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mercoledì 30 gennaio 2019

IL PD DEVE INTERVENIRE NON SULLA SEA-WATCH3 MA DIRETTAMENTE IN AFRICA! INSIEME ALL'UE: IL FUTURO SEGRETARIO NAZIONALE DEL PARTITO DEMOCRATICO CHE VERRA' DESIGNATO UFFICIALMENTE DALL'ESITO DELLE PRIMARIE DEL 3 MARZO 2019, DOVRA' IMPEGNARSI IN SEDE EUROPEA PRIMA ED IN SEDE DELL'ONU POI, AFFINCHE' IN LIBIA VENGANO FINALMENTE SMANTELLATI NON SOLO I CAMPI DELL'ORRORE (DI CUI COMPLICI SONO I DUE GOVERNI DI HAFTAR E SARRAJ) MA CHE VENGANO ANCHE ARRESTATI GLI SCAFISTI, NUOVI SCHIAVISTI CHE MACINANO MILIARDI DI EURO ALL'ANNO CON LA VILE TRATTA DEGLI ESSERI UMANI...BISOGNA DIRE STOP A QUESTA INFAMIA!!! IL PD SARA' L'UNICA GRANDE SPERANZA PER I POVERI RIFUGIATI IN NORD-AFRICA...L'EUROPA DEVE TORNARE PROTAGONISTA ED INVESTIRE NEI PAESI POVERI DEL TERZO MONDO!!!

DORO, TORTURATO DAGLI SCAFISTI IN LIBIA
Doro parla 7 lingue, tra cui inglese, francese e arabo. È uno dei 47 migranti a bordo della nave ONG Sea Watch 3. A raccontare la sua storia è Brendan, uno dei membri del “rescue-team”.
In Libia veniva chiamato Mo. In lingua Soninke significa “aiutante”. Un “gigante gentile” che “mi motiva quotidianamente” racconta Brendan. “Un uomo che ha sofferto tanto senza aver fatto nulla di male”.
In quel “porto sicuro” che è la Libia (qui il rapporto Onu sugli orrori) Doro è stato torturato senza pietà. Lo hanno appeso per le mani e gli hanno tagliato la faccia mentre video-chiamavano sua mamma chiedendole soldi per liberarlo.
Gli hanno spaccato la faccia colpendolo con un kalashnikov e procurandogli la perdita della vista da un occhio. È stato pugnalato allo stomaco e picchiato ancora e ancora. Le sue cicatrici sono lì a testimoniarlo.
“All’inizio ci ha raccontato che era forte. Gli spegnevano le sigarette sul petto ma lui resisteva al dolore senza gridare”. Allora “hanno aumentato la loro cattiveria e lo hanno picchiato senza pietà. Gli hanno fatto patire la fame, gli hanno preso tutti i suoi soldi, hanno estorto denaro ai suoi genitori che sono stati costretti a vendere la loro casa per permettergli di sopravvivere. Poi lo hanno venduto”.
Lo hanno usato come schiavo. Lo hanno venduto più e più volte “eppure brilla ancora. È un faro”.
In prigione il suo migliore amico è morto proprio al suo fianco. Lui è riuscito a scappare e a cercare di raggiungere l’Europa. “È stato catturato dalla cosiddetta Guardia Costiera Libica, respinto e nuovamente venduto come schiavo. Ci ha riprovato ma è stato riportato indietro ancora una volta”.
L’ultima volta che ci ha riprovato era convinto di avercela quasi fatta quando ha sentito un’imbarcazione avvicinarsi velocemente. Era convinto che fosse la Guardia Costiera Libica ed era pronto a gettarsi in mare. Poi ha sentito una voce. “Ora siete al sicuro”. A quel punto ha capito che non erano i libici.
“Ora è a bordo della Sea-Watch 3” e aspetta. “È assurdo pensare che nessuno voglia aiutare quest’anima gentile. Sperava che l’Europa fosse meglio di così”.
 

sabato 19 gennaio 2019

ESATTAMENTE OGGI DI 79 ANNI FA NASCEVA A PALERMO IL GIUDICE PAOLO BORSELLINO, ASSASSINATO DALLA MAFIA DI TOTO' RIINA 2 MESI DOPO L'OMICIDIO DEL SUO AMICO E COLLEGA GIOVANNI FALCONE...

PAOLO BORSELLINO
Paolo Borsellino, all'anagrafe Paolo Emanuele Borsellino (Palermo, 19 gennaio 1940Palermo, 19 luglio 1992), è stato un magistrato italiano, assassinato da Cosa nostra assieme ai cinque agenti della sua scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi (prima donna a far parte di una scorta e anche prima donna della Polizia di Stato a cadere in servizio[2]), Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.  Assieme al collega e amico Giovanni Falcone, Paolo Borsellino è considerato una delle personalità più importanti e prestigiose nella lotta alla mafia in Italia e a livello internazionale. Il 19 Luglio 1992, dopo aver pranzato a Villagrazia di Carini con la moglie Agnese e i figli Manfredi e Lucia, Paolo Borsellino si recò insieme alla sua scorta in via D'Amelio, dove vivevano sua madre e sua sorella Rita. Alle 16:58 una Fiat 126 imbottita di tritolo, che era parcheggiata sotto l'abitazione della madre, detonò al passaggio del giudice, uccidendo oltre a Borsellino anche i cinque agenti di scorta Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.
L'unico sopravvissuto fu l'agente Antonino Vullo, scampato perché al momento della deflagrazione stava parcheggiando uno dei veicoli della scorta.
Il 24 Luglio circa 10.000 persone parteciparono ai funerali privati di Borsellino (i familiari rifiutarono il rito di Stato: la moglie Agnese infatti accusava il governo di non aver saputo proteggere il marito, e volle una cerimonia privata senza la presenza dei politici), celebrati nella chiesa di Santa Maria Luisa di Marillac, disadorna e periferica, dove il giudice era solito sentir messa, quando poteva, nelle domeniche di festa. L'orazione funebre fu pronunciata da Antonino Caponnetto, il vecchio giudice che aveva diretto l'ufficio di Falcone e Borsellino: «Caro Paolo, la lotta che hai sostenuto dovrà diventare e diventerà la lotta di ciascuno di noi». Pochi i politici: il presidente Oscar Luigi Scalfaro, Francesco Cossiga, Gianfranco Fini, Claudio Martelli. Il funerale è commosso e composto, interrotto solo da qualche battimani. Qualche giorno prima, i funerali dei 5 agenti di scorta si erano svolti nella Cattedrale di Palermo, ma all'arrivo dei rappresentanti dello Stato (compreso il neo Presidente della Repubblica Italiana, Oscar Luigi Scalfaro), una folla inferocita sfondò la barriera creata dai 4000 agenti chiamati per mantenere l'ordine, mentre la gente, strattonando e spingendo, gridava: "Fuori la mafia dallo Stato". Il Presidente della Repubblica venne tirato fuori a stento dalla calca, venne spintonato anche il capo della polizia. La salma è stata tumulata nel Cimitero di Santa Maria di Gesù a Palermo.
 

giovedì 19 luglio 2012

Buscetta, Totò Riina il "Capo dei Capi", il maiale Brusca che ha sciolto nell'accido un bambino di 6 anni e ha premuto il bottone che ha fatto saltare in aria Falcone...così dovevano essere trattati...invece la repubblica delle banane in cui viviamo li ha trattati da RE!!! Guardate, ascoltate e osservate bene!!!


"Con il passare delle ore il colpevole diventa piu' tranquillo, non parla o piange...capisce che il suo arresto è giustificato...il metodo migliore per capire se una persona è innocente o colpevole è interrogarlo finchè non ne può piu'!"


20 anni dalla morte dei Giudici Falcone e Borsellino: Ok Ok sono solidale ma...scusate se vi offendo, ma ogni anno sta menata tra Falcone e Borsellino no...bisogna risolvere il problema, dunque mezza Sicilia sui vagoni piombati e come diceva il defunto mitico Generale Lebed eroe Russo della guerra in Cecenia, "Tutti i ladri in Siberia!" 19 Luglio 1992 - 19 Luglio 2012: "Potrei anche morire da un momento all'altro, ma morirò sereno pensando che resteranno giovani come voi a difendere le idee in cui credono: ecco, in quel caso non sarò morto invano!" Paolo Borsellino, Festa Nazionale del Fronte della Gioventù (Settembre 1990, Siracusa).


