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giovedì 23 febbraio 2017

Chi è Francesco Gabbani - Amen - Il video ufficiale della canzone che ha trionfato a Sanremo 2016 sezione giovani emergenti...


FRANCESCO GABBANI - AMEN - (2016 - OFFICIAL VIDEO)

Francesco Gabbani

Francesco Gabbani
Francesco-Gabbani-2 copia.jpg
Francesco Gabbani al Festival di Sanremo 2017
NazionalitàItalia Italia
GenerePop
Elettropop
Indie pop
Periodo di attività2000 – in attività
EtichettaBMG Rights Management
GruppiTrikobalto
Album pubblicati2
Studio2
Sito web
Premio Festival di Sanremo 2016 Categoria Nuove Proposte
Premio Festival di Sanremo 2017 Categoria Campioni
Ha vinto il Festival di Sanremo 2016 nella sezione "Nuove Proposte" con il brano Amen, e quello del 2017 nella categoria "Campioni" con il brano Occidentali's Karma. È stato il primo cantante nella storia del Festival di Sanremo ad aver vinto i due principali premi della manifestazione canora in due edizioni consecutive.


Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Nato a Carrara il 9 settembre 1982 in una famiglia proprietaria di un negozio di strumenti musicali, ha modo di avvicinarsi alla musica già in tenera età. Il suo primo approccio avviene attraverso la batteria, ma capisce presto la necessità di imparare a suonare uno strumento armonico, che gli permetta di scrivere canzoni: come la chitarra, che studia per qualche anno a cavallo tra l'infanzia e l'adolescenza. Suona anche il pianoforte e il basso e ha lavorato come fonico e tecnico di palco.
Prima di completare gli studi presso il Liceo Classico "E. Repetti" di Carrara, a diciotto anni firma il suo primo contratto discografico e registra con il progetto Trikobalto un album prodotto da Alex Neri e Marco Baroni dei Planet Funk. I videoclip dei due singoli estratti entrano in rotazione sulle principali emittenti televisive musicali e permettono ai Trikobalto di esibirsi nei principali festival italiani, tra i quali l’Heineken Jammin' Festival, di partecipare alle serate targate Rock TV e di aprire al BlueNote di Milano l’unica data italiana degli Oasis.
Nel 2010, sulla scia del successo del primo disco, arriva per i Trikobalto l'uscita del secondo album, Necessità primarie, prodotto da Marco Patrignani. Segue un tour in Francia e la realizzazione del video di Preghiera maledetta. I Trikobalto sono scelti come supporter dell’unica data italiana degli Stereophonics e sono tra gli ospiti al Palafiori di Sanremo durante l’edizione 2010 del Festival. In primavera Gabbani lascia la band e firma un nuovo contratto discografico per la realizzazione del suo primo progetto solista.
Nell'estate 2011 esce il singolo Estate e, in autunno, il videoclip di Maledetto amore, brano tratto dalla colonna sonora del film L'amore fa male di Mirca Viola. Nel 2013 esce il suo primo album ufficiale Greitist Iz, dal quale vengono estratti i singoli I dischi non si suonano e Clandestino. Nel 2015 inizia a collaborare con BMG Rights Management in qualità di autore e firma un contratto di esclusiva. 
Nel 2016, vince il Festival di Sanremo nella Categoria Nuove Proposte con il brano Amen.
Vince il Festival di Sanremo 2017 con il brano Occidentali's Karma, seguito da Fiorella Mannoia con Che sia benedetta e da Ermal Meta con Vietato morire. Francesco Gabbani è il primo cantante a vincere nelle due categorie in due anni consecutivi.

Francesco Gabbani vince il Festival di Sanremo 2017
Viene conseguentemente ospitato da vari programmi televisivi quali Porta a Porta, Che tempo che fa, Le Iene, E poi c'è Cattelan.
Il balletto di Occidentali's Karma diviene subito virale. Il ballerino, Filippo Ranaldi, che ha condiviso con lui il palco sanremese, lancia la sfida identificata sul social Instagram con l'hashtag ScimmiografoChallenge: il video del balletto migliore sarebbe stato rebloggato sulla pagina Instagram.


