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lunedì 30 settembre 2024

#ACCADDEOGGI ESATTAMENTE 49 ANNI FA: IL MASSACRO DEL CIRCEO! 29 E 30 SETTEMBRE 1975!


#accaddeoggi esattamente 49 anni fa: nella notte tra il 29 e #30settembre 1975, in provincia di #Roma, ci fu il famoso e crudele #massacrodelcirceo! Il massacro del Circeo (detto anche delitto del Circeo) è un caso di rapimento, stupro e omicidio avvenuto nel comune italiano di San Felice Circeo, provincia di Latina (sul litorale pontino, nella zona dell'omonimo promontorio sul mar Tirreno) tra il 29 e il 30 settembre 1975. Le vittime furono due giovani amiche, Donatella Colasanti (Roma, 1958-2005) e Rosaria Lopez (Roma, 1956-1975), che furono attirate con l'inganno da Gianni Guido, Angelo Izzo e Andrea Ghira in una villa di proprietà della famiglia di quest'ultimo, col pretesto di una festa, e lì stuprate e poi torturate allo scopo di ucciderle. Rosaria morì e Donatella riuscì a sopravvivere. Per approfondire: https://it.m.wikipedia.org/wiki/Massacro_del_Circeo #cronacanera #stupro #omicidio👆 #noir #misteriitaliani 👈

giovedì 9 maggio 2024

ACCADDE OGGI ESATTAMENTE 46 ANNI FA: IL SEQUESTRO DI ALDO MORO!

ACCADDE OGGI ESATTAMENTE 46 ANNI FA: LE BRIGATE ROSSE SEQUESTRANO IL PRESIDENTE DELLA DEMOCRAZIA CRISTIANA ALDO MORO! PER APPROFONDIRE: https://it.m.wikipedia.org/wiki/Caso_MoroSequestro Aldo Moro 9 Maggio 1978

giovedì 1 marzo 2018

PIETRO GRASSO DI "LIBERI E UGUALI" VORREBBE FARE UNA CONFERENZA INVITANDO IN PARLAMENTO DUE EX-BRIGATISTI CHE NEGLI ANNI DI PIOMBO FURONO PROTAGONISTI ANCHE DEL RAPIMENTO DI ALDO MORO (DC) VOTARE PD IL 4 MARZO SIGNIFICA VOTARE ANCHE CONTRO TUTTI I TERRORISMI, A 40 ANNI DAL L'UCCISIONE DI ALDO MORO, GRASSO HA FATTO UNA BRUTTA CADUTA DI STILE!!!

MATTEO RENZI -
SEGRETARIO NAZIONALE
DEL PARTITO DEMOCRATICO
 
La denuncia arriva da Paolo Bolognesi, deputato Pd, presidente dell’Associazione 2 agosto 1980, dell’Unione vittime per stragi e componente della Commissione d’inchiesta Moro: il Senato si preparerebbe ad ospitare un convegno con due ex brigatisti rossi, alla presenza della seconda carica dello Stato e del Guardasigilli. I due terroristi sono nomi di primo piano delle Brigate Rosse, Adriana Faranda e Franco Bonisoli, entrambi protagonisti di diverse azioni ma soprattutto del sequestro e dell’uccisione di Aldo Moro. Bolognesi fa riferimento alla presentazione de Il libro dell’incontro, prevista nei prossimi giorni, alla presenza, tra gli altri, degli ex brigatisti  e delle citate alte cariche istituzionali, Grasso e Orlando, “di cui – dice –  sono previsti saluti introduttivi e conclusioni e che hanno messo a disposizione una sede del Senato. «Un semplice cittadino, nell’ambito personale, può parlare di libri con chi vuole – afferma Bolognesi – ma quando sono le alte cariche dello Stato a sostenere dei terroristi che fino ad oggi hanno mentito, e continuano a mentire, sul sequestro e l’uccisione di Aldo Moro e spacciato la balla della comoda giustizia riparativa omettendo però fatti molto gravi che in Commissione stiamo appurando, è una inaccettabile offesa istituzionale nei confronti dei familiari delle vittime che rappresento e della verità sulla storia del nostro Paese».

I due ex Br già protagonisti di un altro “incidente” con i magistrati

Nel febbraio del 2016 la Scuola della magistratura aveva deciso di annullare l’incontro, nell’ambito di un corso di formazione per i giudici, al quale avrebbe dovuto partecipare proprio gli ex brigatisti rossi Adriana Faranda e Franco Bonisoli. Il Comitato direttivo della Scuola aveva preso atto “delle posizioni espresse, anche con dolore, da numerosi magistrati e familiari delle vittime -sull’inopportunità di coinvolgere nella formazione della Scuola, persone condannate per gravissimi reati di terrorismo”. 

Chi sono i due ex brigasti Bonisoli e Franata

Franco Bonisoli, membro della direzione strategica delle Brigate Rosse e del Comitato esecutivo, conosciuto con il “nome di battaglia” di “Luigi”, parteciò a diverse azione delle brigare rosse, tra cui il ferimento di Indro Montanelli e il sequestro dell’onorevole Aldo Moro. Nell’agguato di via Fani Bonisoli faceva parte del gruppo di fuoco travestito da aviere: armato di un mitra FNA-B Mod.43 ebbe il compito di neutralizzare l’Alfetta di scorta. Condannato all’ergastolo nel processo romano Moro-Uno del 24 gennaio 1983, si dissociò durante la detenzione dalla lotta armata e attualmente fruisce di un regime di semilibertà.
Adriana Faranda, dopo aver militato in alcune formazioni minori di lotta armata attive a Roma, entrò a far parte delle Brigate Rosse, insieme al suo compagno Valerio Morucci, nell’autunno 1976, dirigendo la colonna romana e svolgendo un ruolo importante durante il sequestro Moro. Si distaccò dalle Brigate Rosse per contrasti sulle scelte strategiche dell’associazione terroristica nel gennaio 1979. Si è dissociata dal terrorismo beneficiando delle riduzioni di pena.
 

lunedì 9 febbraio 2009

Caso Battisti: il terrorista "rosso" verso l'estradizione dal Brasile???

Per la stampa brasiliana e' l'orientamento di 5 giudici su 8 (ANSA) - BRASILIA, 9 FEB - La maggioranza dei membri della Corte Costituzionale brasiliana propenderebbe per l'estradizione dell'ex terrorista Cesare Battisti. Secondo la stampa brasiliana, cinque dei membri dell' Stf propendono ormai a favore dell'estradizione, mentre tre voteranno contro. La decisione sarebbe comunque ancora passibile di numerosi ricorsi. Il calcolo non tiene conto del presidente del Supremo Tribunal, Gilmar Mendes, che non ha espresso finora la sua posizione.


Fonte: http://www.ansa.it/

domenica 15 giugno 2008

LA LOGGIA P2 DI LICIO GELLI...