Ok Ok sono solidale ma...scusate se vi offendo, ma ogni anno sta menata tra Falcone e Borsellino no...bisogna risolvere il problema, dunque mezza Sicilia sui vagoni piombati e come diceva il defunto mitico Generale Lebed eroe Russo della guerra in Cecenia, "Tutti i ladri in Siberia!" 19 Luglio 1992 - 19 Luglio 2012: "Potrei anche morire da un momento all'altro, ma morirò sereno pensando che resteranno giovani come voi a difendere le idee in cui credono: ecco, in quel caso non sarò morto invano!" Paolo Borsellino, Festa Nazionale del Fronte della Gioventù (Settembre 1990, Siracusa).




lunedì 4 agosto 2008

Cosa Nostra: le regole della mafia siciliana...

Nella sentenza si descrive l'organizzazione di Cosa Nostra, secondo le testimonianze di Buscetta. Tra le molte leggi non scritte che regolano il comportamento mafioso, vi è anche l'obbligo di dire sempre la verità allorché si parla fra “uomini d'onore” di questioni comuni.La vita di Cosa Nostra (la parola mafia è un termine letterario che non viene mai usato dagli aderenti a questa organizzazione criminale) è disciplinata da regole rigide non scritte ma tramandate oralmente, che ne regolamentano l'organizzazione e il funzionamento ("nessuno troverà mai elenchi di appartenenza a Cosa Nostra, né attestati di alcun tipo, né ricevute di pagamento di quote sociali"), e così riassumibili, sulla base di quanto emerge dal lungo interrogatorio del Buscetta.- La cellula primaria è costituita dalla "famiglia", una struttura a base territoriale, che controlla una zona della città o un intero centro abitato da cui prende il nome (famiglia di Porta Nuova, famiglia di Villabate e così via).
- La famiglia è composta da "uomini d'onore" o "soldati" coordinati, per ogni gruppo di dieci, da un "capodecina" ed è governata da un capo di nomina elettiva, chiamato anche "rappresentante", il quale è assistito da un "vice capo" e da uno o più "consiglieri".Qualora eventi contingenti impediscano o rendano poco opportuna la normale elezione del capo da parte dei membri della famiglia, la "commissione" provvede alla nomina di "reggenti" che gestiranno pro tempore la famiglia fino allo svolgimento delle normali elezioni. Ad esempio, ha ricordato Buscetta, la turbolenta "famiglia" di Corso dei Mille è stata diretta a lungo dal reggente Francesco Di Noto fino alla sua uccisione (avvenuta il 9.6.1981); alla sua morte è divenuto rappresentante della famiglia Filippo Marchese.Analogamente, a seguito dell'uccisione di Stefano Bontate, rappresentante della famiglia di S. Maria di Gesù, la commissione nominava reggenti Pietro Lo Iacono e Giovanbattista Pullarà, mentre a seguito dell'uccisione di Salvatore Inzerillo, capo della famiglia di Passo di Rigano, veniva nominato reggente Salvatore Buscemi; così, dopo la scomparsa di Giuseppe Inzerillo, padre di Salvatore e capo della famiglia di Uditore, veniva nominato reggente Bonura Francesco ed analogamente, dopo l'espulsione da Cosa Nostra di Gaetano Badalamenti, capo della famiglia di Cinisi, veniva nominato reggente Antonino Badalamenti, cugino del vecchio capo.- L'attività delle famiglie è coordinata da un organismo collegiale, denominato "commissione" o "cupola", di cui fanno parte i "capi-mandamento" e, cioè, i rappresentanti di tre o più famiglie territorialmente contigue. Generalmente, il "capo mandamento" è anche il capo di una delle famiglie, ma, per garantire obiettività nella rappresentanza degli interessi del "mandamento" ed evitare un pericoloso accentramento di poteri nella stessa persona, talora è accaduto che la carica di "capo mandamento" fosse distinta da quella di "rappresentante" di una famiglia.- La commissione è presieduta da uno dei capi-mandamento: in origine, forse per accentuarne la sua qualità di primus inter pares, lo stesso veniva chiamato "segretario" mentre, adesso, è denominato "capo". La commissione ha una sfera d'azione, grosso modo, provinciale ed ha il compito di assicurare il rispetto delle regole di Cosa Nostra all'interno di ciascuna famiglia e, soprattutto, di comporre le vertenze fra le famiglie.- Da tempo (le cognizioni del Buscetta datano dagli inizi degli anni '50) le strutture mafiose sono insediate in ogni provincia della Sicilia, ad eccezione (almeno fino ad un certo periodo) di quelle di Messina e di Siracusa.- La mafia palermitana ha esercitato, pur in mancanza di un organismo di coordinamento, una sorta di supremazia su quella delle altre province, nel senso che queste ultime si adeguavano alle linee di tendenza della prima.- In tempi più recenti, ed anche in conseguenza del disegno egemonico prefissosi dai Corleonesi, è sorto un organismo segretissimo, denominato "interprovinciale", che ha il compito di regolare gli affari riguardanti gli interessi di più province.- Non meno minuziose sono le regole che disciplinano l' "arruolamento" degli "uomini d'onore" ed i loro doveri di comportamento.I requisiti richiesti per l'arruolamento sono: salde doti di coraggio e di spietatezza (si ricordi che Leonardo Vitale divenne "uomo d'onore" dopo avere ucciso un uomo); una situazione familiare trasparente (secondo quel concetto di "onore" tipicamente siciliano, su cui tanto si è scritto e detto) e, soprattutto, assoluta mancanza di vincoli di parentela con "sbirri".La prova di coraggio ovviamente non è richiesta per quei personaggi che rappresentano, secondo un'efficace espressione di Salvatore Contorno, la "faccia pulita" della mafia e cioè professionisti, pubblici amministratori, imprenditori che non vengono impiegati generalmente in azioni criminali ma prestano utilissima opera di fiancheggiamento e di copertura in attività apparentemente lecite.Il soggetto in possesso di questi requisiti viene cautamente avvicinato per sondare la sua disponibilità a far parte di un'associazione avente lo scopo di "proteggere i deboli ed eliminare le soverchierie". Ottenutone l'assenso, il neofita viene condotto in un luogo defilato dove, alla presenza di almeno tre uomini della famiglia di cui andrà a far parte, si svolge la cerimonia del giuramento di fedeltà a Cosa Nostra. Egli prende fra le mani un'immagine sacra, la imbratta con il sangue sgorgato da un dito che gli viene punto, quindi le dà fuoco e la palleggia fra le mani fino al totale spegnimento della stessa, ripetendo la formula del giuramento che si conclude con la frase: "Le mie carni debbono bruciare come questa santina se non manterrò fede al giuramento".Lo status di "uomo d'onore", una volta acquisito, cessa soltanto con la morte; il mafioso, quali che possano essere le vicende della sua vita, e dovunque risieda in Italia o all'estero, rimane sempre tale.Proprio a causa di queste rigide regole Antonino Rotolo era inviso a Stefano Bontate (oltre che per la sua stretta amicizia con Giuseppe Calò), essendo cognato di un vigile urbano; e lo stesso Buscetta veniva espulso dalla mafia per avere avuto una vita familiare troppo disordinata e, soprattutto, per avere divorziato dalla moglie.Pare, comunque, che adesso, a detta del Buscetta, a causa della degenerazione di Cosa Nostra, i criteri di arruolamento siano più larghi e che non si vada più tanto per il sottile nella scelta dei nuovi adepti.L' "uomo d'onore", dopo avere prestato giuramento, comincia a conoscere i segreti di Cosa Nostra e ad entrare in contatto con gli altri associati.Soltanto i Corleonesi e la famiglia di Resuttana non hanno mai fatto conoscere ufficialmente i nomi dei propri membri ai capi delle altre famiglie, mentre era prassi che, prima che un nuovo adepto prestasse giuramento, se ne informassero i capi famiglia, anche per accertare eventuali motivi ostativi al suo ingresso in Cosa Nostra.In ogni caso, le conoscenze del singolo "uomo d'onore" sui fatti di Cosa Nostra dipendono essenzialmente dal grado che lo stesso riveste nell'organizzazione, nel senso che più elevata è la carica rivestita maggiori sono le probabilità di venire a conoscenza di fatti di rilievo e di entrare in contatto con "uomini d'onore" di altre famiglie.Ogni "uomo d'onore" è tenuto a rispettare la "consegna del silenzio": non può svelare ad estranei la sua appartenenza alla mafia, né, tanto meno, i segreti di Cosa Nostra; è, forse, questa la regola più ferrea di Cosa Nostra, quella che ha permesso all'organizzazione di restare impermeabile alle indagini giudiziarie e la cui violazione è punita quasi sempre con la morte.All'interno dell'organizzazione, poi, la loquacità non è apprezzata: la circolazione delle notizie è ridotta al minimo indispensabile e l' "uomo d'onore" deve astenersi dal fare troppe domande, perché ciò è segno di disdicevole curiosità ed induce in sospetto l'interlocutore.Quando gli "uomini d'onore" parlano tra loro, però, di fatti attinenti a Cosa Nostra hanno l'obbligo assoluto di dire la verità e, per tale motivo, è buona regola, quando si tratta con "uomini d'onore" di diverse famiglie, farsi assistere da un terzo consociato che possa confermare il contenuto della conversazione. Chi non dice la verità viene chiamato "tragediaturi" e subisce severe sanzioni che vanno dalla espulsione (in tal caso si dice che l' "uomo d'onore è posato") alla morte.Così, attraverso le regole del silenzio e dell'obbligo di dire la verità, vi è la certezza che la circolazione delle notizie sia limitata all'essenziale e, allo stesso tempo, che le notizie riferite siano vere.Questi concetti sono di importanza fondamentale per valutare le dichiarazioni rese da "uomini d'onore" e, cioè, da membri di Cosa Nostra e per interpretarne atteggiamenti e discorsi. Se non si prende atto della esistenza di questo vero e proprio "codice" che regola la circolazione delle notizie all'interno di "Cosa Nostra" non si riuscirà mai a comprendere come mai bastino pochissime parole e perfino un gesto, perché uomini d'onore si intendano perfettamente tra di loro.Così, ad esempio, se due uomini d'onore sono fermati dalla polizia a bordo di un'autovettura nella quale viene rinvenuta un'arma, basterà un impercettibile cenno d'intesa fra i due, perché uno di essi si accolli la paternità dell'arma e le conseguenti responsabilità, salvando l'altro.E così, se si apprende da un altro uomo d'onore che in una determinata località Tizio è "combinato" (e, cioè, fa parte di Cosa Nostra), questo è più che sufficiente perché si abbia la certezza assoluta che, in qualsiasi evenienza ed in qualsiasi momento di emergenza, ci si potrà rivolgere a Tizio, il quale presterà tutta l'assistenza necessaria. [...]Proprio in ossequio a queste regole di comportamento sia Buscetta sia Contorno, come si vedrà, hanno posto una cura esasperata nell'indicare come "uomini d'onore" soltanto i personaggi dei quali conoscevano con certezza l'appartenenza a Cosa Nostra, e cioè soltanto coloro che avevano avuto presentati come "uomini d'onore" e coloro che avevano avuto indicati come tali da altri uomini d'onore, anche se personalmente essi non li avevano mai incontrati.Anche la "presentazione" di un uomo d'onore è puntualmente regolamentata dal codice di Cosa Nostra allo scopo di evitare che nei contatti fra i membri dell'organizzazione si possano inserire estranei.E' escluso, infatti, che un "uomo d'onore" si possa presentare da solo, come tale, ad un altro membro di Cosa Nostra, poiché, in tal modo, nessuno dei due avrebbe la sicurezza di parlare effettivamente con un "uomo d'onore". Occorre, invece, l'intervento di un terzo membro dell'organizzazione che li conosca entrambi come "uomini d'onore" e che li presenti tra loro in termini che diano l'assoluta certezza ad entrambi dell'appartenenza a Cosa Nostra dell'interlocutore. E, così, come ha spiegato Contorno, è sufficiente che l'uno venga presentato all'altro, con la frase "Chistu è a stissa cosa", (questo è la stessa cosa), perché si abbia la certezza che l'altro sia appartenente a Cosa Nostra.Altra regola fondamentale di Cosa Nostra è quella che sancisce il divieto per l'uomo di trasmigrare da una famiglia all'altra.Questa regola, però, riferisce Buscetta, non è stata più rigidamente osservata dopo le vicende della "guerra di mafia" che hanno segnato l'inizio dell'imbastardimento di Cosa Nostra: infatti, Salvatore Montalto, che era il vice di Salvatore Inzerillo (ucciso nella guerra di mafia) nella "famiglia" di Passo di Rigano, è stato nominato, proprio come premio per il suo tradimento, rappresentante della "famiglia" di Villabate.Il mafioso, come si è accennato, non cessa mai di esserlo quali che siano le vicende della sua vita.L'arresto e la detenzione non solo non spezzano i vincoli con Cosa Nostra ma, anzi, attivano quell'indiscussa solidarietà che lega gli appartenenti alla mafia: infatti gli "uomini d'onore" in condizioni finanziarie disagiate ed i loro familiari vengono aiutati e sostenuti, durante la detenzione, dalla "famiglia" di appartenenza; e spesso non si tratta di aiuto finanziario di poco conto, se si considera che, come è notorio, "l'uomo d'onore rifiuta il vitto del Governo" e, cioè, il cibo fornito dall'amministrazione carceraria, per quel senso di distacco e di disprezzo generalizzato che la mafia nutre verso lo Stato.Unica conseguenza della detenzione, qualora a patirla sia un capo famiglia, è che questi, per tutta la durata della carcerazione, viene sostituito dal suo vice in tutte le decisioni, dato che, per la sua situazione contingente, non può essere in possesso di tutti gli elementi necessari per valutare adeguatamente una determinata situazione e prendere, quindi, una decisione ponderata. Il capo, comunque, continuando a mantenere i suoi collegamenti col mondo esterno, è sempre in grado di far sapere al suo vice il proprio punto di vista, che però non è vincolante, e, cessata la detenzione, ha il diritto di pretendere che il suo vice gli renda conto delle decisioni adottate.Durante la detenzione è buona norma, anche se non assoluta, che l'uomo d'onore raggiunto da gravi elementi di reità non simuli la pazzia nel tentativo di sfuggire ad una condanna: un siffatto atteggiamento è indicativo della incapacità di assumersi le proprie responsabilità.Adesso, però, sembra che questa regola non sia più seguita, e, comunque, che non venga in qualche modo sanzionata, ove si consideri che sono numerosi gli esempi di detenuti sicuramente uomini d'onore, che hanno simulato la pazzia (vedi in questo procedimento gli esempi di Giorgio Aglieri, Gerlando Alberti, Tommaso Spadaro, Antonino Marchese, Gaspare Mutolo, Vincenzo Sinagra "Tempesta").Tutto ciò, a parere di Buscetta, è un ulteriore sintomo della degenerazione degli antichi princìpi di Cosa Nostra.Anche il modello di comportamento in carcere dell'uomo d'onore, descritto da Buscetta, è radicalmente mutato negli ultimi tempi.Ricorda infatti Tommaso Buscetta che in carcere gli "uomini d'onore" dovevano accantonare ogni contrasto ed evitare atteggiamenti di aperta rivolta nei confronti dell'autorità carceraria. Al riguardo, cita il suo stesso esempio: si era trovato a convivere all'Ucciardone, per tre anni, con Giuseppe Sirchia, vice di Cavataio ed autore materiale dell'omicidio di Bernardo Diana, il quale era vice del suo grande amico, Stefano Bontate; ma, benché non nutrisse sentimenti di simpatia nei confronti del suo compagno di detenzione, lo aveva trattato senza animosità, invitandolo perfino al pranzo natalizio.Questa norma, però, non è più rispettata, come si evince dal fatto che Pietro Marchese, uomo d'onore della famiglia di Ciaculli, è stato ucciso il 25.2.1982 proprio all'interno dell'Ucciardone, su mandato della "commissione", da altri detenuti.Unica deroga al principio della indissolubilità del legame con Cosa Nostra è la espulsione dell'uomo d'onore, decretata dal "capo famiglia" o, nei casi più gravi, dalla "commissione" a seguito di gravi violazioni del codice di Cosa Nostra, e che non di rado prelude all'uccisione del reo. L'uomo d'onore espulso, nel lessico mafioso, è "posato".Ma neanche l'espulsione fa cessare del tutto il vincolo di appartenenza all'organizzazione, in quanto produce soltanto un effetto sospensivo che può risolversi anche con la reintegrazione dell'uomo d'onore.Pertanto l'espulso continua ad essere obbligato all'osservanza delle regole di Cosa Nostra. Lo stesso Buscetta, a causa delle sue movimentate vicende familiari, era stato "posato" dal suo capo famiglia Giuseppe Calò, il quale poi gli aveva detto di non tenere conto di quella sanzione ed anzi gli aveva proposto di passare alle sue dirette dipendenze. Anche Gaetano Badalamenti, nel 1978, benché fosse capo di Cosa Nostra, era stato espulso dalla "commissione", per motivi definiti gravissimi, su cui però Buscetta non ha saputo (o voluto) dire nulla.L'uomo d'onore posato non può trattenere rapporti con altri membri di Cosa Nostra, i quali sono tenuti addirittura a non rivolgergli la parola. E proprio basandosi su questa regola, Buscetta si era mostrato piuttosto scettico sulla possibilità che il Badalamenti, benché "posato", fosse coinvolto nel traffico di stupefacenti con altri uomini d'onore; sennonché, venuto a conoscenza delle prove obiettive acquisite dall'ufficio, si è dovuto ricredere ed ha commentato che "veramente il danaro ha corrotto tutto e tutti".Anche la vicenda della espulsione di Buscetta da parte di Calò appare nebulosa.Il Buscetta, infatti, aveva avuto comunicata la sua espulsione addirittura da Gaetano Badalamenti e durante la detenzione non aveva ricevuto, come d'uso per i "posati", alcun aiuto finanziario da parte della sua "famiglia"; per contro il suo capo famiglia Pippo Calò lo aveva esortato a non tenere conto di quanto andava dicendo quel "tragediaturi" di Badalamenti e si era scusato per la mancanza di aiuto finanziario, assumendo che non era stato informato; aveva notato inoltre che in carcere gli altri uomini d'onore intrattenevano con lui normali rapporti, come se nulla fosse accaduto.Altra regola fondamentale di Cosa Nostra è l'assoluto divieto per l'"uomo d'onore" di fare ricorso alla giustizia statuale. Unica eccezione, secondo il Buscetta, riguarda i furti di veicoli, che possono essere denunziati alla polizia giudiziaria per evitare che l'uomo d'onore, titolare del veicolo rubato, possa venire coinvolto in eventuali fatti illeciti commessi con l'uso dello stesso; naturalmente, può essere denunciato soltanto il fatto obiettivo del furto, ma non l'autore.Del divieto di denunciare i furti, vi è in atti un riscontro persino umoristico riguardante il capo della "commissione", Michele Greco. Carla De Marie, titolare di una boutique a Saint Vincent, era solita fornire alla moglie di Michele Greco capi di abbigliamento che spediva a Palermo, tramite servizio ferroviario, regolarmente assicurati contro il furto. Una volta, il pacco era stato sottratto ad opera di ignoti durante il trasporto, e la De Maria aveva più volte richiesto telefonicamente alla signora Greco di denunciare il furto, essendo ciò indispensabile perché la compagnia assicuratrice rifondesse il danno. Ebbene, la moglie di Michele Greco, dopo di avere reiteratamente fatto presente alla De Marie che il marito non aveva tempo per recarsi alla polizia per presentare la denunzia, aveva preferito pagare i capi di abbigliamento, nonostante che non li avesse mai ricevuti.


