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sabato 19 gennaio 2019

ESATTAMENTE OGGI DI 79 ANNI FA NASCEVA A PALERMO IL GIUDICE PAOLO BORSELLINO, ASSASSINATO DALLA MAFIA DI TOTO' RIINA 2 MESI DOPO L'OMICIDIO DEL SUO AMICO E COLLEGA GIOVANNI FALCONE...

PAOLO BORSELLINO
Paolo Borsellino, all'anagrafe Paolo Emanuele Borsellino (Palermo, 19 gennaio 1940Palermo, 19 luglio 1992), è stato un magistrato italiano, assassinato da Cosa nostra assieme ai cinque agenti della sua scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi (prima donna a far parte di una scorta e anche prima donna della Polizia di Stato a cadere in servizio[2]), Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.  Assieme al collega e amico Giovanni Falcone, Paolo Borsellino è considerato una delle personalità più importanti e prestigiose nella lotta alla mafia in Italia e a livello internazionale. Il 19 Luglio 1992, dopo aver pranzato a Villagrazia di Carini con la moglie Agnese e i figli Manfredi e Lucia, Paolo Borsellino si recò insieme alla sua scorta in via D'Amelio, dove vivevano sua madre e sua sorella Rita. Alle 16:58 una Fiat 126 imbottita di tritolo, che era parcheggiata sotto l'abitazione della madre, detonò al passaggio del giudice, uccidendo oltre a Borsellino anche i cinque agenti di scorta Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.
L'unico sopravvissuto fu l'agente Antonino Vullo, scampato perché al momento della deflagrazione stava parcheggiando uno dei veicoli della scorta.
Il 24 Luglio circa 10.000 persone parteciparono ai funerali privati di Borsellino (i familiari rifiutarono il rito di Stato: la moglie Agnese infatti accusava il governo di non aver saputo proteggere il marito, e volle una cerimonia privata senza la presenza dei politici), celebrati nella chiesa di Santa Maria Luisa di Marillac, disadorna e periferica, dove il giudice era solito sentir messa, quando poteva, nelle domeniche di festa. L'orazione funebre fu pronunciata da Antonino Caponnetto, il vecchio giudice che aveva diretto l'ufficio di Falcone e Borsellino: «Caro Paolo, la lotta che hai sostenuto dovrà diventare e diventerà la lotta di ciascuno di noi». Pochi i politici: il presidente Oscar Luigi Scalfaro, Francesco Cossiga, Gianfranco Fini, Claudio Martelli. Il funerale è commosso e composto, interrotto solo da qualche battimani. Qualche giorno prima, i funerali dei 5 agenti di scorta si erano svolti nella Cattedrale di Palermo, ma all'arrivo dei rappresentanti dello Stato (compreso il neo Presidente della Repubblica Italiana, Oscar Luigi Scalfaro), una folla inferocita sfondò la barriera creata dai 4000 agenti chiamati per mantenere l'ordine, mentre la gente, strattonando e spingendo, gridava: "Fuori la mafia dallo Stato". Il Presidente della Repubblica venne tirato fuori a stento dalla calca, venne spintonato anche il capo della polizia. La salma è stata tumulata nel Cimitero di Santa Maria di Gesù a Palermo.
 

sabato 27 ottobre 2012

L'omicidio di Melania Rea: Parolisi ebbe un complice, ma chi è?


IL MISTERO DELL'OMICIDIO DI MELANIA REA
Inizialmente si pensava che avesse agito da solo, il caporalmaggiore della Caserma Clementi sia nella fase dell'assassinio che in quella del vilipendio di cadavere. La Procura di Teramo, secondo quando si evince dall'ordinanza, di cui una parte è trapelata ai mass-media, ipotizza che Parolisi abbia potuto avere un complice, qualcuno da inviare a Ripe a "fare il lavoro sporco al posto suo". Secondo l'anatomopatologo, un individuo tornò il giorno dopo, per depistare le indagini ed infierire sul corpo della povera Melania. Parolisi ha inviato qualcuno la mattina del 20 aprile scorso, qualcuno di cui si fidava, un collega forse? Oppure ha realmente agito da solo, come testimonierebbe l'amico Raffaele Paciolla che lo vide uscire all'alba proprio il 20 aprile? Il nuovo giallo che potrebbe dirimere questi dubbi riguarda il telefonista anonimo che ha rinvenuto il corpo senza vita della Rea. Perché non si fa vivo? Perché non rivelare la sua identità senza timori, se estraneo totalmente ai fatti? Ciò potrebbe alimentare il sospetto che l'uomo c'entri qualcosa, se non con l'omicidio, almeno col vilipendio di cadavere. Che si tratti del misterioso complice che furbamente resta in incognito? Sia come sia la caccia all'uomo è partita, anche da parte dei difensori del Parolisi che vorrebbero ottenere informazioni a favore dell'indagato proprio da chi ha rinvenuto il cadavere nel bosco di Ripe.


sabato 1 settembre 2012

Tutto quello che avreste potuto sapere sul delitto di Sarah Scazzi...a 9 anni di distanza dall'omicidio di Avetrana, (26 Agosto 2010 - 26 Agosto 2019), nessun rito per ricordarla e soprattutto ancora oggi la verità stenta a venire a galla, ancora troppi dubbi sia sul movente del delitto, sia sulle modalità con cui è stato eseguito; troppi sono stati gli errori iniziali degli inquirenti, (voluti o casuali?), troppo il tempo che si è perso nei primissimi giorni subito dopo l'orrendo delitto; si poteva fare di piu' e si potevano utilizzare da subito le intercettazioni telefoniche ed ambientali! Una preghiera e un ricordo per la giovane vita spezzata di Sarah Scazzi che quest'anno avrebbe dovuto compiere 23 anni! A nove anni dalla morte di Sarah Scazzi, Avetrana sembra aver dimenticato uno dei delitti piu' torbidi dell'ultimo decennio!