La loggia massonica Propaganda Due, più nota come P2, già appartenente al Grande Oriente d'Italia, nata per reclutare nuovi adepti alla causa massonica con evidenti fini di sovversione dell'assetto socio-politico-istituzionale, è stata una loggia "coperta", cioè segreta; questa circostanza, insieme alla caratteristica di riunire - appunto in segreto - circa mille personalità di primo piano, principalmente della politica e dell'Amministrazione dello Stato italiano, suscitò uno dei più gravi scandali della storia recente della Repubblica Italiana.
La complessità e la vastità delle implicazioni del "caso P2" furono tali che ne scaturirono leggi speciali, emanate allo scopo di arginare le associazioni segrete, nel rispetto dell'articolo 18 della Costituzione.
La loggia Propaganda, così si chiamava in origine, fu istituita nel 1877 dal Gran maestro Giuseppe Mazzoni, ma fu Adriano Lemmi (Gran maestro dal 1885 al 1895) a darle prestigio, riunendo al suo interno deputati, senatori e banchieri del Regno di Italia.
Nel 1893 scoppiò lo scandalo della Banca Romana che mise alla luce gravi irregolarità amministrative commesse da numerosi banchieri italiani, molti dei quali legati alla loggia Propaganda. In seguito allo scandalo, questa venne ridimensionata e marginalizzata. Dopo la Prima guerra mondiale, la massoneria italiana sosterrà il fascismo, pur disapprovando lo squadrismo, almeno fino al febbraio 1923, quando il Gran Consiglio del Fascismo dichiarerà l’incompatibilità tra fascismo e massoneria.
Due anni dopo le leggi fasciste aboliranno le libertà di stampa e di associazione, costringendo il Gran maestro della loggia Propaganda, Domizio Torrigiani, a firmare il decreto di scioglimento. La Liberazione sancì la rinascita della loggia Propaganda, seppur con qualche cambiamento: prese il nome "Propaganda 2" per ragioni di numerazione delle logge italiane imposte dal Grande Oriente d'Italia e venne riorganizzata sotto l’influenza della massoneria americana.
La relazione della Commissione parlamentare P2, firmata da Tina Anselmi, mette in luce la persona che mise in stretto legame la massoneria italiana e americana: il reverendo Frank Gigliotti, già agente della sezione italiana dell’OSS, in seguito agente CIA e responsabile, tra gli altri, della riorganizzazione della mafia in Italia. [1]
Nel 1969 fu chiesto all'allora sconosciuto Licio Gelli (entrato nella massoneria solo nel 1965) di operare per la unificazione delle varie comunità massoniche, secondo l'indirizzo ecumenico proprio della gran maestranza di Gamberini, che operava sia per la riunificazione con la comunione di Piazza del Gesù, sia per far cadere le preclusioni esistenti con il mondo cattolico (dal testo della commissione Anselmi) e un anno dopo Lino Salvini (succeduto da poco a Giordano Gamberini come Gran Maestro del Grande Oriente d'Italia) gli delegava la gestione della Loggia P2, conferendogli altresì la facoltà di iniziare nuovi iscritti (funzione che tradizionalmente fino ad allora era prerogativa solo del Gran Maestro e dei Maestri Venerabili o di chi aveva in passato ricoperto tali cariche). Durante l'ultimo periodo alla guida del GOI Gamberini fece entrare nell'ordine numerosi militari, che gli furono segnalati da Gelli.
Gelli era un piccolo imprenditore toscano che in passato si era schierato sia col fascismo (tanto da andare a combattere come volontario nella Guerra Civile Spagnola e da essere poi agente di collegamento con i nazisti durante l'occupazione della Jugoslavia), sia con l'antifascismo (in particolare organizzò la fuga dei partigiani dal carcere delle Ville Sbertoli in collaborazione col partigiano Silvano Fedi). Gelli godeva inoltre di profonde aderenze presso la "corte" del generale argentino Juan Domingo Perón: una famosa fotografia lo ritrae alla Casa Rosada insieme al presidente ed a Giulio Andreotti.
Per ragioni sconosciute la carriera di Licio Gelli all'interno della loggia P2 fu rapidissima. Gelli, una volta preso il potere al vertice della Loggia, la trasformò in un punto di raccolta di imprenditori e funzionari statali di ogni livello (fra quelli alti), con una particolare predilezione per gli ambienti militari.
Nel 1970 Licio Gelli e la P2 presero parte al Golpe Borghese, come descritto nel dossier del SID consegnato incompleto da Andreotti nel 1974 alla magistratura romana (erano state omesse alcune parti e riferimenti perché, a detta di Andreotti, avrebbero causato un terremoto politico per via dei nomi implicati). Tale dossier venne reso pubblico nella versione integrale solo nel 1991; le parti cancellate includevano il nome di Giovanni Torrisi, successivamente Capo di Stato Maggiore della Difesa tra il 1980 e il 1981, e i nomi e la compartecipazione della P2 e di Licio Gelli. Quest'ultimo si sarebbe dovuto occupare nientemeno che del rapimento dell'allora Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat.
Il 19 giugno del 1971 Salvini pose di fatto Gelli a capo della loggia P2, inizialmente con la carica di "segretario organizzativo". Sempre nel 1971, Salvini decise la fondazione di un'altra loggia coperta, la loggia P1, che doveva essere più elitaria e selettiva della loggia P2 e limitata a persone che fossero impiegate nella gestione dello stato, in cui Gelli dopo poco tempo ricoprirà il ruolo di Primo Sorvegliante.
Nel 1973, come nei progetti del precedente Gran Maestro Gamberini, si riunificarono le due famiglie massoniche di "Piazza Giustiniani" e quella di "Piazza del Gesù" (quest'ultima nata da una scissione negli anni 60 avvenuta nella Serenissima Gran Loggia d'Italia), guidata da Francesco Bellantonio, un ex funzionario dell'ENI e parente di Michele Sindona. Come conseguenza di questa riunificazione (che ebbe vita breve, solo 2 anni) la loggia Giustizia e Libertà, loggia "coperta" e quindi anch'essa segreta facente parte del gruppo massonico di "Piazza del Gesù", che contava tra i suoi iscritti politici di tutti gli schieramenti, militari, banchieri (per un breve periodo ne avevano fatto parte personaggi legati al Piano Solo, come il generale Giovanni De Lorenzo e il senatore Cesare Merzagora e risultava iscritto anche Enrico Cuccia), vide molti dei suoi iscritti passare alla P2.
La commissione parlamentare scoprì nelle sue indagini e tramite le dichiarazioni rese da diversi massoni che negli anni vi furono diversi tentativi di ridurre il potere di Gelli all'interno della massoneria, tutti senza esito.
Nel Dicembre 1974, al culmine della strategia della tensione diversi magistrati iniziarono ad occuparsi del "gruppo di Gelli". I Maestri Venerabili riuniti nella Gran Loggia di Napoli decretano lo scioglimento della Loggia P2, ma la decisione rimarrà quasi senza conseguenze. In base ai documenti esaminati dalla commissione Anselmi, il gran Maestro Salvini confiderà in questo periodo ad un confratello di essere stato informato da Gelli sull'eventualità di possibili soluzioni politiche di tipo autoritario. Come conseguenza della votazione dell'anno precedente si avranno forti contrasti tra Gelli e Salvini e il primo nel Marzo 1975, in occasione di un assemblea, produsse prove (secondo alcune ricostruzioni giornalistiche falsi creati appositamente) su presunti reati finanziari compiuti dal gran maestro, ritirando successivamente le accuse; a seguito di questo e con la mediazione di Gamberini il 12 maggio 1975 venne ricostituita una Loggia P2, ufficialmente non "coperta" e con poche decine di affiliati noti che però non dovranno risultare tra gli iscritti del GOI, con Gelli come Maestro Venerabile e che verrà sciolta, su richiesta dello stesso, poco più di un anno dopo, il 26 luglio 1976, anche per la pressione dei media di sinistra e della magistratura (e grazie ad informazioni fatte filtrare dal gruppo dei "massoni democratici" che si opponeva a Gelli all'interno del GOI). Sempre in quel periodo erano divenute sempre più frequenti campagne stampa e indagini che accusavano la loggia e la massoneria di essere legate ad avvenimenti criminali, quali i sequestri di persona, e di avere rapporti con ambienti di estrema destra legati all'eversione nera.
Ufficialmente per il GOI la Loggia P2 era ormai sospesa, ma in pratica questa continuava ad esistere come gruppo gestito direttamente da Gelli, mantenendo comunque rapporti (documentati dalla commissione) con Salvini, Gamberini (che dopo il 1976, nella sua veste di ex Gran Maestro, continuò a celebrare molte iniziazioni per conto della Loggia P2) e gli altri vertici della massoneria.
La commissione Anselmi nella sua relazione parlò a proposito dei rapporti tra Gelli e la massoneria di 'rapporti non chiari di reciproca dipendenza, se non di ricatto, che egli instaurò con i Gran Maestri e con i loro collaboratori diretti' e specificando che:
« Ma al di là dei riferimenti testuali e documentali, pur inequivocabili, da inquadrare peraltro nella assoluta disinvoltura con la quale il Grande Oriente gestiva le procedure, quello che va realisticamente considerato è che non appare assolutamente credibile sostenere che l'attività massiccia di proselitismo portata avanti in questi anni dal Gelli - che coinvolgeva alcune centinaia di persone, per lo più di rango e cultura di livello superiore - sia potuta avvenire frodando allo stesso tempo ed in pari misura il Grande Oriente e gli iniziandi. Né appare dignitosamente sostenibile che tutto ciò si sia verificato senza che il primo venisse mai a conoscenza del fenomeno ed i secondi non venissero mai a sospettare della supposta frode perpetrata a loro danno, consistente nell'affiliazione abusiva ad un ente totalmente all'oscuro di tale procedura.
Sembra invece più ragionevole ritenere che la sospensione decretata nel 1976 rappresentò una più sofisticata forma di copertura, alla quale fu giocoforza ricorrere perché Gelli e la sua loggia costituivano un ingombro non più tollerabile per l'istituzione. Si pervenne così al duplice risultato di salvaguardare nella forma la posizione del Grande Oriente, consentendo nel contempo al Gelli di continuare ad operare in una posizione di segretezza che lo poneva al di fuori di ogni controllo proveniente non solo dall'esterno dell'organizzazione ma altresì da elementi interni. A tal proposito si ricordi che non ultimo vantaggio acquisito era quello di avere eliminato dall'organizzazione il gruppo dei cosiddetti "massoni democratici", avversari di lunga data del Gelli e dei suoi protettori.
Bisogna infatti riconoscere che una spiegazione della Loggia P2, risolta tutta in chiave massonica, non spiega il fenomeno nella sua genesi più profonda e nel suo sorprendente sviluppo successivo. Per rendere esplicita questa affermazione non si può non riconoscere come Licio Gelli appaia, sotto ogni punto di vista, un massone del tutto atipico: egli non si presenta cioè come il naturale ed emblematico esponente di una organizzazione la cui causa ha sposato con convinta adesione, informando le sue azioni, sia pur distorte e censurabili, al fine ultimo della maggior gloria della famiglia; Licio Gelli, in altri termini, non sembra sotto nessun profilo, nella sua contrastata vita massonica, un nuovo Adriano Lemmi, quanto piuttosto un corpo estraneo alla comunione, come iniettato dall'esterno, che con essa stabilisce un rapporto di continua, sorvegliata strumentalizzazione.
Possiamo quindi affermare che tutti gli elementi a nostra disposizione inducono a ritenere come la presenza di Gelli nella comunione di Palazzo Giustiniani appaia come quella di elemento in essa inserito secondo una precisa strategia di infiltrazione, che sembra aver sollevato nel suo momento iniziale non poche perplessità e resistenze nell'organismo ricevente, e che esse vennero superate probabilmente solo grazie all'interessamento dei vertici dell'istituzione i quali, questo è certo, da quel momento in poi appaiono in intrinseco e non usuale rapporto di solidarietà con il nuovo adepto. Questa infiltrazione inoltre fu preordinata e realizzata secondo il fine specifico di portare Licio Gelli direttamente entro la Loggia Propaganda, instaurando un singolare rapporto di identificazione tra il personaggio e l'organismo, il quale ultimo finì per trasformarsi gradualmente in una entità morfologicamente e funzionalmente affatto diversa e nuova, secondo la ricostruzione degli eventi proposta. Quanto detto appare suffragare l'enunciazione dalla quale eravamo partiti, perché il rapporto tra Licio Gelli e la massoneria viene a rovesciarsi in una prospettiva secondo la quale il Venerabile aretino, lungi dal porsi rispetto ad esso in un rapporto di causa ed effetto, come ultimo prodotto di un processo generativo interno di autonomo impulso, assume piuttosto le vesti di elemento indotto, di programmato utilizzatore delle strutture e della immagine pubblicamente conosciuta della comunione, per condurre tramite esse ed al loro riparo quelle operazioni che costituirono l'autentico nucleo di interessi e di attività che la Loggia P2 venne a rappresentare. Quello che per la Commissione è di primario interesse sottolineare è che la massoneria di Palazzo Giustiniani è venuta a trovarsi, nel seguito della vicenda gelliana, nella duplice veste di complice e vittima, essendone inconsapevole la base e conniventi i vertici. Non v'ha dubbio infatti che la comunione di Palazzo Giustiniani in senso specifico e la massoneria in senso lato abbiano negativamente risentito dell'attenzione, tutta di segno contrario, che su di esse si è venuta a concentrare, ma altrettanto indubbio risulta che l'operazione Gelli, sommatoriamente considerata, abbia in quegli ambienti trovato una sostanziale copertura - per non dire oggettiva complicità - senza la quale essa non avrebbe mai potuto essere, non che realizzata, nemmeno progettata. Quando parliamo di complicità - pur sostanziale che sia - non si vuole peraltro fare riferimento soltanto a quella esplicita dei vertici dell'associazione, peraltro espressione elettiva della base degli associati, ma altresì a quella più generale situazione risolventesi in una pratica di riservatezza, sancita dagli statuti, ma ancor più da una concreta tradizione di radicato costume massonico degli affiliati tutti, che ha costituito l'imprescindibile terreno di coltura per l'innesto dell'operazione. Perché certo è che Licio Gelli non ha inventato la Loggia P2, né per primo ha contrassegnato l'organismo con la caratteristica della segretezza, ed altrettanto certo è che non è stato Gelli ad escogitare la tecnica della copertura, ma l'una e l'altra ha trovato funzionanti e vitali nell'ambito massonico: che poi se ne sia impossessato e ne abbia fatto suo strumento in senso peggiorativo, questo è particolare che ci interessa per comprendere meglio Licio Gelli e non la massoneria. Il discorso sui rapporti tra Gelli e la massoneria è approdato a conclusioni che si ritengono sufficientemente stabilite e tali da consentire, a chi ne abbia interesse, di trarre le proprie conclusioni. La situazione che si delinea al termine del lungo processo sin qui ricostruito è pertanto contrassegnata da due connotati fondamentali:
Gelli ha acquisito nella seconda metà degli anni settanta il controllo completo ed incontrastato della Loggia Propaganda Due, espropriandone il naturale titolare e cioè il Gran Maestro;
la Loggia Propaganda Due non può nemmeno eufemisticamente definirsi riservata e coperta: si tratta ormai di una associazione segreta, tale segretezza sussistendo non solo nei confronti dell'ordinamento generale e della società civile ma altresì rispetto alla organizzazione che ad essa aveva dato vita. »
(relazione della Commissione Anselmi)
In questo periodo (1976-1981) la P2 ebbe la massima espansione ed influenza e cominciò ad operare anche all'estero (pare riconosciuto che abbia tentato proselitismo in Uruguay, Brasile, Venezuela, Argentina e in Romania, paesi nei quali avrebbe, secondo alcuni, tentato di influire sulle rispettive situazioni politiche).
Secondo la commissione d'inchiesta la Loggia P2, e Gelli stesso, goderono di una sorta di cordone sanitario informativo posto dai Servizi a tutela ed a salvaguardia del Gelli e di quanto lo riguarda, partendo dal 1950 (in cui venne segnalato ai servizi il rapporto "Cominform", a cui però non seguirono indagini), che permisero al gruppo di agire indisturbatamente, arrivando alla conclusione che Gelli stesso facesse parte dei servizi segreti:
« Tra le varie spiegazioni possibili di tale costante atteggiamento scartata quella della Inefficienza dei Servizi perché palesemente non proponibile - non rimane altra conclusione che quella di riconoscere che il Gelli è egli stesso persona di appartenenza ai Servizi, poiché solo ricorrendo a tale ipotesi trova logica spiegazione la copertura di questi assicurata al Gelli in modo sia passivo, non assumendo informazioni sull'individuo, sia attivo, non fornendone all'autorità politica che ne fa richiesta. I riscontri forniti e la linea di argomentazione che su di essi abbiamo incentrato, testimoniano in modo chiaro l'esistenza di una barriera protettiva posta dei Servizi a tutela di Gelli e della loggia P2 che scatta puntuale di fronte a qualsiasi autorità politica e giudiziaria, che chieda, nell'esercizio delle sue funzioni, ragguagli e delucidazioni su questi argomenti. Abbiamo individuato la ragione profonda di questo comportamento nell'appartenenza di Licio Gelli all'ambiente dei Servizi segreti, ed abbiamo datato questa milizia al 1950, anno di compilazione dell'informativa COMINFORM. Le conseguenze di tale affermazione sono che la ragione vera dei cordone sanitario informativo va cercata non nel presunto controllo che Gelli eserciterebbe nei Servizi segreti, ma nell'opposta ragione del controllo che essi hanno del personaggio. Le conclusioni che abbiamo esposto sono di tenore tale che l'estensore di queste note avverte per primo l'esigenza di procedere con la massima cautela possibile in questa materia, per la quale peraltro, si deve riconoscere, è del tutto illusorio sperare di raggiungere dimostrazioni che poggino su prove inconfutabili. Si è così argomentato sulla base dei documenti proponendo una linea interpretativa che si riconduca a logica e coerenza, pronti a verificare tale assunto con altre possibili ricostruzioni posto che, secondo l'assunto metodologico seguito, consentano di fornire altra spiegazione coerente ed unitaria dei fenomeni. »
(relazione della Commissione Anselmi)
Secondo la commissione Anselmi, Licio Gelli avrebbe mantenuto fino al primo dopoguerra un atteggiamento ambiguo, che gli avrebbe permesso di legarsi a chiunque avesse avuto le redini del potere in Italia dopo la guerra (fossero i nazifascisti, fossero gli Alleati e i loro gruppi politici di riferimento o fossero i comunisti filo sovietici) e il rapporto "Cominform", che lo denunciava come spia dormiente dei servizi segreti dell'Est (probabilmente posizione frutto di accordi durante questo periodo ambiguo), su cui i servizi non indagarono, sarebbe divenuto una garanzia sulla sua fedeltà che i servizi avrebbero potuto eventualmente usare, denunciandolo come spia filo sovietica e distruggendo quindi la sua figura fortemente anti-comunista che era venuta a crearsi nel tempo.
Circa le motivazioni per le quali personaggi tanto affermati avrebbero aderito alla P2, secondo taluni l'abilità di Licio Gelli sarebbe consistita nel sollecitare il diffuso desiderio di mantenere ed accrescere il proprio potere personale; a costoro, l'iscrizione alla loggia sarebbe apparsa di estrema opportunità per raggiungere posizioni di potere di primaria importanza, anche eventualmente partecipando ad azioni coordinate al fine di assicurarsi il controllo sia pure indiretto del governo e di numerose alte istituzioni pubbliche e private italiane.
Secondo altre interpretazioni, la loggia altro non sarebbe stata che un punto di raccordo fra diverse spinte che già prima andavano organizzandosi per influire sugli andamenti politici dello Stato.
Non va dimenticato che proprio in quegli anni montava la strategia della tensione e che da molte parti della società si auspicava una svolta politica di impronta decisa, capace di sopperire alla perniciosa inefficienza sociale, economica e pratica dell'impianto statale.
A posteriori, la Commissione parlamentare d'inchiesta ricostruì che verso la fine degli anni settanta il rapporto fra Gelli ed i suoi amici-alleati statunitensi e dei servizi segreti si sarebbe incrinato, e sarebbero cominciate a circolare sollecitazioni a farsi da parte, inoltrate anche nella suggestiva forma di fornire al giornalista scandalistico Mino Pecorelli (poi assassinato) il famoso rapporto "Cominform" perché lo pubblicasse ed avanzasse così il sospetto che Gelli agisse per qualche servizio segreto di paesi comunisti.
Gelli reagì rilasciando un'imprevista intervista, nella quale qualcuno suppose che abbia inviato messaggi in codice, ma sembra accertato che, poco dopo, un uomo di fiducia di Michele Sindona abbia fornito ai giudici di Milano elementi sufficienti per interessarsi del capo della loggia.
Il 31 ottobre 1981, sette mesi dopo il rinvenimento delle famose liste e dello scandalo seguente, la corte centrale del Grande Oriente d'Italia presieduta dal nuovo Gran Maestro Armando Corona, espulse Gelli dal consesso massonico. Per il Grande Oriente d'Italia la "Loggia di Propaganda 2" aveva sospeso ufficialmente la propria attività all'interno del GOI stesso già nel 1976 e pertanto non poteva essere sciolta essendo già sospesa. Ciò significa che la P2 di Gelli dal 1976 non agiva più all'interno del consesso massonico, ma autonomamente.
Il 17 marzo 1981 i giudici istruttori Gherardo Colombo e Giuliano Turone, nell'ambito di una inchiesta sul presunto rapimento dell'avvocato e uomo d'affari siciliano Michele Sindona, fecero perquisire la villa di Gelli ad Arezzo, "Villa Wanda", e la fabbrica di sua proprietà (la "Giole" a Castiglion Fibocchi presso Arezzo - divisione giovane di "Lebole"); l'operazione fu eseguita dalla sezione del colonnello Bianchi della Guardia di Finanza, che scoprì fra gli archivi della "Giole" una lista di 953 iscritti alla loggia P2, fra i quali il comandante generale dello stesso corpo, Orazio Giannini (tessera n. 832). Lo stesso Michele Sindona comparve nella lista degli iscritti alla P2, confermando le intuizioni dei giudici istruttori.
Il colonnello Bianchi resistette a vari tentativi di intimidazioni, pubblicando la lista, in quanto erano ancora al potere gran parte delle persone che ivi erano citate.
Licio Gelli, per il quale la magistratura spiccò un ordine di cattura il 22 maggio 1981 per violazione dell'art. 257 del codice penale (spionaggio politico o militare, si riteneva che Gelli possedesse copie di alcuni dossier riservati del SIFAR e di altri servizi segreti), si recò per un periodo in Uruguay.
La commissione parlamentare Anselmi, creata il 9 dicembre 1981, ritenne che la P2 fosse strutturata come due piramidi sovrapposte con i 972 nomi della lista appartenenti alla piramide in basso, Gelli come punto di congiunzione tra le due piramidi e una piramide superiore composta da nomi che figuravano su un'altra lista composta da personaggi che trasmettevano gli ordini alla piramide inferiore. A detta di alcuni giornalisti, tale lista sarebbe stata portata da Gelli a Montevideo.
Secondo il procuratore di Roma del periodo, gli iscritti delle due liste dovevano essere complessivamente 2000 e in un'intervista rilasciata da Gelli al settimanale L'espresso del 10 luglio 1976 questi affermò che gli iscritti alla Loggia P2 erano allora 2400 (secondo la commissione parlamentare che ebbe modo di leggere alcune corrispondenze tra Gelli e i capigruppo della loggia, intorno al 1979 vi fu una revisione generale degli elenchi degli iscritti, per cui le persone iscritte dopo quella data potevano effettivamente essere in numero minore). Comunque sia una buona metà dei nomi mancherebbe ancora all'appello ed anche diversi appartenenti alla massoneria ascoltati dalla suddetta commissione affermarono che la lista era veritiera ma incompleta.
Fu immediatamente intuito che i documenti sequestrati testimoniavano dell'esistenza di un'organizzazione che mirava a prendere il possesso delle leve del potere in Italia: il "piano di rinascita democratica", un elaborato a mezza via fra un manifesto ed uno studio di fattibilità sequestrato qualche mese dopo alla figlia di Gelli, conteneva una sorta di ruolino di marcia per la penetrazione di esponenti della loggia nei settori chiave dello Stato, indicazioni per l'avvio di opere di selezionato proselitismo e, opportunamente, anche un preventivo dei costi per l'acquisizione delle funzioni vitali del potere: La disponibilità di cifre non superiori a 30 o 40 miliardi sembra sufficiente a permettere ad uomini di buona fede e ben selezionati di conquistare le posizioni chiave necessarie al loro controllo.
A chiare lettere si indicavano come fini primari (il termine "obiettivi" è usato in quel testo in senso militare, per "bersagli" di blandizie) il riordino dello stato in senso istituzionalistico, il ripristino di un'impostazione selettiva (forse classista) dei percorsi sociali, insomma - secondo molti - una svolta autoritaria.
Ma i dettagli del programma non erano di minor interesse. Se da un lato si propugnava la "abolizione della validità legale dei titoli di studio (per sfollare le università e dare il tempo di elaborare una seria riforma della scuola che attuasse i precetti della Costituzione)", giustificata dalla carenza di tecnici in tempi di disoccupazione intellettuale, dall'altro lato occorreva "ripulire il paese dai teppisti ordinari e pseudo politici e dalle relative centrali direttive", sempre che la magistratura volesse decidersi a condannarli.
Portare il Consiglio Superiore della Magistratura sotto il controllo dell'esecutivo, separare le carriere dei magistrati, rompere l'unità sindacale e abolire il monopolio della Rai erano solo alcuni dei punti del progetto.
Le persone "da reclutare" nei partiti, dal canto loro, dovevano ottenere addirittura il "predominio" (testuale) sulle proprie organizzazioni (nel piano vengono indicati "per il PSI, ad esempio, Mancini, Mariani e Craxi; per il PRI: Visentini e Bandiera; per il PSDI: Orlandi e Amidei; per la DC: Andreotti, Piccoli, Forlani, Gullotti e Bisaglia; per il PLI: Cottone e Quilleri; per la Destra Nazionale (eventualmente): Covelli" ), mentre i giornalisti "reclutati", avrebbero dovuto "simpatizzare" per gli uomini segnalati dalla "loggia". Non si sa se questa parte del piano fosse già stata attuata o meno, una parte dei politici indicati ebbero poi ruoli di primo piano nei loro partiti e nel governo. Importante però segnalare che questi nomi erano considerati solo "da reclutare", ma non si sa se furono mai contattati a tale scopo da Gelli.
Il programma non era in realtà che una sorta di memorandum che preannunciava una serie di pressioni e di azioni che avrebbero mirato a conquistare il potere per conferirlo a fidati amici della loggia. Alcuni analisti odierni non mancano di rimarcare che molti degli argomenti trattati in quel programma sarebbero poi attuati da governi successivi, o perlomeno indicati come riforme prioritarie ed essenziali da parte di alcuni esponenti politici allora appartenenti ai partiti con cui la P2 aveva cercato contatti (o partiti eredi politici di questi).
Nonostante l'Italia fosse da secoli avvezza alla disinvoltura ed alla spregiudicatezza in politica, tanto da vantarne anche celeberrima letteratura specifica, la sensazione generale fu correttamente definita da molti interpreti del tempo come di "attonito sgomento".
Lo scandalo che seguì la scoperta della lista e dei suoi legami con i casi Sindona e Calvi al tempo ebbe un ampissima copertura mediatica (paragonabile solo a quello che avrà 10 anni dopo Tangentopoli).
La scoperta del Piano di rinascita democratica ha permesso di comprendere le ragioni dei notevoli cambiamenti all'interno dei mass media italiani alla fine degli anni '70.
La scalata ai media italiani iniziò dall’obiettivo più ambito: il Corriere della Sera, il quotidiano nazionale più diffuso e allo stesso tempo più autorevole. Per questa operazione Licio Gelli fu coadiuvato dal suo braccio destro Umberto Ortolani, dal banchiere Roberto Calvi, dall’imprenditore Eugenio Cefis e dalle casse dello IOR, l’Istituto per le Opere di Religione. Infine era necessario un editore interessato all’acquisto della testata giornalistica più importante d’Italia, e furono individuati i Rizzoli. I due fratelli furono convinti dalle buone maniere e dalle argomentazioni di Ortolani e Gelli ad entrare nella P2, anche se si iscriverà solo Angelo, nipote dell’omonimo capostipite.