Appunti a proposito di libertà di informazione in terra di Mafia!

Non ha senso parlare solo dell'informazione in Sicilia, delle esperienze positive e negative consumatesi nell'isola, degli otto giornalisti uccisi dalla mafia (voglio ricordarli: Cosimo Cristina, Mauro De Mauro, Giovanni Spampinato, Peppino Impastato, Mario Francese, Giuseppe Fava, Mauro Rostagno, Beppe Alfano), della Radio dei poveri Cristi di Danilo Dolci durata appena un giorno, di Radio Aut e di Tele Jato ecc. ecc. Lo sguardo va necessariamente allargato sul piano nazionale e per non sfondare porte aperte, più che riferirmi alle grandi testate, più o meno inginocchiate davanti al potere democristiano prima e berlusconiano dopo, mi riferirò alla stampa di sinistra da cui era e sarebbe lecito attendersi qualcosa di più e di diverso. Un po' di storia Cominciamo dall'assassinio di Peppino: 9 maggio 1978, il Centro siciliano di documentazione c'era già dall'anno prima. La stampa che allora definimmo "di regime" scrisse che Peppino era un terrorista e un suicida. Solo il "Quotidiano dei lavoratori" (tra gli altri Pino Ferraris, che non era un giornalista) e "Lotta continua" ci diedero una mano per smontare la montatura imbastita da carabinieri e magistrati. Ma della redazione di "Lotta continua" nessuno venne in Sicilia. Non venne il direttore Enrico Deaglio, non vennero i vecchi compagni di Peppino, come Mauro Rostagno, a cui Peppino era legatissimo. Ho visto per l'ultima volta Mauro tre mesi prima che l'uccidessero e gli ho accennato a Peppino. Ho capito che il discorso lo infastidiva e ho preferito non insistere. "Il manifesto" diede la notizia in modo incredibile. G. R. (Gianni Riotta), che successivamente sarebbe asceso ai fasti del "Corriere", dell'editoria e della televisione (dove si dice che come direttore del Tg1 abbia archiviato il "panino": la rivoluzione che tutti auspicavamo!), scrisse una noticina striminzita: polizia e carabinieri parlano di attentato, i compagni dicono: "È stata la mafia". Tutto qui. La notizia non sarebbe stata ripresa e l'anno dopo quando preparavamo la manifestazione nazionale contro la mafia, la prima della storia d'Italia, "il manifesto" non dedicò neppure una riga. Il giornale ha avuto il ruolo che sappiamo su tantissimi temi e abbiamo seguito con trepidazione quanto è successo a Giuliana Sgrena che ho conosciuto ai tempi di Comiso nei primi anni '80, e a Nicola Calipari, caduto nella guerra infinita che insanguina l'Iraq, ma su mafia, Sicilia e Mezzogiorno "il manifesto" ha sempre scritto poco e male. Bisognerà aspettare molti anni per trovare qualche pezzo di Guido Ruotolo sulla vicenda processuale che faticosamente cercavamo di portare avanti assieme ai familiari e ai compagni di Peppino. A livello politico gli unici che ci aiutavano erano i compagni di Democrazia Proletaria, Giovanni Russo Spena, da allora fino alla relazione della Commissione antimafia sul "caso Impastato" (dopo si è eclissato assieme a tutti i "rifondati", che evidentemente preferiscono altri interlocutori, in nome di un movimentismo senza strategia e dell'uso alternativo dello sfintere) e per un po' di tempo Silvano Miniati e Guido Pollice che mi affidò il compito di scrivere gran parte della relazione di minoranza della Commissione antimafia del 1985. Ma torniamo alla stampa o più in generale all'informazione. 1979, l'anno dell'uccisione di Mario Francese, Boris Giuliano, Cesare Terranova e Lenin Mancuso. A Palermo, sotto i portici di piazzale Ungheria il Centro espone una mostra fotografica, con fotografie di Letizia Battaglia, Franco Zecchin e altri. Passa Joe Marrazzo, il notissimo giornalista televisivo. Ci chiede di poter riprendere la mostra e intervista le persone che la guardano. Intervista Letizia Battaglia e me. Ci chiede di portare la mostra a Corleone e fa parecchie interviste. Viene fuori un servizio interessante, ma dell'intervista a Letizia viene trasmessa una battutina sulla paura, non c'è traccia della mia, in cui parlavo del lavoro del Centro, che aveva già fatto il convegno nazionale "Portella della Ginestra: una strage per il centrismo", in cui per primi e poi per anni da soli sostenevamo la valenza strategica della strage, mentre la storiografia ufficiale parlava della violenza come espressione della crisi e dell'isolamento del blocco agrario, che invece si apprestava a vincere mentre avrebbero perso il movimento contadino e le sinistre. Il Centro aveva promosso nel maggio del '79, primo anniversario dell'uccisione di Peppino, la manifestazione nazionale contro la mafia, ma evidentemente queste informazioni "non fanno notizia". Scrivo una lettera di protesta: ci avete presentati come portatori di pannelli, ma la cosa si ferma lì. "Samarcanda", la notissima trasmissione di Santoro, non ha mai dedicato un secondo al Centro mentre sono state dedicate ore di trasmissione a Leoluca Orlando e ai suoi amici, tra cui c'erano Carmine Mancuso passato dopo qualche tempo a Forza Italia, e Padre Pintacuda, che allora sosteneva che il "sospetto è l'anticamera della verità", successivamente passato nei dintorni di Forza Italia. Quando è stato ucciso Libero Grassi (1991) pensavamo che ci si desse qualche spazio: assieme ai Verdi avevamo organizzato l'unica iniziativa pubblica per sostenerlo (un'assemblea nella sala delle lapidi: eravamo solo in trenta, vistosamente assenti i devoti di Orlando) ma i redattori della trasmissione non lo sapevano. 12 marzo 1992: uccidono Salvo Lima. Su Lima avevamo redatto due dossier, uno presentato prima a Roma e poi a Strasburgo nel 1984, con l'allora giovanissimo Claudio Fava de "I siciliani", una rivista che costituisce una delle pagine più significative del giornalismo d'inchiesta non solo in Sicilia ma in Italia (a proposito: i libri di Giuseppe Fava sono da tempo introvabili. Bisognerebbe fare una nuova edizione di tutte le sue opere). Il secondo dossier su Lima fu presentato a Roma da Giovanni Russo Spena e da me nel 1989. Lima aveva risposto per iscritto al primo dossier, un caso unico e debbo dire che la risposta era molto civile. Subito dopo l'assassinio di Lima "Samarcanda" va in onda da Palermo al Foro Italico, mi invitano ad andare, vado con i due dossier, parlo con Mannoni, non sapeva nulla dei dossier ma mi dice che mi darà la parola, attendo invano per due o tre ore e tolgo il disturbo, anche perché dalla folla dei presenti si levava un applauso, sciagurato, alla morte di Lima. Febbraio 1995. Dalla piazza di Terrasini va in onda "Tempo reale". Tutto il tempo è dedicato al sindaco Manlio Mele che accusava, assieme ad Orlando, il maresciallo Lombardo, suicida da lì a poco. Nelle vicinanze della piazza c'era la sede di Radio Aut. Nessuno parla di Peppino Impastato e dei suoi compagni. Neppure quando uno dalla piazza grida: "Qui non è stato ucciso nessuno". I giornalisti del giro santoriano evidentemente non sapevano chi era Peppino Impastato. Anche loro per saperne qualcosa dovranno attendere il film, che ne darà un'icona da Peter Pan di provincia. Sulla Rete tre, ai tempi di Sandro Curzi, per qualche anno c'è stato "Telefono giallo" di Corrado Augias. Un giornalista si presenta al Centro e ci chiede di collaborare a una puntata su Peppino Impastato. Collaboriamo, ma poi il giornalista ci comunica che la trasmissione su Impastato non ci sarà. Alla Rai, dopo il film su Peppino ci sono state parecchie interviste a Felicia e a Giovanni ma come Centro non abbiamo avuto molta fortuna, né prima né dopo. Qualche