizialmente si credette che fosse stato proprio lui a sparargli a bruciapelo. Sequestrato lo scorso luglio, è rimasto nelle mani dei lealisti per 50 giorni. E adesso in Libia è caccia all'uomo!

MISURATA (LIBIA) - Omran Ben Shaban, il giovane che divenne famoso come colui che smascherò Muammar Gheddafi nel suo ultimo nascondiglio, il 20 ottobre del 2011, consegnandolo al suo tragico destino, ha pagato con la vita l'essere assurto a figura eroica e icona della vittoria della resistenza libica sulla dittatura del Colonnello. Shaban, 22 anni, è spirato lunedi a Parigi, dove si trovava per curare le gravi ferite infertegli dai fedelissimi del Colonnello, che nel luglio scorso lo avevano rapito e torturato.

FOTO Folla ai funerali di Shaban 1

VIDEO Il ragazzo che scoprì il Colonnello 2

FOTO La pistola d'oro di Gheddafi 3

Shaban era stato liberato la scorsa settimana, dopo 50 giorni di prigionia nella città di Bani Walid, grazie alla mediazione di Mohammed Magarief, presidente dell'Assemblea nazionale libica. Shaban era in condizioni critiche: durante il sequestro aveva provato a fuggire e i suoi rapitori gli avevano sparato allo stomaco e al collo. Secondo quanto riportato dalla stampa, aveva le gambe paralizzate per una ferita da proiettile vicino alla spina dorsale.

Ieri un aereo privato ha riportato il cadavere di Omran a Misurata, sua città natale e tra i luoghi simbolo della resistenza anti-Gheddafi. Nelle prime ore di questa mattina la sepoltura. Ai funerali, celebrati nello stadio cittadino, erano presenti oltre 10mila persone. Dopo il dolore, ora in Libia è caccia all'uomo per scovare i responsabili della sua morte.
L'Assemblea nazionale di Tripoli, riferisce l'agenzia di stampa ufficiale Lana, ha concesso ai ministeri della Difesa e dell'Interno dieci giorni di tempo per "arrestare i responsabili del sequestro e delle torture" subite dal 22enne. "Questo è un crimine che va punito. I responsabili vanno individuati e processati", si legge in una nota del presidente Mohammed al Magarief. L'Assemblea nazionale ha riconosciuto a Shaban il titolo di "martire".
Il mondo aveva conosciuto Omran Shaban il 20 ottobre dell'anno scorso, grazie alle immagini e ai filmati che lo ritraevano accanto a Gheddafi mentre il dittatore veniva tirato fuori da una grande conduttura definita 'la fogna del ratto', nei pressi di Sirte, città d'origine del dittatore. Ormai braccato nel suo disperato tentativo di fuga, Gheddafi si era infilato in quel buco sperando di sfuggire alla cattura. Ma era stato riconosciuto da Omran Shaban, che ne aveva segnalato la presenza ai miliziani. La grande caccia si era poi conclusa con l'uccisione sul posto di Gheddafi. Omran, portato in trionfo, era apparso in quelle foto e in quei video che ritraevano lo storico momento. Si era diffusa anche la notizia che fosse stato proprio lui, Shaban, a sparare 4 a bruciapelo puntando alla testa del dittatore.
Secondo il racconto dei familiari, Omran era stato rapito da uomini armati nei pressi di Bani Walid, dove era stato inviato dal governo per sedare degli scontri in corso nella Libia occidentale. Bani Walid, una delle roccaforti di Gheddafi, è stata l'ultima città a cedere ai ribelli. Dopo l'uccisione dell'ambasciatore americano 5 a Bengasi, lo scorso 11 settembre, la morte di Shaban è l'ulteriore prova dell'esistenza di sacche di resistenza e tensioni tra i nuovi leader libici, alimentata da bande armate e una forte rivalità con Misurata, distante circa 140 chilometri da Bani Walid. Sempre lo scorso luglio, combattenti da Misurata minacciarono di attaccare Bani Walid dopo il rapimento di due giornalisti, liberati con la mediazione delle autorità. 
 

 

 




20 OTTOBRE 2011 - 20 OTTOBRE 2012: Esattamente un anno fa, ricorrono i 365 giorni dalla fine orribile di Gheddafi, ucciso a Sirte da quello che poi si saprà essere un Agente Segreto Francese che ha eseguito gli ordini precisi dell'allora Presidente Francese Nicolas Sarkozy. L'urlo ai ribelli: «Non sparate!»

La «Bbc»: «Scovato da un combattente di vent'anni!» - Il cadavere a Misurata, sarà sepolto in un luogo segreto!

LIBIA (20 OTTOBRE 2011 - 20 OTTOBRE 2012) - Muammar Gheddafi, dittatore della Libia per 42 anni, è stato ucciso giovedì mattina nei dintorni di Sirte dai guerriglieri della rivoluzione. La notizia viene confermata dal primo ministro del Consiglio nazionale di transizione libico (Cnt), Mahmoud Jibril. Che commenta: «Aspettavamo da tempo questo momento». E proclama: «È tempo di dare vita a una nuova Libia unita, un popolo e un futuro». Il cadavere di Gheddafi è stato portato a Misurata, dove sarà sepolto in un luogo segreto.
GLI ULTIMI ISTANTI DEL COLONNELLO - I dettagli sulla cattura e la morte di Gheddafi non sono chiarissimi. I video girati con i cellulari dagli stessi guerriglieri mostrano che il raìs è stato preso vivo e ucciso dopo pochi minuti. Il primo ministro Jibril riferisce che Gheddafi è stato colpito alla testa, durante una sparatoria avvenuta, dopo la cattura, tra i sostenitori del Colonnello e le forze del Cnt. Non c'è stata quindi, secondo la versione di Jibril, una esecuzione. Prima di cadere in mano ai ribelli, all'alba di giovedì, Gheddafi avrebbe tentato la fuga ma il suo convoglio sarebbe stato fermato dai bombardamenti dei caccia Nato. In serata sia gli Stati Uniti che la Francia, hanno rivendicato la paternità di quell'azione. Il ministro della Difesa di Parigi, Gerard Longuet, dice che i caccia che hanno «bloccato» il convoglio in fuga erano francesi. Mentre da Washington arriva una precisazione: c'era anche un drone americano.
LA PISTOLA D'ORO - Altri dettagli sugli istanti della cattura arrivano dal racconto di Mohammed al-Bibi, guerrigliero libico 20enne che alla Bbc dice di essere stato lui a scovare Gheddafi e di essersi impossessato della pistola d'oro che il Colonnello aveva con sé. Il giovane sostiene che Gheddafi era nascosto in una buca nel centro di Sirte e che lo ha supplicato: «Non sparare! Non sparare!».

LE IMMAGINI - A poche ore dalla notizia della morte di Gheddafi, una foto del volto insanguinato del leader è stata diffusa dall'agenzia France Presse, firmata da Philippe Desmazes. In seguito il canale inglese di Al Jazeera ha mandato in onda vari video della cattura e poi del cadavere di Gheddafi. Nella prima serie di immagini, Gheddafi appare malmenato da un gruppo di combattenti e sembra a un certo punto che provi a reagire; il volto è insanguinato, mentre viene spinto contro una macchina e colpito alla testa con una pistola. In una seconda serie di video, Gheddafi è già cadavere e viene trascinato dai ribelli lungo una strada. Si vede il corpo mezzo nudo, cui viene strappata la maglia. Il volto è coperto di sangue e ha un foro di proiettile su un lato della testa.
L'ultimo nascondiglio del rais L'ultimo nascondiglio del rais L'ultimo nascondiglio del rais L'ultimo nascondiglio del rais L'ultimo nascondiglio del rais L'ultimo nascondiglio del rais L'ultimo nascondiglio del rais
I FIGLI - Anche Mutassim, uno dei figli di Gheddafi, è stato ucciso a Sirte, mentre cercava di resistere agli uomini che lo avevano catturato. Sarà sepolto nello stesso luogo segreto di Gheddafi. Nella serata di giovedì, si rincorrono voci che anche Saif al-Islam, l'altro figlio del Colonnello, sia stato ucciso. Altre fonti dicono invece che è rimasto ferito mentre tentava di fuggire da Sirte ed è ricoverato in ospedale. Insieme con i familiari, capitolano anche i vertici del regime del raìs: viene ucciso il ministro della Difesa di Gheddafi Abubakr Yunes Jaber, arrestati il potente capo dei servizi segreti Abdallah Senoussi e il portavoce del Colonnello Moussa Ibraim.
LA FESTA - A Sirte i ribelli ballano in strada. Le scene di giubilo e di caroselli si ripetono anche a Tripoli e in altre città della Libia. Talmente grande è l'entusiasmo che, in serata, su tutto il Paese viene sospeso il traffico aereo: si temono i colpi di artiglieria sparati in aria in segno di festa.
IL CONFLITTO - La morte di Gheddafi arriva nelle stesse ore in cui crolla Sirte, l'ultimo fortino e la città natale del raìs. «Non ci sono più forze di Gheddafi in città» annuncia il colonnello Yunus Al Abdali su Al Jazeera. Un altro comandante delle forze del Cnt ha spiegato che l'attacco finale per conquistare la città, iniziato verso le otto del mattino, è durato una novantina di minuti. Nei giorni scorsi, i guerriglieri della Rivoluzione avevano espugnato anche l'altra roccaforte di Gheddafi, Bani Walid. Tanto che i vertici della nuova Libia, ma anche i leader internazionali - Obama in testa -, iniziano già a programmare la fase post-guerra

Redazione Online
20 ottobre 2011 23:05

venerdì 17 agosto 2012

Aleppo massacres perpetrated by mercenaries hired by radical Islamic terrorists who are with the rebels against the Assad government! Ad Aleppo massacri compiuti da mercenari, assoldati da terroristi islamici radicali!