Francesco Gabbani balla Occidentali's Karma
(con Filippo Ranaldi)

Sanremo 2016 e 2017[modifica | modifica wikitesto]

Nell'autunno 2015 si presenta a Sanremo Giovani con il brano Amen. Scelto dalla giuria, è tra gli otto artisti che partecipano all'edizione 2016 del Festival di Sanremo nella sezione "Nuove Proposte".
L'11 febbraio 2016 perde la sfida contro la cantante Miele ed è eliminato dalla gara. Una verifica rileva però che la votazione è stata falsata da un problema tecnico nella sala stampa. La ripetizione delle operazioni di voto capovolge il risultato: Gabbani supera l'eliminatoria. Ammesso alla finale del 12 febbraio, vince il Festival nella sezione "Nuove Proposte", il premio della critica Mia Martini e il premio Sergio Bardotti come miglior testo. Il brano Amen diventa disco di platino nei mesi successivi alla manifestazione.
Gabbani è autore del brano L'amore sa, incluso nell'album Scriverò il tuo nome di Francesco Renga. Ha scritto, musicato e co-arrangiato con Celso Valli il brano Il bambino col fucile, interpretato da Adriano Celentano e incluso nell'album Le migliori. Dal 6 maggio 2016 viene trasmesso nelle radio il singolo Eternamente ora, tratto dall'omonimo album, seguito dal terzo singolo In equilibrio. È autore della colonna sonora del film Poveri ma ricchi di Fausto Brizzi, con Christian De Sica ed Enrico Brignano, uscito nelle sale il 15 dicembre 2016.
Dopo la vittoria del Festival di Sanremo 2016 nella sezione "Nuove Proposte", il 12 dicembre è annunciata da Carlo Conti la sua partecipazione tra i "Campioni" al Festival di Sanremo 2017 con il brano Occidentali's Karma.[1] Nella serata finale dell'11 febbraio 2017 si classifica al 1º posto. Con Occidentali's Karma rappresenterà l'Italia all'Eurovision Song Contest 2017,[2] che si terrà in maggio a Kiev.
Il 14 febbraio 2017, a pochi giorni dalla finale sanremese, la piattaforma VEVO comunica che, con 4.353.802 views in 24 ore, Occidentali's Karma è stato il video italiano più visto in un solo giorno.[3] Nella stessa giornata, lo stesso video ufficiale ha superato la soglia delle 10 milioni di visualizzazioni.[4]
Il 20 febbraio 2017, FIMI annuncia che Occidentali's Karma è disco d'oro. Il brano è in classifica nelle Viral Spotify di 9 paesi europei.

Discografia[modifica | modifica wikitesto]

Album[modifica | modifica wikitesto]

Singoli[modifica | modifica wikitesto]

  • 2011 - Estate
  • 2011 - Maledetto amore
  • 2013 - I dischi non si suonano
  • 2013 - Clandestino
  • 2016 - Amen
  • 2016 - Eternamente ora
  • 2016 - In equilibrio
  • 2016 - Foglie al gelo
  • 2017 - Occidentali's Karma

Autore[modifica | modifica wikitesto]

AnnoTitoloArtistaAlbum
2016L'amore saFrancesco RengaScriverò il tuo nome
2016Il bambino col fucileAdriano CelentanoLe migliori

Riconoscimenti[modifica | modifica wikitesto]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Elena Masuelli, Festival di Sanremo 2017, big e giovani: ecco tutti i cantanti in gara, La Stampa, 12 dicembre 2016. URL consultato il 13 dicembre 2016.
  2. ^ Sanremo 2017: vince Francesco Gabbani e vola all’Eurovision!, su eurofestivalnews.com. URL consultato il 12 febbraio 2017.
  3. ^ eurofestival, Gabbani recordman: "Occidentali's Karma" è il video italiano più visto in un solo giorno, su Eurofestival News, 14 febbraio 2017. URL consultato il 14 febbraio 2017.
  4. ^ Andrea Bonetti, Gabbani da record: 10 milioni di visualizzazioni in pochi giorni per Occidentali's Karma, su Eurofestival News, 14 febbraio 2017. URL consultato il 14 febbraio 2017.