SARAH SCAZZI E LO ZIO MICHELE MISSERI
I FUNERALI DI SARAH SCAZZI
 
AVETRANA - (PUGLIA) - “Perché i pm Pietro Argentino e Mariano Buccoliero tra i molti testimoni non hanno chiamato anche Valentino Castriota a testimoniare tutto quanto era da lui conosciuto sul caso Sarah Scazzi, essendo il Castriota il primo ad essere intervenuto da estraneo nell’ambiente familiare in qualità di portavoce della famiglia Scazzi nei rapporti con i media?
Le 21 udienze del dibattimento e un centinaio di testimoni sfilati, direttamente o tramite verbale, dinanzi alla corte d’assise, hanno dimostrato che gli autori del delitto vanno cercati tra le ultime persone ad aver visto Sarah il pomeriggio del 26 agosto 2010, ovvero Michele Misseri, sua figlia Sabrina e sua moglie Cosima. Sul movente, quel mix di gelosia e rancore tratteggiata dai pubblici ministeri Mariano Buccoliero e Pietro Argentino, non c’è ancora sufficiente chiarezza e condivisione. Hanno sposato un tesi e non la vogliono abbandonare. Ma è quella giusta? Porta ad una verità giudiziaria, ma è anche quella storica? C’è una prima domanda di Mimmo Mazza del “La Gazzetta del Mezzogiorno”, tra molte, che attende ancora una esauriente risposta: quanti sapevano già il 26 agosto del 2010 che a Sarah Scazzi era successo qualcosa di terribile? Poche ore dopo la scomparsa di Sarah, quando la notizia comincia a circolare in paese, sul profilo Facebook chiamato «Regen» (pioggia in tedesco), gestito da alcune persone tra le quali ci sarebbero Antonella Spinelli, la cuginetta di Sarah di San Pancrazio Salentino, ma anche Sabrina Misseri (la cugina in carcere perché accusata di omicidio), Alessio Pisello, amico sia di Sarah che di Sabrina, e dalla stessa Sarah compaiono delle foto inquietanti (poi rimosse ma entrate in possesso della Gazzetta del Mezzogiorno): un manichino legato da corde, una ragazza bionda che galleggia nell’acqua e un pozzo. Coincidenze? Il cadavere di Sarah – stando a quanto raccontato da Michele Misseri – è stato imbragato con una corda (praticamente come il manichino postato su Fb) per poi essere calato nella cisterna di contrada Mosca, cisterna piena di acqua. Un manichino con la corda, la ragazza in acqua, la botola di un pozzo. Possibile che a suo tempo ci fu qualcuno che cercò d’indirizzare gli inquirenti verso la verità ma non fu ascoltato? Il mistero resta. E forse si intreccia con quello riguardante la collana con un teschio che Sarah comprò assieme alla cugina Antonella a San Pancrazio prima di far ritorno a casa, il 25 agosto e due anni fa. Concetta ricorda di aver visto quella collana ma quel teschio non è mai stato ritrovato. Attenti a parlare di omertà di un intero paese e della sua comunità. Si potrebbe parlare di reticenza di qualcuno o, quantomeno, di indagini svolte in modo approssimativo da gente forse non preparata a questo tipo di situazioni delittuose. Ma parlare di inadeguatezza degli inquirenti è un tabù per i giornalisti che si sono occupati del caso. Troppo amici dei magistrati, fonte delle loro notizie, per poter sputare nel piatto in cui mangiano. Da qui la domanda più importante.
«Vorrei farvi una domanda alla fine dell’audizione dei testi dell’accusa nel processo sul delitto di Sarah Scazzi: Perche non è mai stato ascoltato l’ex portavoce Valentino Castriota? Perché i pm Pietro Argentino e Mariano Buccoliero tra i molti testimoni non hanno chiamato anche Valentino Castriota a testimoniare tutto quanto era da lui conosciuto sul caso Sarah Scazzi, essendo il Castriota il primo ad essere intervenuto da estraneo nell’ambiente familiare in qualità di portavoce della famiglia Scazzi nei rapporti con i media? “Il Corriere della Sera” e le altre testate, così come la rete, danno la notizia. Valentino Castriota nativo di Trepuzzi (Lecce) e residente a Roma è stato arrestato il 5 gennaio 2011 con l’accusa di truffa e millantato credito nell’ambito di un’inchiesta della Procura della capitale su finte assunzioni presso la Marina militare, di cui danno notizia alcuni quotidiani pugliesi. A Castriota è stata notificata dai carabinieri un’ordinanza di custodia cautelare del gip del Tribunale di Roma Giovanni Ariolli su richiesta del pm Ilaria Calò. L’uomo, a quanto riportato dai giornali, è accusato di aver millantato conoscenze nelle forze armate per garantire, in cambio di soldi, la ferma prolungata a otto militari in congedo illimitato. Per millantato credito e truffa: per questo è stato arrestato l’ ex portavoce della famiglia Scazzi, Valentino Castriota. Avrebbe intascato soldi da ex ufficiali della Marina dietro la promessa di farli tornare in servizio. Valentino Castriota, 37 anni, di Trepuzzi, è stato arrestato dai carabinieri della stazione su delega dei colleghi del Nucleo in servizio presso il Ministero della Difesa: l’ordinanza di custodia cautelare del giudice per le indagini preliminari di Roma, Giovanni Ariolli, gli ha contestato di aver intascato diverse migliaia di euro da sette ufficiali della Marina in ferma prolungata, dietro la promessa di farli tornare in servizio. Uno di questi ha scoperto il raggiro contestato dal pubblico ministero Ilaria Calò, presentandosi negli uffici di Genova della Marina con lettera che avrebbe ricevuto per intercessione di Castriota: e fu allora che scoprì di essere stato raggirato. Castriota, tra l’altro, si rileva dalla stampa, non è nuovo a queste vicende nonostante si sia esposto come portavoce della famiglia Scazzi, ma anche come uno dei promotori dell’associazione “Famiglie fratelli ristretti di Brindisi” e recentemente ha fondato un sodalizio a difesa delle donne. Il pubblico ministero della Procura di Lecce, Giovanni De Palma, ha chiesto la proroga delle indagini su nove ragazzi che gli avrebbero consegnato del denaro per garantirsi un posto di lavoro. Chi per fare l’autista di Gianfranco Fini, chi per lavorare alla Stp e chi alle Poste. Quest’ultimo ha subito la stessa onta dell’ufficiale della Marina presentatosi a Genova: con una lettera si è rivolto alla direzione delle Poste centrali di Lecce credendo di essere stato assunto. Ma anche questa lettera non sarebbe stato altro che un tassello dell’ennesima truffa. Tra l’altro negli anni scorsi Castriota finì sotto processo al Tribunale di Mesagne per aver spillato 70 milioni di lire ad una biologa di Torchiarolo dopo averle promesso un posto in un ospedale del Nord Italia grazie all’intercessione di un fantomatico deputato di An chiamato Fittipaldi. Il processo si chiuse perché l’altro imputato risarcì la vittima convincendola così a rimettere la querela. Insomma, se le accuse che gli sono costate il carcere si riveleranno fondate, sembra azzeccata la descrizione della personalità di Castriota fatta dal Gip del Tribunale di Roma Giovanni Ariolli: “Una spiccata capacità mimetica, doti dialettiche ed organizzative non comuni”. Ma l’indagato si professa innocente e vittima di raggiri anche lui: «Attendiamo l’esito delle indagini e spero quanto prima che il mio assistito dimostri la sua estraneità», sostiene l’avvocato difensore Giovanni Battista Cervo. «Se quelle promesse non hanno trovato seguito, lo si deve a terze persone. Quelle che poi hanno preso i soldi». Valentino Castriota per qualche settimana si disse “portavoce” di casa Scazzi e alla famiglia propose la gestione dei media. Perché non è stato mai ascoltato? Si dirà: nel processo Sarah Scazzi è inattendibile od è ininfluente. Certo che un dubbio viene: non è forse perché si vuol tacitare l’errore commesso dagli organi investigativi che in quel frangente di tempo dicevano di cercare Sarah e comunicavano che le indagini approfondite erano in corso a 360° e che invece sfuggisse loro il fatto che proprio all’interno della famiglia nell’imminenza del fatto si era permesso di inserirsi un corpo estraneo, già noto anche come il presenzialista di “Striscia la Notizia”? Anomalia sconosciuta dai carabinieri e dalla procura di Taranto e resa nota proprio su mia segnalazione fatta settimane dopo la scomparsa di Sarah, per non essere accusato di protagonismo. Segnalazione che solo allora ha portato all’allontanamento del Castriota. O forse perché si vuol tacitare la pessima figura fatta proprio dai media, nazionali e in particolar modo locali, che si arrogavano una presunta emancipazione che non esiste (i cittadini tarantini vengono definiti dai provinciali: cozzari). Giornalisti così affamati di verità ed a tal fine impegnati a riportare chiacchiere, pettegolezzi e maldicenze sul paese e sulla ragazza scomparsa, tanto da non scoprire quanto era palese sotto i loro occhi? Gli stessi organi di informazione che prima cercavano Sabrina e che oggi sposano in pieno la tesi accusatoria della sua colpevolezza? Il Settimanale “Oggi” con Giuseppe Fumagalli su Focus nel mese di novembre 2011 pubblicò una bella intervista del CASTRIOTA il quale parlava dei depistaggi e non solo di quelli. Perché non è stato mai ascoltato?»
“Sabrina Misseri parla. Dal 26 agosto 2010 non ha fatto altro. Fondamentalmente ha espresso due concetti. Oggi che è in carcere, accusata dell’omicidio di Sarah, proclama la propria innocenza. Prima di essere arrestata proclamava la colpevolezza degli altri. La ragazza, dicono i suoi avvocati, è sempre stata sincera. Lo è oggi e lo era anche allora, quando non poteva immaginare un padre mostro e forniva elementi, spunti e suggerimenti che potevano rivelarsi utili alle indagini. «Storie», ribattono i magistrati. Per loro Sabrina è una gran bugiarda. Sapeva benissimo che fine aveva fatto la cugina e tutto quello che raccontava aveva come unico scopo il depistaggio, per tenere carabinieri e magistrati il più possibile lontani da casa sua e dalla scena del delitto. Colpevolisti o innocentisti, ognuno può vederla come vuole. O se ancora non si è fatto un’idea, può rivederla come un film in dvd. Avetrana ha riempito Internet, giornali, trasmissioni televisive e oggi quel materiale permette di tornare indietro, premere play e ripartire da zero. Può essere un esercizio interessante. Utile per raccoglierle i frammenti dispersi dalla cronaca e allinearli in un’unica storia. Per scoprire così che nei primi dieci giorni di ricerche Sabrina ha indicato almeno dieci piste. Una al giorno. In questo viaggio a ritroso la guida è Valentino Castriota, trentasettenne leccese, accorso ad Avetrana due giorni dopo la scomparsa di Sarah. «Un amico mio, parente della famiglia, mi presentò a Concetta, mamma della ragazza. Donna fredda? No, io ho visto una donna frastornata. Era assediata dai media, c’erano giornalisti che si infilavano in camera di Sarah e li abbiamo persino trovati a frugare nei cassetti, alla ricerca di chissà quale scoop. È allora che ho deciso di fare la mia parte e ho fatto da portavoce alla famiglia Scazzi. Gratis, naturalmente». In quei giorni Sabrina va e viene dalla casa di Sarah e Valentino entra subito in contatto con lei. «Quella ragazza era un fiume in piena», ricorda lui. «Appena arrivava voleva sapere tutto, le televisioni o i giornali che volevano intervistarla, gli orari delle trasmissioni e poi il suo look, se era meglio col codino o coi capelli sciolti, con gli occhiali o senza, col trucco o nature». Con gli inquirenti che non sanno da che parte girarsi, Valentino viene travolto dal tornado Sabrina. Lei produce ipotesi investigative a raffica, lui le organizza interviste, conferenze stampa, appelli. «Erano tutti lì a pendere dalle sue labbra», spiega, «e questo invece che intimidirla le dava una carica pazzesca. Qualsiasi cosa andava bene. Bastava una voce, la notizia apparsa su un giornale o anche una supposizione campata per aria e lei partiva in quarta. Che fosse in casa coi famigliari o in pubblico davanti alle telecamere non si fermava più». L’ex portavoce di casa Scazzi però prende nota e quando riordina gli appunti si spaventa. «All’inizio mi sono lasciato travolgere. Poi, col passare dei giorni, c’era qualcosa che non mi tornava e lei lo ha capito». I primi contrasti cominciano con la fiaccolata per Sarah. «Lei non la voleva», prosegue Castriota, «diceva che non serviva a niente, che sarebbero venute cento persone. Credo che Sabrina volesse avere tutto sotto il suo controllo e un evento pubblico come la fiaccolata la preoccupava. Temeva che la situazione le sarebbe scappata di mano. Il 9 settembre, dopo la fiaccolata, piangeva sulle mie spalle e ho pensato che avesse cambiato idea. La sera dopo quando mi sono avvicinato a casa sua lei non si è fatta vedere. È uscita solo Cosima, che mi ha preso a male parole, come uno che si stesse immischiando nelle loro faccende». In quel momento si consuma la rottura. Sabrina scarica Valentino e insiste perché Concetta faccia lo stesso. «Ormai c’era qualcosa che non mi convinceva», insiste lui, «non potevo far finta di niente e così mi sono tolto dai piedi. Le dieci storie che ho sentito raccontare a Sabrina però non le ho dimenticate. E nei giorni successivi le ho viste uscire tutte. E tutte si sono rivelate campate in aria». Valentino le elenca, dividendole in due capitoli. Il primo, più scarno riguarda due ipotesi di sequestro. Uno, ordito dalla rumena Maria Pantir, badante del nonno di Sarah, il secondo portato a termine dagli zingari. Segue il capitolo più corposo delle fughe. Tre per amore. La cugina poteva essere scappata con un ragazzo conosciuto qualche giorno prima a San Pancrazio, poi con un trentenne col quale chattava e infine per farsi notare da un compagno di scuola che le piaceva e da cui si sentiva ignorata. «Me lo ricordo ancora quel ragazzino», commenta Valentino, «mentre lancia un appello la sera della fiaccolata: “Torna Sarah, diventeremo amici, te lo prometto”». Ma l’amore non è tutto. E Sabrina si sbizzarrisce. Sarah? Forse è in Germania, a casa di un cugino che la chiamava. Anzi, se n’è andata perché insofferente alla fede religiosa della madre, testimone di Geova. E non andava trascurato un episodio di inizio estate, quando Sarah si era scattata delle foto buttando lì una frase strana: «Le useranno quelli di Chi l’ha visto?» (la trasmissione che si occupa di persone scomparse e che il 6 ottobre avrebbe annunciato il ritrovamento del cadavere). Siamo a otto. «Nove e dieci mi danno i brividi», continua Valentino. «Me la ricordo come fosse oggi, mentre si rivolge a Concetta e le confida il lato segreto della figlia, ragazza spinta e disinibita, desiderosa di vivere la sua libertà lontana dalla famiglia. E se davvero sapeva della fine di Sarah, mi chiedo con che coraggio il 1° settembre abbia mostrato a sua zia quel messaggio arrivato sul suo telefonino da un numero sconosciuto: “Mamma sto bene non ti preoccupare”». Siamo a dieci. Ma sono ancora di più se si considera la testimonianza di Mariangela, che delle ricerche iniziate il 26 agosto fotografa un particolare: «Sabrina ripeteva “l’hanno presa, l’hanno presa”». Dodici se si considera l’interrogatorio dell’8 settembre, quando mette a verbale i suoi «sospetti sul padre di Sarah, descritto come uno che allungava le mani alle donne». Il 21 ottobre 2011, quando il gip Martino Rosati decide di tenere Sabrina in galera ed elenca tutti gli indizi raccolti contro di lei, in testa ci sono i depistaggi. Che alla fine non depistano. E per i giudici, riportano sempre a casa Misseri.”
Nessun pellegrinaggio nei luoghi dell'orrore, nessun rito religioso per ricordarla, rarissime visite al cimitero di Avetrana (Ta) dove e' sepolta: a due anni dalla tragica morte della quindicenne Sarah Scazzi, ad Avetrana non c'e' assolutamente nulla che riporti in qualche modo al clamore mediatico di quel fine estate-inizio autunno del 2010.
Allora la tragedia di Avetrana era su tutti i giornali e le tv, mentre decine di persone si spostavano anche da fuori regione per vedere i posti dove Sarah era stata: la sua casa e quella degli zii Misseri. Di Sarah non si parla piu'. Il 26 agosto 2010 Sarah Scazzi, 15 anni, zainetto sulle spalle e cuffie per la musica alle orecchie, esce di casa diretta in via Deledda per incontrare la cugina Sabrina Misseri e l'amica Mariangela Spagnoletti con le quali aveva in programma di andare al mare.
Indossa una t-shirt rosa, pantaloncini corti neri, ai piedi un paio di infradito. Secondo gli inquirenti, nella villetta dei Misseri, Sarah e' stata uccisa da Sabrina e dalla zia Cosima Serrano, con la complicita' di Michele Misseri (padre e marito delle due presunte assassine), a sua volta accusato di soppressione di cadavere, in concorso con le due donne, con il fratello Carmelo e il nipote Mimino Cosma. Per il procuratore di Taranto, Franco Sebastio, il suo aggiunto Pietro Argentino e il pm Mariano Buccoliero non ci sono dubbi: hanno ucciso Cosima e Sabrina. Il movente e' la gelosia che Sabrina nutriva nei confronti della cugina, che aveva atteggiamenti affettuosi per l'amico comune Ivano Russo, del quale entrambe si erano invaghite. A fine agosto 2010, dopo alcuni giorni di incertezze perche' si pensava a una fuga volontaria, Sarah Scazzi comincia a essere cercata ovunque, anche per le insistenze della mamma Concetta, che pensa a un rapimento. Si parla anche di romeni ma cosi' non sara'. Poi iniziano le battute nelle campagne, fra casolari diroccati e pozzi incustoditi. Arrivano numerosi rinforzi per i carabinieri impegnati nelle indagini e alla madre di Sarah l'allora prefetto di Taranto, Carmela Pagano, consegna anche una lettera di risposta del presidente Napolitano. Michele Misseri, sua moglie Cosima e le figlie Sabrina e Valentina vengono ascoltati piu' volte dagli investigatori. Il 29 settembre 2010 Michele Misseri consegna ai carabinieri il cellulare di Sarah raccontando di averlo trovato in campagna tra le stoppie che aveva bruciato la sera prima. Ma si tratta, palesemente, di una messinscena. Il 6 ottobre lui, la moglie Cosima e la figlia Valentina vengono convocati nella sede dei carabinieri di Taranto. Dopo un interrogatorio-fiume, Michele confessa e in seguito portera' lui stesso gli investigatori in contrada Mosca nelle campagne di Avetrana.
Concetta Serrano apprende la notizia in diretta tv, mentre partecipa alla trasmissione "Chi l'ha visto?" seduta in casa Misseri accanto alla sorella Cosima. Il cadavere di Sarah e' nascosto in una cisterna di acqua, galleggia e ha i segni di quella lunga permanenza: 40 giorni. Michele afferma di aver ucciso Sarah strangolandola perche' la giovane aveva rifiutato i suoi approcci sessuali. E aggiunge di aver abusato del cadavere sotto un albero di fico. Ma il 15 ottobre Michele chiama in causa la figlia Sabrina e poco dopo scarica tutte le responsabilita' sulla stessa Sabrina e conferma le sue dichiarazioni nel corso di un incidente probatorio. Il 26 maggio 2011 viene arrestata anche sua moglie, Cosima Serrano, accusata in concorso con la figlia Sabrina. Il processo, cominciato il 10 gennaio scorso, riprendera' il 18 settembre.
Cosima e Sabrina sono detenute nel carcere di Taranto.


