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venerdì 3 febbraio 2017
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lunedì 27 luglio 2009
domenica 13 gennaio 2008
Il Senatore a vita Giulio Andreotti sarebbe dovuto stare a capo della nuova giunta militare dei Golpisti di Borghese?
A seguito della decisioni, nel 1999 e nel 2000, dell'allora presidente degli Stati Uniti, Bill Clinton, di desecretare documenti, fino a quel momento inaccessibili, custoditi dalla Central Intelligence Agency, meglio nota come Cia, e dal suo predecessore, l'Oss (Office of strategic services), alcune pagine della storia italiana, in questo dopoguerra, dovranno necessariamente essere riscritte.Fra queste, anche il tentato colpo di Stato, nella notte fra il 7 e l'8 dicembre del 1970, organizzato dal "principe nero" Junio Valerio Borghese, al centro anche di una approfondita inchiesta nella trasmissione di RaiTre, "La storia siamo noi" condotta da Giovanni Minoli in una puntata della stagione televisiva del 2005.
In questa puntata, di particolare interesse, le confessioni di uno dei partecipanti al golpe, l'ormai settantenne Adriano Monti, ex medico di Rieti, in predicato di essere nominato, dai congiurati, nientemeno che ministro degli Esteri. Dal suo racconto, 35 anni dopo, squarci di luce su un avvenimento, che in Italia si cercò di far passare come il delirio inoffensivo di qualche ufficiale in pensione.
Un "colpo da operetta", si disse.
Spunto, non a caso, qualche anno dopo, anche di un divertente film, "Vogliamo i colonnelli", interpretato da Ugo Tognazzi.
Il consenso Americano: Ricostruendo i lunghi preparativi della notte di "Tora-Tora", così chiamata in codice dai golpisti, Adriano Monti, non solo ha testimoniato del consenso dato dagli americani al progetto, ma anche la condizione, da loro posta per aderirvi, e cioè la nomina a capo della giunta militare di Giulio Andreotti. Una rivelazione clamorosa, ma non così infondata.
Fu, infatti, proprio Giulio Andreotti nel 1974, in veste di ministro della Difesa, ad impegnarsi nella cancellazione dai dossier informativi, approntati dai Sid per la magistratura, i nomi degli alti ufficiali piduisti coinvolti nei piani eversivi di quella notte, tra gli altri, di Giovanni Torrisi, successivamente nominato capo di Stato maggiore della Difesa, ma anche dello stesso Licio Gelli, il cui incarico, si scoprì, consisteva nel rapimento, alla guida di un gruppo di armati, del presidente della Repubblica Giuseppe Saragat.
Nelle parole di Adriano Monti anche la storia degli incontri in Spagna con Otto Skorzeny, passato alla storia come il "liberatore" al Gran Sasso di Benito Mussolini, il 12 settembre del 1943, ma soprattutto uno degli organizzatori di "Odessa", la rete di salvataggio approntata nel dopoguerra dai criminali nazisti. Venne reclutato, ci dice Monti, dalla Cia come molti altri.
Non fu dunque un caso che al centro del tentato colpo di Stato, nella notte tra il 7 e l'8 dicembre, si trovasse una figura del calibro di Junio Valerio Borghese.Come ormai risulta dagli stessi documenti americani, l'ex- comandante della "Decima Mas", fu reclutato dagli Stati Uniti, ancor prima della fine della guerra, e successivamente utilizzato, insieme ad ex-appartenenti alle formazioni militari della RSI e agenti dell'Ovra, per operazioni "coperte".
La prima fu a Portella della Ginestra , il 1° maggio del 1947, dove squadre di ex-fascisti, unitamente a gruppi di mafiosi e ai banditi di Salvatore Giuliano, spararono, su una folla di contadini, uccidendo 11 persone e ferendone altre 57.
Dopo una lunga militanza nel Msi, dove ricoprì, negli anni '50, anche l'incarico di presidente del partito, la sua ultima creatura fu nel 1968 il Fronte Nazionale, in realtà un coordinamento delle principali organizzazioni della destra extraparlamentare, da Ordine Nuovo a Avanguardia Nazionale, in funzione del colpo di Stato.