Fonte:  Wikipedia

venerdì 3 febbraio 2017

Come ci vedono in #Italia dal #Mondo

In #Italia gli #AffariSporchi hanno sempre guidato il #Governo degli #Affaristi e dei #Massoni supportati dalle #Banche e dall'alta #Finanza ...

venerdì 15 luglio 2016

COSA SI NASCONDE DIETRO IL FALLITO GOLPE CONTRO ERDOGAN? LA TURCHIA STA ANDANDO VERSO UN ISLAMIZZAZIONE DI MASSA FORZATA? "RIVOGLIAMO VLAD TEPES L'IMPALATORE DEI TURCHI MUSSULMANI...EVVIVA IL CONTE DRAKULA!!!" #ISIS #nizza #Francia #estremismoislamico #attentato #corano #Golpe #ColpodiStato #Turchia #Erdogan #Ankara #Turkey

Turchia verso l'Islamizzazione forzata di massa?

5 risposte sul tentato colpo di stato in Turchia: Perché c'è stato, intanto, e perché è fallito? E con chi sta la popolazione turca?

C’è ancora molta incertezza dopo il fallito colpo di stato in Turchia nella notte tra venerdì e sabato. Il governo dice che tutti i partecipanti sono stati arrestati, che 265 persone sono morte e più di mille sono rimaste ferite e che nella repressione governativa dopo il fallimento migliaia tra militari e magistrati sono stati arrestati o rimossi dal loro incarico. Il tentativo di golpe, nonostante sia arrivato a sorpresa, ha delle radici nel difficile rapporto tra il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e l’esercito turco, l’unico vero rivale alla sua autorità nel paese. Il tentato colpo di stato e la successiva risposta del governo racconta in generale molte cose della difficile situazione politica turca, e della gestione del potere portata avanti da Erdogan negli ultimi anni.
Perché c’è stato un colpo di stato?
Come ha scritto Jeremy Bowen, caporedattore per il Medio Oriente di BBC: «Il colpo di stato è avvenuto perché il paese è profondamente diviso sul progetto del presidente Erdogan di cambiare il paese, e a causa dell’influenza della guerra civile siriana». Nel loro primo comunicato, i leader del golpe avevano detto che la loro operazione era dettata dalla necessità di fermare la deriva autoritaria e l’islamizzazione del paese voluta da Erdogan. I golpisti hanno anche parlato dell’incapacità suo governo di prevenire attacchi e attentati, come quello avvenuto lo scorso giugno all’aeroporto Ataturk di Istanbul.

L’esercito turco ha sempre avuto un ruolo molto rilevante nella vita pubblica del paese, e nella storia recente è intervenuto in maniera diretta per tre volte per rovesciare i governi in carica: nel 1960, nel 1971 e nel 1980. L’esercito turco è considerato il guardiano della costituzione laica del paese e in genere è intervenuto per garantire l’ordine costituito da minacce vere o presunte, come l’affermarsi di partiti o movimenti di ispirazione islamista o di sinistra radicale. Spesso, i periodi di massima influenza dell’esercito sulla vita pubblica hanno coinciso con campagne di arresti degli oppositori, sparizioni e omicidi politici, in maniera non troppo differente da quelle sperimentate dai regimi militari sudamericani. Fino a pochi anni fa, l’esercito turco era di fatto un corpo indipendente dal resto dello stato, solo formalmente sottoposto alla supervisione del governo civile. Con l’arrivo di Erdogan, il politico turco di gran lunga più abile e popolare della sua generazione, la situazione ha iniziato a cambiare.
Al momento non sappiamo ancora molto delle personalità e delle motivazioni degli ufficiali che hanno organizzato il golpe di venerdì, ma sono state fatte diverse ipotesi. Una delle più diffuse è che Erdogan si stesse preparando a un nuovo giro di epurazioni e sostituzioni e che quindi i golpisti abbiano tentato di anticiparlo, mettendo in atto un colpo di stato in maniera sbrigativa e raffazzonata. È una tesi che al momento non è sostenuta da nessuna prova certa, ma che si basa su un paio di indizi: il primo è che il colpo di stato è stato eseguito in maniera molto approssimativa, il secondo è che a meno di 24 ore dall’inizio del golpe, Erdogan aveva già ordinato l’arresto o la rimozione di migliaia di magistrati e ufficiali non direttamente coinvolti nelle operazioni militari, il ché lascia supporre che gli elenchi dei sospetti fossero già stati compilati.
Perché il colpo di stato è fallito?
La prima ragione sembra essere che al golpe ha partecipato solo una piccola frazione delle forze armate turche, qualche migliaio di soldati, forse 2.000, ha scritto Edward Luttwak su Foreign Policy. Si tratta di un numero chiaramente insufficiente per prendere il controllo di un intero paese. Luttwak, un commentatore popolare e controverso anche sui media italiani, è considerato un esperto di colpi di stato e per la Harvard Press scrisse nel 1968 un “Manuale pratico” per golpe che è diventato un classico tradotto in 16 lingue e ripubblicato in un’edizione aggiornata proprio quest’anno. Secondo Luttwak l’operazione di venerdì notte, più che un golpe, è sembrata una rivoluzione: un’azione avventata da parte di un pugno di ufficiali che speravano di ottenere l’appoggio della popolazione e del resto delle forze armate dopo una rapida vittoria. L’idea che più di un golpe si sia trattato di una rivoluzione sembra spiegare almeno parte dei numerosi errori compiuti dai golpisti.