esempio. Trasmissione di Minoli (non ricordo come si chiamava). Viene al Centro la De Palma, una giornalista bravissima, purtroppo morta prematuramente, che ci dedica più di due ore di registrazione per un'intervista a 360 gradi: su Lima, sui Salvo ecc. ecc. Poi ci telefona, mortificatissima, dicendo che Minoli non trasmetterà nulla. Va in onda Nicola Tranfaglia che ha curato un libro in cui su Lima scrive Vasile che, da buon ex pci, ignora i nostri dossier e il voto dell'allora eurodeputato comunista De Pasquale contro la mozione presentata da Emilio Molinari sui rapporti di Lima con la mafia. "Elmo di Scipio" di Deaglio. Vengono al Centro due giornaliste giovanissime. Quasi tre ore di registrazione. Trasmettono solo una battutina di Anna davanti all'albero Falcone. Riprendono gli attori che recitano i versi del mio Ricordati di ricordare, senza dire di chi è. Su Impastato, sulla relazione della Commissione parlamentare sul depistaggio delle indagini, costituitasi su nostra proposta e ai cui lavori abbiamo dato un contributo decisivo, parlano altri che non hanno avuto nessun ruolo, ma evidentemente sono più "telegenici". "Primo piano". Va in onda uno speciale dopo la proiezione de "I cento passi". Roberto Scardova è venuto al Centro, mi ha intervistato, gli abbiamo dato il recapito di Felicia. Telefona che della mia intervista non sarà trasmesso neppure un secondo, perché si deve dare la parola a Gigi Lo Cascio, l'attore che interpretava Peppino, e sulla relazione della Commissione antimafia, che senza il Centro non si sarebbe mai fatta, debbono parlare in tandem Beppe Lumia e Russo Spena. Da qualche tempo chiediamo alla Rai di fare un video su Peppino e sul dopo, che rimane quasi sconosciuto (il film si ferma al funerale), ma finora non si è potuto realizzare. È andata e va meglio con altre televisioni, dalla Spagna alla Finlandia agli Stati Uniti all'Olanda e alla Svizzera, che spesso ci mandano le cassette: una forma di emigrazione mediatica che ci porta a pensare che non sarebbe una cattiva idea togliere le tende dal paesetto Italia. Sull'Ordine dei giornalisti e su Magistratura Democratica Nel novembre del 1997 l'Ordine dei giornalisti ha iscritto Peppino nell'elenco dei giornalisti professionisti e in seguito alle condanne di Claudio Riolo e mia per diffamazione a mezzo stampa in seguito alle citazioni in giudizio civile di Francesco Musotto e Calogero Mannino abbiamo organizzato delle iniziative di dibattito e riflessione. Nel dicembre 2003 abbiamo parlato di "Libertà di critica, libertà di ricerca", in un seminario nazionale organizzato assieme alla Facoltà di Lettere, all'associazione Articolo 21, a Libera e a Magistratura Democratica. Abbiamo parlato dei disegni di legge in discussione, che non promettono nulla di buono. Gli atti del convegno sono stati raccolti in volume, ma le nostre proposte (per esempio, togliere la competenza su temi come questi alla giurisdizione civile e penale e attribuirla a un giurì d'onore; prevedere come sanzione la replica, la correzione, l'integrazione, non la pena pecuniaria che riduce l'onorabilità delle persone a un genere da supermercato) non hanno avuto seguito. Una parentesi sui nostri rapporti con Magistratura Democratica. Ottimi nei primi anni, con la nostra partecipazione al convegno nazionale del 1980 (i relatori mi chiesero di utilizzare miei scritti senza citarmi, perché temevano un'eccessiva politicizzazione, dopo qualcuno di loro ha lasciato la toga per la politica) e a un seminario nazionale del 1982, inesistenti per circa vent'anni (era il periodo in cui l'ipergarantismo, dettato dalla diffidenza per un'estensione alla mafia del "teorema Calogero" elaborato per i terroristi, in Md era alle stelle), ripresi negli ultimi anni, con i convegni nazionali del 2001 e del 2005. Dopo l'infatuazione per Arlacchi e le sue teorie sulla mafia inesistente come realtà organizzata (per convincersi dell'esistenza della mafia strutturata doveva attendere le dichiarazioni di Calderone), sulla mafia tradizionale in competizione per l'onore e la mafia imprenditrice che scopre la competizione per la ricchezza solo negli anni '70, che sono delle emerite sciocchezze (ma nel volume che raccoglieva gli atti del seminario del 1982 l'opera arlacchiana veniva definita "essenziale per la comprensione del fenomeno mafioso" e Giuseppe Borré nell'introduzione faceva continui riferimenti all'Arlacchi e ignorava completamente la mia relazione, che ho riletto in questi giorni e sembra scritta oggi), le mie analisi sulla mafia come realtà complessa, come soggetto politico, sul blocco sociale egemonizzato dalla borghesia mafiosa sembrerebbero entrate in circolo, ma mi pare che si stia facendo strada un'altra infatuazione a base di Supermafia planetaria e onnipotente e di "voglia di mafia", espressione prescientifica che lascerei al linguaggio popolare per designare i desideri alimentari delle donne incinte. Nel convegno su "Mafia e potere" del 18 e 19 febbraio 2005, conclusosi con ovazioni a Orlando anche da parte di magistrati che evidentemente hanno dimenticato i suoi attacchi a Falcone, si è discusso dell'esito del processo ad Andreotti. Rimango del mio avviso: il processo ha avuto una conclusione in piena coerenza con il "barcamenismo" italico. Si parla di reato commesso fino al 1980, con una prescrizione calcolata al minuto secondo e un'assoluzione per insufficienza di prove per gli anni successivi che non poteva non avallare la canonizzazione di Andreotti, già avviata ad opera dello stesso Santo Padre con l'abbraccio in occasione della santificazione di Padre Pio, che è il massimo che la Chiesa possa offrire, se nella classifica della devozione il frate con le stimmate ha battuto tutti, compreso Gesù Cristo. Il rapporto di Andreotti con Salvo Lima, e quindi indirettamente con la mafia, è documentato fino alla morte di quest'ultimo: non sarà stato rilevante penalmente ma resta gravissimo sul piano etico-politico. Comunque, insistere sulle colpe di Andreotti ormai mi pare in ritardo con la storia. Sulla scena ci sono ben altri personaggi che si ritengono al di sopra e al di fuori della giustizia e che sono un pericolo per la democrazia. Ma la vulgata vuole che bisogna stare attenti a non demonizzare troppo, altrimenti Berlusconi diventa invincibile... Sulle riviste Qualche parola sulle riviste teoriche della sinistra, anche se hanno una scarsissima diffusione. Sulle pagine di "Marx 101" le mie riflessioni su mafia e dintorni hanno avuto un certo spazio, e anche su "AltrEuropa" e su "Alternative", di cui scrissi l'editoriale programmatico del primo numero. Poi è successo qualcosa. Un mio pezzo per una progettata rubrica di "AltrEuropa", in cui esprimevo la mia contrarietà all'abolizione dell'ergastolo per stragisti e mafiosi, è stato censurato. La rubrica non è nata e ho invitato i compagni della redazione a fare una letterina a Fidel Castro per chiedergli l'abolizione della pena di morte a Cuba, dove Fidel l'ha applicata anche ad avversari politici come Ochoa, condannato a morte per un traffico di droga in cui era coinvolto pure il fratello del dittatore, ovviamente scagionato. Proposta non accolta e fine dei rapporti. Per la nuova serie di "Alternative" mi sono visto retrocesso dal comitato di redazione al comitato scientifico, che per tutte le riviste è solo un elenco di nomi, più o meno prestigiosi, che non contano nulla per la linea della rivista. Per la serie attuale di "Alternative" non mi hanno neppure