Finanziato da alcuni non trascurabili settori imprenditoriali, soprattutto liguri, il Fronte Nazionale puntò, nel meridione, ad alimentare la rivolta di Reggio Calabria, dando vita, in particolare attraverso Avanguardia Nazionale, ad una campagna di attentati. Intensi anche i rapporti con la mafia siciliana e la 'ndrangheta calabrese, di cui si tentò anche un coinvolgimento nei piani golpisti. In anni recenti pentiti di queste organizzazioni criminali hanno anche svelato retroscena importanti, come la partecipazione il 22 luglio 1970 al deragliamento della "Freccia del Sud" (6 morti e 54 feriti), poco dopo l'inizio della rivolta di Reggio Calabria.
Tornando al golpe, secondo il rapporto della Questura di Roma, nella notte tra il 7 e l'8 dicembre 1970: «Alcune centinaia di individui erano stati concentrati nella palestra di Via Eleniana, nelle sedi del Fronte Nazionale, di Avanguardia Nazionale, di Ordine Nuovo, del movimento politico Europa Civiltà, in prossimità dell'abitazione di Reitano Antonio, esponente dell'associazione universitaria di destra Fronte Delta, nello studio commerciale di Rosa Mario (dove si trovava il "comando politico", ndr), nell'ufficio di Orlandini Remo, a Montesacro (dove si trovava il "centro operativo", ndr)».
L'operazione rientrò all'ultimo momento, quando già il Viminale era stato occupato dagli uomini di Alleanza Nazionale ed erano in marcia le colonne dei cospiratori, non solo a Roma, ma anche nel Lazio, oltre che in Liguria, Umbria e Veneto.
Diverse migliaia di persone, tra civili e militari.
Uno scenario ben diverso dal quel «conciliabolo di 4-5 sessantenni» che si cercò di accreditare anni dopo.
La Corte d'Assise di Roma ricostruì la vicenda in modo assai riduttivo, grazie soprattutto al ruolo svolto dal pm Claudio Vitalone. Si escluse che il piano avesse carattere nazionale.
Il golpe venne definito come un atto «iscritto in un disegno lucido» ma «velleitario», nonostante esponenti di Avanguardia Nazionale fossero penetrati, con il consenso dei Carabinieri, fin dentro il ministero degli Interni, impossessandosi di ben 200 mitra. Si evitò di collegare fra loro i diversi progetti eversivi, si pensi alla "Rosa dei Venti", e, soprattutto, si lasciò nel buio più completo il ruolo giocato dai servizi segreti ed i rapporti con le Forze Armate.
Inutile dire che, dopo aver fatto cadere il delitto di insurrezione armata contro lo Stato, le assoluzioni riguardarono la maggior parte degli imputati e le poche condanne comminate (per cospirazione politica e associazione a delinquere) furono assai miti.
La Corte d'Assise d'Appello nel novembre 1984 assolse comunque definitivamente tutti da ogni accusa. Il 24 marzo 1986 la Cassazione confermò definitivamente l'assoluzione generale.
Per la giustizia, il golpe Borghese non era mai avvenuto.
Il "principe nero" non venne mai processato, fuggito in Spagna nel marzo del 1971, quando in seguito all'inchiesta giudiziaria esplose la notizia del tentato golpe, morì nel 1974 in circostanze mai chiarite. Si parlò anche di un suo possibile avvelenamento.
Fonti: http://www.archivio900.it/
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7 DICEMBRE 1970: "GOLPE BORGHESE" IN ITALIA! Chi e perchè fermò il tentativo quasi riuscito di sovvertire la Repubblica Italiana?