Il primo è stato quello di colpire durante la sera, intorno alle 21, quando tutti di solito sono ancora svegli. Solitamente, i colpi di stato avvengono a notte fonda, con le truppe e i carri armati che occupano i luoghi strategici e arrestano i leader rivali prima che qualcuno abbia la possibilità di reagire. Attaccando così presto, i militari hanno dato la possibilità a Erdogan di richiamare i suoi sostenitori in strada e di organizzare un contrattacco. Al contrario, per provocare una rivoluzione non avrebbe senso colpire a notte fonda. Un altro errore dei golpisti è che non sono riusciti ad arrestare o neutralizzare nessuna delle figure chiave del governo.
Il resort dove si trovava Erdogan, nella città meridionale di Marmaris, è stato effettivamente attaccato, ma il presidente era già fuggito. Il primo ministro Binali Yildirim ha potuto annunciare il colpo di stato in televisione senza alcun ostacolo e ha continuato tutta la notte a scrivere su Twitter. Quasi nessun importante leader dell’AKP, il partito di Erdogan, è stato bloccato. L’unico successo su questo fronte è stato l’arresto del capo di stato maggiore dell’esercito, ad Ankara. Parte di questi fallimenti è probabilmente dovuta al fatto che i congiurati disponevano di troppi pochi soldati per portare a termine tutti i loro obbiettivi.
Perché molti dicono che è stata una montatura?
Insieme e quasi contemporaneamente alle notizie sullo svolgimento del golpe, qualcuno ha sostenuto che fosse stato organizzato dallo stesso Erdogan per aumentare il suo potere. Una premessa: in Turchia, un po’ come succedeva all’Italia degli anni Settanta-Ottanta, quando avviene una strage o un attentato, in molti vedono la mano dello stato. Secondo molti commentatori, in Turchia esiste uno “stato profondo”, cioè una rete parallela fatta da polizia e servizi segreti, incaricata di compiere attacchi e altre operazioni per giustificare misure repressive. La bomba alla marcia per la pace di Ankara, in cui lo scorso ottobre furono uccise più di cento persone, inizialmente fu imputata da molti agli agenti dello “stato profondo”. È abbastanza normale, quindi, sentir parlare oggi di “false flag”, cioè di montatura.