informato. Lo stalinismo è un vizio duro a morire anche per chi si professa convertito alla nonviolenza. Sulla "Rivista del Manifesto" nel settembre 2001 ho scritto un pezzo sulle elezioni regionali, ponendo alcuni problemi sulla sinistra in Sicilia, in crisi dagli anni '50 (la prima e ultima vittoria delle sinistre alla elezioni regionali è del 20 aprile 1947, dieci giorni prima della strage di Portella della Ginestra). La rivista doveva aprire un dibattito. C'è stato solo un intervento di Forgione che ha ignorato totalmente il mio articolo. In seguito la rivista ha chiuso le pubblicazioni. In Sicilia, tra le riviste che hanno avuto un ruolo positivo vanno ricordate "CxU", chiusa ormai da tempo, "Città d'utopia" (la redazione di Palermo era costituita dal Centro) che dopo dieci anni di ottimo lavoro ha anch'essa cessato le pubblicazioni, mentre ormai da più di trent'anni si pubblica "Segno", con cui abbiamo avuto per anni ottimi rapporti purtroppo interrotti quando infuriava l'orlandismo con il suo carico di bigottismi. La mia proposta di aprire un dibattito sul ruolo di Orlando è stata respinta, con la giustificazione che bisognava "fare quadrato" e "non rompere il fronte". Poi è accaduto quello che avevo puntualmente previsto: alle elezioni comunale del 1990 Orlando, capolista con al numero 2 Di Benedetto, legato a Lima, ha portato al massimo storico la Dc e dimezzatogli alleati di centrosinistra. Ma da allora non c'è stato nessun rapporto con i redattori della rivista. A Messina da più di dieci anni si pubblica il settimanale "Centonove", impegnato in un'attività di informazione e di inchiesta in un contesto difficile. A livello nazionale c'è "Narcomafie", con cui collaboriamo fin dal primo numero. Una rivista che bisognerebbe diffondere meglio e fare conoscere di più, ma le mie proposte, come componente del comitato scientifico, di fare delle presentazioni, costituire delle redazioni locali, non trovano grande accoglienza. La rivista è legata a Libera e qui bisognerebbe aprire un discorso su di essa, sul difficile rapporto mio e del Centro Impastato con Libera nazionale che mi ha portato nel 2005 alle dimissioni, su vicende recenti che hanno portato allo scioglimento di Libera Palermo, ma in questa sede bastano questi accenni. Negli ultimi mesi abbiamo avviato un rapporto con alcune pubblicazioni dell'area nonviolenta, con la costituzione di un gruppo di studio su nonviolenza, mafia e antimafia, che ha organizzato un convegno nazionale nel maggio 2005. Ultime notizie Tra le ultime notizie ci sono le mie dimissioni da consulente della Commissione parlamentare antimafia, del febbraio 2005. A livello nazionale, brevi su "l'Unità" e sul "Manifesto", nulla su "Liberazione". Sia chiaro: il presidente della Commissione Centaro faceva il suo mestiere e tra i suoi compiti c'era quello di "dimostrare" che la mafia è solo un fenomeno criminale e che il rapporto mafia politica è un'invenzione delle "toghe rosse". A tal fine ha utilizzato anche uno spezzone di una mia frase sul terzo livello, in cui affermavo che quella rappresentazione mediatica (la mafia come un edificio a tre piani: al pianterreno i gregari, al secondo i capi, al terzo una supercupola politico- finanziaria) è inadeguata per rappresentare un sistema relazionale che è molto più complesso e che il rapporti tra mafia, politica e istituzioni è costitutivo del fenomeno mafioso. Ha preso la prima parte e ha cestinato il resto. Un'operazione che si commenta da sé. Ma le mie dimissioni sono state soprattutto una critica aperta per le opposizioni che non hanno fatto nulla di significativo, sia perché le persone più impegnate badavano più ai problemi dei loro partiti, alle campagne elettorali, ai salti da un Parlamento all'altro, agli iperpresenzialismi mediatici, alle esibizioni teatrali ecc. ecc. che al lavoro nella Commissione, ma soprattutto perché hanno mostrato di non avere capacità e volontà adeguate per imporre contenuti e pratiche alternativi. Ho ricevuto una lettera da Centaro in cui mi comunica che "l'Ufficio di presidenza integrato dai rappresentanti dei Gruppi nella seduta del 16 febbraio ha deciso all'unanimità di concludere immediatamente il rapporto di consulenza con Lei instaurato, fra l'altro corrispondendo al Suo desiderio". Non so se sia vero, se è vero, non posso che esprimere la mia gratitudine ai rappresentanti dei gruppi parlamentari di sinistra che hanno mostrato di non meritare la collaborazione mia e del Centro Impastato. A fine legislatura è arrivata una relazione di minoranza in cui si scopiazzano malamente le mie teorizzazioni sulla borghesia mafiosa, che vengono fatte convivere con le fantasticherie sulla mafia-industria della protezione privata. In ogni caso una presa di posizione tardiva e inefficace. Qualche accenno al quadro attuale. "Telejato" deve battersi contro la Bertolino, difesa da Alfredo Galasso, vecchio compagno d'armi di Orlando e di Pintacuda nelle accuse a Falcone e ora tra i fondatori della Fondazione Caponnetto. E, con tutte le querele che le piovono addosso, mi sembra davvero un evento straordinario che "Telejato" ci sia ancora. Dei nuovi arrivati posso dire che "L'isola possibile" mi pare troppo gracile e "Casablanca" non so se avrà un futuro, come mi auguro. Noi come Centro Impastato continuiamo a lavorare, totalmente autofinanziati perché altri centri studi e fondazioni preferiscono mungere la mucca Regione Sicilia con le leggine fotografie e i rappezzi alla Finanziaria. Ci sono state polemiche, tardive, con padre Bucaro, gestore del Centro Borsellino, che è stato sciolto in seguito alle voci su una sua incriminazione per riciclaggio, non seguita da rinvio a giudizio, ma sono tanti quelli che per fare un'iniziativa hanno bisogno dei fondi pubblici arraffati in qualche modo. E finché a sinistra e nella stessa antimafia non si avrà il coraggio di cambiare registro non c'è da attendersi nulla di buono. Tranne che non faccia qualche miracolo il responsabile di "Antimafia 2000" che è un miracolo vivente, ha le mani bucate dalle stimmate (quella supplementare sulla fronte nel frattempo è sparita), sa tutto sulla Madonna di Fatima, sugli Ufo e su Nostradamus e organizza convegni con la Facoltà di Lettere di Palermo e con la partecipazione dei magistrati più impegnati. Ma mi guardo bene dal partecipare a questi spettacoli, non credo nei miracoli e di fronte a questa idea di Dio e dintorni, fatta a immagine e somiglianza di un'umanità non proprio esaltante, sono rigorosamente ateo. Per finire Dal 2002 è in atto a Palermo la lotta dei senzacasa, che è riuscita a sfuggire alla solita trappola della guerra tra poveri e si è caratterizzata come esempio di antimafia sociale, con la richiesta, in parte soddisfatta, che vengano assegnate ai senzatetto le case confiscate ai mafiosi. Ad eccezione dell'inserto palermitano del quotidiano "la Repubblica", che ha dedicato una certa attenzione, c'è stato solo qualche articoletto su "l'Unità" e sul "Manifesto", più di cronaca che di riflessione, nulla su "Liberazione", che continua a dedicare pagine su pagine all'amore anale e alla pornografia alternativa. Contenti loro... Di borghesia mafiosa ormai parlano tutti, o quasi. Ma pare che sia una teoria orfana di padre. Di recente alla nuova trasmissione di Santoro il sostituto procuratore Antonio Ingroia l'ha attribuita a innominati "sociologi", nonostante sappia perfettamente che il sociologo è stato uno ed uno solo e ha nome e cognome. Così va il mondo...