I Rizzoli, sostenuti finanziariamente da Eugenio Cefis, nel 1974 si decisero quindi per l’acquisto, ma si resero conto ben presto che l’operazione si sarebbe rivelata molto più onerosa di quello che si aspettavano. Angelo Rizzoli quindi si mise alla ricerca di altri fondi presso le banche italiane, inconsapevole del fatto che molte erano presiedute o dirette da affiliati della P2, e che quindi la decisione di concedergli nuovi liquidi era condizionata dal parere di Gelli. Non vedendo altre vie di uscita, nel luglio del 1977 si appellò al Maestro Venerabile: questi gli concesse nuovi fondi, provenienti dallo IOR, così da rendere i Rizzoli sempre più indebitati nei confronti della loggia ed economicamente deboli. In questo modo non fu difficile far passare il controllo della casa editrice al sistema Gelli-Calvi-IOR.
Gelli quindi ottenne il suo primo obiettivo: inserì nei posti-chiave dalla Rizzoli i suoi uomini, uno su tutti Franco Di Bella al posto di Pietro Ottone, direttore del “Corriere della Sera”. Il controllo del quotidiano dava alla P2 un potere enorme:
poteva condizionare ai propri voleri la condotta dei politici, ai quali l’adesione all’area piduista era ripagata con articoli e interviste compiacenti che garantivano visibilità presso l’opinione pubblica;
poteva inserire nell’organico del quotidiano personaggi affiliati alla loggia, come Maurizio Costanzo, Silvio Berlusconi, Fabrizio Trecca, con l’ovvio intento di pubblicare articoli graditi alle alte sfere della P2;
poteva infine censurare giornalisti, come capitò a Enzo Biagi, che sarebbe dovuto partire come corrispondente per l’Argentina, governata da una giunta militare golpista.
Nel 1977 la P2 spinse i Rizzoli verso l’acquisizione di molti altri quotidiani: Il Piccolo di Trieste, Il Giornale di Sicilia di Palermo, l’Alto Adige di Bolzano e la Gazzetta dello Sport. Nel 1978 verrà pubblicato ex-novo L’Eco di Padova e la casa editrice entrerà nella proprietà de Il Lavoro di Genova e finanzierà L’Adige di Trento. Nel 1979 la Rizzoli aumentò la propria quota azionaria del periodico Sorrisi e Canzoni Tv portandola al 52%, in modo da ottenerne il controllo. Infine, nonostante l’opposizione dei Rizzoli, venne fondato L’Occhio, con direttore Maurizio Costanzo.
Secondo il piduista Antonio Buono, magistrato già presidente del tribunale di Forlì, e collaboratore de il Giornale, nel corso di un incontro a Cesena Gelli lo avrebbe informato del progetto di “creare un “trust” di testate, nell’ambito della Rizzoli, in funzione antimarxista e anticomunista, e si sarebbe dovuta creare anche, nell’ambito di questo progetto, una agenzia di informazione – in alternativa all’Ansa – che avrebbe trasmesso le veline ai vari direttori di questi giornali associati. Nell’occasione, il Venerabile incaricò Buono di reclutare il direttore de il Giornale: ”Avevo un grande ascendente su Montanelli, e quindi avrei dovuto persuadere Montanelli, per il Giornale, a entrare”.
Sebbene secondo persone vicine a Indro Montanelli in realtà Buono non avesse alcun ascendente su di lui, scrissero per il Giornale almeno due personaggi in contatto con gli ambienti massonici: lo stesso Buono e Michael Ledeen, corrispondente per il quotidiano, legato a CIA, SISMI e la stessa P2. Inoltre nel 1978, viste le critiche condizioni finanziarie del quotidiano, entrò con una quota azionaria del 30% Silvio Berlusconi.
In quello stesso periodo, nacque Telemilanocavo, fondato da Giacomo Properzj e successivamente rilevato dall'allora piduista Silvio Berlusconi, che lo fece poi diventare Telemilano, Telemilano 58 ed infine Canale 5, presumibilmente secondo la strategia seguita da Licio Gelli.
Una volta scoppiato lo scandalo, le ripercussioni sul gruppo Rizzoli furono enormi: il Corriere della Sera ne uscì pesantemente screditato e perderà dal 1981 al 1983 100.000 copie, nonché le firme di Enzo Biagi, Alberto Ronchey e Gaetano Scardocchia. Franco Di Bella lasciò la direzione il 13 giugno e verrà sostituito da Alberto Cavallari. L’Occhio e il Corriere d’informazione vennero chiusi, Il Piccolo, l’Alto Adige e Il Lavoro ceduti. Nessuna ripercussione invece per Canale 5 ed il suo proprietario, che nello stesso anno dello scandalo acquisirà Italia 1 e solo l'anno successivo Rete 4.
La lista fu tenuta riservata per qualche tempo dopo la scoperta, ed i tentennamenti di Arnaldo Forlani nel renderla pubblica gli costarono la carica di premier e qualche tempo di lontananza dal proscenio politico-istituzionale.
Una volta resa pubblica (il 21 maggio 1981), divenne presto memorabile. Tra i 932 iscritti, spiccavano i nomi di 44 parlamentari, 3 ministri dell'allora governo, un segretario di partito, 12 generali dei Carabinieri (la stampa fece più volte il nome di Carlo Alberto Dalla Chiesa sebbene risultasse solo un modulo di iscrizione firmato di suo pugno e nessuna prova di un'adesione attiva), 5 generali della Guardia di Finanza, 22 generali dell'esercito italiano, 4 dell'aeronautica militare, 8 ammiragli, vari magistrati e funzionari pubblici, ma anche di giornalisti ed imprenditori come Silvio Berlusconi (a quel tempo non ancora in politica, affiliato alla loggia con tessera n° 1816), Vittorio Emanuele di Savoia, Maurizio Costanzo, Alighiero Noschese e Claudio Villa; in compagnia di Michele Sindona e Roberto Calvi, Umberto Ortolani e Leonardo Di Donna (presidente dell'ENI), Duilio Poggiolini e l'ormai televisivo professor Fabrizio Trecca, insieme a tutti i capi dei servizi segreti italiani e ai loro principali collaboratori.
Circa quest'ultimo settore, si notò che vi erano iscritti non solo i capi (fra i quali Vito Miceli a capo del SIOS e successivamente direttore del SID, Giuseppe Santovito del SISMI, Walter Pelosi del CESIS e Giulio Grassini del SISDE), che erano di nomina politica, ma anche i funzionari più importanti, di consolidata carriera interna.
Fra questi si facevano notare il generale Giovanni Allavena (responsabile dei famigerati "fascicoli" del SIFAR), il colonnello Minerva (gestore fra l'altro dell'intricato caso dell'aereo militare "Argo 16" e considerato uno degli uomini in assoluto più importanti dell'intero Servizio militare del dopoguerra) ed il generale Gian Adelio Maletti, che con il capitano Antonio La Bruna (anch'egli iscritto) fu sospettato di collusioni con le cellule eversive di Franco Freda e per questo processato e condannato per favoreggiamento.
La naturale funzione dei servizi segreti, va osservato, sarebbe effettivamente ben compatibile con la possibile infiltrazione di elementi, anche in questa organizzazione, per legittimi motivi di servizio; la concentrazione, però, di così tanti elementi, e di che grado, non è mai riuscita a volare indenne sopra il sospetto.
Fu avanzata l'ipotesi che la lista trovata a Villa Wanda non fosse la lista completa, e che molti altri nomi siano riusciti a non restare coinvolti. Nella ricostruzione della Commissione d'Inchiesta, ai circa mille della lista trovata sarebbero da aggiungere i presunti appartenenti a quel vertice occulto di cui Gelli sarebbe stato l'anello di congiunzione con la loggia. Lo stesso Gelli, in un'intervista del 1976, aveva parlato di più di duemilaquattrocento iscritti.
Circa il vertice occulto, poi, è nota la clamorosa accusa formulata dalla vedova di Roberto Calvi, che indicò in Giulio Andreotti il "vero padrone" della loggia, ma di tale affermazione non sono mai stati raccolti riscontri attendibili. È bensì vero che Andreotti aveva sempre smentito di conoscere Gelli, sino alla pubblicazione della citata foto di Buenos Aires.
Lo scandalo conseguente al ritrovamento delle liste della P2 fu senza precedenti.
Il capo del governo in carica, Arnaldo Forlani, fu costretto alle dimissioni nel giugno 1981 perché, più o meno volontariamente, ritardò la conferma del ritrovamento e la pubblicazione delle liste. Al suo posto fu insediato il repubblicano Giovanni Spadolini, che divenne così il primo premier non appartenente alla Democrazia Cristiana della storia repubblicana.
Dalle sinistre prontamente si era levata una violentissima campagna d'accusa che di fatto non sgradiva un eventuale riconoscimento del coinvolgimento di esponenti dei partiti di governo e del PSI (antica "concorrente" a sinistra del partito di Enrico Berlinguer).
Soprattutto i comunisti, effettivamente, avevano da recriminare contro un organismo che clandestinamente lavorava per la loro espulsione dalla società civile, e non risparmiarono ai partiti di governo ed ai loro esponenti accuse di golpismo e di prono asservimento ad interessi di potenze straniere.
Altri politici, tra cui Bettino Craxi del PSI e alcuni deputati della DC, invece attaccarono l'operato della magistratura, accusata di aver dato per scontato la veridicità di tutta la lista che invece, secondo Craxi, mischiava "notori farabutti" (di cui però non fece i nomi) a "galantuomini" e di aver causato, con le indagini e l'arresto di Roberto Calvi, una crisi della Borsa (che nel luglio 1981 dovette chiudere per una settimana per eccesso di ribasso).
Mentre, intimoriti dal clima arroventato, alcuni personaggi di altro campo come Maurizio Costanzo negavano ogni coinvolgimento (Costanzo fu poi costretto a lasciare la direzione del telegiornale Contatto del network PIN, facente capo al gruppo Rizzoli), altri come Roberto Gervaso erano rimasti a corto di adeguati aforismi oppure, come il deputato socialista Enrico Manca, che fu anche presidente della RAI, già minimizzavano la loro condivisione delle esperienze piduiste.
Si ebbe quindi una sorta di temporanea epurazione, in realtà agevolata dal ridotto desiderio degli interessati di restare sotto i riflettori, e molti piduisti si eclissarono dalle cariche più in vista, o si fecero da parte per poi ripresentarsi qualche tempo dopo.
Negli anni successivi fu istituita, per volontà del Presidente della Camera Nilde Iotti, una commissione parlamentare d'inchiesta, guidata dal deputato democristiano Tina Anselmi, ex partigiana "bianca" e prima donna a diventare ministro della storia della Repubblica Italiana, la cui figura politica era di universale gradimento e di ineccepita moralità; la commissione affrontò un lungo lavoro di analisi per far luce sulla Loggia, considerata un punto di riferimento in Italia per ambienti dei servizi segreti americani intenzionati a tenere sotto controllo la vita politica italiana fino al punto, se necessario, di promuovere riforme costituzionali apposite o di organizzare un colpo di stato.
La Commissione giudicò la lista completa ed attendibile; una minoranza di nominativi smentì l'appartenenza alla P2 e venne depennata dalla lista.
La commissione sottolineò poi che la presenza di alcuni imprenditori si poteva spiegare con i benefici economici che il legame con alti dirigenti di imprese pubbliche e banche poteva potenzialmente portare loro, per esempio sotto forma di credito concesso in misura superiore a quanto consentito dalle caratteristiche dell'impresa da finanziare.
Un'apposita legge, la n.17 del 25 gennaio 1982, sciolse la P2 e rese illegale il funzionamento di associazioni segrete con analoghe finalità, del resto in attuazione del secondo comma dell'articolo 18 della Costituzione Italiana, che più genericamente proibisce le associazioni a scopi, anche indirettamente, politici mediante organizzazioni di carattere militare.
La P2 fu oggetto d'indagine anche della Commissione Stragi per un presunto coinvolgimento in alcune stragi, ma non portò a niente di rilevante. Tuttavia Licio Gelli venne condannato il 23 novembre 2005 in via definitiva per tentativi di depistaggio delle indagini sulla Strage di Bologna.
La scoperta del caso della P2 fece conoscere in Italia l'esistenza, in altri sistemi ed in altri Paesi, del lobbismo, cioè di un'azione di pressione politica sulle cariche detenenti il potere affinché orienti le scelte di conduzione della nazione di appartenenza in direzione favorevole ai lobbisti.
In altri Paesi il lobbismo si applicava e si applica in modo pressoché palese, e nemmeno - d'ordinario - desta scandalo; per l'Italia il fenomeno, almeno in questa forma e con questa evidenza, era inusitato. In più, la circostanza che l'associazione fosse segreta, ha immediatamente evocato allarmanti spettri che le conclusioni dell'inchiesta della commissione parlamentare non hanno fugato.
Il caso P2 ha certamente sensibilizzato la società italiana sui meccanismi attraverso i quali le scelte ed il potere politico possono venir influenzati dagli interessi di gruppi di potere non eletti e quindi non pienamente legittimati a prender parte al dialogo politico.
Altrettanta attenzione è stata posta, nel tempo, al destino dei piduisti, qualcuno dei quali ha avuto pubblico successo, in politica o nello spettacolo, mentre altri si sono morbidamente confusi nell'anonimato; ad alcuni è stato revocato l'esilio. Tra tutti però, il piduista più noto è Silvio Berlusconi.
E similmente è accaduto ai personaggi politici menzionati nel famoso programma: Bettino Craxi crebbe sino a divenire il più importante esponente del suo partito (del quale ebbe il richiesto "predominio", anche grazie all'appoggio degli USA, che finanziarono il suo partito in chiave anti-PCI, come scriverà poco prima di morire nel suo memoriale consegnato al cognato Paolo Pillitteri, ex sindaco di Milano) e strinse con Andreotti e Forlani un famoso patto di alleanza politica. Ad altri, come Antonio Bisaglia, non andò altrettanto bene. Nemmeno Tina Anselmi ebbe in seguito una lunga vita politica.
Nel 2007, Licio Gelli ha 88 anni ed è agli arresti domiciliari nella sua Villa Wanda di Arezzo dove sconta la pena di 12 anni per la bancarotta del Banco Ambrosiano. In un'intervista rilasciata a la Repubblica il 28 settembre 2003, durante il Governo Berlusconi II, racconta: «Ho una vecchiaia serena. Tutte le mattine parlo con le voci della mia coscienza, ed è un dialogo che mi quieta. Guardo il Paese, leggo i giornali e penso: ecco qua che tutto si realizza poco a poco, pezzo a pezzo. Forse sì, dovrei avere i diritti d'autore. La giustizia, la tv, l'ordine pubblico. Ho scritto tutto trent'anni fa in 53 punti».
È da notare il capillare radicamento della struttura P2 nel territorio italiano con 2 o 3 iscritti per 35 delle attuali 110 province italiane: Torino, Milano, La Spezia, Roma, Bari, Ravenna, Firenze, Pistoia, Cosenza, Palermo, Cagliari, Siena, Brescia, Ancona, Venezia, Catanzaro, Genova, L'Aquila, Trieste, Potenza, Novara, Arezzo, Bologna, Piacenza, Udine, Messina, Pisa, Reggio Emilia, Reggio Calabria, Forlì, Savona, Brindisi, Trapani, Perugia.
A conferma del radicamento nel territorio la presenza in 15 delle 20 regioni italiane: Piemonte, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Liguria, Toscana, Emilia Romagna, Lazio, Marche, Abruzzo, Basilicata, Calabria, Puglia, Sicilia, Sardegna.