La Turchia, in effetti, è uno dei pochi paesi al mondo dove situazioni del genere sono effettivamente plausibili. Negli ultimi anni sono emersi diversi scandali in cui il governo turco ha dimostrato di essere spregiudicato nel perseguire i suoi fini. I servizi di intelligence, per esempio, hanno organizzato spedizioni segrete di armi a gruppi di estremisti islamici in Siria, mentre lo stesso Erdogan è stato registrato mentre parlava della possibilità di organizzare un “incidente” in modo da aver una scusa per invadere la Siria senza sembrare l’aggressore.
Ci sono molti elementi, però, che spingono a trattare questa ipotesi con estrema prudenza. L’assunto alla base di questa teoria che Erdogan fosse a conoscenza del complotto, che sapesse che c’erano dietro soltanto pochi ufficiali e che quindi li abbia lasciati fare, sapendo di poterli sconfiggere e quindi di ottenere i benefici politici. Si tratta di un atteggiamento spericolato, ai limiti dell’incoscienza. Una volta avuta notizia di un golpe, è molto difficile avere la certezza che sarà portato avanti soltanto da un pugno di militari e che il resto dell’esercito resterà nelle caserme, come è avvenuto nella notte tra venerdì e sabato. Ed è altrettanto difficile prevedere con certezza da che parte si schiererà la popolazione. In passato è già accaduto che tra i militari si spargesse l’idea di un colpo di stato e la reazione di Erdogan è sempre stata la repressione immediata.
La popolazione è dalla parte di Erdogan? Erdogan è senza dubbio il leader più popolare nella storia recente della Turchia e alle recenti elezioni di novembre il suo partito è nuovamente riuscito ad ottenere la maggioranza assoluta dei seggi in parlamento. Ma come molti leader carismatici, la sua figura è molto divisiva. Erdogan gode di un ampio consenso nella Turchia rurale, a Istanbul e tra i conservatori religiosi, mentre è osteggiato dalla sinistra, dai sindacati, dalla popolazione urbana della costa occidentale e da una parte significativa della minoranza curda. I suoi oppositori criticano le sue tendenze autoritarie, la repressione della libertà di stampa e della magistratura e la guerra contro le milizie curde del PKK, brutalmente condotta nel sudest del paese.
Già dalle prime ore del golpe, però, i partiti di opposizione, compreso il curdo HDP, si sono schierati contro i militari, così come hanno fatto anche numerosi attivisti e altri oppositori, che pure negli anni scorsi erano scesi in piazza contro il governo e avevano subito la repressione violenta delle forze di polizia. Nella notte di venerdì ci sono state alcuni episodi di apprezzamento per i militari, con applausi e grida di incoraggiamento, ma la stragrande maggioranza degli oppositori è rimasta a casa. A scendere in piazza sono stati i sostenitori di Erdogan.
La loro organizzazione è stata uno degli elementi che più hanno sorpreso gli analisti. Alle 23 e 30 di venerdì, Erdogan si è collegato con CNN Turkey tramite un’app per videochiamate del suo smartphone e ha chiesto alla popolazione di scendere in piazza per sostenere il suo governo. In quel momento, a molti è sembrata una mossa disperata, ma nel giro di pochi minuti le moschee di Istanbul hanno iniziato a chiamare in piazza i fedeli e in poco tempo le strade si sono riempite di sostenitori del governo. Tra loro era praticamente impossibile vedere delle donne, e moltissimi uomini avevano barbe e baffi – di solito evitati dai turchi con convinzioni più secolari – e cantavano slogan religiosi. I manifestanti, con l’appoggio delle forze di polizia, hanno disarmato moltissimi militari, che in molti casi si sono rifiutati di aprire il fuoco sulla folla. Ci sono state eccezioni, a Istanbul, dove per ore i militari hanno sparato per tenere lontano la folla, soprattutto in aria, ma causando anche morti e feriti. Quando all’alba il presidio si è arreso, diversi militari sono stati linciati dalla folla.
Cosa succederà ora?
Al momento Erdogan sta portando avanti delle vaste epurazioni nei confronti degli apparati dello stato che non ritiene ancora completamente fedeli, in particolare esercito e magistratura. Secondo tutti gli esperti, Erdogan uscirà dal golpe con un controllo ancora più saldo sul paese. L’esercito, fino a oggi l’unico rivale alla sua autorità, sarà ulteriormente ridimensionato. La successiva prevedibile instabilità, però, potrebbe finire con il danneggiare ulteriormente la situazione economica turca, già in difficoltà da un anno, e questo, nel medio periodo, potrebbe iniziare a far diminuire il consenso di cui gode Erdogan.