ALCUNE IMMAGINI DI SARAH SCAZZI

Nessun pellegrinaggio nei luoghi dell'orrore, niente celebrazioni religiose e sporadiche visite alla tomba della quindicenne trovata morta in un pozzo. Per il delitto a processo la zia Cosima e la cugina Sabrina...

Taranto - Nessun pellegrinaggio nei luoghi dell'orrore, nessun rito religioso per ricordarla, rarissime visite al cimitero di Avetrana dove è sepolta: a due anni dalla morte della quindicenne Sarah Scazzi, ad Avetrana non c'è assolutamente nulla che riporti in qualche modo al clamore mediatico di quel fine estate-inizio autunno del 2010. Allora la tragedia di Avetrana era su tutti i giornali e le tv, mentre decine di persone si spostavano anche da fuori regione per vedere i posti dove Sarah era stata: la sua casa e quella degli zii Misseri. Di Sarah non si parla più.
Il 26 agosto 2010 Sarah Scazzi, 15 anni, zainetto sulle spalle e cuffie per la musica alle orecchie, esce di casa diretta in via Deledda per incontrare la cugina Sabrina Misseri e l'amica Mariangela Spagnoletti con le quali aveva in programma di andare al mare. Indossa una t-shirt rosa, pantaloncini corti neri, ai piedi un paio di infradito.
Secondo gli inquirenti, nella villetta dei Misseri, Sarah è stata uccisa da Sabrina e dalla zia Cosima Serrano, con la complicità di Michele Misseri (padre e marito delle due presunte assassine), a sua volta accusato di soppressione di cadavere, in concorso con le due donne, con il fratello Carmelo e il nipote Mimino Cosma. Per il procuratore di Taranto, Franco Sebastio, il suo aggiunto Pietro Argentino e il pm Mariano Buccoliero non ci sono dubbi: hanno ucciso Cosima e Sabrina. Il movente è la gelosia che Sabrina nutriva nei confronti della cugina, che aveva atteggiamenti affettuosi per l'amico comune Ivano Russo, del quale entrambe si erano invaghite. A fine agosto 2010, dopo alcuni giorni di incertezze perché si pensava a una fuga volontaria, Sarah Scazzi comincia a essere cercata ovunque, anche per le insistenze della mamma Concetta, che pensa a un rapimento. Si parla anche di romeni ma così non sarà.
Poi iniziano le battute nelle campagne, fra casolari diroccati e pozzi incustoditi. Arrivano numerosi rinforzi per i carabinieri impegnati nelle indagini e alla madre di Sarah l'allora prefetto di Taranto, Carmela Pagano, consegna anche una lettera di risposta del presidente Napolitano. Michele Misseri, sua moglie Cosima e le figlie Sabrina e Valentina vengono ascoltati più volte dagli investigatori. Il 29 settembre 2010 Michele Misseri consegna ai carabinieri il cellulare di Sarah raccontando di averlo trovato in campagna tra le stoppie che aveva bruciato la sera prima. Ma si tratta, palesemente, di una messinscena. Il 6 ottobre lui, la moglie Cosima e la figlia Valentina vengono convocati nella sede dei carabinieri di Taranto. Dopo un interrogatorio-fiume, Michele confessa e in seguito porterà lui stesso gli investigatori in contrada Mosca nelle campagne di Avetrana.
Concetta Serrano apprende la notizia in diretta tv, mentre partecipa alla trasmissione "Chi l'ha visto?" seduta in casa Misseri accanto alla sorella Cosima. Il cadavere di Sarah è nascosto in una cisterna di acqua, galleggia e ha i segni di quella lunga permanenza: 40 giorni. Michele afferma di aver ucciso Sarah strangolandola perché la giovane aveva rifiutato i suoi approcci sessuali. E aggiunge di aver abusato del cadavere sotto un albero di fico. Ma il 15 ottobre Michele chiama in causa la figlia Sabrina e poco dopo scarica tutte le responsabilità sulla stessa Sabrina e conferma le sue dichiarazioni nel corso di un incidente probatorio. Il 26 maggio 2011 viene arrestata anche sua moglie, Cosima Serrano, accusata in concorso con la figlia Sabrina. Il processo, cominciato il 10 gennaio scorso, riprenderà il 18 settembre. Cosima e Sabrina sono detenute nel carcere di Taranto.
 
(27 agosto 2012)© Riproduzione riservata

La triste storia Sarah Scazzi: un omicidio di paese!

Sarah Scazzi e il dolore per una ragazzina uccisa nella fase più delicata e difficile della vita, l'adolescenza, la ragazzina infatti credeva nelle persone e non aveva paura di ciò che faceva, né dei pericoli in cui andava incontro.
Poi i parenti non sono pericolosi, nella mente dei ragazzi, in un borgo di provincia tutti si conoscono e si sa di chi aver paura e di chi invece stare distante, ma lei non aveva capito nulla.
Era una ragazzina e il pericolo non lo si conosce a 15 anni, la paura, se esiste, è solo irrazionale, senza un vero senso, invece c'è la certezza di essere immortali, a te non potrà mai capitare nulla.
Così Sarah andò dagli zii, dalla cugina, sua amica: la frequentazione degli zii per lei rappresento una scelta sbagliata, fatale, mortale.
Quel giorno caldo d'estate voleva andare al mare, mentre finì a casa Misseri, forse fu trascinata a forza.
L'ingenuità per lei fu fatale.

 
 


Delitto di Avetrana

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Il delitto di Avetrana è un caso di omicidio avvenuto il 26 agosto 2010 ad Avetrana (TA) a danno della quindicenne Sarah Scazzi.
Per il delitto sono attualmente sotto processo davanti alla Corte d'assise di Taranto, la cugina Sabrina Misseri di 24 anni e la zia Cosima Serrano di 55 anni, con l'accusa di omicidio doloso aggravato[1] e lo zio Michele Misseri con l'accusa di occultamento di cadavere[2].
La vicenda ha avuto un grande rilievo mediatico in Italia, culminato nell'annuncio del ritrovamento del cadavere della vittima e dell'arresto dello zio in diretta sul programma Chi l'ha visto? dove era ospite la madre di Sarah[3].

Indice

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La scomparsa di Sarah [modifica]

Il 26 agosto 2010 venne denunciata dalla madre la scomparsa della quindicenne Sarah Scazzi, studentessa al secondo anno dell'istituto alberghiero, conosciuta in paese come una ragazzina timida e schiva. La ragazza era uscita di casa alle 14.30[4] per raggiungere casa della cugina Sabrina, distante poche centinaia di metri, e andare con lei e un'altra amica al mare; da quel momento vennero perse le tracce di Sarah, che non rispose più al telefono e scomparve nel nulla[4].
La scomparsa della giovane Sarah ha avuto un immediato ed enorme risalto mediatico[5]. Da principio l'attenzione dei media si concentrò sulla vita privata di Sarah, analizzando le sue abitudini e addirittura il suo diario segreto e il suo profilo di Facebook per capire quali fossero i motivi che l'avevano spinta alla fuga da casa[6]. La ragazza fu dipinta dai media come un'adolescente inquieta, che frequentava sul web ragazzi molto più grandi di lei[6] e capace di progettare la propria scomparsa per diventare famosa e poter finalmente fuggire da un paesino dove si annoiava e si sentiva oppressa e da una madre con cui frequentemente litigava[6].
Questa immagine fu sostenuta in particolare dalla cugina Sabrina nelle sue numerose apparizioni a Domenica Cinque, Uno Mattina, La vita in diretta[7], mentre la madre continuava a sostenere la tesi del rapimento.
Inizialmente le indagini della polizia furono orientate verso una fuga della ragazza[6] o su un sequestro[8] ad opera di un uomo che l'avrebbe adescata su Facebook[6]. Le ricerche della ragazza andarono avanti per tutto il mese di settembre[9], in un crescendo di interesse mediatico che vide la madre e i suoi familiari ospitati dalle principali trasmissioni televisive per lanciare appelli per il ritorno di Sarah a casa[10].
Dopo oltre un mese di ricerche, il 29 settembre venne ritrovato il cellulare di Sarah semibruciato in un campo poco distante dalla sua abitazione[9]. A ritrovarlo fu lo zio Michele Misseri, agricoltore, il quale con dolore e preoccupazione per tale scoperta, asserì di essere in grado di trovare la nipote, il che contribuì ad alimentare i sospetti che subito s'iniziò a nutrire su di lui. Peraltro, lo zio Michele Misseri e sua moglie Cosima Serrano, entrambi agricoltori, avevano praticamente cresciuto in casa loro la ragazza scomparsa, della quale parlavano come di una terza figlia. Entrambi erano apparsi ripetutamente in televisione esprimendo dolore e preoccupazione per la sparizione della nipote.