Con golpe Borghese (o golpe dei forestali) si indica un tentativo di colpo di Stato avvenuto in Italia nella notte del 7 dicembre 1970 (chiamata anche notte di Tora Tora, in ricordo dell'attacco giapponese a Pearl Harbor, il 7 dicembre 1941) ed organizzato da Junio Valerio Borghese, sotto la sigla Fronte Nazionale, in stretto rapporto con Avanguardia Nazionale. Borghese, conosciuto anche come il "principe nero", era un ex comandante della X MAS che dopo l'8 settembre 1943 aderì alla repubblica di Salò.Il golpe era stato progettato da diversi anni nei minimi particolari: dal 1969 erano stati formati gruppi clandestini armati con stretti rapporti con le Forze Armate. In accordo con diversi vertici militari e membri dei Ministeri, il golpe prevedeva l'occupazione del Ministero dell'Interno, del Ministero della Difesa, delle sedi RAI e dei mezzi di telecomunicazione (radio e telefoni) e la deportazione degli oppositori presenti nel Parlamento. Nei piani c'erano anche il rapimento del capo dello stato Giuseppe Saragat e l'assassinio del capo della polizia, Angelo Vicari. A tutto questo sarebbe stato accompagnato un proclama ufficiale alla nazione, che Borghese stesso avrebbe letto dagli studi RAI occupati. Ecco il proclama dittatoriale in forma breve:« Italiani, l'auspicata svolta politica, il lungamente atteso colpo di stato ha avuto luogo [...]. Le forze armate, le forze dell'ordine, gli uomini più competenti e rappresentativi della nazione sono con noi; mentre, d'altro canto, possiamo assicurarvi che gli avversari più pericolosi, quelli, per intenderci, che volevano asservire la patria allo straniero, sono stati resi inoffensivi [...]. Nel riconsegnare nelle vostre mani il glorioso tricolore vi invitiamo a gridare il nostro prorompente inno d'amore: Italia, Italia, Viva Italia! »
Il piano cominciò ad essere attuato tra il 7 e l'8 dicembre 1970, con il concentramento nella capitale di diverse centinaia di congiurati, con azioni simili in diverse città italiane, tra cui Milano. All'interno del Ministero degli Interni iniziò anche la distribuzione di armi e munizioni ai cospiratori; il generale dell'Aeronautica militare italiana Giuseppe Casero e il colonnello Giuseppe Lo Vecchio presero posizione al Ministero della Difesa, mentre un gruppo armato della Guardia Forestale, di 187 uomini, guidato dal maggiore Luciano Berti si appostò non lontano dalle sedi televisive della RAI. A Milano, invece, si organizzò l'occupazione di Sesto San Giovanni tramite un reparto al comando del colonnello dell'esercito Amos Spiazzi.
Il golpe era in fase di avanzata esecuzione quando, improvvisamente, Valerio Borghese ne ordinò l'immediato annullamento. Le motivazioni di Borghese per questo improvviso ordine a poche ore dall'attuazione effettiva del piano non sono ancora certe e esenti da una possibile smentita. Secondo la testimonianza di Amos Spiazzi[1] il golpe sarebbe stato in realtà fittizio: immediatamente represso dalle forze governative, sarebbe stato ideato come scusa per consentire al governo democristiano di emanare leggi speciali, secondo un piano che sarebbe stato chiamato "Esigenza triangolo". Borghese, tuttavia, si sarebbe reso conto, o sarebbe stato avvertito della trappola e si sarebbe dunque fermato in tempo.
Il golpe era in fase di avanzata esecuzione quando, improvvisamente, Valerio Borghese ne ordinò l'immediato annullamento. Le motivazioni di Borghese per questo improvviso ordine a poche ore dall'attuazione effettiva del piano non sono ancora certe e esenti da una possibile smentita. Secondo la testimonianza di Amos Spiazzi[1] il golpe sarebbe stato in realtà fittizio: immediatamente represso dalle forze governative, sarebbe stato ideato come scusa per consentire al governo democristiano di emanare leggi speciali, secondo un piano che sarebbe stato chiamato "Esigenza triangolo". Borghese, tuttavia, si sarebbe reso conto, o sarebbe stato avvertito della trappola e si sarebbe dunque fermato in tempo.
Gli italiani scoprirono il tentato golpe tre mesi dopo. Paese Sera titolò: "Piano eversivo contro la repubblica, scoperto piano di estrema destra". Il 18 marzo 1971 il sostituto procuratore di Roma Claudio Vitalone firmò i mandati di arresto con l'accusa di usurpazione dei poteri dello stato e cospirazione per il costruttore edile Remo Orlandini, Mario Rosa, Giovanni De Rosa, Sandro Saccucci, Giuseppe Lo Vecchio e Junio Valerio Borghese.
In seguito al fallimento del golpe, Borghese si rifugiò in Spagna dove rimase fino alla morte, avvenuta a Cadice il 26 agosto 1974, non rientrando in Italia neanche dopo che, nel 1973, fu revocato l'ordine di cattura spiccato nei suoi confronti dalla magistratura italiana.
In seguito al fallimento del golpe, Borghese si rifugiò in Spagna dove rimase fino alla morte, avvenuta a Cadice il 26 agosto 1974, non rientrando in Italia neanche dopo che, nel 1973, fu revocato l'ordine di cattura spiccato nei suoi confronti dalla magistratura italiana.