Elenco per categorie lavorative degli iscritti:

Militari e forze dell'ordine: 208
Uomini politici: 67
Dirigenti ministeriali: 52
Banche: 49
Industriali: 47
Medici: 38
Docenti universitari: 36
Commercialisti: 28
Avvocati: 27
Dirigenti industriali: 23
Giornalisti: 27
Magistrati: 18
Imprenditori: 18
Liberi professionisti: 17
Società private (presidenti): 12
Società pubbliche (dirigenti): 12
Attività varie: 12
Segretari particolari (politici) 11
Associazioni varie: 10
Enti assistenziali e ospedalieri: 10
Funzionari regionali: 7
Dirigenti comunali: 8
Società pubbliche (presidenti): 8
Sindacalisti: 2
Diplomatici: 9
Provveditori agli studi: 2
Commercianti: 1
Consulenti finanziari: 4
Compagnie aeree: 8
Editori: 4
Dirigenti editoriali: 6
Scrittori: 3
Dirigenti RAI: 10
Compagnie di assicurazione: 6
Architetti: 7
Notai: 4
Antiquari: 6
Alberghi (direttori): 4


INFORMAZIONI UTILI:




Fonte: http://it.wikipedia.org/


domenica 20 aprile 2008

Aldo Moro...chi era in breve lo statista della DC rapito e assassinato 30 anni fa dalle Brigate Rosse!