Le indagini e il processo [modifica]

Dopo un'altra settimana di ricerche, il 6 ottobre Misseri, dopo un interrogatorio di circa nove ore, confessò l'omicidio della nipote, indicando alle forze dell'ordine il luogo dove aveva nascosto il cadavere[9]. La notizia del ritrovamento del cadavere venne comunicata alla madre e ai familiari in diretta televisiva dalla trasmissione Chi l'ha visto?[3].
Nei giorni successivi Michele ritrattò la confessione iniziale diverse volte[11], finché il 15 ottobre confermò i sospetti degli inquirenti sul coinvolgimento della figlia Sabrina[11]. Il giorno seguente, dopo un interrogatorio di sei ore, Sabrina venne arrestata con l'accusa di sequestro di persona e concorso in omicidio[12]. Il 21 ottobre il GIP di Taranto decise la convalida del fermo, basandosi anche sulla testimonianza dell'amica Mariangela Spagnoletti - la quale riferì che, vedendo la cugina in ritardo all'appuntamento, Sabrina Misseri pareva del tutto sconvolta ed in preda all'ansia, ripetendo che la ragazzina era stata certamente rapita e che occorreva avvertire immediatamente i Carabinieri - e sui rilievi del medico legale[13].
Dalle indagini emerse come il movente di Sabrina fosse la gelosia per le attenzioni che la cugina riceveva da Ivano Russo, un cuoco di Avetrana del quale Sabrina era innamorata. Secondo gli inquirenti, Sabrina si confidava con la cugina Sarah riguardo alla sua infatuazione per Ivano Russo ed al rifiuto di questi di allacciare una relazione sentimentale con lei. Proprio le continue insistenze di Sabrina, insieme ai pettegolezzi in paese, avrebbero portato alla definitiva rottura da parte di Ivano e acuito, così, l'astio di Sabrina verso Sarah, costituendo il movente dell'omicidio, maturato probabilmente a seguito di un acceso diverbio tra le ragazze, nella sera del 25 agosto alla vigilia della scomparsa di Sarah, in un pub del paese, davanti a numerosi testimoni[14].
Intanto Michele Misseri, avendo l'esame autoptico sul corpo di Sarah smentito il vilipendio di cadavere, ritrattò ancora la confessione iniziale dichiarando di non aver abusato del cadavere della nipote[15]. Il 6 novembre infine Misseri cambiò ulteriormente la versione attribuendo l'omicidio alla figlia e dichiarando di essere stato chiamato da Sabrina dopo la morte di Sarah per aiutarla ad occultarne il cadavere[16]. A seguito di queste ulteriori indagini l'accusa nei confronti di Sabrina è diventata di omicidio, mentre è caduta quella di sequestro di persona[14].
A seguire, il 26 maggio 2011 è stata arrestata Cosima Serrano, madre di Sabrina, con l'accusa di concorso in omicidio. Dall'analisi dei tabulati risulta, infatti, che il suo telefono cellulare avrebbe effettuato una chiamata dal garage, mentre la donna aveva dichiarato che quel pomeriggio non si era mai recata nel garage[17]. Circostanza poi suffragata dai Carabinieri del Ros in sede di deposizione all'udienza del 27 marzo 2012[18]. Cinque giorni dopo l'arresto è stato scarcerato Michele Misseri, poiché erano trascorsi i termini della custodia cautelare per il reato di soppressione di cadavere che gli viene contestato[2].
Le indagini preliminari si sono concluse il 1º luglio con l'incriminazione di 15 persone per reati che vanno dal concorso in omicidio, alla soppressione di cadavere, sequestro di persona, false dichiarazioni al Pm, alla soppressione di documenti, all’infedele patrocinio e all’intralcio alla giustizia[19].
Particolarmente controverse, infatti, sono state pure le vicende occorse ai rispettivi uffici legali: la difesa legale di Sabrina Misseri è affidata al noto avvocato penalista Franco Coppi[20], che entrava nel collegio difensivo[21] con gli avvocati Emilia Velletri e Vito Russo, successivamente costretti a rinunciare al mandato, ai sensi dell'art. 5 del Codice Deontologico Forense[22] , in quanto indagati nello stesso giudizio per soppressione di documenti, intralcio alla giustizia e favoreggiamento personale. Stessa sorte toccava all'avvocato difensore di Michele Misseri, costretto anch'egli a rimettere il mandato dopo essere stato indagato nel medesimo procedimento dell'assistito[23].
Nel novembre del 2011 l'avvocata Velletri, a seguito di giudizio abbreviato, veniva assolta dalle accuse per insussistenza del fatto, e l'avvocato Russo, che invece aveva optato per il rito ordinario, prosciolto in udienza preliminare da due capi di imputazione sempre per insussistenza del fatto-reato. Contemporaneamente, venivano assolti a seguito di abbreviato gli altri due avvocati imputati nello stesso processo, sempre con la formula dell'insussistenza del fatto[24][25].
Il processo si è aperto davanti alla Corte d'assise di Taranto il giorno 10 gennaio 2012, e vede come principali imputati Sabrina Misseri con l'accusa di omicidio doloso premeditato, la madre Cosima con l'accusa di concorso in omicidio e il padre Michele con l'accusa di soppressione di cadavere. A deporre sono state chiamate anche alcune amiche di Sabrina, che hanno riferito di com'era ossessionata dal ragazzo[26], tempestandolo di sms dal contenuto sessuale esplicito e di gelosia verso la cugina che - a suo dire - cercava di "rubarle" l'uomo[27]. Di rilievo è stata poi la testimonianza di Ivano Russo, che ha svelato di avere avuto una fugace relazione con l'imputata, prima di chiudere ogni rapporto poco prima della scomparsa di Sarah. Durante la deposizione il giovane, ripercorrendo la giornata della scomparsa di Sarah, ha inoltre spiegato che nella notte, mentre girava in auto con Sabrina per cercare la cugina, si diressero alla contrada Mosca - dove effettivamente fu rinvenuto il cadavere di Sarah - su indicazione di Sabrina, dopo che questa aveva parlato al telefono con la madre. Il ragazzo ha anche riferito che Sabrina utilizzava il cellulare della madre Cosima per chiamarlo perché «aveva il timore di essere intercettata»[28].
Il comune di Avetrana si è costituito parte civile[29].

Trasmissioni tv dedicate al delitto di Avetrana [modifica]

Note [modifica]

  1. ^ Sarah Scazzi, arrestata zia Cosima Per Sabrina omicidio premeditato Il gip: «Sabrina strangolò Sarah E Cosima non fece nulla per fermarla» Corriere del Mezzogiorno 26 maggio 2011
  2. ^ a b Colpo di scena, scarcerato zio Michele Corriere del mezzogiorno 30 maggio 2011
  3. ^ a b Gesto di delicatezza nella tv verità Corriere della sera 8 ottobre 2010
  4. ^ a b L'identità segreta di Sarah e il mistero dei 700 metri Corriere della sera 3 settembre 2010
  5. ^ Sarah Scazzi, si teme il rapimento Liberonews.it
  6. ^ a b c d e Sarah preparava la fuga: pensò alla foto per le ricerche Corriere della sera 6 settembre 2010
  7. ^ La mala television Fusiorari.org] 14 novembre 2011
  8. ^ Gli amici e un diario, il mistero di Sara La pista del sequestro Corriere della sera 1 settembre 2010
  9. ^ a b c Dalla scomparsa alla verità, la tragedia di Sarah Scazzi virgilionews.it
  10. ^ La mamma comunica la lista dei sospetti Italianwes
  11. ^ a b Le cinque versioni di zio Michele Corriere della Sera 6 novembre 2010
  12. ^ Sarah, arrestata la cugina. "Aiutò il padre ad uccidere" TG24sky.com
  13. ^ Convalidato il fermo di Sabrina. La moglie del mostro in Procura Corriere del Mezzogiorno 18 ottobre 2010
  14. ^ a b Riesame: «Sabrina agì per gelosia Può fuggire e commettere altri delitti» Il Messaggero 22 novembre 2010
  15. ^ Misseri ritratta: nessuno stupro. Fermo convalidato, Sabrina nega Adkronos 18 ottobre 2010
  16. ^ Verbale interrogatorio Misseri Corriere della sera 10 novembre 2010
  17. ^ Omicidio Scazzi, l’intercettazione che incastra Cosima Misseri
  18. ^ Omicidio Sarah Scazzi. I Ros inchiodano Cosima "Pure lei era in garage" Gazzetta del Mezzogiorno 28 marzo 2012
  19. ^ Avetrana, conclusione delle indagini La procura: indagate quindici persone Corriere del Mezzogiorno 1º luglio 2011
  20. ^ Sarah Scazzi, il penalista Franco Coppi avvocato di Sabrina Misseri: difese Andreotti e Cossiga Blitz quotidiano
  21. ^ La nuova carta di Sabrina Misseri: Franco Coppi nel collegio difensivo
  22. ^ http://www.altalex.com/index.php?idnot=1497
  23. ^ Sarah, la maledizione degli avvocati. Lascia De Cristofaro La gazzetta del mezzogiorno
  24. ^ Agenzie su assoluzione avvocati imputati ad Avetrana. 21 novembre 2011
  25. ^ Sarah/Cosima e Sabrina a processo Assolti da ogni accusa tre avvocati Quotidiano di puglia, 21 novembre 2011
  26. ^ Sarah, slitta la testimonianza di Ivano L'amica di Sabrina: "Era ossessionata da lui" Bari Repubblica.it 17 gennaio 2012
  27. ^ Mariangela Spagnoletti spiega perché Sabrina Misseri era gelosa di Sarah Scazzi NewsPuglia 21 febbraio 2012
  28. ^ Ivano Russo:«Sesso con Sabrina, ma incompleto». Processo Scazzi: il ragazzo conteso dalle cugine parla in aula Lettera43 31 gennaio 2012
  29. ^ Omicidio Scazzi: Comune Avetrana si costituisce parte civile AdnKronos 10 gennaio 2012

Bibliografia [modifica]

  • Antonio Giangrande, Sarah Scazzi, il delitto di Avetrana. Il resoconto di un avetranese. 2012
  • Boeri Mariella, La bambina di Avetrana, Edizioni Anordest, 2010, pp. 274.
  • Fumarola Domenico, Sarah Scazzi. La morte segreta, Calcangeli, 2011, pp. 66.