For the people of Aleppo, their only hope is Syria's security forces restoring order. In the pockets of Syria's largest city the so-called "Free Syrian Army" (FSA) has dug into, a campaign of systematic detention, torture, and mass murder has been carried out against "enemies of the revolution." Demonized as either "Shabiha" or "government supporters," men have been rounded up, lined up against walls, and gunned down en mass. Others await barbaric "drumhead trials" where FSA warlords deal out arbitrary justice under the guise of "Sharia law."
Syrian rebels arrest a man who is claimed to be traitor at an old military base near Aleppo

Image: The Western media is covering - or more accurately, "spinning" - an unfolding sectarian genocide in Syria's largest city Aleppo. In the alleys of seized streets, FSA terrorists are detaining, torturing, and killing anyone suspected of supporting the government. Such suspicions coincidentally run along sectarian divisions. By using the label "Shabiha" for all of FSA's victims, the Western press has given a carte blanche to genocidal sectarian extremists and by doing so, has become complicit in war crimes themselves.
...

Worst of all, all of this is being reported by the Western media, but carefully downplayed, excused, spun, and otherwise sneaked through news cycles and headlines.

Reuters presented just such a report titled, "Rebels fill Aleppo power vacuum, some disapprove." Judging from the title, one might assume residents in the "liberated" alleys of select Aleppo neighborhoods are simply dissatisfied with late garbage collection and perhaps broken street lights. The title is far from the blood curdling hysteria accompanying Western accounts (and fabrications) of Syrian security operations over the last year and a half.

However, what Reuters actually reports is indeed growing basement-dungeons full of "suspected Shabiha," clear evidence of torture and abuse, as well as a growing number of summary executions and mass murder carried out before cameras and Western media in the streets.

The London Guardian likewise spins and downplays what are overt, ghoulish atrocities committed right on camera for the entire world to see. Russia Today covered one such massacre providing a graphic video depicting several bloodied men lined up against a wall and machine gunned to death, their bodies left in a tattered pile by FSA terrorists. RT leaves no doubt in the reader's mind that what they just witnessed was a war crime.

The Guardian however, begins downplaying the brutal massacre with the headline, "Syria crisis: rebels 'execute shabiha' in Aleppo." Already Guardian plays a role in shaping the potential reader's perception, convicting the massacred victims as "Shabiha." Scrolling down through a list of unverified accusations leveled against the Syrian government, one finds not an objective journalistic report of the massacre, but the justification provided by the FSA themselves, in a quote by Guardian's FSA "contact" that includes the somber warning:
"Regarding the video of the shabiha killed by the FSA, as far as I know these shabiha are from the "Berri" clan in Aleppo. They have a long history of being pro-regime shabiha and they have been involved in a lot of killing in Aleppo.

The regime used to provide them with light weapons and knives and gather them in schools to go and launch their attacks against civilians. Just before they left one of the schools they were caught by the FSA and killed.
In this war in which we left alone to fight such a vicious regime, everything is possible and legitimate and as long as the international community keeps looking at Syria in such carelessness, you will see more of that and even worse."
The Guardian not only excuses what was a massacre of civilians, but sows the ground for excusing war crimes that eclipse even this episode of barbarism. Unfortunately, the Guardian is not alone - this is a pattern that repeats itself throughout the Western media and signifies that as the military campaign winds down, the terror campaign is just beginning. US special interests' promise to "bleed" Syria is manifesting itself before our eyes.

The FSA's claims of everyone they round up, torture, and execute being "Shabiha" carry with them the familiar and horrifying ring of the term "African mercenaries" used to label black Libyans who were targeted by NATO-armed racist sectarian extremists also posing as "revolutionaries." In the end, entire cities were emptied out of blacks (and here) who had for generations called Libya home. Refugee camps were then systematically targeted until Libya's blacks were either dead, imprisoned or exiled beyond their homeland's borders as part of a brutal genocidal campaign covered up by the Western media and downplayed by the West's self-appointed global arbiters of human rights, namely Amnesty International and Human Rights Watch.

While the West still to this day claims Libya's blacks were "pro-Qaddafi," Libya's blacks had no choice but to fight NATO's terrorists of Benghazi, as their complexions and creeds, not political affiliations, had marked them as intolerable and undesirable by NATO's "liberators."

Likewise, a similar campaign of sectarian driven genocide, predicted for years should the US, Israel, Saudi Arabia and others unleash Al Qaeda aligned death squads across the Levant to destabilize their geopolitical enemies, is unfolding, due in part to the complicity of the Western media.
Image: Christians in Syria have been particularly hit hard by what is being described as "ethnic cleansing," not by Syrian security forces, but by NATO-backed death squads under the banner of the "Free Syrian Army." The LA Times has been quietly reporting on the tragedy of Syria's minorities at the hands of the Syrian rebels for months - and indicates that wider genocide will take place, just as it is now in Libya, should Syria's government collapse under foreign pressure.
 
....

In 2007, in Hersh's "The Redirection," the following foreshadowing to the NATO and FSA's unfolding genocidal rampage was given:
"Robert Baer, a former longtime C.I.A. agent in Lebanon, has been a severe critic of Hezbollah and has warned of its links to Iranian-sponsored terrorism. But now, he told me, “we’ve got Sunni Arabs preparing for cataclysmic conflict, and we will need somebody to protect the Christians in Lebanon. It used to be the French and the United States who would do it, and now it’s going to be Nasrallah and the Shiites" -The Redirection, Seymour Hersh (2007)
Now, demonstratively, we see exactly this feared onslaught manifesting itself in Syria, in particular against Christians as indicated in LA Times' "Church fears 'ethnic cleansing' of Christians in Homs, Syria," and more recently in USA Today's distorted, but still telling, "Christians in Syria live in uneasy alliance with Assad, Alawites." Even the massacre in Houla, seems to echo of this 2007 warning, bearing all the hallmarks of sectarian extremists like Al Qaeda.

With the Western press freely admitting that their "freedom fighting" FSA is lining up "suspected government supporters" and machine gunning them en mass, it seems the massacre the West feared would unfold in Aleppo has come to pass - only it wasn't perpetrated by the Syrian government or its security forces, but rather by NATO and the Gulf State's very own armed and coddled FSA terrorists.

As the West's machinations implode upon themselves and shareholders begin hedging their bets and distancing themselves from possible culpability for egregious crimes against humanity, we must hope that global opposition reaches a critical mass, forcing the West to stand down and allowing the Syrian government to restore order across their nation-state. Until then, we as individuals must identify, boycott, and replace the corporate-financier interests driving this insidious conspiracy against humanity. While swatting mosquitoes seems to be the most immediate remedy at hand, draining the swamp from within which they flourish is the only way to solve this problem permanently.


Tony Cartalucci is a frequent contributor to Global Research. Global Research Articles by Tony Cartalucci


“Amnesty fa bene a denunciare a gran voce i massacri ad Aleppo e in tutta la Siria, ma dovrebbe anche chiamare i soggetti autori con il loro nome e cognome. Sul sito almaghrebiya.it circolano le immagini relative alla mattanza di civili ad Aleppo, fatti a pezzi dai mitra e dai kalashnikov dei mercenari assoldati dal terrorismo estremista e radicalista che impazza in Siria.
Ancora bugie senza pudore, sulla pelle del popolo siriano: l’Onu perché non vede e non denuncia anche questo massacro? Questa è disinformazione pura”. Così l’On. Souad Sbai commenta “le immagini di un video sul web che mostra civili siriani ammassati dopo un pestaggio in un angolo di strada e crivellati di colpi dai mercenari in Siria”.
“Se nessuno ha il coraggio di dire che cosa ha infettato la Siria da mesi lo facciamo noi. Bande di assassini che trucidano la popolazione e si macchiano di tanti crimini quanti i miliziani, solo che vengono omessi nella loro responsabilità, perché qualcuno ha interesse a mistificare un massacro che ha autori ben noti.
Gli opinionisti della geopolitica corrotta dal denaro di qualche sceicco anch’esso ben noto – dice Sbai – dovrebbero vergognarsi delle bugie con le quali hanno falsificato la vicenda siriana e prima quella libica. Sulla Siria va fatta informazione, sui diritti umani: e non rispolverare ad ogni ora filmati triti e ritriti, che altro non fanno se non continuare una certa propaganda.
Vedendo queste immagini qualcuno dovrebbe farsi un grosso esame di coscienza e poi spiegare all’opinione pubblica mondiale perché vuole consegnare la Siria e con essa tutto il quadrante mediorientale e caucasico all’integralismo, infiltratosi nelle fila della protesta da alcuni paesi arabi. Siamo di fronte al più grande inganno internazionale di sempre – conclude – in cui hanno parte attiva l’Occidente intero e gli Stati Uniti, corresponsabili del massacro del popolo siriano innocente e ormai allo stremo delle forze”.

martedì 24 luglio 2012

Se cade Assad in Siria, gli estremisti Islamici prenderanno il potere come in Libia del dopo Gheddafi, in Egitto del dopo Mubarak! L'intolleranza e gli omicidi a sfondo religioso saranno all'ordine del giorno, grazie alla Cia, grazie a Obama, grazie all'Unione Europea...vergogna!!!

INCONTRO CON UNA TESTIMONE D'ECCEZIONE:

Incontro con Madre Agnes-Mariam de la Croix, testimone della tragedia siriana. Roma, 25 luglio, ore 18. ALLA SALA METODISTA, VIA FIRENZE... 38
  La Rete No War ROMA, a sostegno dell'iniziativa siriana MUSSALAHA (Riconciliazione dal basso), sta organizzando per il 25 luglio, la visita a Roma di madre Agnès-Mariam de la Croix, religiosa palestinese che vive con religiosi di dieci paesi nel monastero Deir Mar Yacoub a Qara (governatorato di Homs) e da mesi aiuta le vittime civili del conflitto e la causa del negoziato e della pace. Ha anche fondato nell'ambito della diocesi di Homs un centro di informazione, Vox Clamantis. Adesso sembrano parlare solo le armi, degli uni e degli altri. La Madre vorrebbe chiedere all'Italia - popolazione e governo - di aiutare questo sforzo siriano di riconciliazione anziché appiattirsi sulle posizioni statunitensi che mirano ad obiettivi geostrategici e non alla vera pace.
La Madre, che organizzò la visita a Homs del giornalista Gilles Jacquier, ucciso poi da un obice dell'opposizione (come da indagine del governo francese), si è recata più volte in luoghi oggetto di scontri e combattimenti. E' una testimone di prima mano.


