"In Myanmar i monaci tornano in piazza ad un mese dalla brutale repressione che il regime ha attuato. Sono stati giorni tragici, testimoniati dalle telecamere di tutto il mondo, nonostante i generali abbiano utilizzato ogni forma di terrore per imporre la censura; spettri di paura ed orrore pronti a tornare ad insanguinare le strade della capitale Yangon e non solo: settantatre bonzi in preghiera hanno manifestato pacificamente a Pakokku (il principale centro di formazione religiosa, con circa 80 monasteri), mentre l’ondata di arresti nei confronti di dissidenti ed oppositori sta continuando senza soste. L’ex Birmania è un paese ormai in ginocchio, affamato da una quasi cinquantennale dittatura che fa affari petroliferi con Cina e India - in cambio di soldi e protezione -, coltiva progetti nucleari con la Russia, ma riduce la sua popolazione alla fame. La gente non muore solo in nome della libertà e già da prima che gli occhi mediatici si ridestassero dalla letargica indifferenza.
I bilanci dello Stato, infatti, per il 50 per cento vanno a finanziare le forze armate, mentre solo lo 0,3 per cento del pil è destinato alle cure mediche: per l’Organizzazione Mondiale della Sanità il sistema è tra i peggiori al mondo, davanti solo alla Sierra Leone che si posiziona al 191esimo posto. All’ordine del giorno, quindi, decessi per malaria, tubercolosi, infezioni postume alla gravidanza e, quasi impotenti, si assiste al propagarsi di una delle più violente epidemie di aids di tutto il Sudest asiatico. I contagi aumentano sia perché la Birmania è una delle direttrici principali del traffico di eroina, sia per il dilagare, a causa della povertà, del commercio sessuale senza alcuna precauzione. Il dato diventa ancora più drammatico nelle zone di confine, dove vivono - costrette dal regime - le minoranze etniche e dentro le quali è difficile raccogliere dati ufficiali sulle condizioni del contagio, poiché le Ong sono continuamente ostacolate nel loro lavoro dai generali, un fatto denunciato anche da Medici Senza Frontiere. MSF cerca di garantire le cure, le medicine e soprattutto una completa e costante terapia. Ad oggi l’organizzazione umanitaria sta curando con antivirali 950 pazienti sieropositivi, 895 affetti da tubercolosi e 553 in Hiv. Il rapporto Unaids dell’Onu calcola in Birmania 360.000 malati di aids.
L’altro elemento da combattere è la crescente diffusione sul mercato interno di farmaci contraffati: mesi fa un’organizzazione umanitaria ha acquistato 100.000 confezioni di artemisinina, un farmaco utilizzato contro la malaria, rivelatosi poi falsificato. Da uno studio svolto da ricercatori africani e pubblicato sulla rivista Medicine le pillole contenevano una forte percentuale di gesso e amido. Questo rappresenta la punta dell’iceberg di un commercio che usufruisce delle vie di collegamento già solcate dal traffico della droga. La produzione spesso avviene o su base ridotta, all’interno di piccole botteghe, o su scala industriale e gli epicentri rimangono l’India e la Cina, sebbene il governo di Pechino si stia adoperando per arginare questo mercato illegale.
Il sistema sanitario del Paese, inoltre, si basa sugli ambulatori per la popolazione, gli ospedali statali per i dipendenti pubblici e i loro familiari (entrambe le strutture sono carenti e con pochissimi farmaci spesso provenienti dalla Cina) e infine i nosocomi militari, dove si curano i membri del regime, qui – nemmeno a dirlo - si trovano i migliori macchinari e farmaci occidentali!"
I bilanci dello Stato, infatti, per il 50 per cento vanno a finanziare le forze armate, mentre solo lo 0,3 per cento del pil è destinato alle cure mediche: per l’Organizzazione Mondiale della Sanità il sistema è tra i peggiori al mondo, davanti solo alla Sierra Leone che si posiziona al 191esimo posto. All’ordine del giorno, quindi, decessi per malaria, tubercolosi, infezioni postume alla gravidanza e, quasi impotenti, si assiste al propagarsi di una delle più violente epidemie di aids di tutto il Sudest asiatico. I contagi aumentano sia perché la Birmania è una delle direttrici principali del traffico di eroina, sia per il dilagare, a causa della povertà, del commercio sessuale senza alcuna precauzione. Il dato diventa ancora più drammatico nelle zone di confine, dove vivono - costrette dal regime - le minoranze etniche e dentro le quali è difficile raccogliere dati ufficiali sulle condizioni del contagio, poiché le Ong sono continuamente ostacolate nel loro lavoro dai generali, un fatto denunciato anche da Medici Senza Frontiere. MSF cerca di garantire le cure, le medicine e soprattutto una completa e costante terapia. Ad oggi l’organizzazione umanitaria sta curando con antivirali 950 pazienti sieropositivi, 895 affetti da tubercolosi e 553 in Hiv. Il rapporto Unaids dell’Onu calcola in Birmania 360.000 malati di aids.
L’altro elemento da combattere è la crescente diffusione sul mercato interno di farmaci contraffati: mesi fa un’organizzazione umanitaria ha acquistato 100.000 confezioni di artemisinina, un farmaco utilizzato contro la malaria, rivelatosi poi falsificato. Da uno studio svolto da ricercatori africani e pubblicato sulla rivista Medicine le pillole contenevano una forte percentuale di gesso e amido. Questo rappresenta la punta dell’iceberg di un commercio che usufruisce delle vie di collegamento già solcate dal traffico della droga. La produzione spesso avviene o su base ridotta, all’interno di piccole botteghe, o su scala industriale e gli epicentri rimangono l’India e la Cina, sebbene il governo di Pechino si stia adoperando per arginare questo mercato illegale.
Il sistema sanitario del Paese, inoltre, si basa sugli ambulatori per la popolazione, gli ospedali statali per i dipendenti pubblici e i loro familiari (entrambe le strutture sono carenti e con pochissimi farmaci spesso provenienti dalla Cina) e infine i nosocomi militari, dove si curano i membri del regime, qui – nemmeno a dirlo - si trovano i migliori macchinari e farmaci occidentali!"
Italia, 02 Novembre 2007
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