mercoledì 23 maggio 2012

La soluzione finale per sconfiggere la Mafia e lo Stato assassino è da rivedere nella famosa e storica "OPERAZIONE VALCHIRIA" nella Germania Hitleriana...20 anni fa un Giudice anti-Mafia veniva trucidato insieme alla moglie e a tre agenti di scorta; lo Stato Italiano da allora non è mai cambiato, la sua Costituzione Repubblicana, le sue Provincie e i suoi Comuni amministrati sempre dalle stesse persone...e sempre e soprattutto nel Sud, dalla Mafia, dalla Camorra, dalla 'Ndrangheta, dalla Sacra Corona Unita, dalla Massoneria, dai terroristi neri, rossi, anarchici...un GOLPE alla Pinochet in salsa Cilena misto all'operazione Valchiriana di Germanica memoria è l'unica soluzione possibile per fare tabula rasa di tutto...un DEFAULT SOCIALE necessario, con le persone giuste, fidate...meditate gente, meditate!!! In questo articolo spiegamo grazie a Wikipedia in che cosa è consistita l'operazione Valchiria!

bussola Disambiguazione – "Operazione Valchiria" rimanda qui. Se stai cercando l'omonimo film del 2008, vedi Operazione Valchiria (film).
Attentato a Hitler del 20 luglio 1944
Bundesarchiv Bild 146-1972-025-10, Hitler-Attentat, 20. Juli 1944.jpg
La sala conferenze della Wolfsschanze dopo l'esplosione del 20 luglio 1944; sono visibili al centro, con la divisa chiara, Hermann Göring ed, alla sua destra, Martin Bormann

Stato bandiera Germania
Luogo Rastenburg
Obiettivo Adolf Hitler
Data 20 luglio 1944
12.42
Tipo attentato dinamitardo
Morti 4
Feriti 22
Responsabili Claus Schenk von Stauffenberg
Motivazione colpo di Stato
L'attentato del 20 luglio 1944 fu il tentativo organizzato da alcuni politici e militari tedeschi della Wehrmacht ed attuato dal colonnello Claus Schenk von Stauffenberg di assassinare Adolf Hitler; esso ebbe luogo all'interno della Wolfsschanze, il quartier generale del Führer, sito a Rastenburg nella Prussia Orientale.
Lo scopo dell'attentato era quello di eliminare Adolf Hitler e, attraverso un colpo di Stato, instaurare un nuovo governo che avesse il compito di negoziare una tregua con la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, allo scopo di evitare la resa incondizionata della Germania. L'attentato fu pianificato sfruttando la possibilità che offriva il piano Walküre, ossia la mobilitazione della milizia territoriale in caso di colpo di stato o insurrezione interna, opportunamente modificato dal colonnello von Stauffenberg. L'esplosione dell'ordigno uccise tre ufficiali e uno stenografo, ma il Führer subì solo lievi ferite; il conseguente fallimento del colpo di Stato portò all'arresto di circa 5.000 persone, molte delle quali furono successivamente giustiziate o internate nei lager[1].

Indice

Premesse

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce resistenza tedesca.
Il generale Ludwig Beck, uno tra i principali oppositori in ambito militare di Adolf Hitler e del regime nazista.
Ai primi significativi dissensi al regime hitleriano in ambito militare, si andarono ad affiancare altri di tipo religioso, quali quelli del cardinale Clemens August von Galen e del vescovo Theophil Wurm che protestarono contro l'attuazione del cosiddetto programma eutanasia[2] e civile, promossi da gruppi organizzati quali l'Orchestra Rossa e la Rosa Bianca. Questi movimenti iniziarono sommessamente a manifestarsi nel 1938, quando gruppi dell'Abwehr e dello Heer cominciarono a pianificare un rovesciamento del regime di Hitler; i primi che ipotizzarono tale opzione furono i generali Hans Oster e Ludwig Beck ed il feldmaresciallo Erwin von Witzleben, che stabilirono in seguito contatti con numerose autorità politiche come Carl Goerdeler e Helmuth James Graf von Moltke[3].
I militari, parzialmente soggetti al controllo della Gestapo e all'influenza del partito nazista, avevano espresso notevoli critiche al regime, in particolare durante gli avvenimenti svoltisi tra il 1933 ed il 1938, quando i più alti membri delle gerarchie dell'esercito erano entrati in contrasto con Hitler. Il generale Beck rassegnò le dimissioni, ipotizzando già un possibile rovesciamento del regime di Hitler, ma anche altri importanti personaggi compirono lo stesso gesto in seguito all'Anschluss (l'annessione dell'Austria alla Germania) e allo scandalo Fritsch-Blomberg, che provocò l'allontanamento del generale Werner von Fritsch e del feldmaresciallo von Blomberg[4].
L'opposizione in ambito militare crebbe mano a mano che le sorti del conflitto volgevano a sfavore della Germania, allo scopo di favorire una pace separata con gli Alleati ed evitare così una possibile distruzione del paese[5]. Queste idee in virtù del giuramento di fedeltà prestato, non si manifestarono mai apertamente, ma rimasero sommerse nello scontento degli ufficiali[6]. Alcuni piani per un rovesciamento del regime atti a impedire a Hitler di scatenare una nuova guerra mondiale vennero preparati già nel 1938 e nel 1939, ma non furono portati a termine a causa dell'indecisione dei generali dell'esercito Franz Halder e Walther von Brauchitsch e della fallimentare strategia delle potenze occidentali nel contrastare la politica aggressiva del Führer[4].
Nel 1942, anche a seguito dei primi insuccessi della Wehrmacht, il colonnello Henning von Tresckow membro dello Stato Maggiore del feldmaresciallo Fedor von Bock, formò un nuovo gruppo di adepti, che divenne presto il centro nevralgico della cospirazione[7]. Tuttavia la notevole protezione di cui godeva Hitler rappresentava un evidente problema per la progettazione e l'attuazione di un attentato[8]. Nel 1942 l'adesione del generale Friedrich Olbricht, che in qualità di capo del quartier generale dell'ufficio dell'esercito controllava un sistema indipendente di comunicazione delle unità di riserva in tutta la Germania, al gruppo di resistenza di Tresckow, gettò le basi per l'attuazione di un colpo di Stato[6].
Tra il 1942 e il 1943, Tresckow, all'epoca capo di stato maggiore dell'Heeresgruppe Mitte, aveva partecipato a tre infruttuosi tentativi. Il primo, avvenuto il 17 febbraio a Zaporižžja nel quartier generale dell'Heeresgruppe Süd, ma non realmente concretizzatosi a causa dell'opposizione del feldmaresciallo Erich von Manstein[9], il secondo, avvenuto il 13 marzo a Smolensk durante la visita di Hitler allo stato maggiore dell'Heeresgruppe Mitte, dove il colonnello Fabian von Schlabrendorff consegnò ad un ufficiale dello stato maggiore che viaggiava in aereo con il Führer un pacchetto, ufficialmente contenente alcoolici, provvisto invece di due piccole cariche esplosive sufficienti per fare precipitare l'aereo, che tuttavia non esplosero. Il terzo infine, avvenne il 21 marzo a Berlino, quando al colonnello Rudolf Christoph Freiherr von Gersdorff fu affidato l'incarico di accompagnare Hitler ad una mostra di materiale bellico catturato al nemico; Tresckow chiese a von Gersdorff se fosse disponibile a sacrificarsi facendosi saltare in aria mentre si trovava accanto a lui ma, dopo averne ricevuto l'assenso, la visita del Führer si svolse così rapidamente da non permettere il tempo di azionamento delle spolette, costringendo von Gersdorff ad uscire per disinnescarle.

La pianificazione dell'attentato

L'idea di un attentato ai danni del Führer nacque durante un incontro avvenuto nel settembre del 1943 tra il feldmaresciallo Günther von Kluge, il generale a riposo Ludwig Beck, il dottor Carl Friedrich Goerdeler ed il generale Friedrich Olbricht, riunitisi presso l'appartamento di quest'ultimo[10]. Goerdeler fu sindaco di Lipsia e per un breve periodo commissario del Reich per il controllo dei prezzi. Fu uno dei maggiori oppositori alla politica del Führer, nonché fautore di una nuova forma di governo nella quale egli stesso avrebbe dovuto ricoprire la carica di Cancelliere, mentre il generale Beck, ex capo di stato maggiore dell'esercito, sarebbe dovuto divenire il nuovo Capo di Stato[6][11]. Il motivo della riunione risiedeva nella richiesta del feldmaresciallo von Kluge (comandante dal 16 dicembre 1941 al 27 ottobre 1943 dell'Heeresgruppe Mitte sul fronte orientale), di un incontro con il generale Beck per esprimere la sua preoccupazione sull'andamento della guerra e sull'impossibilità di proseguirla su due fronti, e in merito alla necessità di prendere una decisione per eliminare Hitler dalla scena politica e militare, ritenendo che questo avrebbe impedito la distruzione del paese e l'invasione sovietica della Germania.[12]
Le condizioni per la realizzazione di un attentato tuttavia peggioravano sempre di più poiché Hitler non appariva quasi più in pubblico e raramente si recava a Berlino[8]; egli infatti, dal 24 giugno 1941, due giorni dopo l'inizio dell'operazione Barbarossa, aveva spostato il suo quartier generale a Rastenburg, nella Wolfsschanze, spostandosi solo occasionalmente nella sua residenza estiva nell'Obersalzberg, il Berghof. Heinrich Himmler e la Gestapo inoltre nutrivano sospetti sulla possibilità di un complotto contro Hitler, sospettando un coinvolgimento da parte degli ufficiali dello Stato maggiore generale.

L'ingresso di Stauffenberg nei cospiratori

Il colonnello Claus Schenk von Stauffenberg, esecutore materiale dell'attentato ad Hitler del 20 luglio 1944.
Nell'agosto 1943, Tresckow incontrò per la prima volta un giovane ufficiale, il tenente colonnello Claus Schenk von Stauffenberg; questi era stato gravemente ferito in Tunisia, perdendo la mano destra, due dita della mano sinistra e l'occhio sinistro. Il conte von Stauffenberg aveva un orientamento politico conservatore, nazionalista e cattolico e, dall'inizio del 1942, condivise il pensiero largamente diffuso tra gli ufficiali dell'esercito, che il proseguimento della guerra avrebbe portato la Germania al disastro e che Hitler sarebbe dovuto essere rimosso dal potere. Inizialmente i suoi scrupoli religiosi gli avevano impedito di giungere alla conclusione che l'assassinio sarebbe stato l'unico modo per raggiungere questo scopo ma cambiò idea dopo la sconfitta della 6ª armata a Stalingrado nel dicembre 1942, ed il conseguente fallimento della seconda offensiva estiva sul fronte orientale[13].
Una volta terminata la convalescenza, venne contattato dai cospiratori, accettando di unirsi all'organizzazione; dopo avere ricevuto la nomina di capo di stato maggiore dell'esercito territoriale, sotto il diretto comando del generale Olbricht, rielaborò insieme a von Tresckow ed al maggiore Hans-Ulrich von Oertzen la strategia del colpo di stato, modificando radicalmente gli ordini di mobilitazione della riserva nel caso della morte di Hitler, in modo tale da poter agire contro le più alte personalità del Reich e le SS. La scelta su chi dovesse compiere materialmente l'attentato cadde proprio sul colonnello von Stauffenberg, in virtù dell'opportunità che questi aveva di avvicinare il Führer durante le riunioni alla "tana del lupo" (Wolfsschanze), il quartier generale di Adolf Hitler sul fronte orientale[8].