L'ex presidente della Democrazia Cristiana, Aldo Moro, assassinato dalle Brigate Rosse nel 1978, nasce il 23 settembre 1916 a Maglie, in provincia di Lecce. Dopo aver conseguito la maturità classica al Liceo "Archita" di Taranto si iscrive a Giurisprudenza presso l'Università di Bari, conseguendo la laurea con una tesi su "La capacità giuridica penale". La tesi, ripresa ed approfondita, costituirà la sua prima pubblicazione scientifica e lo avvierà alla carriera universitaria. Dopo qualche anno di carriera accademica, fonda con alcuni amici intellettuali nel 1943, a Bari, il periodico "La Rassegna" che uscirà fino al 1945, anno nel quale sposa Eleonora Chiavarelli, con la quale avrà quattro figli. In quello stesso periodo, diventa Presidente del Movimento Laureati dell'Azione Cattolica, ed è direttore della rivista "Studium" di cui sarà assiduo collaboratore, impegnandosi a sensibilizzare i giovani laureati all'impegno politico. Nel 1946 viene eletto all'Assemblea Costituente ed entra a far parte della Commissione dei "75" incaricata di redigere il testo costituzionale. Inoltre, è relatore per la parte riguardante "i diritti dell'uomo e del cittadino". E' anche vicepresidente del gruppo Dc all'Assemblea. Nelle elezioni del 18 aprile 1948 viene eletto deputato al Parlamento nella circoscrizione Bari-Foggia e viene nominato sottosegretario agli Esteri nel quinto Gabinetto De Gasperi mentre non si arresta la sua inesauribile attività di insegnante e di didatta, con molteplici pubblicazioni a suo nome. Diventato Professore ordinario di Diritto Penale all'Università di Bari, nel 1953: viene rieletto al Parlamento diventando Presidente del gruppo parlamentare Dc alla Camera dei Deputati. Anche la sua carriera politica, a quanto sembra non conosce segni di cedimento di nessun tipo. Unomo solido e determinato, diventa nel 1955 ministro di Grazia e Giustizia nel primo governo Segni. Nel 1956, nel corso del VI Congresso nazionale della Dc che si svolse a Trento, consolidò la sua posizione all'interno del Partito. Fu infatti tra i primi eletti nel Consiglio nazionale del Partito. l'anno dopo, diventa ministro della Pubblica Istruzione nel governo Zoli. Si deve a lui l'introduzione dell'educazione civica nelle scuole. Rieletto alla Camera dei Deputati nel 1958, è ancora ministro della Pubblica Istruzione nel secondo Governo Fanfani. Il 1959 è un anno importantissimo per Aldo Moro. Si svolge infatti quel VII Congresso della Democrazia Cristiana che lo vedrà trionfatore, tanto che gli viene viene affidata la Segreteria del Partito, incarico riconfermatogli nel tempo e che manterrà fino al gennaio del 1964. Ma un altro anno assai importante, anche alla luce della tragica vicenda che colpirà il politico doroteo, è il 1963 quando, rieletto alla Camera, è chiamato a costituire il primo governo organico di centro-sinistra, rimanendo continuamente in carica come Presidente del Consiglio fino al giugno del 1968, alla guida di tre successivi ministeri di coalizione con il Partito socialista. E' in pratica la realizzazione "in nuce", del famoso "compromesso storico" di invenzione dello stesso Aldo Moro (uso ad usare espressioni come "convergenze parallele"), ossia quella manovra politica che contmplava il riavvicinamento delle frange comuniste e di sinistra verso l'area moderata e centrista. Il tumulto e il dissenso che tali situazioni "di compromesso" suscitano soprattutto all'interno degli elettori del PCI, ma soprattutto all'interno dei moderati, si concretizzano nelkle lezioni del 1968 quando Moro viene sì rieletto alla Camera, ma le elezioni puniscono di fatto, dati alla mano, i partiti della coalizione e determinano la crisi del centro-sinistra. detto questo, è inevitabile che ne risenta anche il peso prestigio dello stesso Aldo Moro. Ad ogni modo, rimangono sempre i ministeri e infatti dal 1970 al 1974, assume, anche se con qualche intervallo, l'incarico di ministro degli Esteri. A conclusione di questo periodo, ritorna alla presidenza del Consiglio formando il suo IV ministero che dura sino al gennaio 1976. Nel luglio del 1976 viene eletto Presidente del Consiglio nazionale della Dc. Il 16 marzo 1978, il tragico epilogo della vita dello sfortunato politico. Un commandos di Brigate Rosse irrompe nella romana via Fani, dove in quel momento transitava Moro allo scopo di recarsi in Parlamento per partecipare al dibattito sulla fiducia del quarto governo Andreotti, il primo governo con il sostegno del Pci, massacra i cinque uomini di scorta e rapisce lo statista. Poco dopo, le Brigate rosse rivendicano l'azione con una telefonata all' Ansa. Tutto il Paese percepisce chiaramente che quell'attentato è un attacco al cuore dello Stato e alle istituzioni democratiche che Moro rappresentava. 18 marzo una telefonata al ''Messaggero'' fa trovare il ''Comunicato n.1'' delle Br, che contiene la foto di Aldo Moro e annuncia l'inizio del suo ''processo'' mentre, solo il giorno dopo, Papa Paolo VI lancia il suo primo appello per Moro. I servizi segreti di tutto il mondo, anche se le segnalazioni furono tante e precise, non riuscirono a trovare la prigione dei terroristi, ribattezzata "prigione del popolo", e da cui Moro invocava incessantemente, tramite numerose lettere, una trattativa. Il 9 maggio, dopo più di cinquanta giorni di prigionia ed estenuanti trattative con gli esponenti dello Stato di allora, anche lo statista viene barbaramente assassinato dalle BR, ormai convinte che quella sia l'unica strada coerente da intraprendere. La sua prigionia aveva provocato ampi dibattiti fra coloro che erano disposti a cedere alle richieste dei brigatisti e chi invece era nettamente contrario per non legittimarli, dibattito che lacerò letteralmente in paese sul piano sia politico che morale. A tale rovente clima dialettico pose fine la drammatica telefonata degli aguzzini di Moro, i quali resero noto direttamente ad un alto esponente politico che il corpo di Moro poteva essere rinvenuto cadavere nel bagagliaio di un'auto in via Caetani, emblematicamente a metà strada tra Piazza del Gesù, sede della Democrazia Cristiana, e via delle Botteghe Oscure, sede storica del Partito Comunista Italiano. Secondo le ricostruzioni, ancora frammentarie malgrado i molti anni trascorsi, lo statista sarebbe stato ucciso dal brigatista Moretti nel garage di via Montalcini, il covo usato dai brigatisti appunto come ''prigione del popolo''. La moglie Eleonora e la figlia Maria Fidae, basandosi sull'acquisizione di nuovi elementi, hanno recentemente deciso di rompere il lungo muro del silenzio che da anni ha avvolto la vicenda, chiedendo la riapertura delle indagini sul caso Moro. I servizi italiani hanno centrato un importante bersaglio il 14 gennaio 2004 con l'arresto dei brigatisti Rita Algranati e Maurizio Falessi, latitanti nel Nord Africa. La prima fu già condannata all'ergastolo per il delitto Moro. Oggi Alessio Casimirri, marito della Algranati, rimane l'unico imprendibile latitante del gruppo delle Br che partecipò all'agguato di Via Fani.



lunedì 17 marzo 2008

sabato 16 febbraio 2008

L'intervista a Paolo Signorelli detto "L'Eretico"! Uno storico leader della Destra Extra-Parlamentare degli anni '70, gli "anni di piombo"!!!

In Esclusiva da LaDestra.Info l'intervista a Paolo Signorelli - "La nostra strada non va né a destra né a sinistra. Va avanti dritta". (Ernst Junger)

1) Paolo Signorelli: dopo una vita spesa nella cosiddetta destra radicale qual è oggi la sua opinione su questa area?


Quale Destra? Io e quanti altri hanno abbandonato la sedicente Area in cui si collocano ancora con pretese antagoniste quei movimenti - da Forza Nuova a Fiamma Tricolore passando per il fantasma del Fronte e per le scorie della Floriani - che per motivi di strapuntini e di danaro si sono schierati elettoralmente sulle posizioni più retrive della liberaldemocrazia rinnegando le Idee e tradendo la militanza, non intendiamo essere in alcun modo identificati con la Destra radicale.Tanto per essere chiari. Prese di posizione ed aspetti che stanno a dire nostalgismo, reducismo, conservatorismo, razzismo becero, bigottismo (basterebbe qui ricordare, a solo titolo d’esempio, la caratterizzazione fortemente ‘confessionale’ data da Forza Nuova a questioni estremamente delicate come i rapporti con la civiltà islamica ed il mondo arabo, affrontati spesso con toni esasperati di una vera e propria crociata. Tutto questo, tra l’altro, in nome e in difesa di un Cattolicesimo astratto ed idealizzato che nelle sue manifestazioni concrete e secolari appare orientato politicamente in tutt’altra direzione), sono estranei a chi ha compiuto scelte non-conformi e, quindi, di opposizione globale nei confronti del sistema di potere. Se poi ci si sofferma a considerare le tentazioni di rilancio, sia pure per finalità di numeri, di un antistorico Movimento neofascista prendendo a modello il vecchio MSI che ha espresso nel tempo il peggio del conservatorismo di destra, sempre disponibile ad essere ruota di scorta di un sistema di potere filoatlantista e referente degli interessi del piccolo capitalismo nostrano, l‘estraneità diviene alterità.A tal punto va detto ancora chiaramente ed una volta per tutte che noi “non conserviamo santini unti di patina agiografica, né proseguiamo le esperienze concluse e gli esperimenti esauriti dal movimento legionario romeno, da quello nazional-socialista tedesco e da quello fascista italiano. Rappresentiamo invece un nuovo segmento sulla medesima linea retta, punti successivi che subentrano ai precedenti nello stesso significato in loro racchiuso, provvisori quanto i precedenti negli atti e nelle opere, ‘provvidenziali’ quanto i precedenti nei compiti e nelle funzioni.” (cfr. F.G. Freda, Professione d’identità, Risguardo IV, 1985 pag. 12).
Da anni ci siamo battuti su posizioni altre, verso un ambizioso e però legittimo posizionamento “al di là della destra e della sinistra” che, a ben vedere, sta a significare il superamento di categorie concettuali estranee alla nostra visione del mondo. Non può esserci per noi - neppure sul piano della provvisorietà “pragmatica” – una scelta di campo a destra, laddove la destra rappresenta un’acritica accettazione di valori ritenuti tradizionali e che, invece, inverano la conservazione di un mondo di cui nulla può essere salvato, perché esso coincide con la difesa dell’Occidente che è nemico dichiarato non soltanto del pensiero eretico nel quale ci si riconosce ma di qualsivoglia tensione ideale diretta a rifiutarlo ed a scardinarne l’assetto politico,.sociale ed economicoInoltre la morte delle ideologie e l’omogeneità in senso liberaldemocratico delle categorie concettuali politiche e delle vecchie forme di partito, non consentono neppure di poter più parlare di destra e di sinistra. Al più si può parlare di contrapposizioni di comodo. Tra servi. Per anni abbiamo assistito ai pellegrinaggi alla City, a Wall Street e in Sinagoga di personaggi che - dismessa la camicia nera o la casacca rossa - andavano alla ricerca di un’ investitura da parte dei signori del Dominio. Tutti figli e tutti servi del Pensiero Unico che sa di oro e di usura.
La dicotomia destra-sinistra continua a rappresentare l’alibi di comodo di quanti non hanno il coraggio di schierarsi sulla trincea dell’antagonismo che solo può rappresentare il superamento di un tempo disegnato dalla congiunzione di Giuda con Caino. Quanto poi è sostenuto da coloro i quali intendono risciacquare la loro cattiva coscienza di rinnegati cercando di dare contenuti ideali alle loro scelte di potere, vale appena ricordare che la destra o è “destra “ o è “sociale”: nel momento in cui la destra si fa sociale automaticamente si estingue come destra..

2) Ordine Nuovo. Secondo lei era un progetto realizzabile? E se sì, cosa sarebbe cambiato in Italia?