Fonte: http://oraprosiria.blogspot.it/

Gruppi islamisti in azione a Damasco: le vittime sono civili cristiani e profughi iracheni

Gruppi islamisti radicali, nelle file dei rivoluzionari, seminano il terrore fra i civili a Damasco  A farne le spese sono tutti coloro che sono considerati “lealisti”, fedeli al regime di Bashar al Assad. Fra le vittime, riferiscono fonti di Fides a Damasco, vi sono anche dei cristiani del sobborgo di Bab Touma e i profughi iracheni che occupavano i sobborghi di Oujaira e Sada Zanaim.
Il gruppo ribelle islamista “Liwa al-Islam” (“La Brigata dell’Islam”), che nei giorni scorsi ha rivendicato l’uccisione di alti generali del governo Assad, questa mattina ha ucciso una intera famiglia cristiana a Bab Touma. Fra i fedeli locali, racconta un fonte di Fides, c’è costernazione e sdegno per l’assalto ai civili indifesi. I militanti di “Liwa al-Islam” hanno bloccato l'auto di un cristiano, Nabil Zoreb, pubblico ufficiale civile, hanno fatto scendere dall’auto lui, sua moglie Violet e due figli, George e Jimmy, uccidendoli tutti a bruciapelo. I militanti del gruppo sono molto attivi soprattutto nella regione di Duma e in altre zone a Est di Damasco, dove hanno compiuto altri atti criminali.
Inoltre nel Sudest di Damasco, combattenti islamisti del gruppo “Jehad al nosra”, vicini alla Fratellanza musulmana, hanno attaccato le case dei profughi iracheni, saccheggiandole, bruciandole e costringendo i loro occupanti a fuggire. L’assalto è stato riportata anche dai mass media occidentali, come la BBC. Secondo i profughi iracheni, “bande di terroristi musulmani ci hanno attaccato e inseguito”. La maggior parte delle bande che operano nel Sudest di Damasco sono considerate vicine alla Fratellanza musulmana, mentre i membri del gruppo “Liwa al Islam” sono di ideologia wahhabita.(Agenzia Fides 23/7/2012)
http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=39578&lan=ita

I cristiani, epicentro della solidarietà per gli sfollati interni di Damasco!

Sono le comunità cristiane e i comitati locali del movimento interreligioso “Mussalaha” (“Riconciliazione”) l’epicentro delle iniziative di solidarietà in una Damasco dove la popolazione vive terrorizzata, perché ha visto “la guerra arrivare sotto casa”. Secondo fonti attendibili di Fides, sono circa 200mila gli sfollati interni di Damasco, che si sono spostati da un quartiere all’altro della città o nei diversi sobborghi, per sfuggire ai combattimenti. I gruppi rivoluzionari, infatti, stanno prendendo posizione in quartieri, edifici, abitazioni dei civili che si ritrovano, dunque, in mezzo al fuoco incrociato.
In questo immane spostamento di famiglie, donne anziani e bambini, i quartieri in prevalenza cristiani di Jaramana, Qassaa e Bab Touma sono divenuti oasi di accoglienza e solidarietà, senza distinzione di etnia, comunità o religione. I giovani cristiani coordinano l’accoglienza dei nuovi sfollati dirottandoli in posti disponibili come scuole, chiese, moschee, edifici pubblici. I primi aiuti umanitari arrivano grazie a una rete di organizzazioni cristiane come la Caritas Siria, il “Middle East Council of Churches”, il Patriarcato Greco-ortodosso, la Comunità di Sant’Egidio.
I giovani stanno anche provvedendo a servizi pubblici basilari, in una città paralizzata: ad esempio, data la temperatura di oltre 42 gradi, i cumuli di immondizia per le strade costituiscono un grave pericolo per la salute pubblica, così alla loro raccolta stanno provvedendo i volontari.
Con loro vi sono i rappresentati dei Comitati locali del movimento interreligioso “Mussalaha”, che promuove non violenza e riconciliazione. Il Movimento ha tenuto nei giorni scorsi un incontro a Damasco, ribadendo che lealisti o ribelli possono entrare a far parte del movimento, con l’unica condizione di rinunciare alle armi. La riconciliazione, si afferma, si può costruire a partire delle famiglie, dalle tribù, dai clan, dalle comunità che si incontrano e si riconoscono reciprocamente.
 
Fonte: http://oraprosiria.blogspot.it/
 
Una suora di Damasco: “Preghiamo che tutto finisca, non abbiamo fiducia nella rivoluzione!”

I profughi continuano a bussare alla porta del Santuario di Tabbaleh, dedicato alla Conversione di San Paolo, a Damasco. I frati francescani della Custodia di Terrasanta e le Suore Francescane Missionarie del Cuore Immacolato di Maria, che gestiscono la Chiesa, hanno accolto stabilmente otto famiglie e provvedono al sostentamento di altre 45 famiglie, cristiane e musulmane. Sono i rifugiati di Damasco, i civili vittime degli scontri fra forze dell’esercito regolare e gruppi rivoluzionari che negli ultimi giorni hanno messo a ferro e fuoco la città.
“Camminiamo con speranza e cerchiamo di consolare tutti, in queste ore tragiche”, dice a Fides p. Romualdo Fernandez OFM, Rettore del Santuario, informando che una folla di persone viene ogni giorno a pregare nella Chiesa, e si formano spontanei cenacoli di cristiani e musulmani che pregano insieme per la pace e chiedono la protezione a Dio e alla Vergine Maria.
Suor Yola, siriana, una delle religiose francescane che ogni giorno aiutano le famiglie dei profughi, racconta a Fides: “Stiamo facendo del nostro meglio per aiutare la famiglie di sfollati. La gente piange e spera in tempi migliori. Il costo della vita è altissimo, non si trovano medicinali, l’impatto dell’embargo che subiamo è tutto sulla popolazione civile e sui più poveri. Speriamo e preghiamo perché questa sofferenza finisca presto. Non abbiamo alcuna fiducia in questi cosiddetti ‘rivoluzionari”. Quali sono i rivoluzionari che fanno del male al popolo? Hanno danneggiato tutti, cristiani e musulmani, tante famiglie che hanno perso tutto”.
“In queste azioni armate e in questa sofferenza – prosegue la suora – la religione non c’entra. Con i musulmani abbiamo sempre vissuto fianco a fianco e continueremo a farlo. Il governo siriano finora è stato laico, ha garantito alla Siria sicurezza e stabilità. Oggi abbiamo solo disordine, insicurezza, caos, sofferenza. E cosa sarà domani? Ma sappiamo, come cristiani, che Dio ci protegge e la nostra speranza è viva. E, come cristiani, abbiamo una certezza: non abbandoneremo mai la Siria”. 
 
Fonte: http://oraprosiria.blogspot.it/

La Chiesa cattolica continua a denunciare l'interferenza di elementi stranieri!
 

 
L’urgenza del dialogo.  Come conferma al Sir una fonte della Chiesa locale, che ha chiesto l’anonimato per motivi di sicurezza: “Ci sono focolai di scontri tra esercito siriano e terroristi in atto in alcune zone periferiche della capitale. Si tratta di centinaia di militanti islamici, alcuni di Al Qaeda, entrati in Siria per fomentare disordini da Paesi come Kuwait, Iraq, Libano, Arabia Saudita e Qatar. I loro corpi vengono bruciati dai loro compagni una volta colpiti dalle forze fedeli ad Assad, per non fornire prove al regime siriano. La gran parte della popolazione è con il regime e non ne vuole sapere di questi combattenti integralisti, i musulmani siriani non conoscono fanatismi. Se il popolo fosse stato tutto contro Assad lo avrebbe spazzato via in pochi giorni, come accaduto in altre nazioni. Questo non vuol dire, però, che tutto vada bene. La Siria non è una democrazia perfetta. La Siria ha bisogno di riforme e non di armi, ha bisogno di dialogo e non di scontri a fuoco”. Si punta l’indice contro la comunità internazionale e i media che “distorcono la realtà”. “Vogliono togliere la Siria ai siriani per consegnarla ai Fratelli musulmani come accaduto in altri Paesi mediorientali. Il nostro resta l’unico baluardo all’Islam integralista e questo non piace ad altri Paesi della regione. I cristiani non soffrono persecuzioni ma in quanto minoranza sono tra i più vulnerabili specie davanti a questi terroristi stranieri che s’infiltrano nei quartieri anche cristiani, seminando violenze e morte”. Ne è una prova il movimento “Mussalaha” (Riconciliazione), nato dalla società civile, interreligioso, che punta al dialogo fra le diverse componenti della società siriana e che tante vite umane sta salvando in queste settimane. Ad Homs un Comitato della “Mussalaha” ha mediato un accordo fra le forze governative e i rivoluzionari armati consentendo l’evacuazione di oltre 60 civili, in maggioranza cristiani.
 
Fonte: http://oraprosiria.blogspot.it/
 
 

mercoledì 23 maggio 2012

LA BALLATA DELLA VECCHIA BALDRACCA...GOLPE E RIVOLUZIONE...QUALE DESTINO PER LA REPUBBLICA ITALIANA?

LA BALLATA DELLA VECCHIA BALDRACCA...