Di Umberto Santino da: http://www.centroimpastato.it

Mafia in Italia...in 15 anni non è cambiato nulla!!!

Quindici anni dopo la strage di Capaci, è tornata a Palermo Rosaria. Con il suo Manù che aveva appena quattro mesi quando restò orfano. La giovane vedova, sempre ricordata per quell'acuto dolente rivolto ai mafiosi, «Vi perdono, ma inginocchiatevi», ha scrutato per cinque giorni la città dove il marito Vito Schifani morì dilaniato con altri due colleghi per proteggere Giovanni Falcone.(...) Tornerebbe a vivere qui? «Manco morta. A Palermo sento odore di mafia, l'arroganza del quartiere, della politica ridotta ad affare, del parcheggiatore abusivo, dei commercianti meravigliati quando chiedo lo scontrino. Da sola ci starei. Per sfidare quei maledetti che condizionano pure il respiro dei nostri parenti. Qui prevale il doppio. La costa sembra bella ed è brutta per le costruzioni che la assediano. Le case sembrano brutte, ma dentro sono belle. Per nascondere, per confondere, per scansare invidie. Prevale il contrasto. Guardo e mi rattristo. Qui non cambia niente».(...) «Poteva cambiare tutto. Ma lo Stato si è fermato. I magistrati hanno ripreso a litigare fra loro. Divisi fra amici di Grasso e amici di Caselli. Ancora? Basta. (...) Lo Stato s'è fermato troppe volte. Perché lo Stato ha paura di guardarsi dentro». (...) «Ricordo l'incontro con la vedova di Pio La Torre, guardinga. Mi spiegò che eravamo vittime non di "segreti di Stato", ma di "delitti di Stato"».


sabato 19 luglio 2008

Gioventù Italiana ricorda Paolo Borsellino!

16 anni fa, il 19 luglio del 1992 si spegnevano nel tragico attentato di via D’Amelio le vite di Paolo Borsellino e degli agenti della scorta. Il VILE gesto, firmato “cosa nostra”, aveva l’obiettivo di bloccare le indagini portate avanti dal magistrato, insieme al collega Falcone ucciso pochi mesi prima dalla stessa “mano”, ed intimorire chi cercava di sgominare l’organizzazione e palesare la corruzione del sistema.In questa triste ricorrenza Gioventù Italiana, il movimento giovanile de La Destra, intende tenere vivo il ricordo di quanti, per onestà, per senso del dovere, per la volontà di offrire un futuro migliore agli italiani, hanno deciso di sfidare la mafia e i poteri forti senza esitazione. Personaggi come Falcone, Borsellino, Dalla Chiesa, come gli uomini delle scorte, devono essere modello di valori per tutti.Per non dimenticare, nella giornata di sabato saremo presenti in alcune spiagge di Marina di Ragusa per invitare i bagnanti con un minuto di silenzio a ricordare i nostri Eroi. «La lotta alla mafia deve essere innanzitutto un movimento culturale che abitui tutti a sentire la bellezza del fresco profumo della libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità» (Paolo Borsellino) Ragusa, 18.07.2008 Raffaele Chiavola Portavoce Gioventù Italiana di Ragusa

sabato 26 gennaio 2008

Il presidente della Regione Sicilia Cuffaro si dimette: "Dimissioni irrevocabili!"

"Francamente preferisco la via dell'umiltà. Lo faccio per non tradire quegli ideali ai quali sono stato educato, lo faccio per la mia famiglia e lo faccio come ultimo atto di rispetto verso i siciliani, che in questi anni ho servito con dedizione, semplicità e con quella onestà che sono certo mi verrà completamente riconosciuta". Il presidente della Regione, Salvatore Cuffaro, ha motivato così, nel suo discorso in aula, la decisione di dimettersi. "Fino a quando non ci sarà una sentenza definitiva - ha spiegato - ci sarà una verità processuale e una verità sostanziale. Con la mia decisione rispetterò la prima, in coerenza con il comportamento che ho tenuto in questi anni nei confronti della magistratura e delle istituzioni, ma con determinazione - ha concluso il Governatore - mi batterò, in tutte le sedi, per l'affermazione della verità sostanziale, a difesa della mia vita pubblica e privata". "Ho vissuto anni di intensa sofferenza confortato, oltre che dall'affetto di tanti siciliani, dalla cristiana consapevolezza che nella vita di un uomo essa non è mai vana", ha detto Cuffaro, proseguendo il suo discorso in aula. "Mi ha confortato il riconoscimento, anche da parte del giudice, di quanto nel mio cuore era stato sempre certo: ossia l'assoluta estraneità del mio agire e del mio sentire, pubblico e privato, alle finalità di un'organizzazione come la mafia". "Ma tale sollievo - osserva il Governatore - non mi ha mai sottratto a quell'intensa riflessione che oggi mi vede nuovamente di fronte a voi per comunicarvi le mie irrevocabili dimissioni dalla carica di Presidente della Regione". Cuffaro spiega infine: "Già al momento della sentenza sentivo dentro di me il dovere di compiere questo passo, ma ho deciso di attendere sino all'approvazione del Bilancio e della Legge Finanziaria, per senso di responsabilità verso una terra che continuerò ad amare e che in questi anni ho servito fedelmente, consegnando ad essa tutto il mio tempo e le mie energie".Ad anticipare le dimissioni di Salvatore Cuffaro era stato suo fratello Silvio, che lo aveva accompagnato questa mattina all'Assemblea regionale siciliana. "Si dimetterà, ce lo ha detto. Non poteva fare altrimenti, questo accanimento giudiziario, ma anche politico non poteva andare avanti", aveva detto Silvio Cuffaro, che aveva aggiunto: "Lo accoglieremo in famiglia per dargli la serenita' che merita. Ora sì che vale la pena di fare festa con i cannoli"."Oggi - aveva aggiunto Silvio Cuffaro - sarebbe stato davvero il caso di festeggiare con i cannoli. Mio fratello è molto sereno, adesso potrà occuparsi della sua famiglia".