Ordine Nuovo ha rappresentato nel panorama italiano del Dopoguerra l’unico Movimento che sia stato in grado di esprimere un progetto politico originale ed organico ponendosi su posizioni extraparlamentari, fortemente antagoniste al sistema di potere e decisamente antiamericane. Un Movimento che seppe conservare intatta la sua valenza rivoluzionaria e, quindi, la sua alterità a fronte di un mondo politico espresso da camerieri al servizio delle Potenze vincitrici dell’ “immane conflitto” e portatrici – e ad Occidente e ad Oriente - di una concezione materialistica e devastante della vita degli uomini e dei Popoli. Ordine Nuovo, prima come Centro Studi poi come Movimento Politico, seppe far sue le esigenze rivoluzionarie delle generazioni che si ribellarono all’occupazione colonialista dell’Europa e seppe elaborare una dottrina politica che, se pur prendendo le mosse dal Tradizionalismo evoliano, fu proiettata verso obbiettivi di radicale rinnovamento anticipando futuristicamente gran parte delle elaborazioni comunitarie ed identitarie che hanno costituito in seguito il patrimonio dottrinario dell’antagonismo non marxista.Da “Imperium” a “Ordine Nuovo”, da “Noi Europa” a “Ordine Nuovo Azione” a “Civiltà” si snoda il percorso culturale e politico ordinovista. Dalla Torre d’Avorio alla piazza, dallo Stato Organico alla Lotta di Popolo. E poi la criminalizzazione delle Idee e lo scioglimento del Movimento scientemente perseguito ed imposto – per logica di potere - da Paolo Emilio Taviani il 23 novembre del 1973. E venne il tempo di “Anno Zero”, il foglio che ritmò ancora le cadenze di lotta di un Movimento costretto alla clandestinità. Anni di piombo, di sangue ma ancora di elaborazioni politiche di avanguardia portate avanti da “Costruiamo l’Azione”.Stiamo lavorando alla ricostruzione storica di Ordine Nuovo perché non è consentito che la nostra Storia continui ad essere manipolata da scriba di parte, da impostori insomma.Mi si chiede se il nostro progetto era realizzabile. Io rispondo che è tutt’ora realizzabile, sicuramente in forme diverse che debbono tener presenti i cambiamenti geopolitici ed epocali del Terzo Millennio.

3) Quali sono secondo lei i punti di riferimento culturali e ideologici che un militante del Terzo Millennio dovrebbe avere? E quali sono i personaggi storici che hanno caratterizzato tali ideologie e culture?


La sfida politico-culturale epocale è tra l’integrazione e la ribellione al Pensiero Unico che pretende omologare, globalizzare, uni-formare, distruggere le diversità e le identità popolari. Una sfida che significa per il non-conforme andare oltre, al di là degli stanchi stereotipi rappresentati dalla destra e dalla sinistra. Anche “per farla finita con la destra” come sostenne Stenio Solinas che pure proveniva dai ranghi della nouvelle vague intellettuale di destra.Personalizzando il discorso io non vengo da lì. Io appartengo ad una generazione che per una manciata di minuti non ha potuto prendere parte all’ultima battaglia della guerra del sangue contro l’oro. Non fui nel tempo giusto un leone morto, ma non sono diventato un cane vivo…La mia generazione ebbe, a guerra finita, pessimi maestri. Vili, impostori, felloni, voltagabbana.Intraprendemmo il viaggio con due libri nel tascapane: “I Proscritti” di Von Salomon e “Rivolta contro il mondo moderno” di Julius Evola. Poi imparammo a coniugare Nietzsche e Heiddeger con Platone, Marinetti con Papini, Codreanu con La Rochelle, Brasillac con Céline, Ortega y Gasset con Ezra Pound. “A Eleusi han portato puttane…”. Poi Berto Ricci e Junger… E divenimmo correttamente eretici e jungerianamente ribelli.La mia formazione è sicuramente evoliana. Ritengo che nessuno possa mettere in dubbio lo spessore “tradizionalista” e quindi rivoluzionario - nel senso del re-volvere - del pensiero di Julius Evola. Ma la Tradizione non ha nulla a che fare con il dottrinarismo tradizionale. Leggere le “Enneadi” di Plotino o le riflessioni sul “Sole invitto” di Aureliano consente di scoprire universi infiniti e però, per dirla con Nietzsche, terribilmente umani. Se, poi, parlando di dottrine tradizionali si vogliono intendere le dottrine politiche che hanno caratterizzato il secolo scorso, certamente il Fascismo nelle diverse manifestazioni con cui si è storicamente espresso ha influenzato la cultura che arbitrariamente viene detta di destra. Una cultura ricca di fermenti ma incapace, oggi, di proporsi con forza sullo scenario mondiale dove continua a farla da padrone il pensiero debole: imposto dalle centrali del potere e veicolato dalle strutture mediatiche.Esiste una crasi netta, insomma, tra la cultura ufficiale e le culture popolari, “negate” perché non rispettano i canoni imposti.D’altronde quando si aderisce ad una Weltanschauung trasgressiva che “non va di moda” perché non puzza di usurocrazia, la contrapposizione, l’antagonismo sono obbligati e non si può non cadenzare il passo lungo le vie insidiose, ma capaci ancora di suscitare entusiasmi, della lotta. Non si accetta il popperiano miglior mondo possibile: lo si combatte e basta.Un’avanguardia procede senza voltarsi indietro a guardare cosa fanno le salmerie. E una pattuglia di notte ha come guida il sogno e le stelle.

4) Nello scenario internazionale quali sono, per lei, gli obiettivi prioritari di un pensiero “antagonista”?


Il Dominio usa disinvoltamente gli strumenti dell’omologazione culturale e della globalizzazione dei mercati per realizzare l’assoggettamento politico dei Popoli. L’azione di contrasto da parte di chi non è stato ancora catturato e che rifiuta comunque di arrendersi non può non essere indirizzata verso la non accettazione globale, anche simbolica, dei “prodotti” del sistema di potere. E’ prioritario assumere atteggiamenti e comportamenti funzionali al rigetto delle mode imposte e, quindi, svolgere oggi un’incisiva azione estetica, morale, politica e sociale nel tentativo di raccogliere domani in una struttura organica il variegato fronte di opposizione all’omologazione mondialista. Fare antagonismo, insomma, se necessario anche passando jungerianamente al bosco.Ma intendiamoci sull’ “antagonismo”, anche perché non è più consentito ai sedicenti no-global di continuare a sostenere di essere la sola espressione del pensiero antagonista. Si mettano le loro tutine bianche e facciano il servizio d’ordine a Massimo D’Alema…Essere antagonisti, oggi, significa battersi contro il disegno globalizzante, espresso non solo dalle grandi banche internazionali, dal Fondo Monetario e dalla stessa Banca Mondiale ma anche dalle grandi holdings e dai manovratori dei cosiddetti “fondi comuni”, per riaffermare la sovranità politica e l’indipendenza dei Popoli - anche e soprattutto europei - dalla soggezione anglo-americana. Un tale tipo di battaglia non può neanche concettualmente essere combattuta dai neo o post-comunisti. Loro sono dottrinariamente internazionalisti. E i fini della Terza Internazionale propugnavano quello che oggi pretende imporre il capitale finanziario mondiale: un governo unico e un’economia unica e padrona. In breve il Villagio Globale.E, poi, i “disobbedienti” sono favorevoli alla società multirazziale voluta ed imposta da quel sistema contro il quale pretenderebbero di combattere…

5) Ma che cosa intende per società multirazziale?


Voglio essere chiaro sino in fondo anche perchè noi socialisti nazionali non vorremmo essere confusi con le idee ed i comportamenti ludici di gruppi della cosiddetta destra radicale che si ispirano ad una concezione oltranzista del cattolicesimo e che giocano a fare crociate anti-islamiche contro finti musulmani.Il mio rifiuto della società multirazziale discende dalla necessità di opporsi al processo mondialista di omologazione e di omogeneizzazione di uomini e Popoli rispondente al fine di distruggere le differenze e le identità: soltanto attraverso la mescolanza delle etnie e delle razze, e la conseguente distruzione delle diversità culturali, il potere è in grado di eliminare le resistenze al suo disegno globalizzante.E’ per questo che, alla concezione del razzismo strisciante coltivata dal mondialismo senza anima e senza volto, contrapponiamo la concezione plurietnica espressa millenariamente dalla nostra Civiltà. Non etnie svuotate della loro cultura e della loro identità, ma Popoli che sappiano costruire il proprio destino contrastando il falso progressismo dei poteri egemoni.Le cuspidi delle cattedrali devono svettare sui cieli di Europa ed i minareti sulle onde del deserto.E a tal proposito è chiaro che noi guardiamo al Sud come luogo geo-politico in cui realizzare la naturale collaborazione organica tra L’Europa Mediterranea ed il mondo mediorientale ed arabo.

6) Ma è in atto, secondo lei, uno scontro di civiltà ?


No, lo scontro che si tende di accreditare come scontro di civiltà è in realtà rappresentato da “guerre di predazione”.Il sistema di dominio che ha nome Mondialismo ha travolto il diritto internazionale esistente. Per interessi economici (petrolio, pipe-lines e droga) e di strategie geo-politiche. E con l’appoggio di qualche sporca dozzina di Stati europei. Dopo aver aggredito l’Iraq con l’operazione “Desert sturm” (160mila morti civili tra cui 32.195 bambini), si ricominciò in Bosnia a metà degli anni ‘90 per fare operazioni di “peace keeping” (operazioni di polizia internazionale), si continuò in Somalia e quindi in Kosovo (nella Terra dei Merli dove i Serbi avevano fermato l’invasione turkomanna!) attaccando la Jugoslavia. Interventi detti umanitari. Ed ancora migliaia di morti civili.Poi fu la volta dell’Afghanistan, prendendo a pretesto le Twin Towers (operazione “terroristica” con la quale notoriamente i Talebani non avevano nulla a che fare) per occupare un territorio determinante, tra l’altro, per il passaggio di un colossale gasdotto (progettato dalla Unocal cui è interessata gran parte dell’attuale dirigenza statunitense a cominciare da Condoleezza Rice!).E quindi di nuovo l’Irak: giustificando l’aggressione con le fantomatiche ed inesistenti “armi di distruzione di massa”. Ed ora la Terra dei Cedri nella previsione di portare l’attacco ai “Popoli Canaglia”della Siria e dell’Iran. Ma lì sarà diverso…Attacco preventivo e politica di dissuasione.. “Dissuaderemo chi tenterà di potenziarsi coltivando la speranza di sorpassare o eguagliare la potenza degli Stati Uniti”: è il punto centrale e qualificante della dottrina di George Bush contenuta nel “National Security Strategy”.Si è introdotto in termini di brutale arroganza il principio dell’azione preventiva a scavalco della strategia superata e “inaccettabile” della reazione all’attacco. Il gendarme si è trasformato in boia.Naturalmente per motivi umanitari e in nome della Libertà e della Democrazia. Scontro di civiltà… Fregandosene dei Trattati non ritenuti organici. Tant’è che il Tribunale Internazionale viene cosiderato una Corte “la cui giurisdizione non si estende agli americani “.All’Aja Bush non prenderà mai il posto di Milosevic. Né quello di Saddam.La mia posizione (che poi è quella di quanti militano nelle Comunità di Socialismo Nazionale) non può essere oggetto di equivoci. Non sono un pacifista. Mi riconosco con quanto sostenuto ieri da Marinetti ed oggi da Massimo Fini nel suo “Elogio della guerra”. Non sono un filo-islamico. L’Islam con le sporche guerre di predazione Usa/Israel non c’entra nulla. Ecco perché è a dir poco cialtronesco cercare di spacciare per guerra di civiltà (o di religione!) ciò che è il frutto marcio di una politica mondialista e globalizzante estranea agli interessi dell’ Europa in cui noi crediamo e che non potrà mai identificarsi con Maastricht né con gli usurai di Superfinanza.