OOOH Sì...questa è la ballata della vecchia baldracca,
e la canto a te mia Repubblica Italiana,
oooh sì...questa è la ballata della vecchia battona,
che ha insozzato le nostre strade di escrementi di ogni genere:
ci hai lasciato le strade
invase da un'orda d'immigrati senza controllo,
ci hai lasciato le strade piene di transessuali, omosessuali,
prostitute di ogni razza e di ogni dove...
ooooh sì io ti canto la ballata della vecchia baldracca,
ubriaca di sangue, sesso finto e denaro...
Tu ci lasci in mano a Mafiosi, Massoni e Usurai
e mi gridi in faccia indignata: "Fascista! Fascista!"
Mi punti il dito e mi mandi alla gogna,
ma la tua bocca puzza peggio di quella fogna
in cui mi vorresti infilare!!!
Tu ci lasci marcire, Tu ci lasci morire...
Tu ci dai fame, povertà e miseria!!!
Ooooh sì...io ti canterò sempre
la ballata della vecchia baldracca!!! 


Alexander Mitrokhin

Quando sarà l'ora della rivoluzione, taglieremo la gola alla "vecchia baldracca"!


“Noi non prendiamo ordini dallo Stato! E’ lo Stato che prende ordini da noi! Non è lo Stato che ci ha creato, siamo noi che abbiamo creato lo Stato! Il Partito è vivo, vivo…solido come una roccia! Finché anche uno solo di noi avrà fiato in corpo, alimenterà con il suo respiro il Partito e lo renderà ancora più forte, come già abbiamo fatto in passato! Allora il tamburo si unirà al tamburo, la bandiera alla bandiera, le truppe alle truppe, Gau a Gau! Ed un popolo dapprima diviso confluirà in una enorme colonna e si metterà in marcia formando una sola nazione unita!”


Adolf Hitler


La Repubblica Italiana, nata dal sangue della guerra civile del 1943-45 e nata dalle ceneri del passato regime Fascista caduto in disgrazia dopo la sua entrata in guerra nel 10 Giugno 1940 e sconfitto assieme al suo alleato regime Nazional-Socialista Tedesco durante la Seconda Guerra Mondiale, si presenta oggi come una “vecchia baldracca” di 62 anni, deformata e decaduta, avida solo di denaro e potere.
Non avendo più quel fascino e quella bellezza che la contraddistingueva nei suoi primi decenni di vita, la bella Italia che ha “ingannato” intere generazioni dal Nord al Sud “ricattando” i suoi “sudditi” moralmente e politicamente grazie alla paura del ritorno del Fascismo prima e allo spauracchio di un pericolo di Sovietizzazione del paese dopo che lei stessa inculcava alle masse, oggi che ancora cerca di riproiettare all’interno della società quel “terrore” dell’incubo Nazi-Fascista con i suoi continui ricordare degli anniversari solenni di ogni eccidio compiuto durante la guerra nel nostro paese, anniversari a cui la gente partecipa sempre in minor misura ed enfasi rispetto ai suoi anni migliori, questa “vecchia baldracca” è oggi l’ombra di sé stessa, destinata ad una morte certa che lei non vuole accettare e rifiuta.
Ostinatamente continua a vivere “depredando” le casse del suo stesso popolo che in verità non ha mai amato ma ha sempre finto, e finto bene, di amare.
Ed i suoi Governanti che vivono sempre più distaccati dalla vita reale hanno ormai perso il senso vero della realtà, ci lasciano in balia di questa “baldracca” che ha aperto le sue coscie deprimenti ad un immigrazione selvaggia e senza sosta, ci lasciano nelle mani di questa "vecchia baldracca" che se né infischia se le famiglie Italiane non riescono più a sopravvivere, non riescono più ad arrivare alla fine del mese con i propri stipendi impoveriti dall’euro, dal caro-vita, dall’economia di mercato dell’Unione Europea, economia crudele e selvaggia che non lascia sconti ai poveri ed arricchisce le tasche solo di chi è già ricco di per sé.
Lo Stato in Italia non esiste più e con il futuro “Federalismo Fiscale” i politici da Nord a Sud si preparano a dividersi le ricchezze di questa “vecchia” e recalcitrante Repubblica che a loro offre soldi e potere, a noi comuni mortali solo sacrifici, miserie e povertà di ogni genere.
E’ giunta l’ora di tagliare la gola a questa “vecchia baldracca” con le nostre stesse mani!!!

Ecco alcuni reati che possono costare la condanna a morte:
  Allevamento illegale di bestiame
Omicidio
Tentato omicidio
Omicidio colposo
Uccisione di una tigre
Rapina e rapina a mano armata
Stupro
Ferimento
Furto e furto ripetuto
Rapimento
Traffico di donne o bambini
Organizzazione della prostituzione
Organizzazione di spettacoli pornografici
Pubblicazione di materiale pornografico
Atti di teppismo
Disturbo dell’ordine pubblico
Distruzione o danneggiamento della proprietà pubblica o privata
Sabotaggio controrivoluzionario
Incendio
Traffico e spaccio di droga
Corruzione
Truffa
Concussione
Frode
Usura
Contraffazione
Rivendita di ricevute Iva
Evasione fiscale
Furto o fabbricazione illegale di armi
Possesso o vendita illegali di armi e munizioni
Furto o contrabbando di tesori nazionali e reliquie culturali
Spaccio di denaro falso
Ricatto.



domenica 25 marzo 2012

Siria: Medvedev, ok missione Annan per evitare guerra civile...

In diretta su Radio Mpa a svelarci la Verità sulla Siria sono 3 importanti ospiti siriani:
-Il dottor Jamal Abu Al Abbas, presidente della comunità siriana in Italia,
-Ouday Ramadan, un cittadino italo-siriano ed ex consigliere del PDCI, testimone oculare degli accadimenti in Siria,
-E un cittadino siriano in collegamento da Homs.

http://www.net1news.org/siria-la-verit%C3%A0-svelata-in-diretta-radio.html
http://www.youtube.com/user/RyuzakeroV1?feature=watch
http://www.radiompa.com/
http://it-it.facebook.com/losai.net
http://syrianfreepress.wordpress.com/

(AGI) Mosca 25 Marzo 2012 - La missione di Kofi Annan e' una grande opportunita' per evitare la guerra civile in Siria e per questo ricevera' il nostro convinto sostegno. Lo ha detto il presidente russo uscente, Dmitry Medvedev, parlando del compito dell'inviato in Siria di Onu e Lega Araba. "Quella di Annan - ha detto Medvedev, dopo aver incontrato Annan all'aeroporto di Mosca - potrebbe essere l'ultima chance per la Siria di evitare una lunga e sanguinosa guerra civile. Ed e' per questo, che offriremo ad Annan pieno sostegno a tutti i livelli". "La Siria - ha detto dal canto suo Annan - ha oggi l'opportunita' di porre fine al conflitto intestino, ai combattimenti, permettere l'accesso a tutti coloro che hanno bisogno di aiuto umanitario e aprire un processo politico" che porti a una soluzione del conflitto in atto.

Fonte: http://www.agi.it

sabato 22 ottobre 2011

Da Ustica all’Atomica, tutti i segreti, anche quelli più scomodi della "Guerra Fredda" sono stati sepolti con lui...Gheddafi era uno degli ultimi capi di Stato ancora in carica e in vita dai tempi della "Guerra Fredda" tra l'Occidente e il blocco Sovietico! Dopo la sua scomparsa molti tirano sospiri di sollievo, a Oriente e Occidente...intantoil corpo straziato di Gheddafi è stato esposto al mercato dei polli di Misurata! Poteva essere salvato, ma a molti capi di Stato in occidente e oriente la sua morte ha fatto comodo e se la sono sempre augurata: braccato come un cane rognoso, un uomo a 69 anni di età non può essere trattato come un animale così come quel branco di assassini impazziti ha fatto il 20 Ottobre; nessuno tra quel gruppo di ribelli ha avuto pietà per un solo secondo, nessuno ha pensato al dolore dei familiari di Gheddafi che avrebbero provato a guardare quei video dove il rais viene strattonato, picchiato, umiliato, deriso e malmenato prima di essere giustiziato senza processo e senza sentenza di appello! Al grido di "Allah è grande" questi ribelli, in realtà estremisti islamici reclutati dalle milizie di Al-Qaeda, saranno la colonna portante di un futuro regime Islamico fondato sul fondamentalismo e sul terrore, chi crede che in Libia ci sarà una pacifica Democrazia si illude e si sbaglia di grosso! Solo il governo di Gheddafi era riuscito in 42 anni a tenere lontano i fondamentalismi e i terroristi, oggi invece così come avevano confermato gli stessi leader di Al-Qaeda, molti di questi fondamentalisti guardano con forti interessi alla Libia come futura terra di conquista!