Il piano Walküre

Carl Friedrich Goerdeler avrebbe dovuto ricoprire nel nuovo Governo la carica di Cancelliere del Reich.
Nel 1943 Olbricht aveva presentato una nuova strategia per la realizzazione del colpo di Stato; l'esercito territoriale (l'Ersatzheer), aveva un piano operativo denominato "operazione Valchiria" (in tedesco Operation Walküre), utilizzabile in caso di rivolta interna o nei territori occupati. I vertici militari avevano infatti considerato l'ipotesi che la mancanza di ordine e di controllo, dovuta alla distruzione delle città a causa dei bombardamenti e nelle conseguenti difficoltà di controllare le strutture necessarie a trattenere i milioni di lavoratori forzati occupati nelle fabbriche tedesche, sarebbe potuta sfociare in una ribellione o in una insurrezione.
Wolf-Heinrich von Helldorf, alla sinistra di Heinrich Himmler, capo della polizia di Berlino; garantì la collaborazione delle forze dell'ordine della capitale durante il colpo di Stato.
Il generale Friedrich Fromm (quarto da sinistra), comandante dell'esercito territoriale.
Olbricht suggerì che questo piano avrebbe potuto essere utilizzato per mobilitare l'esercito territoriale non contro la minaccia preventivata ma viceversa contro le SS ed i vertici del partito. Tra l'agosto ed il settembre 1943 venne quindi redatto un nuovo piano Walküre da von Tresckow, che introdusse nuovi ordini supplementari per l'occupazione dei ministeri del governo di Berlino, del quartier generale di Himmler nella Prussia orientale, delle stazioni radio e delle centrali telefoniche, oltreché per la liberazione dei campi di concentramento[14][15]. L'operazione Valchiria poteva essere messa in atto esclusivamente dal generale Friedrich Fromm, comandante dell'esercito territoriale, che quindi si trovò nella posizione di dover partecipare alla congiura oppure essere arrestato assieme agli altri funzionari governativi ed ai militari che fossero rimasti fedeli ad Hitler.
Il ruolo di Stauffenberg era indispensabile per l'attuazione del piano. Durante il colpo di Stato che avrebbe seguito la morte del Führer Stauffenberg avrebbe dovuto fare immediatamente ritorno a Berlino per prendere il comando della milizia territoriale mentre il capo ufficio segnalazioni Fellgiebel, avrebbe dovuto telefonare a Berlino per dare la notizia della morte di Hitler, e ricevuta la notizia, il generale Friedrich Olbricht assieme al nuovo capo di Stato Maggiore, al colonnello Albrecht Mertz von Quirnheim e ad altri ufficiali favorevoli al rovesciamento del governo, avrebbero avviato il piano Walküre. Questo era tuttavia debole in diversi punti: il generale Fromm era a conoscenza del complotto ma fino a quel momento non aveva fatto nulla per fermarlo, e tra i congiurati si era fatta largo la convinzione che parimenti non avrebbe fatto nulla per ostacolarlo. Egli tuttavia aveva condizionato la sua adesione alla riuscita del colpo di Stato, ossia non ne avrebbe preso parte fino a quando il successo non fosse stato assicurato[16], quindi, in caso di fallimento era lecito pensare che si sarebbe schierato contro i partecipanti. In questo modo il suo eventuale rifiuto di inoltrare gli ordini relativi al piano, avrebbe impedito ai comandanti dei distretti militari la loro conferma, con il pericolo che questi avrebbero potuto opporre il rifiuto di eseguirli.
La verifica della morte di Hitler era un'altra delle variabili essenziali alla riuscita del piano, poiché, se l'attentato fosse fallito, le possibilità di iniziare l'operazione Valchiria erano praticamente inesistenti dato che i comandanti dei distretti non avrebbero obbedito ad ordini provenienti dalla milizia territoriale, se questi si fossero basati sulla notizia inesatta della morte del Führer. Il tempo necessario a Stauffenberg per fare ritorno a Berlino, pari a circa tre ore, aggiungeva difficoltà al piano, poiché gli ordini per la mobilitazione della riserva territoriale erano firmati da Olbricht e da von Quirnheim; tuttavia, se dai distretti militari fosse pervenuta la richiesta, questi avrebbero dovuto essere confermati da Fromm, e di conseguenza Stauffenberg non avrebbe potuto confermare nessun ordine prima del suo ritorno a Berlino. Inoltre se gli ordini non fossero partiti o se il blocco delle comunicazioni non avesse retto, lo stato maggiore di Hitler avrebbe potuto emanare i relativi contrordini[17].

L'attentato

L'adesione di Rommel

Nell'estate del 1944 la Gestapo era a conoscenza di un piano per assassinare Hitler. Inoltre vi era la sensazione che anche sul campo di battaglia rimanesse poco tempo prima della definitiva disfatta della Germania, poiché il fronte orientale era in rotta e il 6 giugno gli Alleati aprirono un nuovo fronte in Francia. Circa un mese prima il feldmaresciallo Erwin Rommel era stato informato dal generale Hans Speidel dei preparativi di un attentato al Führer e questi aveva formalmente aderito e, anche se nulla fu deciso riguardo alla sua posizione nel nuovo governo, la notizia rafforzò la determinazione dei congiurati in quanto Rommel godeva in Germania di una grande popolarità e di una grande stima da parte della popolazione e la sua presenza avrebbe potuto spostare l'equilibrio del consenso a favore di Stauffenberg. Il feldmaresciallo sostenne che si doveva "venire in soccorso della Germania" ma allo stesso tempo, riteneva che uccidere Hitler ne avrebbe fatto un martire, preferendo l'idea di arrestarlo e trascinarlo davanti a un tribunale militare per i suoi molteplici crimini[18].
Quando Stauffenberg mandò, attraverso il tenente Heinrich Graf von Lehndorff-Steinort, un messaggio a Tresckow chiedendo se vi fosse ancora qualche motivo per tentare di assassinare Hitler, in quanto nessun fine politico sarebbe servito alla Germania, Tresckow rispose: "L'assassinio deve essere tentato, coûte que coûte (ad ogni costo). Anche qualora il tentativo fallisse, dobbiamo procedere nell'operazione Valchiria a Berlino. Ai fini pratici non è più alcuno scopo; quello che conta adesso è che il movimento di resistenza tedesco deve fare un grande passo davanti agli occhi del mondo e della storia. Rispetto a questo, nient'altro ha importanza[19]."

I giorni precedenti l'attentato

A sinistra il colonnello Claus Schenk von Stauffenberg durante l'incontro con Adolf Hitler alla Wolfsschanze, a destra il feldmaresciallo Wilhelm Keitel e, di spalle il generale Karl-Heinrich Bodenschatz, 15 luglio 1944.
Sabato 1º luglio 1944, Stauffenberg venne nominato capo di stato maggiore del generale Fromm presso la sede dell'esercito territoriale al Bendlerblock, nel centro di Berlino; il nuovo incarico permise a Stauffenberg di partecipare alle riunioni informative di Hitler, sia alla Wolfsschanze che a Berchtesgaden, offrendogli la possibilità di uccidere personalmente Hitler. Nel frattempo nuovi elementi si aggiunsero alle fila dei congiurati e tra questi vi era il generale Carl-Heinrich von Stülpnagel, comandante militare in Francia, il quale, dopo la morte di Hitler, avrebbe preso il controllo di Parigi con l'intento di negoziare un armistizio con le forze Alleati[20].
Il 7 luglio il generale Stieff ebbe la possibilità di uccidere Hitler durante una mostra di nuove divise presso il castello di Klessheim vicino a Salisburgo, senza tuttavia riuscire ad agire, mentre l'11 luglio Stauffenberg partecipò ad una conferenza alla presenza di Hitler, portando una bomba nella sua valigetta, ma a causa della precedente decisione dei cospiratori, che ritenevano imprescindibile uccidere il Führer eliminando contemporaneamente Hermann Göring ed Heinrich Himmler, l'attentato non venne realizzato a causa della mancata presenza di quest'ultimo[8].
Quando Stauffenberg, il 15 luglio, si recò nuovamente alla Wolfsschanze, la decisione di uccidere Hitler insieme ad Himmler era stata abbandonata ed il piano di Stauffenberg consisteva nel posizionare la valigetta con la bomba, dotata di un innesco a tempo, all'interno del bunker di cemento dove usualmente si tenevano le riunioni, uscire con un pretesto, attendere l'esplosione per poi fare ritorno a Berlino dove, dal Bendlerblock, l'edificio del ministero della guerra eletto a quartier generale della cospirazione, si sarebbe stato dato il via all'operazione Valchiria. Anche in questa occasione tuttavia, nonostante alla riunione fossero presenti sia Himmler che Göring, l'attentato non poté essere realizzato in quanto Hitler venne chiamato fuori dalla stanza all'ultimo momento[8].