7) E dinanzi ad uno scenario internazionale quale quello da leidisegnato quale può essere il compito storico delle forze che lei definisce “antagoniste”?


Ritengo che il nostro compito storico sia quello di fare nostro l’impegno di liberazione del Popolo. Proporci come il Fronte di tutti gli Italiani, qualunque sia stato il loro passato politico, pronti a rimboccarsi le maniche per vincere le due grandi scommesse del nuovo secolo: il lavoro e l’identità nazionale.Essere insomma – torniamo a ripeterlo – il “riferimento” dinamico di quanti siano disposti a dare vita ad un Movimento di Liberazione.Liberazione, dunque, sociale ed etno-culturale del Popolo italiano e dei Popoli europei, nella previsione della loro Autodeterminazione in un quadro unitario di un’Europa che geopoliticamente si estende (Progetto Eurasia) da Lisbona a Vladivostok. Liberazione, ancora, dalle logiche del Mercato Unico Globale che manovra la disperazione e la miseria. Liberazione, infine, dall’ingerenza di tutti gli organismi internazionali e delle strutture politico-militari sopranazionali nella vita interna dell’Italia e dell’Europa.Per questo, anche per questo, noi come uomini e come comunità di militanti ci si va attrezzando per la messa in cantiere di un Laboratorio politico-culturale che possa elaborare un modello alternativo di riferimento e di confronto. Insomma un modello che, nel tempo del tramonto della Forma-Stato, nel momento in cui lo Stato ha storicamente cessato di essere il riferimento organico delle particolarità e delle specificità comunitarie ed è divenuto – grazie ai suoi apparati – una pura entità coattiva costruita al fine dela tutela degli interessi partitici che operano al servizio delle lobbies economico-finanziarie sopranazionali, si ponga come prospettiva altra a fronte di un’economia-mondo strutturata da attori globali attraverso i quali i principi del liberalismo trovano la loro naturale affermazione.Il liberalismo poggia le sue fondamenta sull’individualismo. Infrangendo - in tal modo – tutti i legami sociali che vanno al di là dell’individuo. La società liberale non è altro che il luogo degli scambi utilitari ai quali partecipano individui e gruppi mossi dall’esclusivo desiderio di massimizzare il proprio interesse: ogni cosa vale quello che vale il suo valore di scambio, misurato dal prezzo.Così il liberalismo crea un mondo (vedi Popper) dove:- i popoli sono sostituiti dai mercati- i cittadini dai consumatori- le nazioni dalle aziende- le relazioni umane dalla concorrenza commerciale- la “democrazia” dal mercato, come presunta espressione naturale della società che decreta l’estinzione della eterogeneità sociale, l’omogeneizzazione dei valori e del consumismo e dichiara la fine degli Stati (e della Storia!) e delle culture nazionaliNoi, invece, indichiamo nelle Comunità di Popolo l’Idea Forza per la Lotta di Liberazione dall’occupazione mondialista.- Il cittadino e la Comunità sono i soggetti politici, sociali ed economici della Comunità Nazionale. Di qui discende una nuova articolazione dei rapporti e delle potestà che preveda la partecipazione diretta alle scelte politiche e di organizzazione della vita sociale ed all’edificazione di un assetto economico non incentrato sul principio del profitto e dell’utile ma su quello organico della funzione produttiva orientata verso il “Valore di Servizio” della Comunità.- I cittadini liberi sono quelli che posseggono un “Reddito di Cittadinanza” che è un diritto inalienabile che va assicurato a chi opera e produce nella Comunità e per la Comunit�- Sono i Popoli – in quanto espressione delle esigenze comunitarie – i proprietari delle risorse economiche e dei mezzi di produzione- La Banca e la grande impresa sono “Funzioni di Servizio” della Comunità ai cui cittadini spetta la proprietà della moneta.- Gli strumenti finanziari ed economici debbono servire a realizzare il benessere della Comunità e non a soddisfare le esigenze di usura e di profitto dei groups locali e multinazionali su cui si fonda il potere mondialista e globalizzante.- Gli Uomini e i Popoli che noi difendiamo non sono quelli che producono e consumano merci ma quelli che “sono” la Comunità e che se “hanno” lo hanno nella Comunità e per la Comunità.
Il nostro progetto parte, dunque, dalla ri-costituzione dell’entità Stato che non può realizzarsi se non sulla base delle culture “negate”, delle specificità, delle identità comunitarie, di tutto ciò che insomma appartiene alla dimensione etno-ecologica delle realtà di Popolo. Realtà che - a ben vedere – mal si conciliano con l’idea di Stato Nazionale.La riconquista del Territorio significa radicarsi sul Territorio - anche concettualmente inteso -, viverne la consonanza, ricostruirne l’identità.
All’interno di una tale dimensione acquistano valenza di lotta “rivoluzionaria” battaglie quali il “mutuo sociale” ed il “progettoh2o”.
Comunque la riconquista è la nostra Sfida è il Laboratorio ed il Progetto per realizzarla. Attraverso il Movimento di Liberazione che - in termini di “strategia rovesciata” - non è il “prima” ma il “dopo” dell’operazione politica.

8) Nella sua vita ha pagato molto caro l’essersi schierato dalla parte sbagliata: dopo tutti questi anni qual è il suo pensiero a riguardo della giustizia italiana?


La parte sbagliata…Un uomo di milizia ha il dovere di schierarsi sulle posizioni ideali e di lotta che segnano la sua appartenenza. Non c’entra la parte, il discorso è di coerenza con ciò in cui si crede. Non si sceglie, insomma, ciò che altri ritengono essere comodo od utile ma ciò che tu devi fare. Ego sum qui sum. Qualsiasi altra considerazione è di contrasto – esistenziale ancora prima che politico – insanabile con una corretta Weltaanschaung. Nessun vittimismo dunque. Non scelsi la via “più corta” ma neppure mi tirai indietro; e continuai attraverso l’iniziativa di “Costruiamo l’Azione” e delle Comunità Organiche di Popolo a fare politica. Feci quello che dovevo fare, avendo oltretutto la responsabilità di essere un inevitabile riferimento per quanti giovanissimi lastricavano con il loro sangue le strade o trascorrevano il loro tempo coatto nella disperante dimensione delle sezioni di massima sicurezza delle democratiche galere. Non scelsi la via della latitanza all’estero (la via dei “nazional-turisti”, come duramente appellammo quanti dai loro rifugi esterni pretendevano dettare le linee di combattimento agli operativi italiani): rimasi a tener bandiera, essendo perfettamente consapevole di quanto la repressione mi avrebbe regalato.D’altronde non va mai dimenticato che la Trasgressione è tale soltanto se per essa paghi.
La giustizia italiana? In un tempo in cui il Diritto è desacralizzato a farla da padrona è la profana Inquisizione. Nei cosiddetti “anni di piombo” alle operazioni a regia delle “barbe finte” (mai deviate ma sempre istituzionalmente rispondenti alle direttive dell’Esecutivo) si sono specularmene collegate e le operazioni mediatiche intese alla commercializzazione del sangue delle vittime e alla criminalizzazione degli antagonisti e le attività processuali di giudici di parte o comunque operanti alle dipendenze delle cosche di potere.Lo “stato della giustizia” in Italia è dominato da una casta togata che grazie alle continue, costruite “emergenze” (terrorismo, mafia, stadio, pattume) è andata nel tempo imponendo le sue regole spesso in contrasto con le stesse leggi dello Stato.La magistratura è ormai uno dei poteri forti dai quali i sedicenti politici non possono prescindere nelle loro scelte di governo. In termini di ottuso riduttivismo a destra si è parlato troppo spesso di “toghe rosse” dimenticando che il Partito dei Giudici è nato negli anni ’80 dall’incontro tra Magistratura Democratica ( notoriamente di sinistra) e Magistratura Indipendente schierata su posizioni “moderate”. Per decenni si è permesso alla magistratura di seguire la sua via giudiziaria al potere infine realizzatasi con l’accesso di numerosi giudici (ex e non) alle più importanti cariche poliche. E poi? E poi chi si oppone alle regole imposte dalla magistratura organizzata (Associazione nazionale magistrati) e dal suo braccio operativo (Consiglio superiore della magistratura) è fottuto. Insomma chi tocca i fili muore come io ho recentemente scritto e documentato su “Giustizia Giusta” in riferimento a Clementina Forleo e a Luigi De Magistris.

9) Sappiamo che è editore di una rivista dal titolo Giustizia Giusta. Come nasce questo progetto?


Come attuale presidente dell’Associazione per la Giustizia e il Diritto “Enzo Tortora” sono l’editore della rivista “Giustizia Giusta” di cui da più di un decennio curo la redazione. L’Associazione nacque alla fine degli anni ’80 grazie all’iniziativa del radicale Mauro Mellini con il fine di costruire una struttura apartitica che si battesse per la difesa dei diritti e delle garanzie dei cittadini calpestati dallo strapotere di una Magistratura sempre più politicizzata e sempre meno rispettosa della Legge. Sono state numerose le iniziative e le battaglie portate avanti dall’Associazione, soprattutto per smascherare il pentitismo divenuto l’arma vincente del Partito dei Giudici. “Giustizia Giusta” ha costituito di fatto la voce di un’Associazione sempre più disancorata dai partiti istituzionali. Denuncia e documentazione della mala giustizia ovunque e comunque essa si appalesi in spregio della normativa italiana ed internazionale su posizioni di un garantismo espresso a 360°. In difesa del “nero” ma anche del “rosso”, ma soprattutto dei tanti sventurati “senza voce” vittime dell’arroganza e dell’ignoranza della casta togata. Nessun progetto, dunque, ma solo battaglie di libertà. Sulla rivista vengono curati “osservatori” che spaziano dalla situazione internazionale (vedi lotta contro il mandato di cattura europeo e globalizzazione della giustizia) alla criminalizzazione delle curve, dall’azione di contrasto contro le leggi speciali (vedi Fabius e Modigliani-Mancino) con cui si reprimono le idee non-conformi alla disperante condizione delle carceri ed allo smascheramento di quella infamità organizzata nota come pentitismo.





Paolo Signorelli

ITALIA-CINA

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PER L'ALLEANZA, LA COOPERAZIONE, L'AMICIZIA E LA COLLABORAZIONE TRA' LA REPUBBLICA ITALIANA E LA REPUBBLICA POPOLARE CINESE!!!