 
LIBIA (TRIPOLI) - Ancora non era nemmeno confermata la notizia che a Sirte lo avevano fatto fuori, che già il potere che ora in Libia comandava senza più oppositori metteva le mani avanti: «Noi non abbiamo mai dato l'ordine di ammazzare Gheddafi». I governi - quelli ufficiali e regolari quasi sempre, figuriamoci poi quelli autodefinitisi transitori - non mostrano molti pudori nel difendere pubblicamente le loro malefatte, contando sul convincimento che alla fine le verità istituzionali hanno una buona capacità di tenuta nel tempo; i "weakyleaks" arrivano sempre dopo, quando la memoria si è affievolita e, soprattutto, le regole del gioco e i suoi stessi protagonisti sono ormai cambiati. E allora, perché non credere a quanto dicono oggi e dicevano già ieri Jalil e soci?
Loro, Gheddafi non lo volevano morto, proprio per niente, loro che fino all'altro ieri erano stati suoi corifei e accanto a lui ne avevano cantato glorie e sapienza. E certamente non lo volevano morto proprio per niente la Francia mistificatrice di Ustica, la Nato del comando regionale di Napoli, l'America bombardiera di Reagan e Clinton, il Pakistan di quel genio folle di Abdul Kader Khan, l'Inghilterra dell' Mi-6 di Blair e Gordon Brown, e anche l'Italia, naturalmente, l'Italia che va dal Craxi& Andreotti della Prima repubblica fino al Berlusconi&Frattini della Seconda. In più, certo, una lunga lista di nomi illustri e di nazioni orgogliose, e di bande armate, con, dentro, anche una cinquantina di capi di Stato africani, larga parte dei Raìss del Medio Oriente da Nasser fino a oggi, i servizi segreti di mezzo mondo dal vecchio Kgb alla Cia di sempre, e poi la galassia del terrorismo internazionale che negli Anni Settanta e Ottanta ma fino ai giorni nostri dell'integralismo qaedista ha avuto mani in affari e traffici che il Qaìd intrecciava inseguendo il suo sogno, la sua ossessione, di poter salire, un giorno, sulla poltrona dove sta seduto il più potente dei Potenti della terra.
Un tale listone di Paesi e di capipopolo che coinvolge i destini e le fortune praticamente di ogni latitudine del pianeta può voler dire una cosa soltanto: che Gheddafi certamente su quella sedia tanto agognata non s'era potuto mai sedere, e però anche che in questi suoi 42 anni di potere assoluto aveva intanto intrecciato una rete così estesa e fitta di relazioni da poter comunque sopravvivere con tutte le sue folli ambizioni, pur in un mondo che mutava geneticamente. In quella rete ci stava di tutto, il baciamano di Berlusconi come i baci sulle guance di Blair, la tenda beduina montata su a due passi dall'Eliseo come le lettere affettuose che la Cia e l'Mi-6 indirizzavano a Moussa potente capo dei servizi segreti libici; non tutte erano uguali, queste storie, certamente, e però tutte avevano qualche ombra ben nascosta, qualche manovra o qualche traffico che era meglio non far conoscere. Solo che quella rete Gheddafi ora se la porterà via con sé nella tomba; e nella terra che ha coprirà quella tomba senza nome sarà sepolta anche la fitta sequenza di misteri, e di strategie politiche spesso inconfessabili, che il Qaìd vivo avrebbe invece potuto aiutare a svelare, con conseguenze che oggi, magari, farebbero fare sonni assai inquieti a molti dei potenti degli ultimi decenni.
La sua forza, la fonte del suo potere e del suo sogno, era il petrolio, la manna inarrestabile che sgorgava dai pozzi della Cirenaica e della Tripolitania, offrendogli una munifica cassa continua con la quale comprare sudditanze, comparaggi, alleanze, servizi sporchi, strumenti di pressione d'ogni tipo, fino agli attentati più spregiudicati e alle stragi più indifferenti. E nello scorrere del tempo, questa cassa continua si piegava a strategie che il Colonnello cambiava senza apparenti problematicità, adeguandosi ai fallimenti, o comunque alle irresolutezze, che vedeva trasparire dagli ambiziosi progetti su cui di volta in volta aveva puntato. E se il primo progetto era stato quello dell'inseguimento del panarabismo di Nasser - un inseguimento nel quale, dopo aver buttato a mare la basi americane, aveva spinto fiumi di denaro verso l'Egitto e la Siria - subito dopo, vinta la delusione, aveva montato il nuovo progetto di un Terzo Potere, altro dal capitalismo e dal comunismo, fino ad approdare, in ultimo, a un panafricanismo che a forza di pagamenti cash costruiva una corte ubbidiente di capi di stato del Continente nero con cui reggere la sua ambizione di farsi Re dei re.
In questo movimento scomposto, dove il disegno della destabilizzazione era la linea guida che pilotava le scelte tattiche, Gheddafi non poteva non urtare interessi consolidati, egemonie politiche e d'affari, equilibri strategici molto delicati, con la conseguenza che ogni atto compiuto in un simile territorio di poteri sensibili doveva misurarsi con una realtà di fatto e su questa intervenire, provocandone la reazione inevitabile. Nasce all'interno di questa dinamica l'uso strumentale che Gheddafi faceva di ogni movimento politico e di ogni forza d'opposizione militare ai poteri istituzionali, e da qui tutti gli episodi che oggi accompagnano la riflessione sulla sua morte «in guerra», nell'impossibile desiderio di recuperare finalmente la verità di quanto è accaduto, a Ustica, a Lockerbie, a Berlino, a Bab Al-Azizyia, nell'Irlanda ddell'Ira, nel Paese Basco, o anche in Afghanistan e in Pakistan.
Ustica, il missile che abbatte un volo dell'Itavia nel cielo e nel mare di quell'isola, resta il simbolo più efficace e più significativo di questo intreccio di interessi strategici internazionali, e di mistificazioni politiche, che hanno accompagnato nella tomba, ormai per sempre, i «misteri» di Gheddafi. Il depistaggio continuo, gli atti spregiudicati di disinformazione, le menzogne ufficiali che coinvolgevano alti gradi militari del nostro paese, della Francia, del comando Nato di Napoli, sono pezzi d'una storia che s'è fatto di tutto - da chi poteva - perché non si chiarisse mai. In questa storia (che poi ebbe una coda in un caccia libico precipitato sulle terre di Crotone), Gheddafi, e un attentato contro di lui, sono rimasti sempre sullo sfondo, legando al destino del Qaìd di Tripoli interessi politici che paiono essere stati manovrati ben al di là del ruolo di Roma o di Parigi.
Sotto questa storia, e sotto quella, per esempio, del volo di linea della Pan-Am esploso in volo sul cielo scozzese di Lockerbie, c'era certamente il ruolo di terrorista internazionale che il Colonnello si era scelto per favorire una destabilizzazione diffusa, che dal Mediterraneo e dalle logiche dei processi critici del mondo arabo si era poi spinta fino a Washington e alla Casa Bianca. Il bombardamento di Reagan sulla «reggia» di Bab AlAzizyia sta dentro questo stesso scenario, dove i morti americani della discoteca di Berlino sono solo il pretesto per una resa dei conti che con quei morti aveva solo una relazione indiretta. E sta sempre dentro questo scenario il progetto di Gheddafi di costruirsi la sua Bomba, utilizzando l'avidità commerciale d'uno scienziato pachistano, Abdel Karen Khan, che ha venduto materiale fissile e tecnologia nucleare a ogni angolo delpianeta.
Ora che Gheddafi era diventato un «buono», consegnando agli americani i suoi piani nucleari, la rivolta di Bengasi fattasi rivoluzione ha fornito un buon pretesto agli interessi francesi (e non solo francesi) per togliere comunque di mezzo il Colonnello. Certamente, nessuno voleva ammazzarlo. Ma in guerra si muore, e può anche accadere che una morte «in guerra» metta sotto un metro di terra anche mille scomode verità.
 