Il 20 luglio 1944

Il mattino del 20 luglio 1944, von Stauffenberg si recò nuovamente alla Wolfsschanze; egli era stato convocato allo scopo di riferire sulle divisioni che la milizia territoriale stava creando in previsione dell'avanzata sovietica ed avrebbe dovuto presentare il suo rapporto ad Hitler durante la riunione quotidiana che questi teneva insieme al suo stato maggiore. In compagnia del colonnello vi erano il tenente Werner von Haeften ed il generale Hellmuth Stieff; sia Stauffenberg che von Haeften portavano una bomba nelle rispettive borse, ognuno dei due ordigni, preparati da Wessel Freytag von Loringhoven, era composto da circa un chilogrammo di esplosivo al plastico, avvolto in una carta di colore marrone; questi avrebbero dovuto essere innescati a tempo, attraverso un detonatore formato da una sottile molla di rame che sarebbe stata progressivamente corrosa da un acido[21].
Mappa del complesso della Wolfsschanze, la "tana del lupo". L'edificio contrassegnato con il numero 6 è la sala delle conferenze dove avvenne l'attentato.
Una volta giunto a Rastenburg, von Haeften ordinò al pilota di tenersi pronto a ripartire per la capitale da mezzogiorno in avanti e, lasciato l'aeroporto, i tre si diressero in automobile alla Wolfsschanze; il dispositivo di sorveglianza del quartier generale di Hitler era formato da tre anelli, difesi da campi minati, casematte e barriere di filo spinato, superabili attraverso tre posti di blocco ed ogni ufficiale aveva a disposizione un lasciapassare, valido una sola volta, e tutti dovevano essere soggetti alla perquisizione da parte di un ufficiale delle SS; i due cospiratori, convocati personalmente da Hitler, riuscirono facilmente ad oltrepassare il dispositivo, presentandosi all'interno della "tana del lupo" intorno alle ore 11.00[22].
Adolf Hitler (in blu) si trovava al centro della sala congressi della Wolfsschanze; le persone decedute (in rosso) si trovavano alla sua destra, in prossimità della bomba.
La riunione in cui avrebbe dovuto essere presente il Führer era in programma per le 13.00 ed i due ufficiali, dopo una breve colazione, si recarono dal generale Fellgiebel che insieme al generale Stieff avrebbe dovuto trasmettere la notizia della morte di Hitler e quindi bloccare qualunque comunicazione verso l'esterno, per dare tempo ai cospiratori di avviare l'operazione Valchiria. Poco dopo le ore 12:00, von Stauffenberg si recò dal feldmaresciallo Wilhelm Keitel per sottoporgli il contenuto della sua relazione e, dopo averne ottenuto l'approvazione, venne informato dell'anticipo della riunione alle 12.30 a causa dell'arrivo di Benito Mussolini che sarebbe giunto in visita nel pomeriggio. Il cambiamento di orario rese necessario accelerare l'operazione di innesco degli ordigni e von Stauffenberg chiese al feldmaresciallo il permesso di ritirarsi per qualche minuto per lavarsi e cambiarsi la camicia, chiedendo di essere accompagnato dal suo attendente. Il nervosismo di von Haeften tuttavia rischiò di compromettere l'operazione. Mentre von Stauffenberg era a colloquio con gli ufficiali, l'attendente lasciò l'esplosivo incustodito in una borsa su una scrivania avvolto in una camicia, tanto che un sottufficiale delle SS gli chiese di cosa si trattasse, ma l'arrivo di von Stauffenberg risolse la situazione[23].
Una volta rimasti soli, i due iniziarono la preparazione dei due ordigni ma, dopo l'innesco del primo, vennero richiamati dal feldmaresciallo Keitel poiché la riunione era già iniziata: un sergente bussò alla porta e fece ingresso nella stanza, vedendo i due ufficiali manipolare un oggetto e, dopo che Keitel disse ad alta voce "Stauffenberg si sbrighi", il sottufficiale rimase davanti alla porta aperta fino a che il colonnello non uscì con la borsa sotto il braccio, non riuscendo quindi ad innescare la seconda bomba. Per non attirare troppo l'attenzione su di sé Stauffenberg rinunciò a proseguire i preparativi, ritenendo erroneamente che il calore prodotto dall'esplosione di uno degli ordigni avrebbe fatto deflagrare anche il secondo. Una volta diretto verso la sala riunioni, l'attendente di Keitel cercò di prendergli la borsa per affrettarsi ma il colonnello non glielo permise e percorse velocemente i 500 metri che separavano la baracca dove aveva sostato dalla sala dove era in svolgimento la riunione, diversamente dalle informazioni in possesso di von Stauffenberg che riteneva che questa si sarebbe tenuta nel bunker di cemento, che avrebbe amplificato la potenza dell'esplosione[23].
Un soldato mostra i pantaloni di Hitler, distrutti dalla deflagrazione della bomba.
La sala riunioni era un comune edificio in mattoni e legno, con larghe finestre, protette da serrandine di acciaio per proteggere i presenti dalle schegge, che, a causa del caldo opprimente di quel giorno, erano tutte aperte; von Stauffenberg iniziò a pensare che la carica potesse essere insufficiente ma a quel punto era impossibile fermarsi. All'interno dell'edificio, il colonnello chiese all'attendente di Keitel di essere posizionato vicino al Führer a causa dei suoi problemi di udito; l'ufficiale diede il suo assenso ed appoggiò la cartella di von Stauffenberg dietro al tenente generale Adolf Heusinger, che in quel momento stava presentando il suo rapporto in merito al fronte orientale. Si presume che il colonnello Heinz Brandt, che era in piedi accanto a Hitler, spinse con il piede la cartella dietro la gamba del tavolo, evitando così l'uccisione di Hitler, ma causando la propria morte[24].
Nella stanza si trovavano 24 persone ed il feldmaresciallo Keitel richiamò l'attenzione di Hitler dicendogli "Stauffenberg è arrivato, non vuole sentirlo su questo punto?" ma questi, dopo avere salutato il colonnello con un cenno del capo, rispose "più tardi, lasciamo finire Heusinger"; immediatamente dopo von Stauffenberg chiese all'attendente di Keitel di potere uscire per fare una telefonata ed i due lasciarono insieme la stanza e, una volta giunti all'apparecchio telefonico, von Stauffenberg chiese di essere messo in comunicazione con il generale Fellgiebel; l'attendente fece ritorno nella stanza mentre il colonnello, sollevato e riagganciato il ricevitore, uscì dall'edificio[25].
Adolf Hitler, scampato all'attentato, visita insieme a Benito Mussolini ciò che resta della sala riunioni.
Mentre von Stauffenberg stava percorrendo a piedi i circa 300 metri che lo separavano dall'automobile che lo attendeva, il generale Heusinger stava terminando la sua relazione e la sua frase "se non facciamo ritirare immediatamente il nostro gruppo di armate che si trova accanto al lago Peipus, una catastrofe...", fu interrotta dall'esplosione che avvenne alle 12.42[24][26]. Il colonnello, insieme al tenente von Haeften, salì in macchina ed ordinò all'autista di partire; egli ritenne che l'attentato fosse riuscito ma, nella confusione e nella fretta, non era riuscito a vedere nulla di quanto fosse realmente accaduto, mentre il generale Fellgiebel vide un uomo barcollante uscire dall'edificio distrutto, appoggiato al braccio di Keitel e quell'uomo era Adolf Hitler, sopravvissuto quasi incolume all'attentato; egli riportò infatti solo alcune bruciature alla gambe e la perforazione del timpano destro.[24] Lo scoppio della bomba aveva invece ucciso tre ufficiali, tra cui il colonnello Brandt, e lo stenografo[26].
Von Stauffenberg, dopo aver udito l'esplosione e visto il fumo che si levava dalle finestre dell'edificio colpito, presupponendo la morte di Hitler, salì sulla sua auto personale con il tenente von Haeften. Alle 12.44 uscì dalla tana del lupo telefonando ad un ufficiale dello stato maggiore con cui aveva fatto colazione, per convincere il sottufficiale di guardia a lasciarlo passare[27], ed a recarsi all'aeroporto. Durante il tragitto von Haeften riuscì a liberarsi della seconda bomba, che fu in seguito ritrovata dalla Gestapo, ed entrambi s'imbarcarono sull'aereo messogli a disposizione dal generale Eduard Wagner per fare ritorno a Berlino[28].

Le conseguenze

L'inizio dell'operazione Valchiria

Dopo l'esposione, da Rastenburg il generale Fellgiebel doveva informare Berlino dell'accaduto, ma i segnali a sua disposizione erano solo due, ossia quello di avvio dell'operazione Valchiria e quello di arresto; non era stata presa in considerazione l'ipotesi che la bomba scoppiasse dando quindi avvio al colpo di Stato, ma che Hitler potesse comunque sopravvivere all'attentato[29]. Nell'impossibilità di contattare von Stauffenberg, le comunicazioni con l'ufficio del generale Olbricht furono confuse, ed il generale per non compromettere definitivamente il colonnello, parlando con il generale Fritz Thiele, disse semplicemente "è successa una cosa terribile, il Führer è vivo"[30]. La confusione delle informazioni fu tale che la milizia territoriale non venne messa in movimento fino all'arrivo a Berlino di von Stauffenberg. Questi diede il via al piano comunicando a tutti i distretti la morte del Führer, nonostante il rifiuto del generale Fromm a collaborare[31]. Fromm infatti aveva parlato personalmente con il feldmaresciallo Keitel, il quale gli aveva riferito che il Führer era vivo; Hitler aveva ripreso il controllo della situazione.
Nonostante il ritardo nell'avvio delle operazioni, riprese solo alle 16.00, furono diramate per radio le nomine per il nuovo regime, ma queste comunicazioni iniziarono ad essere smentite dai messaggi provenienti da Rastenburg; la lentezza e le esitazioni nell'attuazione delle operazioni, unite al fallimento dell'attentato, furono fatali ai cospiratori.

La repressione

Verso le 18.00 il comandante del III gruppo della difesa, generale Joachim von Kortzfleisch, fu convocato al Bendlerblock ma si rifiutò di obbedire agli ordini di Olbricht, sostenendo che il Führer non era morto. Venne così arrestato e tenuto sotto sorveglianza, e al suo posto venne nominato il generale Karl Freiherr von Thüngen, che tuttavia non fu in grado di mobilitare le sue truppe. Il generale Fritz Lindemann che avrebbe dovuto leggere alla radio un proclama al popolo tedesco non si presentò[32], né la radio né il quartier generale della Gestapo vennero occupati, e alle 18.45 la radio tedesca iniziò a diffondere ripetutamente un messaggio che spiegava che il Führer era stato oggetto di un attentato che l'aveva però lasciato illeso e che era in atto un colpo di stato.
Inutilmente von Stauffenberg cercò di smentire la notizia, a Praga e Vienna i comandanti territoriali che avevano iniziato ad arrestare le SS, liberarono i prigionieri ristabilendo l'ordine. Alle 19:00 circa Hitler effettuò diverse telefonate mentre il ministro della propaganda Joseph Goebbels si attivò per smentire la notizia della sua morte. Il maggiore Otto Ernst Remer, che si era presentato per arrestare lo stesso Goebbels, dallo stesso ministro fu messo in contatto con Hitler, che lo rassicurò sulle sue condizioni, lo promosse colonnello, e gli ordinò di fermare il colpo di stato e arrestare i cospiratori[31].
Soldati ed SS nel cortile interno del Bendlerblock, quartier generale e luogo della fucilazione dei congiurati.
Remer, prima di assolvere il suo compito, ricevette la notizia che un'unità corazzata allertata dai cospiratori, si era radunata nella Fehrbelliner Platz agli ordini del generale Heinz Guderian. Remer si mise immediatamente in contatto con questi, e nonostante l'autorità di comando su tutte le forze armate disponibili nella capitale che Hitler gli aveva conferito, ricevette risposta che l'unità avrebbe obbedito solo agli ordini di Guderian. L'eventuale intervento di un'unità corazzata avrebbe messo i cospiratori in una condizione di vantaggio rispetto alla divisione Großdeutschland da lui comandata; tuttavia la situazione venne risolta dal tenente colonnello Gehrke che convinse gli equipaggi dei panzer della stabilità della situazione, richiamando la loro fedeltà al Führer[33].
Il colonnello Remer ordinò alle sue truppe di circondare ed isolare il Bendlerblock, senza entrare nell'edificio[34]. Alle ore 20:00 Witzleben arrivò ​​al Bendlerblock, dove discusse con Stauffenberg che insisteva ancora sul proseguimento del colpo di stato. Nello stesso momento, il sequestro del governo di Parigi venne interrotto quando il feldmaresciallo Günther von Kluge venne a sapere che Hitler era vivo. Alle 20.30 il feldmaresciallo Keitel diffuse un messaggio in cui si affermava che Heinrich Himmler era stato nominato comandante dell'esercito territoriale al posto di Fromm e che da quel momento si sarebbe dovuto obbedire solo agli ordini che provenivano da lui. Alle 22.30, dopo una breve sparatoria all'interno del Bendlerblock, i principali congiurati vennero arrestati dal generale Fromm. Poco dopo la mezzanotte del 21 luglio, il colonnello Claus von Stauffenberg, il generale Friedrich Olbricht, il colonnello Albrecht Mertz von Quirnheim ed il tenente Werner von Haeften, su ordine del generale Fromm vennero arrestati e fucilati nel cortile del Bendlerblock. Pochi minuti dopo lo Standartenführer Otto Skorzeny arrivò con una squadra di SS e, dopo aver vietato altre esecuzioni, arrestò i congiurati rimasti e li consegnò alla Gestapo, che immediatamente si attivò per scoprire tutte le persone coinvolte nell'attentato[31].