Il 15 settembre 1974 Giulio Andreotti, all'epoca Ministro della Difesa, consegnò alla magistratura romana un dossier del SID diviso in tre parti che descriveva il piano e gli obiettivi del golpe, portando alla luce nuove informazioni. Il dossier fu redatto dal numero due del SID, il generale Gianadelio Maletti, che avviò un'inchiesta sulle cospirazioni mantenendolo nascosto anche a Vito Miceli, direttore del servizio. Aiutato dal capitano Antonio La Bruna, furono registrate le dichiarazioni di Remo Orlandini, quest'ultimo coordinatore per Borghese verso collegamenti all'estero e in Italia. Durante un colloquio, Orlandini fa il nome di Vito Miceli, come una figura coinvolta direttamente come Borghese. A questo punto Maletti è costretto a scavalcare Miceli e a parlare direttamente con Andreotti.
Miceli si giustifica affermando che doveva acquisire delle informazioni. Venne subito destituito insieme ad altri 20 generali e ammiragli, senza particolari spiegazioni.
La Magistratura fa partire altri 32 arresti, tra cui anche quello di Adriano Monti. Nel 1974 Monti nega tutto e viene scarcerato per motivi di salute. Immediatamente fugge all'estero e rimane latitante per 10 anni.
Nel 1991 si scopre che le registrazioni consegnate nel 1974 da Andreotti alla magistratura non erano la versione integrale. In origine Remo Orlandini faceva il nome di numerosi personaggi di spicco in ambito politico e militare, ma Andreotti ha recentemente dichiarato che ritenne di dover tagliare quelle parti per non renderle pubbliche, in quanto tali informazioni erano "inessenziali" per il processo in corso e, anzi, avrebbero potuto risultare "inutilmente nocive" per i personaggi ivi citati.
Le parti cancellate includevano il nome di Giovanni Torrisi, successivamente Capo di Stato Maggiore della Difesa tra il 1980 e il 1981; inoltre venivano fatti riferimenti a Licio Gelli e alla loggia massonica P2, che si doveva occupare del rapimento del Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat; infine si facevano rivelazioni circa un "patto" stretto da Borghese con alcuni esponenti della mafia siciliana, secondo cui alcuni sicari della mafia, in effetti presenti a Roma la notte tra il 7 e l'8 dicembre 1970, avrebbero ucciso il capo della polizia, Angelo Vicari. L'esistenza di tale patto sarebbe poi stata confermata da vari pentiti di mafia, tra cui Tommaso Buscetta;
Grazie alle rivelazioni di Tommaso Buscetta e di Antonino Calderone, emergeranno anche i legami tra il progetto golpista e l'organizzazione mafiosa. I due collaboratori hanno rievocato la vicenda nel corso del cd. "processo Andreotti". La loro audizione è stata riassunta in questi termini nella requisitoria dei Pubblici Ministeri Scarpinato e Lo Forte:
Miceli si giustifica affermando che doveva acquisire delle informazioni. Venne subito destituito insieme ad altri 20 generali e ammiragli, senza particolari spiegazioni.
La Magistratura fa partire altri 32 arresti, tra cui anche quello di Adriano Monti. Nel 1974 Monti nega tutto e viene scarcerato per motivi di salute. Immediatamente fugge all'estero e rimane latitante per 10 anni.
Nel 1991 si scopre che le registrazioni consegnate nel 1974 da Andreotti alla magistratura non erano la versione integrale. In origine Remo Orlandini faceva il nome di numerosi personaggi di spicco in ambito politico e militare, ma Andreotti ha recentemente dichiarato che ritenne di dover tagliare quelle parti per non renderle pubbliche, in quanto tali informazioni erano "inessenziali" per il processo in corso e, anzi, avrebbero potuto risultare "inutilmente nocive" per i personaggi ivi citati.
