«Una coscina di passero, presidente Tito? O preferisce il petto?» Sontuoso quel banchetto ufficiale che il compagno Deng Xiaoping offrì una sera di settembre del 1977, nell' immenso salone del Palazzo del Congresso di Pechino: i fuochi di sedici cucine accesi da due giorni, ottocento commensali, mille camerieri. Allora presidente, il petto o la coscia? Né l' uno né l' altra, pensò il Maresciallo, che detestava mangiare volatili, ma nell' occasione, appunto, poteva solo pensarlo. La Cina è la Cina, l' offesa era vicina. Come cavarsela? Alla Tito: con uno sguardo diretto a Deng, con un sorriso al cameriere. E un cortese rifiuto condito d' ideologia: «Mi spiace, compagno, ma da noi si dice che i passeri sono i proletari del cielo. E io non posso mangiare un proletario». Quando Forattini disegnava l' imborghesito Berlinguer a sorseggiare tè in vestaglia di seta, ben prima che arrivassero i cachemirini di Bertinotti, in Jugoslavia ci fu un comunista con stile che i re volevano alla loro tavola e le attrici di Hollywood andavano a incontrare. Uno che si permetteva d' ospitare la Royal Family britannica nelle campagne di Leskovac e accendere la carbonella del barbecue («Un' esperienza unica», commentò la regina Elisabetta, anno 1972), o d' invitare Sophia Loren a Brioni (1974) perché gli cucinasse due spaghetti al pomodoro. Infoibava e infornava. Reprimeva e riceveva. «Lui era il vero dandy del comunismo», dice Enzo Bettiza, il grande scrittore e giornalista d' origine dalmata e di destino liberale, che dal croato Tito si vide espropriare una casa di famiglia e che a Tito parlava senza interpreti: «Aveva il portamento d' un nobilastro mitteleuropeo, più che d' un comunista balcanico. Anche perché c' entrava poco col proletariato. Dopo il crollo della Jugoslavia, un giorno che pranzavo al club degli scrittori di Zagabria, me lo spiegarono: s' è mai chiesto perché Tito parlava così bene tedesco, tirava di scherma, suonava il piano, andava a cavallo, amava l' operetta, lo champagne e gli yacht? Perché, e questo a Zagabria s' è sempre sussurrato, in realtà era il figlio naturale d' un nobile croato». Tito il bon vivant. Tito il dandy rosso. Sarà anche per questo che crollata la Jugoslavia, (quasi) smaltita la sbornia del nazionalismo, una strana nostalgia attanaglia ora i Balcani. Nel ricordo di Josip Broz nascono ristoranti, fans club, siti web. Chi proclama su un terreno serbo di qualche ettaro la Titoslavia, chi lancia biancheria intima con la stella rossa. Un nipote del Maresciallo ha perfino imposto il copyright sul nome. L' ultimo fenomeno nelle librerie di Belgrado e di Zagabria è il Tito' s Cookbook, 255 pagine di retroscena e di meravigliose foto coi grandi di mezzo Novecento, di menù delle serate e d' istruzioni per cucinarli. Tranne Adenauer e de Gaulle, Tito incontrò tutti. Perché la locomotiva della rivoluzione titina, dove non bastava il carbone, andava a bicarbonato: il pollo al bacon di Kruscev (il più maleducato, ci fa sapere il cerimoniere di corte Branko Trbovic) e l' agnello ai funghi per lo scià (il più carismatico), la salsiccia di Willy Brandt e il montone alle cipolle con Saddam Hussein. La via lussuosa al socialismo includeva galanti colazioni con Joséphine Baker (involtini al formaggio) e Gina Lollobrigida (zuppa di pesce), Liz Taylor (tartare) e Jackie Kennedy Onassis (frutti di mare)... «Non si può dire che sia stato l' uomo più ricco del mondo - nota Bettiza - ma certo s' organizzò l' agio più grande del mondo, su un mare fra i più belli del mondo. Era un gran donnaiolo. Ivan Mestrovic, lo scultore, gli regalò la sua villa di Spalato: a Tito serviva per ricevervi il soprano del teatro locale, lontano dagli occhi della moglie Jovanka». La «Jugostalgia» non è nuova, «se si pensa che la Slovenia comunista era già allora più ricca della Calabria», ma secondo Bettiza «questa Tito-nostalgia, questo libro sono una novità soprattutto in Serbia dove, negli anni duri di Arkan, i miloseviciani forzavano la storia e quasi paragonavano Tito allo sterminatore Pavelic, rimproverandogli d' avere reso la Serbia debole in una Jugoslavia forte, d' avere concesso troppo agli albanesi del Kosovo, d' essere in definitiva un croato». Un postcomunista, anche, almeno a sfogliare il Tito' s Cookbook: aveva imparato a diffidare specialmente degli amici e se gradiva i cocktail Hemingway che gli preparava il compagno Fidel Castro, i limoni e l' acqua per il ghiaccio preferiva portarseli da casa; così come non si scandalizzava quando il caro leader Ceausescu, se veniva a trovarlo, esigeva esclusivamente bottiglie made in Romania. La dolce vita d' un non allineato richiedeva qualche cautela e a Belgrado, nel palazzo presidenziale, funzionò sempre un centro antiveleni che etichettava con due parole - «analizzato», «utilizzabile» - qualsiasi alimento. Una precauzione che risaliva alle colazioni con Stalin, non si sa se più pesanti per lo stomaco o per la politica: «Erano pur sempre regimi intrecciati con crimini, anche se Tito - dice Bettiza - non aveva verso il suo popolo la spietatezza d' un Ceausescu o d' un Castro. Nelle memorie di Micunovic, ambasciatore jugoslavo nella Mosca di Krusciov, si racconta che alla morte di Stalin una scrivania fu portata al museo. Sembrava vuota, ma da un cassetto spuntò un foglio. Appallottolato con rabbia. Era una missiva di Tito al dittatore sovietico. C' era scritto: "Lei mi ha mandato molti attentatori, ma sono stati tutti arrestati. Se ne mandassimo noi uno a Mosca, sono sicuro che tornerebbe a casa vivo"». Una vita, nelle parole di Bettiza, non basterebbe a raccontare la vicenda del dandy rosso: «Impegnata com' è a rivalutare Craxi, la sinistra italiana l' ha rimosso, dimenticato. Inspiegabile. Ci si rende conto di che cosa fermò? E di che cosa anticipò? Non si vergognava del lusso borghese e, nei limiti d' un Paese come quello, ne concedeva qualche briciola anche ai suoi jugoslavi. Un trotzkista da salotto come Bertinotti, un D' Alema con la barca avrebbero interesse a rivalutare questo compagno con stile. Tito fu un precursore dell' edonismo di sinistra. Resta un gigante. Perché è sempre meglio un politico in barca che un politico in chiesa».
Bettiza Enzo
Fonte: http://archiviostorico.corriere.it e http://www.youtube.com/user/SlovenskiPartizan2
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mercoledì 22 aprile 2009
Yugoslav hell march....in JUGOSLAVIA si stava meglio con TITO!!!
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