Fonte: http://www3.lastampa.it

LIBIA (MISURATA) - Avessero deciso loro l’avrebbero portato qui, in questa piazza che è diventata un museo all’aperto, dove a mezzogiorno portano in trionfo l’ultima parte del bottino di guerra, quello che hanno trovato sulla Toyota della fuga.
Le mutande di seta viola del Colonnello, il pigiama di seta blu a pois bianchi, lo specchio tondo e il pettine, una blasfema bottiglia di gin, gli occhiali da sole, un fazzoletto verde, i guanti, il cappotto con le mostrine. «E il Viagra!», urla Hamed agitando una scatola di medicine. Sono pasticche di «Glovit», soltanto vitamina. Non importa, per i 400 mila di Misurata sarà per sempre Viagra. «Porco!».
E invece no, almeno su questo i Ribelli di Misurata si sono fermati. E tocca a loro, sebbene di malavoglia, accompagnare Muammar Gheddafi nelle sue ultime ore sulla terra. Lo scortano nella notte, cambiano almeno due improvvisati obitori: una cella frigorifera per polli e poi un container per casse d’acqua minerale. Continuano a cercarlo, a Misurata, lo vogliono vedere. Alle otto di sera, lontano dalla città, Gheddafi è al «Mercato dei Tunisini». Fuori dai cancelli c’è ressa, spingono, urlano. Lui è al posto dei polli, su un materasso giallo, due buchi nel petto, la testa girata a sinistra, a coprire il colpo alla tempia.
Nella cella è tutto uno scattare e filmare, non c’è combattente di Misurata che non abbia queste immagini nel telefonino. «Presto, presto, fate presto». Solo loro possono entrare, i Tuwar che hanno vinto la caccia al Topo. Loro che si raccontano come l’hanno preso, e a sentirli pare che attorno a quel tunnel di Sirte ci sia stata la Libia tutta. Più che le parole questa volta contano davvero le immagini, come quella che riprende il Colonnello ancora in piedi, ferito e lucido, che reagisce a pugni e spintoni: «Quello che state facendo è peccato grave», dice. Si sente un colpo secco, forse quello mortale. Ma l’immagine non c’è più.
Ora che è su questo materasso giallo a fiori marroni, con una smorfia che fissa la sua fine, l’hanno lasciato con i pantaloni della divisa. Avevano detto, giovedì, che era morto per le ferite alla testa, alle gambe e allo stomaco. Mohammed el Bibi, il ragazzotto che gli ha preso la pistola d’oro, aveva annunciato al mondo d’avergli sparato in pancia. Un piccolo foro di proiettile c’è, ben ripulito dai medici e da chi l’ha lavato. Ma restano ben visibili ferite, lividi, tagli sulle braccia, sui fianchi, sul petto. Come se Gheddafi, prima del colpo alla tempia, fosse stato strattonato, malmenato, aggredito dall’ira. E finito.
In questo strano obitorio di Misurata s’incontra chi c’era. Non a Sirte, appena fuori dal tunnel di cemento, dove l’hanno trovato. Ma qualche chilometro lontano, sulla strada che porta qui a Misurata, al check-point numero 50. Abdel Rahoumah, 34 anni, «Ufficiale di polizia prima di passare con i Ribelli», era lì. «È arrivata la colonna di Twuar con in mezzo l’ambulanza, non sapevo ancora niente e non è stato difficile immaginare che dentro ci fosse lui. Era ancora vivo, con il medico vicino. Si sono fermati ed è stato il caos, tutti attorno Un ragazzino gli ha strappato i capelli, ha detto che erano finti e unti di nero».
Abdel il poliziotto ha cinque filmati nel telefonino. C’è quello che si chiude con il colpo di pistola, «ma non è successo al check-point 50. Sono ripartiti per Misurata dopo dieci minuti, e ho visto che era ancora vivo». Non sa, Abdel, se l’ambulanza si sia fermata ancora. «Forse era già successo prima». Mohammed Behlil era a Sirte, vicino al tunnel. «Quando è salito in ambulanza camminava, nessuno gli aveva sparato alla testa». Insomma, nemmeno i Combattenti sanno cosa sia davvero successo, ammesso che la questione li appassioni. Piuttosto, seppellirlo qui, e anche questo è trofeo di guerra, o mandarlo via, lontano da Misurata?
Il cimitero ha muri bianchi e bassi, coperti dalle scritte con i nomi dei Martiri. «Non lo vogliono, qui. Qui ci stanno solo i martiri. Vada via!», grida una donna. C’è chi lo vorrebbe buttare in mare, «così non è più nemmeno sotto la nostra terra». Ma almeno un’ultima volta, e per molti di loro sarebbe l’unica, lo vogliono vedere da vicino. «L’abbiamo dovuto spostare almeno tre volte», dicono dal comando militare del Consiglio Nazionale di Transizione, mentre al primo piano, negli studi di «Radio Misurata» arrivano le telefonate di chi vuol sapere «dov’è il Topo», «se non lo vedo non ci credo», «vi prego, ditemelo».
Il Colonnello e Mutassim, il capo del temuto servizio di sicurezza interno, li avevano portati a casa di Anwar Sanwan, 41 anni, la barba riccia, il Ribelle che abita nelle case di Mar Bath, le dune di sabbia e subito c’è il mare. «Ma arrivava troppa gente e li abbiamo portati qui», e indica il vecchio deposito di ghiaia ora occupato dalle Tigri di Misurata. Di fronte c’è l’antenna bianca e rossa della tv, la prima a esser stata colpita dall’aviazione di Gheddafi il 20 febbraio. Lo credevano all’ospedale, il Colonnello. Invece era qui, accanto al figlio, nel container 45R1 e la scritta «Evergreen», sempre verde.
Alle undici del mattino, quando Anwar infila la chiave nel grosso lucchetto del container e apre la porta, un moscone s’infila nel gelo. Mutassim è sui bancali di legno, una coperta arancione come materasso, nudo, solo un lenzuolo di garza azzurra e un altro verde a coprirlo appena. Barba e capelli sono un misto di sangue e sabbia, ha un buco sotto la gola, un secondo in mezzo al petto, un terzo alla gamba sinistra. «E qui sotto - indica Anwar, e pare un esperto becchino - si vede il segno del prelievo per l’esame del Dna. L’abbiamo fatto anche al padre, in modo che nessuno abbia mai più un dubbio. È finita davvero».
Non sembra, attorno a questo container svuotato in fretta dalle bottiglie di minerale marca Shafia, lo stesso nome della moglie del Colonnello, la madre di Mutassim. Si sentono i canti delle donne del quartiere, che prima della preghiera del venerdì arrivano con le figlie. Hanno saputo che il corpo di Gheddafi, portato via nella notte, tornerà a metà pomeriggio. E prepareranno la festa, con i pentoloni per il riso e il montone, le ceste di datteri freschi, gli altoparlanti con la musica, i bambini armati di pistole giocattolo che ballano. Ma sarà troppo rischioso riportare il Colonnello nel container. Festa funebre annullata.
Ancora una notte nella cella frigorifera dei polli, per Gheddafi. In una Misurata che resta tutta macerie, vuota di giorno e la sera piena di luci e di macchine. Alle nove una colonna di Twuar sta scortando un’ambulanza. «È lui, è lui!», si muove la folla. Sparano in aria dalla Piazza del bottino di guerra. Non era lui, e forse è l’ultima notte al «Mercato dei Tunisini». Ai cancelli continuano a premere, nessuno che voglia sapere come è morto, tutti che lo vogliono vedere. E la tv Al Arabyia chiude il tg con gli ultimi secondi del rais vivo. I calci, gli sputi, le spinte. E una pistola che si avvicina alla tempia sinistra.
 
Fonte: http://www3.lastampa.it

venerdì 21 ottobre 2011

LA BIOGRAFIA DI GHEDDAFI, CHI ERA IL COLONNELLO CHE HA GOVERNATO PER 42 ANNI LA LIBIA? GHEDDAFI E' STATO CATTURATO E BARBARAMENTE UCCISO DAI JIHADISTI SEDICENTI "FALSI" RIBELLI, IN REALTA' TUTTI ARMATI DA AL-QAEDA E DAGLI ESTREMISTI ISLAMICI! SARKOZY E' STATO IL PRIMO COMPLICE DI QUESTO CRIMINE, QUESTO SCEMPIO CHE E' STATA LA GUERRA IN LIBIA: DECINE E DECINE DI MILIAIA DI MORTI E FERITI, TRA CUI POLITICI, CIVILI E MILITARI, CASE E CITTA' SEMI-DISTRUTTE, STATO SOCIALE DEMOLITO! TUTTO PER IL PETROLIO, E PER IL PETROLIO HANNO AIUTATO INDIRETTAMENTE I TERRORISTI ISLAMICI DI AL-QAEDA AD INFILTRARSI IN LIBIA DOVE PRIMA CON GHEDDAFI ERANO BANDITI! ONORE AL COLONNELLO, AL SUO CORAGGIO, PACE ALLA SUA ANIMA, SPERANDO CHE LA GUERRA OGGI FINISCA VERAMENTE E DEFINITIVAMENTE!!! (Contenuto esplicito!)

GHEDDAFI
Muʿammar Abū Minyar ʿAbd al-Salām al-Qadhdhāfī (in arabo: معمر القذافي‎, Muʿammar al-Qadhdhāfī ascolta[?·info]), spesso semplificato in italiano come Muammar Gheddafi, (Sirte, 7 giugno 1942Sirte, 20 ottobre 2011) è stato un militare e politico libico.
Di fatto è stato, per oltre un quarantennio, la massima autorità del proprio paese, fino alla sua deposizione, ancora non ufficializzata, da parte del Consiglio nazionale di transizione (CNT) durante la Guerra civile libica del 2011; questo pur non avendo mai ricoperto stabilmente alcun incarico ufficiale ma essendosi fregiato soltanto del titolo onorifico di Guida e Comandante della Rivoluzione della Grande Jamāhīriyya Araba Libica Popolare. Gheddafi è stato infatti la guida ideologica del colpo di stato militare che il 1º settembre 1969 portò alla caduta della monarchia (accusata di essere filo-occidentale) del Re Sayyid Hasan I di Libia.

Origini e infanzia

Nasce a Sirte, che al tempo è parte della provincia italiana di Misurata, in una famiglia islamica di cui però non si conosce molto. Al riguardo, nel 2009, un'anziana signora israeliana di origine libica, tal Rachel Tammam, ha affermato che Gheddafi avrebbe anche una discendenza ebraica in quanto figlio di sua zia Razale Tammam (un'ebrea di Bengasi che, poco dopo la maggiore età, avrebbe sposato un uomo musulmano, scontrandosi contro la volontà del padre)[1]; questa voce relativa alle possibili origini ebraiche del leader libico, che ha circolato ormai da tempo, non è però mai stata dimostrata in modo inequivocabile dagli storici, dando adito al dubbio che si tratti di una pura e semplice fantasia.
All'età di sei anni Gheddafi rimane coinvolto in un incidente, durante il quale perde due suoi cugini e rimane ferito ad un braccio, a causa dell'esplosione di una mina risalente al periodo bellico[2]. Tra il 1956 e il 1961 frequenta la scuola coranica di Sirte, in cui viene a contatto con le idee panarabe di Gamal Abd el-Nasser e alle quali aderisce con entusiasmo. Nel 1968 decide di iscriversi all'Accademia Militare di Bengasi. Una volta concluso il corso e dopo un breve periodo di specializzazione in Gran Bretagna, comincia la propria carriera nell'esercito ricevendo la nomina al grado di capitano all'età di 27 anni.
Insoddisfatto del governo guidato dal re Idris I, giudicato da Gheddafi e da altri ufficiali troppo servile nei confronti di Stati Uniti e Francia, il 26 agosto del 1969 si pone alla guida del colpo di Stato organizzato contro il sovrano, che porta, il 1º settembre dello stesso anno, alla proclamazione della Repubblica, guidata da un Consiglio del Comando della Rivoluzione composto da 12 militari di tendenze panarabe filo-nasseriane (i cosiddetti "Liberi Ufficiali Unionisti": in arabo: الضباط الوحدويين الأحرار , al-Ḍubbāṭ al-waḥdawiyyīn al-aḥrār ). Gheddafi, che nel frattempo si è autopromosso al grado di colonnello e si è messo a capo di tale Consiglio, instaura in Libia un regime che, progressivamente, si trasforma in una vera e propria dittatura.

Anni sessanta, settanta e ottanta

La bandiera nazionale della Libia, in uso dal 1977 al 2011 e ancora utilizzata dai lealisti di Gheddafi. Tra il 1969 e il 1977 Gheddafi aveva adottato lo stesso vessillo tricolore dell'Egitto di Nasser. Poi, negli anni in cui si preparano gli Accordi di Camp David che portano alla firma da parte di Sadat della pace tra Egitto ed Israele, come forma di protesta e disprezzo nei confronti del governo egiziano, adotta un vessillo completamente verde.