Le parti cancellate includevano il nome di Giovanni Torrisi, successivamente Capo di Stato Maggiore della Difesa tra il 1980 e il 1981; inoltre venivano fatti riferimenti a Licio Gelli e alla loggia massonica P2, che si doveva occupare del rapimento del Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat; infine si facevano rivelazioni circa un "patto" stretto da Borghese con alcuni esponenti della mafia siciliana, secondo cui alcuni sicari della mafia, in effetti presenti a Roma la notte tra il 7 e l'8 dicembre 1970, avrebbero ucciso il capo della polizia, Angelo Vicari. L'esistenza di tale patto sarebbe poi stata confermata da vari pentiti di mafia, tra cui Tommaso Buscetta;
Grazie alle rivelazioni di Tommaso Buscetta e di Antonino Calderone, emergeranno anche i legami tra il progetto golpista e l'organizzazione mafiosa. I due collaboratori hanno rievocato la vicenda nel corso del cd. "processo Andreotti". La loro audizione è stata riassunta in questi termini nella requisitoria dei Pubblici Ministeri Scarpinato e Lo Forte:
« Il primo a riferire la vicenda di queste trattative (già in data 3 dicembre 1984) è stato Tommaso Buscetta, il quale - anche in questo dibattimento, all'udienza del 9 gennaio 1996 - ha precisato che:
nel 1970 - nello stesso periodo di tempo in cui si svolgevano i campionati mondiali di calcio in Messico - egli si era recato a Catania insieme a Salvatore Greco "cicchiteddu" (giunto appositamente dal Sud-America, ove soggiornava) per incontrare Giuseppe Calderone. Nell'occasione, entrambi avevano preso alloggio in casa di "Pippo" Calderone, il quale frattanto - in una villetta di San Giovanni La Punta - ospitava il latitante Luciano Leggio. Oggetto di questo incontro era la discussione della proposta di partecipazione ad un "golpe", avanzata dal principe Borghese; il progetto di "golpe" prevedeva un ruolo attivo degli affiliati all'organizzazione Cosa Nostra, a cui Tommaso Buscetta sarebbe stata affidata la "gestione" del territorio ricompreso nel mandamento di ciascuna famiglia mafiosa, per "calmare e far vedere al popolo siciliano che noi eravamo d'accordo, ognuno per la sua sfera di influenza che avevamo nelle nostre terre"; in contropartita del ruolo attivo di Cosa Nostra, il principe Borghese aveva offerto la revisione di molti processi in corso a carico di esponenti dell'organizzazione criminale, facendo un particolare riferimento al "processo Rimi" (si rammenti che, in quel momento, i due Rimi erano già stati condannati all'ergastolo anche in Appello). al progetto di "golpe" era interessata la Massoneria, e l'allora Capitano dei Carabinieri Giuseppe Russo - anch'egli massone - era informato del tentativo insurrezionale ed avrebbe avuto, anzi, il compito di arrestare il Prefetto di Palermo; il principe Borghese - in caso di accettazione della proposta di partecipazione al "golpe" da parte del vertice di Cosa Nostra - avrebbe richiesto un elenco di tutti gli uomini d'onore partecipanti alle operazioni golpiste o - in subordine - avrebbe voluto che durante l'insurrezione armata gli uomini d'onore si rendessero riconoscibili agli altri golpisti mediante una fascia di colore verde da portare al braccio; proprio queste ultime richieste del principe Borghese avevano indotto i partecipanti alla riunione di Catania (Buscetta, Leggio, Giuseppe Calderone, Salvatore Greco) a diffidare della proposta e ad esprimere disinteresse; tuttavia, poiché una delle contropartite all'intervento di Cosa Nostra offerte dal principe Borghese riguardava proprio la revisione del "processo Rimi", i convenuti avevano deciso di coinvolgere nella decisione definitiva Gaetano Badalamenti, ben consapevoli di quanto egli avesse a cuore la sorte del cognato Filippo e del di lui padre, già condannati all'ergastolo. Per questo motivo avevano stabilito di incontrare il Badalamenti a Milano, nei cui pressi egli si trovava in soggiorno obbligato; in occasione dell'incontro di Milano - al quale, insieme a Buscetta, avevano partecipato Salvatore Greco "Cicchiteddu", Salvatore Riina, Gerlando Alberti e Giuseppe Calderone - pure Riina aveva apertamente espresso il proprio dissenso. Al termine dell'incontro - nel quale si era convenuto di rifiutare l'offerta - alcuni dei partecipanti, tra cui lo stesso Buscetta, si erano allontanati con una vettura ed erano stati fermati ed identificati dalla Polizia, sfuggendo all'arresto perché muniti di documenti falsi (25 giugno 1970); tuttavia, la famiglia Rimi aveva autonomamente continuato