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sabato 1 settembre 2012

[방문기] - 여기서 우리의 미래가 자란다 - 경상탁아소 - 조선인민군 최고사령관 김정은동지께서 전선동부에 위치한 조선인민군 제318군부대를 시찰하시였다 - [록화보도] - 조선인민군 최고사령관 김정은동지께서 전선동부에 - Ban Ki-moon (O.N.U.) e la Siria sono tra i protagonisti del Vertice dei Paesi Non Allineati!


TV DI STATO NORD-COREANA

 Dopo pizza e hamburger, in Corea del Nord arrivano le borse Dior

Una fotografia della “compagna” Ri Sol-ju, la moglie del dittatore Kim Jong-un, la ritrae insieme al marito in visita a un’unità dell’esercito con una borsa che vale circa 1500 dollari. Seoul infuriata: “Chiedono soldi al mondo e poi ostentano generi di lusso”. E due disertori di alto livello aggiungono: “In casa i vertici del potere hanno contanti per milioni di dollari”.
Dopo un parco divertimenti, un fast-food e una pizzeria, la campagna modernizzatrice del nuovo dittatore della Corea del Nord ha raggiunto persino l'alta moda. La moglie di Kim Jong-un, la "compagna" Ri Sol-ju, si è fatta fotografare con una borsa Dior durante un'ispezione compiuta insieme al marito presso un'unità dell'esercito in servizio attivo al confine con il Sud. La fotografia ha fatto infuriare Seoul: "Chiedono soldi per gli aiuti umanitari e con quella borsa potrebbero sfamare 100 persone per un mese".
A questa immagine si è aggiunta nei giorni scorsi la testimonianza di due ex dirigenti del Partito dei lavoratori, scappati oltre confine, secondo i quali Jong-un e lo zio-reggente Jang Song-taek tengono nelle proprie case valuta estera in contanti per un valore di diversi milioni di dollari "in modo da controllare il mercato dei tassi di cambio in Corea del Nord".
In ogni caso, l'immagine della "coppia reale" e la sua storia dimostrano che un cambiamento è davvero in corso nell'ultimo grande regime stalinista al mondo. La "compagna" Ri, oltre alla Dior, è vestita in maniera elegante e sembra contrastare con lo stile trasandato dei militari; il marito, in una sobria veste "alla Mao", si dimostra felice di quanto avviene, ma è seduto in maniera scomposta.
Nel regime tutto è controllato, e il fatto che la fotografia sia stata scattata e poi pubblicata sui media ufficiali potrebbe dimostrare che l'esercito è ancora il primo baluardo della Corea del Nord, ma le cose stanno cambiando rispetto alla serissima compostezza del precedente dittatore Kim Jong-il.
Questa analisi, riportata dal Chosun Ilbo, è confermata da Goh Young-hwan: l'esule, fuggito insieme a un altro (anonimo per motivi di sicurezza), ha infatti confermato la presenza di molto denaro straniero nelle case del potere al Nord ma sottolinea: "Dalla morte di Jong-il le fughe verso il Sud sono diminuite. Questo perché il nuovo leader ha promesso dei cambiamenti e la gente spera davvero in un futuro migliore".
Va aggiunto però che le nuove politiche varate proprio dal giovane dittatore riguardo la fuga dei disertori aiutano a farne diminuire il numero: "Prima - racconta Goh - si davano soldi alle guardie di confine e queste chiudevano un occhio perché, se venivano scoperte, venivano fucilate come complici. Adesso il regime ha detto ai soldati che possono tenersi i soldi e, se riportano i disertori, ne guadagnano altri".
 
di Joseph Yun Li-sun

 