Una volta al potere, Gheddafi fa approvare dal Consiglio una nuova costituzione e abolisce le elezioni e tutti i partiti politici. La Libia (chiamata per volere di Gheddafi Jamāhīriyya, neologismo coniato per l'occasione a partire dal termine arabo jumhūr, il cui plurale jamāhīr significa "masse") non si può infatti considerare una democrazia, non essendovi concesse molte libertà politiche (tra cui, per esempio, il multipartitismo). La politica della prima parte del governo Gheddafi viene definita dai suoi sostenitori una "terza via" rispetto al comunismo e al capitalismo, nella quale cerca di coniugare i principi del panarabismo con quelli della socialdemocrazia. Gheddafi decide di esporre le proprie visioni politiche e filosofiche nel suo Libro verde (esplicito ammiccamento al Libretto rosso di Mao Tse-tung), che pubblica nel 1976.
In nome del Nazionalismo arabo, decide di nazionalizzare la maggior parte delle proprietà petrolifere straniere, di chiudere le basi militari statunitensi e britanniche, in special modo la base "Wheelus", ridenominata "ʿOqba bin Nāfiʿ" (dal nome del primo conquistatore arabo-musulmano delle regioni nordafricane) e di espropriare tutti i beni delle comunità italiana ed ebraica, espellendole dal paese.
Infatti, proprio fra le primissime iniziative del regime di Gheddafi, c'è l'adozione di misure sempre più restrittive nei confronti della popolazione italiana che era rimasta a vivere in quella che era stata la ex-colonia, limitazioni che culminano con il decreto di confisca del 21 luglio 1970 emanato per "restituire al popolo libico le ricchezze dei suoi figli e dei suoi avi usurpate dagli oppressori". Gli italiani vengono pertanto privati di ogni loro bene, compresi i contributi assistenziali versati all'INPS e da questo trasferiti, in base ad un accordo, all'istituto libico corrispondente, e sono sottoposti a progressive restrizioni che culminano con la costrizione a lasciare il Paese entro il 15 ottobre del 1970[3]. Dal 1970, ogni 7 ottobre in Libia si celebra il “Giorno della vendetta”, in ricordo del sequestro di tutti i beni e dell'espulsione di 20.000 italiani.
In politica estera, il regime libico diventa finanziatore dell'OLP di Yasser Arafat nella sua lotta contro Israele, inoltre, si fa spesso propugnatore di un'unione politica tra i tanti Stati islamici dell'Africa, caldeggiando in particolare, nei primi anni settanta, un'unione politica con la Tunisia; la risposta negativa dell'allora presidente tunisino Bourguiba fa però tramontare questa ipotesi. Sempre nel medesimo periodo, e per molti anni successivi, Gheddafi è uno dei pochissimi leader internazionali che continuano a sostenere i dittatori Idi Amin Dada e Bokassa (quest'ultimo però soltanto nel periodo in cui si dichiarò musulmano), mentre non verrà mai dimostrato un suo coinvolgimento nella misteriosa scomparsa in Libia, nel 1978, dell'Imam sciita Musa al-Sadr (di cui non apprezza i tentativi di pacificazione del Libano) e neppure il suo fattivo sostegno al combattente palestinese Abu Nidal e alla sua organizzazione para-militare, organizzatori, tra l'altro, della Strage di Fiumicino nel 1985. In quest'ultimo caso la Libia smentisce ogni suo coinvolgimento ma non manca di rendere ufficialmente onore ai terroristi attori di tale attentato.
Dal 16 gennaio 1970 al 16 luglio 1972 Gheddafi è anche, ad interim, primo ministro della Libia, prima di lasciare il posto a ʿAbd al-Salām Jallūd. Nel 1977, grazie ai maggiori introiti derivanti dal petrolio, il regime decide di effettuare alcune opere a favore della propria nazione, come la costruzione di strade, ospedali, acquedotti ed industrie. Proprio sull'onda della popolarità di tale politica, nel 1979, Gheddafi rinuncia a ogni carica ufficiale, pur rimanendo l'unico vero leader del paese, serbandosi il solo l'appellativo onorifico di "Guida della Rivoluzione".
Negli anni ottanta avviene un'ulteriore radicalizzazione nelle scelte di politica internazionale. La sua ideologia anti-israeliana e anti-americana lo porta a sostenere gruppi terroristi, quali ad esempio l'IRA irlandese e il Settembre Nero palestinese. Viene anche accusato dall'Intelligence statunitense di essere l'organizzatore degli attentati in Sicilia, Scozia e Francia, anche se per questi atti si è sempre proclamato estraneo. Si rende, altresì, sicuramente responsabile del lancio di due missili SS-1 Scud contro il territorio italiano di Lampedusa, come rappresaglia per il bombardamento della Libia da parte degli Stati Uniti nell'operazione El Dorado Canyon. I missili fortunatamente non provocano danni, cadendo in acqua a 2 km dalle coste siciliane.
Il suo regime, pertanto, diviene il nemico numero uno degli Stati Uniti d'America ed è progressivamente emarginato dalla NATO. Questa tensione prelude, il 15 aprile 1986, al blitz militare sulla Libia per volere del presidente statunitense Ronald Reagan: un massiccio bombardamento ferisce mortalmente la figlia adottiva di Gheddafi, ma lascia indenne il colonnello, che poi si scoprirà essere stato preventivamente avvertito delle intenzioni statunitensi da Bettino Craxi, allora Presidente del Consiglio italiano[4].
Il 21 dicembre del 1988 esplode un aereo passeggeri sopra la cittadina scozzese di Lockerbie, dove periscono tutte le 259 persone a bordo oltre a 11 cittadini di Lockerbie. Prima dell'11 settembre 2001, questo è l'attacco terroristico più grave mai avvenuto. L'ONU attribuisce alla Libia la responsabilità dell'attentato aereo, chiedendo al governo di Tripoli l'arresto di due suoi cittadini accusati di esservi direttamente coinvolti. Al netto e insindacabile rifiuto di Gheddafi, le Nazioni Unite approvano la Risoluzione 748, che sancisce un pesante embargo economico contro la Libia, la cui economia si trova già in fase calante. Solo nel 1999, con la decisione da parte libica di cambiare atteggiamento nei confronti della comunità internazionale, Tripoli accetta di consegnare i sospettati di Lockerbie: Abdelbaset ali Mohamed al-Megrahi viene condannato all'ergastolo nel gennaio 2001 da una corte scozzese, mentre al-Amin Khalifa Fhimah viene assolto[5]. Nel febbraio 2011, intervistato dal quotidiano svedese Expressen, l'ex ministro della giustizia Mustafa Abd al-Jalil ha ammesso le responsabilità dirette del colonnello Gheddafi nell'ordinare l'attentato del 1988 al Volo Pan Am 103[6][7]

Dal 1990 a oggi

A partire dai primi anni novanta, Gheddafi decide un ulteriore cambiamento del ruolo del suo regime all'interno dello scacchiere internazionale; condanna l'invasione dell'Iraq ai danni del Kuwait nel 1990 e successivamente sostiene le trattative di pace tra Etiopia ed Eritrea. Quando anche Nelson Mandela fa appello alla "Comunità Internazionale", a fronte della disponibilità libica di lasciar sottoporre a giudizio gli imputati libici della strage di Lockerbie e al conseguente pagamento dei danni provocati alle vittime, l'ONU decide di ritirare l'embargo alla Libia (primavera del 1999).
Nei primi anni duemila, proprio questi ultimi sviluppi della politica libica, portano Gheddafi ad un riavvicinamento agli USA e alle democrazie europee, con un conseguente allontanamento dall'integralismo islamico. Grazie a questi passi il presidente statunitense George W. Bush decide di togliere la Libia dalla lista degli Stati Canaglia (di cui fanno parte Iran, Siria e Corea del Nord) portando al ristabilimento di pieni rapporti diplomatici tra Libia e Stati Uniti.
Nel 2004, il Mossad, la CIA e il Sismi individuano una nave che trasporta la prova che il regime libico sia in possesso di un arsenale di armi di distruzione di massa. Invece di rendere pubblica la scoperta e sollevare uno scandalo, Stati Uniti e Italia pongono a Gheddafi un ultimatum che viene accettato.[8]
Gli anni 2000 vedono Gheddafi protagonista, assieme a Silvio Berlusconi, del riavvicinamento tra Italia e Libia, sancito da diverse visite ufficiali del capo libico in Italia e del presidente del consiglio italiano in Libia.

Guerra civile del 2011, la cattura e la morte

Nel 2011, il procuratore del Tribunale Penale Internazionale, Luis Moreno Ocampo, chiede alla corte penale l'incriminazione di Gheddafi per crimini contro l'umanità, insieme al figlio Sayf al-Islām Gheddafi e al capo dei servizi segreti libici Abd Allah al-Sanussi[9]. La richiesta di incriminazione nasce dalle prove raccolte sui comportamenti messi in atto per la repressione della rivolta libica del 2011[9].
Il 20 ottobre 2011 la tv degli Emirati Arabi Al Arabiya annuncia la cattura e la successiva uccisione di Gheddafi da parte di militanti del Consiglio nazionale di transizione durante uno scontro a fuoco. Oltre a lui giunge subito la notizia dell'uccisione anche del figlio Mu'tasim (Mutassim per buona parte della stampa). Successivamente all'evento, il cadavere del colonnello sarebbe stato subito trasportato a Misurata e la Guerra civile libica sembrerebbe giunta al suo epilogo. Stando alle notizie di fonte giornalistica, Gheddafi sarebbe stato ferito alle gambe e si sarebbe nascosto in un rifugio sotterraneo e, prima di morire, avrebbe inutilmente chiesto agli assalitori di non sparare, prima di essere raggiunto da un gran numero di colpi al petto e alle gambe.[10][11]