ad interessarsi del progetto di "golpe", tanto che Natale Rimi - figlio di Vincenzo Rimi, a cui premeva la revisione del processo a carico del padre - era tra coloro che nella notte tra il 7 e l'8 dicembre del 1970 si erano recati a prendere le armi in una caserma militare di Roma; questo dettaglio era stato riferito al Buscettada da Gaetano Badalamenti; egli aveva saputo, comunque, del fallimento del tentativo insurrezionale, bloccato in extremis perché in quel giorno o in quel periodo c'era una flotta russa nel Mediterraneo ed agli americani questo non piaceva. Quindi era stata rimandata a nuova data, senza che poi più si fece, perché la flotta russa era presente nel Mediterraneo:
Le circostanze esposte da Tommaso Buscetta circa la connessione tra il "processo Rimi" e le trattative riguardanti l'eventuale partecipazione di Cosa Nostra al "golpe Borghese", sono state pienamente e analiticamente confermate dal collaboratore di giustizia Antonino Calderone, il quale - all'udienza del 17 settembre 1996 - ha riferito che: vi erano state varie riunioni tra gli esponenti di vertice di Cosa Nostra per valutare la proposta del principe Valerio Borghese di una partecipazione dell'organizzazione mafiosa al golpe (ci sono state tante riunioni… c'è stato anche il discorso del golpe Borghese, ne hanno parlato... Valerio Borghese voleva parlare con delle persone, esponenti della mafia della Sicilia… ne hanno parlato, ne hanno discusso e poi si è arrivato alla determinazione che qualcuno ci andava a parlare); suo fratello Giuseppe Calderone, all'uopo prescelto dall'organizzazione, si era quindi incontrato a Roma con il principe Borghese; questi voleva conoscere i nomi degli affiliati all'organizzazione, ed offriva in cambio la revisione dei processi di Rimi e di Luciano Leggio (Volevano i nomi... si è chiesto in contropartita che si dovevano fare la revisione dei processi di Rimi e di Luciano Liggio... E questo è stato accordato, dice: noialtri... facciamo la revisione dei processi; però, dopo che ci insediamo, non è che dovete continuare a fare dei reati, perché poi vi arrestiamo noialtri...); Quello che spingeva fortissimo era Gaetano Badalamenti (Gaetano Badalamenti avrebbe fatto il patto con il diavolo per potere risolvere questo processo di suo cognato e del padre di suo cognato... avrebbe fatto la "qualunque", ha schiacciato tutti i bottoni, voleva risolvere questo processo in qualsiasi modo e in qualsiasi maniera); ma anche tutta Cosa Nostra si muoveva intorno al processo Rimi;Le trattative non avevano avuto esito positivo; e tuttavia Natale Rimi aveva continuato a muoversi, aveva toccato tutte le pedine, si era fatto trasferire a Roma, ed aveva avuto un ruolo personale nel fallito golpe.»
nel 1970 - nello stesso periodo di tempo in cui si svolgevano i campionati mondiali di calcio in Messico - egli si era recato a Catania insieme a Salvatore Greco "cicchiteddu" (giunto appositamente dal Sud-America, ove soggiornava) per incontrare Giuseppe Calderone. Nell'occasione, entrambi avevano preso alloggio in casa di "Pippo" Calderone, il quale frattanto - in una villetta di San Giovanni La Punta - ospitava il latitante Luciano Leggio. Oggetto di questo incontro era la discussione della proposta di partecipazione ad un "golpe", avanzata dal principe Borghese; il progetto di "golpe" prevedeva un ruolo attivo degli affiliati all'organizzazione Cosa Nostra, a cui Tommaso Buscetta sarebbe stata affidata la "gestione" del territorio ricompreso nel mandamento di ciascuna famiglia mafiosa, per "calmare e far vedere al popolo siciliano che noi eravamo d'accordo, ognuno per la sua sfera di influenza che avevamo nelle nostre terre"; in contropartita del ruolo attivo di Cosa Nostra, il principe Borghese aveva offerto la revisione di molti processi in corso a carico di esponenti dell'organizzazione criminale, facendo un particolare riferimento al "processo Rimi" (si rammenti che, in quel momento, i due Rimi erano già stati condannati all'ergastolo anche in Appello). al progetto di "golpe" era interessata la Massoneria, e l'allora Capitano dei Carabinieri Giuseppe Russo - anch'egli massone - era informato del tentativo insurrezionale ed avrebbe avuto, anzi, il compito di arrestare il Prefetto di Palermo; il principe Borghese - in caso di accettazione della proposta di partecipazione al "golpe" da parte del vertice di Cosa Nostra - avrebbe richiesto un elenco di tutti gli uomini d'onore partecipanti alle operazioni golpiste o - in subordine - avrebbe voluto che durante l'insurrezione armata gli uomini d'onore si rendessero riconoscibili agli altri golpisti mediante una fascia di colore verde da portare al braccio; proprio queste ultime richieste del principe Borghese avevano indotto i partecipanti alla riunione di Catania (Buscetta, Leggio, Giuseppe Calderone, Salvatore Greco) a diffidare della proposta e ad esprimere disinteresse; tuttavia, poiché una delle contropartite all'intervento di Cosa Nostra offerte dal principe Borghese riguardava proprio la revisione del "processo Rimi", i convenuti avevano deciso di coinvolgere nella decisione definitiva Gaetano Badalamenti, ben consapevoli di quanto egli avesse a cuore la sorte del cognato Filippo e del di lui padre, già condannati all'ergastolo. Per questo motivo avevano stabilito di incontrare il Badalamenti a Milano, nei cui pressi egli si trovava in soggiorno obbligato; in occasione dell'incontro di Milano - al quale, insieme a Buscetta, avevano partecipato Salvatore Greco "Cicchiteddu", Salvatore Riina, Gerlando Alberti e Giuseppe Calderone - pure Riina aveva apertamente espresso il proprio dissenso. Al termine dell'incontro - nel quale si era convenuto di rifiutare l'offerta - alcuni dei partecipanti, tra cui lo stesso Buscetta, si erano allontanati con una vettura ed erano stati fermati ed identificati dalla Polizia, sfuggendo all'arresto perché muniti di documenti falsi (25 giugno 1970); tuttavia, la famiglia Rimi aveva autonomamente continuato ad interessarsi del progetto di "golpe", tanto che Natale Rimi - figlio di Vincenzo Rimi, a cui premeva la revisione del processo a carico del padre - era tra coloro che nella notte tra il 7 e l'8 dicembre del 1970 si erano recati a prendere le armi in una caserma militare di Roma; questo dettaglio era stato riferito al Buscettada da Gaetano Badalamenti; egli aveva saputo, comunque, del fallimento del tentativo insurrezionale, bloccato in extremis perché in quel giorno o in quel periodo c'era una flotta russa nel Mediterraneo ed agli americani questo non piaceva. Quindi era stata rimandata a nuova data, senza che poi più si fece, perché la flotta russa era presente nel Mediterraneo:
Le circostanze esposte da Tommaso Buscetta circa la connessione tra il "processo Rimi" e le trattative riguardanti l'eventuale partecipazione di Cosa Nostra al "golpe Borghese", sono state pienamente e analiticamente confermate dal collaboratore di giustizia Antonino Calderone, il quale - all'udienza del 17 settembre 1996 - ha riferito che: vi erano state varie riunioni tra gli esponenti di vertice di Cosa Nostra per valutare la proposta del principe Valerio Borghese di una partecipazione dell'organizzazione mafiosa al golpe (ci sono state tante riunioni… c'è stato anche il discorso del golpe Borghese, ne hanno parlato... Valerio Borghese voleva parlare con delle persone, esponenti della mafia della Sicilia… ne hanno parlato, ne hanno discusso e poi si è arrivato alla determinazione che qualcuno ci andava a parlare); suo fratello Giuseppe Calderone, all'uopo prescelto dall'organizzazione, si era quindi incontrato a Roma con il principe Borghese; questi voleva conoscere i nomi degli affiliati all'organizzazione, ed offriva in cambio la revisione dei processi di Rimi e di Luciano Leggio (Volevano i nomi... si è chiesto in contropartita che si dovevano fare la revisione dei processi di Rimi e di Luciano Liggio... E questo è stato accordato, dice: noialtri... facciamo la revisione dei processi; però, dopo che ci insediamo, non è che dovete continuare a fare dei reati, perché poi vi arrestiamo noialtri...); Quello che spingeva fortissimo era Gaetano Badalamenti (Gaetano Badalamenti avrebbe fatto il patto con il diavolo per potere risolvere questo processo di suo cognato e del padre di suo cognato... avrebbe fatto la "qualunque", ha schiacciato tutti i bottoni, voleva risolvere questo processo in qualsiasi modo e in qualsiasi maniera); ma anche tutta Cosa Nostra si muoveva intorno al processo Rimi;Le trattative non avevano avuto esito positivo; e tuttavia Natale Rimi aveva continuato a muoversi, aveva toccato tutte le pedine, si era fatto trasferire a Roma, ed aveva avuto un ruolo personale nel fallito golpe.»
Il 30 maggio 1977 cominciò il processo per il golpe a 68 imputati.
Remo Orlandini dichiarò che la notte dell'8 dicembre, dopo l'avvio dell'operazione, ricevette una telefonata da Borghese il quale gli ordinava di rientrare, ma il motivo del contrordine rimase sconosciuto.