Il processo

Il processo ai partecipanti del complotto del 20 luglio, presieduto dal giudice nazista Roland Freisler.
Nelle settimane successive, la Gestapo catturò quasi tutti coloro che avevano la più remota connessione con l'attentato; la scoperta di lettere e diari nelle case e negli uffici degli arrestati rivelò i piani dei congiurati fin dal 1938, portando ad una serie di arresti, tra cui quello di Franz Halder, condotto poi in un campo di concentramento. Seguendo il cosiddetto Sippenhaft, l'arresto per motivi di parentela, vennero arrestati tutti i parenti dei principali congiurati. Alla fine furono circa 5.000 le persone arrestate dalla Gestapo e circa 200 i giustiziati;[35] non erano tutti collegati con la congiura, tuttavia la polizia politica colse l'occasione per regolare i conti con molte altre persone sospettate di avere simpatie con l'opposizione nazista[36]. Anche Erwin Planck, il figlio del famoso fisico Max Planck, venne giustiziato per il suo coinvolgimento[37].
Carl Friedrich Goerdeler durante un momento del processo.
I partecipanti al complotto vennero processati dal Volksgerichtshof ("Tribunale del Popolo"), presieduto dal giudice Roland Freisler, condannò a morte tutti gli imputati a seguito di processi brevissimi svolti tra il 7 e l'8 agosto.[38] Pochissimi tra i congiurati cercarono di fuggire o di negare le loro colpe. I processi vennero condotti senza una vera e propria difesa e senza alcun riguardo nei confronti delle persone accusate, obbligate a presentarsi ai processi privi di cinture e con indosso abiti fuori misura[6] allo scopo di renderli grotteschi[39]. Hitler stesso volle che i colpevoli venissero "impiccati e appesi come bestiame al macello"[38][40].
Anche il tentativo di Fromm di scampare al processo, ordinando l'immediata esecuzione di Stauffenberg e di altri congiurati, fu infruttuoso; venne arrestato il 21 luglio e in seguito condannato a morte dal Tribunale del Popolo[31]. Nonostante il suo coinvolgimento nella cospirazione venne accusato esclusivamente di scarso rendimento nelle sue funzioni. Fu giustiziato a Brandeburgo sulla Havel; Hitler in persona commutò la condanna a morte per impiccagione alla "più onorevole" fucilazione.
Il feldmaresciallo Erwin Rommel, qui insieme al generale Hans Speidel, fu indotto a suicidarsi per la sua adesione formale alla congiura.
Pochissimi riuscirono a sfuggire al Tribunale del Popolo, tra questi il feldmaresciallo von Kluge ed i generali Wagner e von Tresckow che si suicidarono; quest'ultimo prima della sua morte disse a Fabian von Schlabrendorff: "Il mondo intero ora ci diffamerà, ma io sono ancora del tutto convinto che abbiamo fatto la cosa giusta. Hitler è l'acerrimo nemico non solo della Germania, ma del mondo intero.[41]" Durante un interrogatorio, Karl-Heinrich von Stülpnagel fece il nome del feldmaresciallo Erwin Rommel; pochi giorni dopo, il consigliere personale di Stülpnagel, Cesare von Hofacker ammise sotto tortura che Rommel era un membro attivo della cospirazione e nonostante non vi fosse stata alcuna partecipazione diretta da parte sua, il feldmaresciallo fu costretto a togliersi la vita il 14 ottobre 1944[18].
La stanza delle esecuzioni per i congiurati, nel carcere berlinese di Plötzensee.
L'esecuzione delle prime condanne avvenne nel carcere di Plötzensee, a poche ore dalla lettura della sentenza. I condannati vennero impiccati con filo di ferro ed i loro corpi appesi poi a ganci da macellaio.[42] Tutte le esecuzioni furono filmate in maniera meticolosa e dettagliata per circa quattro ore di filmato, questo venne mostrato a Hitler, che lo aveva commissionato, e successivamente ad altri gerarchi, non pochi dei quali si sentirono male e dovettero abbandonare la sala di proiezione. Il filmato venne proiettato per l'ultima volta nel 1950 e da allora occultato a Berlino[38].
Altri congiurati, tra cui l'ammiraglio Wilhelm Canaris, ex capo dell'Abwehr e il generale Hans Oster furono arrestati e giustiziati il 9 aprile 1945 nel campo di concentramento di Flossenbürg. I parenti dei congiurati arrestati secondo le norme del Sippenhaft, vennero internati nei campi di concentramento; tra questi vi furono dieci membri della famiglia Stauffenberg, tra i quali Berthold, che fu processato e giustiziato, otto della famiglia Gordeler, e molti altri familiari dei congiurati, alcuni dei quali persero la vita. Dal momento del loro arresto e del loro internamento, mano a mano che gli alleati avanzavano, essi vennero spostati da un campo all'altro fino alla loro liberazione, avvenuta in Tirolo da parte degli americani il 28 aprile 1945[43]. Oggi a Berlino, nella prigione dove furono eseguite le sentenze di morte, c'è un museo commemorativo per le vittime del processo.

I protagonisti della vicenda

I partecipanti alla riunione del 20 luglio

In corsivo i personaggi che rimasero uccisi nell'esplosione.

I cospiratori direttamente coinvolti

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce elenco di membri del complotto del 20 luglio.
Molte personalità militari che ricoprivano posizioni importanti nell'ingranaggio militare tedesco ed importanti esponenti dell'imprenditoria industriale, appartenevano a circoli antinazisti, segretamente od a titolo personale, anche se non tutti concordavano sull'eliminazione fisica di Hitler e dei principali gerarchi; molti erano i simpatizzanti che non avrebbero agito concretamente, o, appellandosi al giuramento di fedeltà, disposti a mostrare i loro veri sentimenti solo dopo la morte del Führer.
Fra coloro che parteciparono direttamente all'attentato vi furono:

Cinematografia

Film

Documentari

Note

  1. ^ Shirer, 1960, op. cit., p. 1393
  2. ^ Hoffmann, op. cit., p. 81
  3. ^ Taylor, 1974, op. cit., p. 224
  4. ^ a b Thomsett, 1997, op. cit., p. 45
  5. ^ Questi sottovalutarono ogni apporto informativo che avrebbe consentito loro di conoscere il piano o addirittura di agevolarlo: cfr. P.R.J. Winter, British Intelligence and the July Bomb Plot of 1944: A Reappraisal in War in History, Sports Industry Market Research, Statistics, Trends and Leading Companies, 2006, pp. 468-494.
  6. ^ a b c d Fest, 1997, op. cit., p. 95
  7. ^ Fest, 1997, op. cit., p. 188
  8. ^ a b c d e Taylor, 1974, op. cit., p. 226
  9. ^ Hoffmann, 1994, op. cit., p. 148
  10. ^ Biagi, 1995, op. cit., p. 2021
  11. ^ Thomsett, 1997, op. cit., p. 40
  12. ^ Thomsett, 1997, op. cit., p. 46
  13. ^ "Claus Schenk Graf von Stauffenber" , German Resistance Memorial Center, 2009.
  14. ^ Fest, 1997, op. cit., p. 219
  15. ^ In precedenza, si credeva che fosse il tenente colonnello Claus Schenk von Stauffenberg il principale responsabile del piano Walküre, ma i documenti recuperati da parte dell'Unione Sovietica dopo la guerra e pubblicati nel 2007 suggeriscono che il piano fu sviluppato da Tresckow entro l'autunno del 1943.
  16. ^ Hoffmann, 1994, op. cit., p. 155
  17. ^ Galante, 1981, op. cit., pp. 11-12
  18. ^ a b Shirer, 1990, op. cit.
  19. ^ Fest, 1997, op. cit., p. 236
  20. ^ Fest, 1997, op. cit., p. 228
  21. ^ Hoffman, 1996, op. cit.
  22. ^ Biagi, 1995, op. cit., p. 2024
  23. ^ a b Hoffmann, 1994, op. cit., p. 156
  24. ^ a b c (DE) Der Anschlag. Spiegel Online. URL consultato il 19-4-2011.
  25. ^ Biagi, 1995, op. cit., p. 2030
  26. ^ a b Biagi, 1992, op. cit., p. 398
  27. ^ Hoffmann, 1994, op. cit., p. 161
  28. ^ (DE) Einer der Letzten, die Stauffenberg lebend sahen. Br Online. URL consultato il 24-4-2011.
  29. ^ Biagi, 1995, op. cit., p. 2031
  30. ^ Hoffmann, 1994, op. cit., p. 426
  31. ^ a b c d Taylor, 1974, op. cit., p. 227
  32. ^ Fest, 1997, op. cit., pp. 270-272
  33. ^ Fraser, 1993, op. cit., p. 499
  34. ^ Galante, 1981, op. cit., p. 209
  35. ^ Kershaw, 2009, op. cit., p. 693
  36. ^ Fest, 1997, op. cit., p. 301
  37. ^ Alleged July Plot Conspirators Executed in Plötzensee Prison. JewishVirtualLibrary.org. URL consultato il 24-4-2011.
  38. ^ a b c Shirer, 1960, op. cit., p. 1070–1071
  39. ^ Durante l'interrogatorio al feldmaresciallo von Witzleben, il giudice Freiser gli si rivolse gridandogli: Witzleben, la smetta di tirarsi su continuamente i pantaloni, è disgustoso. Non può trovare il modo di tenerli a posto? Gallo, 1970, op. cit., p. 351
  40. ^ Fest, 1997, op. cit., p. 295
  41. ^ Hoffmann, 1996, op. cit., p. 187
  42. ^ Thomsett, 1997, op. cit., p. 231
  43. ^ Enzo Biagi, cit., pag. 2036.
  44. ^ Ulrich F. Zwygart, Integrity and moral courage: Beck, Tresckow and Stauffenberg in Military Review, Sports Industry Market Research, Statistics, Trends and Leading Companies, 1994.
  45. ^ Salmaggi e Pallavisini, 1989, op. cit., p. 561
  46. ^ Scheda su Rommel, la volpe del deserto dell'Internet Movie Database
  47. ^ Scheda su Accadde il 20 luglio dell'Internet Movie Database
  48. ^ Scheda su Operazione walkiria dell'Internet Movie Database
  49. ^ Il film ricevette nel 1956 il Deutscher Filmpreis nella categoria "Filme, die zur Förderung des demokratischen Gedankens beitragen".
  50. ^ Scheda su La notte dei generali dell'Internet Movie Database
  51. ^ Scheda su Il complotto per uccidere Hitler dell'Internet Movie Database
  52. ^ Scheda su Die Stunde der Offiziere dell'Internet Movie Database
  53. ^ Scheda su Stauffenberg dell'Internet Movie Database
  54. ^ Scheda su Operazione Valchiria dell'Internet Movie Database
  55. ^ Scheda su Geheime Reichssache dell'Internet Movie Database
  56. ^ Scheda su The Restless Conscience dell'Internet Movie Database

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