Fonte: http://www.rainews24.rai.it/

sabato 19 gennaio 2008

Mastella, Cuffaro...e tanti altri! L'Italia che affonda...



(A sinistra l'ex-Ministro Mastella, a destra il Presidente della Regione Sicilia Cuffaro...i due politici Italiani eccellenti inquisiti dalla Magistratura Italiana per corruzione, concussione ed altri gravi reati di abuso di potere!)... Roma - E l'Italia continua ad affondare!!! Non bastava l'euro-moneta impazzita che dimezza e divora il potere di aquisto degli stipendi, delle pensioni e dei risparmi dei lavoratori Italiani; non bastavano le "morti bianche" sul lavoro che oggi non è più sicuro, in tutti i sensi: non è più sicuro per i giovani che cercano il primo impiego, non è più sicuro per i disoccupati che cercano nuovo lavoro, non è più sicuro per i lavoratori stessi che non hanno più garanzie e prevenzione degli incidenti sul posto di lavoro!!! Non bastava l'emergenza "spazzatura" del Sud Italia!!! Il Governo Prodi targato elezioni 2006 è il più osceno, più brutto governo che la nazione Italiana si sia potuta trovare dal secondo dopo-guerra ad oggi: maggioranza formata da un'accozzaglia di partiti e partitini che litigano su tutto e su tutti, un'armata "brancaleone" basata sulla contraddizione di quegli stessi partiti che la guidano, tutti uguali ma anche tutti diversi tra loro tra cui troviamo i sostenitori del Gay-Pride per i diritti di omosex, bisex, gay, lesbiche e transgender a contrarre il matrimonio civile ed avere gli stessi diritti-doveri delle coppie etero, partiti progressisti che votano, discutono e vivono spalla a spalla con i conservatori "bigotti" centristi i quali guardano alla Santa Romana Chiesa e vorrebbero "zittire" quegli stessi "alleati" che alzano il vessillo della "bandiera Gay"...un'accozzaglia dentro cui vivono i proibizionisti oltranzisti (divieto assoluto a droghe leggere e pesanti, no alla vendita di alcool, fumo, no al nudo sui giornali e tv) a fianco degli anti-proibizionisti oltranzisti (sì a droghe leggere, sì a droghe-room legalizzate, sì alle adozioni per le coppie gay e di fatto, sì a tutto)...un'accozzaglia formata anche da coloro che vorrebbero annullare, azzerare totalmente la cultura Italiana ed il suo Cristianesimo in nome dell'accoglienza e di una pseudo-integrazione degli immigrati, un esempio? Togliere i crocefissi dalle aule delle scuole e università, abolire le festività Natalizie e Pasquali dagli asili e dalle scuole Italiane, dai Comuni e dalle nostre Provincie!!! (Tutto questo in alcune città Italiane in passato è successo!) Il centro-sinistra che governa oggi con Prodi è tutto il contrario di tutto, è la peggiore coalizione che il nostro Paese poteva ritrovarsi alla testa di un governo formato per lo più da persone lotizzate ed incompetenti...con poche eccezioni, tra cui troviamo il caro Ministro Antonio Di Pietro, il migliore in assoluto della compagine governativa.
Tra i peggiori, oltre al Premier Prodi, troviamo il "mummificato" Lamberto Dini, vero reperto da museo e l'oppulento ex-Ministro della Giustizia Clemente Mastella, vera icona sopravissuta alla Prima Repubblica del corrottissimo penta-partito targato DC-PSI-PRI-PSDI-PLI e sostenuto dalla stampella del vecchio PCI ora frammentato tra DS, PRC e PDCI...l'opulento Mastella che in barba alla Seconda Repubblica, da Ceppaloni dirigeva la politica del suo piccolo partito, l'UDEUR, come un "barone" di un tempo, come un navigato politico degli anni '80 che lotizzava tutto, raccomandava tutti i suoi più stretti famigliari, collaboratori e fedelissimi, affarista che rubava tutto, che abusava di tutto il suo potere che deteneva per speculare ed arricchirsi fin quanto poteva (anche Mastella era tra quelli che a Roma aquistavano in centro grandi e lussuosi appartamenti a prezzi bassissimi, a prezzi di favore!) ma ancora peggio, proprio come quei politici di un tempo, amministrava la cosa pubblica con un incompetenza ed una svogliatezza tale che creava come i suoi "antenati" degli anni '70-'80 ingenti danni e disastri burocratici.
Inoltre non si comprende il fatto per il quale Mastella abbia insistito ad avere la carica di Ministro della Giustizia quando per tale carica era più indicato, più competente il Ministro delle Infrastrutture Antonio di Pietro, come tutti sanno lui stesso ex-magistrato all'epoca di "Mani Pulite" del 1992...inchiesta che decapitò ed affondò la corrottissima Prima Repubblica del già citato Penta-Partito di Craxi-Forlani-Andreotti.
La miopia politica di Romano Prodi sta traghettando la nave-Italia verso il disastro totale, l'iceberg è già stato urtato, la falla è già stata aperta, nessuno si accorge che più si imbarca acqua e più si affonda...le libere elezioni sono ora necessarie per ridare quel poco di ossigeno che ancora ci rimane per rialzare la testa e ricostruire una Nazione ormai al collasso.
Il Presidente della Regione Sicilia Cuffaro, inquisito anche lui per gravissimi reati di concussione, corruzione e abuso di potere non intende minimamente dimettersi, uomo immorale che mostra la sua arroganza di fronte a tutti gli Italiani...come il Sindaco di Napoli, Rosa Russo Jervolino, donna totalmente incompetente che ha sfruttato la vecchia politica marcita all'ombra della Prima Repubblica corrotta per emergere, arricchirsi e farsi strada, anche lei rifiuta di dimettersi nonostante la sua evidente responsabilità che aveva insieme al Presidente della Regione Campania Antonio Bassolino per la mancata risoluzione del problema rifiuti a Napoli ed in tutta la regione.
Eccetto rare eccezioni, tutta la classe politica Italiana, vecchia e recalcitrante, lotizzata e collusa con la Massoneria da una parte e con la Mafia dall'altra parte, deve essere assolutamente abbattuta, il popolo Italiano ha ancora qualche margine di speranza anche se molto risicato, per ribaltare la situazione con il voto democratico che la Costituzione ancora gli garantisce...i politici Italiani devono essere mandati a casa e sostituiti con una classe politica più giovane, libera da interessi e dinamica...prima che la nave-Italia affondi totalmente nei meandri di una crisi sociale, economica e politica pericolosa ed irreversibile!!!
Alexander Mitrokhin

ITALIA-CINA

ITALIA-CINA
PER L'ALLEANZA, LA COOPERAZIONE, L'AMICIZIA E LA COLLABORAZIONE TRA' LA REPUBBLICA ITALIANA E LA REPUBBLICA POPOLARE CINESE!!!