Il ruolo di Adriano Monti fu invece quello di fare da "mediatore" per accertare il gradimento o meno del golpe in ambienti esteri. Grazie al Freedom of Information Act nel 2004 si è scoperto infatti che il piano di Borghese era noto al governo degli Stati Uniti. Monti era in collegamento con l'ambasciata americana attraverso Ugo Fenwich, il quale, subito dopo l'arresto di Monti, fuggì negli USA con un aereo appositamente preparato. Monti inoltre si recò a Madrid per incontrare il tedesco Otto Skorzeny (amico di Borghese), che aveva preso parte alla liberazione di Mussolini il 12 settembre 1943. L'incontro fu necessario per confermare l'"avallo" statunitense al golpe, che fu dato, a condizione però che fosse assicurato il coinvolgimento di un personaggio politico italiano "di garanzia". Il nome indicato fu quello di Giulio Andreotti, che sarebbe dovuto diventare una sorta di presidente "in pectore" del governo post-golpe. Monti tuttavia non seppe se Andreotti fosse al corrente dell'indicazione statunitense.
Venne accertato che la colonna delle guardie forestali, comandata dal capitano Berti, da Rieti si diresse verso Roma, arrestandosi sulla via Olimpica. Questa marcia fu in seguito giustificata come "una coincidenza".
Il processo per il fallito Golpe si concluse in secondo grado in Corte d'Assise d'appello il 29 novembre 1984 con una complessiva assoluzione. I giudici disponevano l'assoluzione di tutti i 46 imputati ("perché il fatto non sussiste") dall'accusa di cospirazione politica, aggiungendo che tutto ciò che era successo non era che il parto di un "conciliabolo di 4 o 5 sessantenni". La sentenza, riformando completamente la decisione di primo grado, si limitava, per il resto, a ridurre le condanne che erano state inflitte nel luglio del 1978 ad alcuni imputati minori per il reato di detenzione e porto di armi da fuoco.
Remo Orlandini dichiarò che la notte dell'8 dicembre, dopo l'avvio dell'operazione, ricevette una telefonata da Borghese il quale gli ordinava di rientrare, ma il motivo del contrordine rimase sconosciuto.
Il ruolo di Adriano Monti fu invece quello di fare da "mediatore" per accertare il gradimento o meno del golpe in ambienti esteri. Grazie al Freedom of Information Act nel 2004 si è scoperto infatti che il piano di Borghese era noto al governo degli Stati Uniti. Monti era in collegamento con l'ambasciata americana attraverso Ugo Fenwich, il quale, subito dopo l'arresto di Monti, fuggì negli USA con un aereo appositamente preparato. Monti inoltre si recò a Madrid per incontrare il tedesco Otto Skorzeny (amico di Borghese), che aveva preso parte alla liberazione di Mussolini il 12 settembre 1943. L'incontro fu necessario per confermare l'"avallo" statunitense al golpe, che fu dato, a condizione però che fosse assicurato il coinvolgimento di un personaggio politico italiano "di garanzia". Il nome indicato fu quello di Giulio Andreotti, che sarebbe dovuto diventare una sorta di presidente "in pectore" del governo post-golpe. Monti tuttavia non seppe se Andreotti fosse al corrente dell'indicazione statunitense.
Venne accertato che la colonna delle guardie forestali, comandata dal capitano Berti, da Rieti si diresse verso Roma, arrestandosi sulla via Olimpica. Questa marcia fu in seguito giustificata come "una coincidenza".
Il processo per il fallito Golpe si concluse in secondo grado in Corte d'Assise d'appello il 29 novembre 1984 con una complessiva assoluzione. I giudici disponevano l'assoluzione di tutti i 46 imputati ("perché il fatto non sussiste") dall'accusa di cospirazione politica, aggiungendo che tutto ciò che era successo non era che il parto di un "conciliabolo di 4 o 5 sessantenni". La sentenza, riformando completamente la decisione di primo grado, si limitava, per il resto, a ridurre le condanne che erano state inflitte nel luglio del 1978 ad alcuni imputati minori per il reato di detenzione e porto di armi da fuoco.
Approfondimenti: Il giornalista Mauro De Mauro avrebbe scoperto il piano dei Golpisti, si presume che l'estrema Destra avrebbe chiesto la sua uccisione direttamente ai clan Mafiosi per evitare il divulgamento della notizia, notizia che avrebbe mandato a monte il progetto eversivo! ( Per leggere gli approfondimenti sui legami Golpisti-Mafiosi clicca su "GOLPE BORGHESE" )
Fonti: "La Storia siamo Noi - Il golpe Borghese" di Marco Marra - Trasmissione televisiva: Rai - 5 dicembre 2005 da http://it.wikipedia.org/
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