Si sta svolgendo in questi giorni a Teheran il Summit dei Paesi non allineati, Organizzazione nata e particolarmente attiva durante gli anni della guerra fredda, ma che anche in questi anni non perde occasione per far parlare di sé.
In una organizzazione con ben 120 paesi membri che vanno dal Sudamerica all’Asia sudorientale passando per l’Africa, le congetture di funzionamento interno hanno voluto che proprio in questi anni a occupare la presidenza di turno rotatoria sia l’Iran, un paese non proprio attore di secondo piano nella scena internazionale. Le preoccupazioni che da più parti del globo hanno preceduto l’apertura dei lavori si sono dimostrate più che fondate dato che solo nel primo della due giorni di summit l’atmosfera è diventata incandescente.
L’ospite più atteso della giornata inaugurale è stato il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon. La scelta di partecipare a una riunione che mette insieme la maggior parte dei capi di Stato e di Governo di quella fetta del mondo che un tempo veniva chiamata terzo mondo, che per di più si svolge in uno Stato fortemente osteggiato dall’Occidente e vicino al paese che attualmente concentra l’attenzione internazionale, la Siria, non è stata approvata da tanti paesi occidentali tra cui Stati Uniti e Israele.
Senza neppure aspettare l’inizio dei lavori il Segretario Generale ha preferito cominciare a bacchettare i vari Paesi già durante la visita ufficiale ai leader del paese ospitante, momento durante il quale ha avuto inoltre modo di colloquiare con lo ayatollah Khamenei su vari temi in agenda, come la situazione siriana e il rompicapo atomico iraniano. Senza entrare nei contenuti del contenzioso Ban ha ripreso l’Iran in quanto alle forme, affermando che una costante propaganda contro gli ebrei, o l’eliminazione di Israele, risulta particolarmente controproducente per il paese che deve invece concentrarsi maggiormente sul rispetto delle risoluzioni ONU riguardanti la questione nucleare del paese. Poco importa quindi se Teheran ha ricominciato a collaborare con l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (IAEA) portando nei siti della discordia i suoi osservatori; fino a quando alcuni leader politici iraniani continueranno a propagandare la fine dello Stato di Israele, l’Iran godrà di poca credibilità, almeno agli occhi dell’Occidente.
Ban Ki-moon non si è però limitato a criticare l’Iran bensì ha deciso di riprendere anche il Paese rivale, Israele. Anche in questo caso si è soffermato sui metodi con cui Israele sta contribuendo a appesantire il clima sempre più teso dell’area minacciando costantemente una guerra preventiva contro Teheran e non aiutando quindi la diplomazia internazionale incentrata più sulla negoziazione e risoluzione pacifica. Evitare la guerra, almeno per il momento è l’obbiettivo di tanti Paesi occidentali tra i quali gli Stati uniti, occupati nella campagna presidenziale e per i quali parla il segreterio generale.
Le esternazioni abbastanza inattese di Ban Ki-moon, soprattutto contro Israele, sono state però oscurate da un altro evento poche ore dopo, a lavori cominciati.
Presa la parola, il nuovo presidente dell’Egitto Mohammed Mursi ha inaspettatamente cominciato ad attaccare Al Assad, Presidente della Siria. Richiamando a una obbligazione etica nell’appoggiare i ribelli contro un regime oppressivo, il Presidente egiziano ha così chiarito la sua posizione seduto di fianco al Presidente iraniano, Ahmadinejad principale alleato nella zona di Al Assad. La tensione è salita così tanto che i rappresentanti della Siria hanno abbandonato l’aula in segno di protesta tra l’inbarazzo dei delegati e soprattutto dell’Iran.
L’Egitto di Mursi tenta quindi di riconquistarsi un ruolo di primo piano nella zona, proponendo inoltre un piano di pace, dove a incontrarsi e decidere le sorti dovranno essere i quattro paesi forti della zona, Turchia, Arabia Saudita, Iran e appunto Egitto, senza intromissioni esterne, almeno sulla carta.
La presa di posizione da parte di Mursi rimescola quindi le carte in tavola. In primo luogo l’Egitto si allinea ufficialmente a uno dei due bandi, quello ribelle, nella speranza di ottenere un ruolo di primo piano e in secondo luogo la sua proposta di risoluzione del conflitto diverge sostanzialmente rispetto a quella proposta dall’Onu. Il problema, che è regionale, va risolto regionalmente senza intromissioni esterne delle grandi potenze, dando il peso corrispondente a coloro che importanza nella regione ne hanno, come l’Iran, escluso dalle trattative dell’Onu.
La Siria, come sta dimostrando anche questo summit, si sta rivelando un altro terreno di scontro tra le due fazioni religiose dell’area, la sunnita e la sciita. La prima rappresentata dalla potente Arabia Saudita e ora anche dall’Egitto dei fondamentalisti Fratelli Mussulmani e la seconda dal sempre più solo Iran.
L’agenda del Movimento dei Paesi non allineati risulta quindi monopolizzata dalla situazione mediorientale ma difficilmente i 120 paesi riusciranno a trovare delle intese sul da farsi come al contrario succedeva cinquanta anni fa. L’organizzazione nata dagli sforzi internazionali di grandi personaggi della storia come Nehru, Tito e Nasser ha perso oggi la sua raison d’être a causa degli sviluppi della storia, come la caduta del muro di Berlino, ma soprattutto dalla mancanza di una sostanziale condivisione di valori e obbiettivi tra i suoi membri. Paesi come il Sudafrica, l’Indonesia o l’India poco hanno oramai in comune con Nicaragua, Mali, Myanmar o Corea del Nord. La mancanza di efficacia di una Organizzazione basata ancora su statuti fermi all’epoca della guerra fredda e che non tenta neppure di ricrearsi, come al contrario hanno fatto altre sue coetanee come la Nato, rischia di portare una delle più prestigiose e coraggiose Organizzazioni Internazionali nell’oblio dell’anacronismo storico.
 
di Gianluigi Pala

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