Vita personale

La prima moglie di Gheddafi, Fātiḥa, è un'insegnante, sposata nel 1969. Cronache del tempo raccontano come i due non si fossero mai incontrati prima della data dello sposalizio. Dalla loro unione nasce un solo figlio e, dopo sei mesi di matrimonio, Gheddafi decide di separarsi per sposare la seconda moglie Safia Farkash, nata al-Brasai ed ex-infermiera di origini ungheresi (Farkas in ungherese vuol dire lupo ed è un cognome assai diffuso); i due si conoscono in Bosnia, a Mostar, città di origine della donna dove la famiglia si era trasferita ai tempi in cui il nonno di lei era direttore scolastico[12].
Gheddafi ha avuto 8 figli: Muhammad (1971), Sayf al-Islam (1972), Saadi (1973), Hannibal (1975), l'unica femmina Aisha (1977), Mutassim (1977-2011), Saif al-Arab (1982-2011), Khamis (1983-2011).
Il figlio maggiore è Muhammad al-Qadhdhāfī, l'unico nato dalla sua prima moglie Fatiha; ricopre la carica di presidente del Comitato Olimpico Nazionale ed è presidente di Libyana, una dei due operatori di telefonia mobile posseduta dalla General Post and Telecommunication Company. Il secondogenito è Sayf al-Islam al-Qadhdhāfī, nato nel 1972 dall'attuale moglie e ritenuto colui che sarebbe dovuto diventare il delfino del colonnello. Architetto, collaboratore politico del padre dopo esserne stato designato erede alla presidenza nel 1995, nel 2006, avendo criticato il regime del padre, con la richiesta di attuare riforme in senso democratico, cade momentaneamente in disgrazia e va a vivere all'estero, a Londra, dove consegue un master presso la London School of Economics (Lse) con una tesi, che poi si scopre essere stata copiata, inerente alla natura anti-democratica della governance globale. Ritorna in Libia insediandosi inizialmente alla presidenza della Fondazione caritatevole di famiglia ma, nonostante nel 2008 dichiari di non volere avvicendare il padre nella guida del paese, ritorna a ricoprire via via incarichi sempre più importanti all'interno del regime fino al 2011, quando gli viene dato il compito di portavoce del regime e di lavorare alla realizzazione di una nuova costituzione.
Il terzogenito è il figlio maschio al-Saʿādī al-Qadhdhāfī, sposato con la figlia di un generale dell'esercito libico e, visto il suo principale interesse per il calcio (ha giocato con scadenti risultati in Serie A con il Perugia, esordendo in un incontro contro la Juventus, e ha militato, sempre in Serie A, anche con l'Udinese e la Sampdoria), responsabile della Federazione Calcistica Libica. Il quartogenito è Hānnībāl al-Qadhdhāfī, incaricato alla gestione dell'export del petrolio libico, si rende protagonista di alcuni incidenti in Italia (dove ha aggredito nel 2001 tre agenti di polizia), Francia (dove ha aggredito una ragazza a Parigi) e Svizzera. In quest'ultimo paese viene anche arrestato per aver aggredito due camerieri alle sue dipendenze a Ginevra, causando un grave conflitto diplomatico-economico-politico tra Berna e la Libia[13] (→ Crisi diplomatica fra Libia e Svizzera).
Il quintogenito è al-Muʿtaṣim bi-llāh al-Qadhdhāfī (spicciativamente chiamato Mutassim o Motassim Gheddafi), ritenuto confidente del padre e unica seria alternativa a Sayf al-Islam al-Qadhdhāfī per la successione. Alcune voci però lo descrivono coinvolto in un tentativo di colpo di Stato contro il padre e in una successiva sua fuga in Egitto. Dopo qualche anno di esilio gli viene però concesso di rientrare in Libia, dove diventa consigliere per la sicurezza nazionale e comandante di un'unità speciale dell'Esercito. Il sesto figlio è Sayf al-ʿArab al-Qadhdhāfī, studia a Monaco di Baviera presso la Technische Universität (dove nel 2008 si narra che la polizia tedesca gli sequestra l'automobile a seguito di gravi infrazioni). Nel 2011, viene nominato a capo di alcune milizie dell'esercito libico durante le ribellioni. Viene dichiarato morto da alcune fonti il 30 aprile 2011, a causa di un bombardamento NATO.
Il settimo figlio è Khamīs al-Qadhdhāfī, molto fedele al padre, anche lui ufficiale dell'esercito libico. Si narra che a tre anni, nel 1986, durante il blitz americano su Tripoli a cui Gheddafi riesce a scampare, viene ferito. Si laurea prima presso l'accademia militare di Tripoli, ottenendo un diploma in arte e scienza militare, in seguito all'Accademia Militare di Mosca e all'Accademia di Stato Maggiore dell'Accademia delle Forze Armate della Federazione Russa. Dall'aprile 2010 si iscrive ad un master in economia presso la IE Business School di Madrid, venendone però successivamente espulso nel marzo 2011 a causa dei "suoi collegamenti agli attacchi contro la popolazione libica". La guerra civile libica infatti, durante la quale viene soprannominato "Mu'ammar il giovane" dai propri miliziani e "macellaio" dai rivoltosi di Bengasi, lo vede al comando delle brigate che sparano per reprimere le prime rivolte scoppiate il 17 febbraio in Cirenaica. Viene più volte dato per morto a seguito di un bombardamento NATO su Tripoli.
Unica figlia, prediletta dal padre, è ʿĀʾisha al-Qadhdhāfī, un'avvocato che ha difeso anche Saddam Hussein e il giornalista iracheno Muntazar al-Zaydi. Gheddafi ha adottato anche due bambini, Hanna e Milad. Hanna, data per uccisa durante il bombardamento statunitense del 1986, compare insieme a lui in un filmato, probabilmente del 1988, e sarebbe ancora viva, come testimoniato da alcune foto rinvenute nella residenza-bunker di Gheddafi, e da non meglio precisate testimonianze.

A proposito del nome

Il sottostante schema riproduce le diverse possibilità di scrivere il suo nome, nel rispetto talora della realtà grafica e altre volte di quella fonetica. Per le trascrizioni sono indicate anche le differenti modalità delle diverse lingue neo-latine di riprodurre i fonemi arabi originari.




{\color{OliveGreen}M
\begin{cases}u\\o\end{cases}
\begin{cases}\varnothing\\u\end{cases}
a
\begin{cases}mm\\m\end{cases}
\begin{cases}a\\e\end{cases}
r}
{\color{MidnightBlue}\begin{cases}al\\el\\Al\\El\\\varnothing\end{cases}
\begin{cases}-\\\textvisiblespace\\\varnothing\end{cases}}
{\color{RedViolet}\begin{cases}Q\\G\\Gh\\K\\Kh\end{cases}
\begin{cases}a\\e\\u\end{cases}
\begin{cases}d\\dh\\dd\\ddh\\dhdh\\dth\\th\\zz\end{cases} 
a
\begin{cases}f\\f\!f\end{cases}
\begin{cases}i\\y\end{cases}}

Opere

I, La soluzione del problema della democrazia. Il potere del popolo, Milano, Mursia, 1977.
II, La soluzione del problema economico. Il socialismo, Palermo, Palumbo, 1978.

Onorificenze



Gran Maestro dell'Ordine della Repubblica




Gran Maestro dell'Ordine del Coraggio


Gran Maestro dell'Ordine del Jihad - nastrino per uniforme ordinaria Gran Maestro dell'Ordine del Jihad




Gran Maestro dell'Ordine del Grande Conquistatore




Ordine di Bogdan Chmel'nyc'kyj (I classe) - Ucraina

— Kiev

Ordine della Grande Stella - Jugoslavia - nastrino per uniforme ordinaria Ordine della Grande Stella - Jugoslavia

— Belgrado, 27 ottobre 1999

Collare dell'Ordine del Liberatore - Venezuela - nastrino per uniforme ordinaria Collare dell'Ordine del Liberatore - Venezuela

— Isola Margarita, 28 settembre 2009

Ordine della Buona Speranza - Sud Africa - nastrino per uniforme ordinaria Ordine della Buona Speranza - Sud Africa

— Zawara, 28 ottobre 1997

"Victoire historique" Medal

— 7 ottobre 2008

Medaille de l'Afrique

— 14 febbraio 2009

Medaille de l'Afrique

— 10 febbraio 2004
Compagno Onorario d'Onore con Collare dell'Ordine Nazionale di Merito - Malta - nastrino per uniforme ordinaria Compagno Onorario d'Onore con Collare dell'Ordine Nazionale di Merito - Malta

— 8 febbraio 2004
Predecessore: Capo del Comando del Consiglio Rivoluzionario Successore:
Idris I di Libia (come re) 1º settembre 1969 - 2 marzo 1977 Mu'ammar Gheddafi (come Presidente)
Predecessore: Presidente della Libia Successore:
Mu'ammar Gheddafi (come Capo del Comando del Consiglio Rivoluzionario) 2 marzo 1977 - 2 marzo 1979 Mu'ammar Gheddafi (come Guida della Rivoluzione Libica)
Predecessore: Guida della Rivoluzione Libica Successore:
Mu'ammar Gheddafi (come Presidente) 2 marzo 1979 - 20 ottobre 2011 Mustafa Abd al-Jalil (come Segratario Generale del CNT)
Predecessore: Primo ministro della Libia (ad interim) Successore:
Mahmud Sulayman al-Maghribi 16 gennaio 197016 luglio 1972 ʿAbd al-Salām Jallūd
Predecessore: Presidente dell'Unione Africana Successore:
Jakaya Mrisho Kikwete dal 2 febbraio 2009 al 31 gennaio 2010 Bingu wa Mutharika

Note

Altri progetti

Fonte: http://it.wikipedia.org

ITALIA-CINA

ITALIA-CINA
PER L'ALLEANZA, LA COOPERAZIONE, L'AMICIZIA E LA COLLABORAZIONE TRA' LA REPUBBLICA ITALIANA E LA REPUBBLICA POPOLARE CINESE!!!