Nel breve termine, c’è sostanzialmente una questione ancora aperta: quella della base di Incirlik, nel sud della Turchia. È un’installazione militare dove si trovano numerosi soldati americani che operano le missioni di bombardamento contro l’ISIS, in Siria. La base, al momento, è isolata e la corrente è stata scollegata (la base comunque è dotata di generatori autonomi). Ufficialmente, la motivazione dell’isolamento della base è il timore che possa essere utilizzata dai golpisti, ma in molti sospettano che la vera ragione sia una rappresaglia nei confronti degli Stati Uniti, con i quali le relazioni sono peggiorate da mesi.
Secondo alcuni esponenti del governo turco, gli americani sarebbero i veri organizzatori del golpe. Erdogan non ha ancora detto niente di così grave, ma ha chiesto agli Stati Uniti di estradare Fethullah Gülen, un religioso che vive da anni in esilio autoimposto in Pennsylvania. Negli anni, Erdogan ha accusato Gülen di ogni sorta di complotto nei suoi confronti e nella retorica del presidente il religioso appare spesso un capro espiatorio per tutti i problemi della Turchia. Gli Stati Uniti hanno chiesto di fornire prove del coinvolgimento di Gülen nel colpo di stato e hanno respinto ogni accusa di aver avuto a che fare con i golpisti. Nel pomeriggio di domenica, la base è tornata quasi alla normalità, anche se la corrente non è ancora stata riallacciata. L’incidente, ha mostrato comunque a che livello di tensione siano arrivati i rapporti tra i due alleati.



Il fallimento del golpe in Turchia, con tutte le debolezze infine palesate dai congiurati, ha indotto molti a credere in una messinscena operata dallo stesso Presidente Erdoğan, che ora dovrebbe beneficiarne in termini di popolarità e nuove occasioni d'epurazione. Quest'ipotesi ha trovato spazio anche nel "Corriere della Sera" grazie a un intervento di Antonio Ferrari. Rimane tuttavia più facile credere a un golpe genuino ma mal congegnato, piuttosto che a un'ardita ed elaborata macchinazione di Erdoğan. In assenza di prove più consistenti per la teoria del complotto, il rasoio di Occam suggerisce di tenere per buona la tesi più semplice.
D'altro canto, il golpe che ora appare a tutti ridicolo, un "golpe da operetta", un "golpetto", agli occhi degli stessi, intorno a mezzanotte di venerdì era perfettamente riuscito. Lo titolavano i siti dei grandi giornali italiani, lo si poteva leggere scritto da molti commentatori illustri sui rispettivi social network. Rammento distintamente l'ilarità suscitata dall'intervento di tramite video-telefonino d'una conduttrice tv, o le sagaci battute sul fatto che i cittadini turchi sarebbero sì scesi in strada (come richiesto dal loro Presidente), ma non certo per fronteggiare i carri armati, bensì per assaltare i Bancomat. Il tutto mentre Erdoğan veniva avvistato sui cieli di mezzo mondo, in fuga e a richiedere asilo immancabilmente negato. Spiace constatarlo, ma ancora una volta la stampa italiana ha mostrato superficialità e mancanza di comprensione e analisi su un fatto internazionale (e questo è imputabile anche ai tagli cui le redazioni esteri sono soggette da anni).
Gran parte delle mancanze dei golpisti, evidenziate da chi crede alla tesi dell'auto-attentato, si possono spiegare più semplicemente col numero limitato di congiurati e col ruolo preponderante svolto da ufficiali non d'alto rango. Evidentemente il piano contava di sfruttare l'assenza di Erdoğan dalla capitale, neutralizzare rapidamente la polizia e l'intelligence (fedeli al Presidente e ben armate) per prendere il controllo di Ankara e Istanbul, occupare lo Stato Maggiore delle Forze Armate per paralizzare la catena di comando formale. In sostanza, i golpisti contavano di impedire ogni reazione all'autorità politica, alle forze dell'ordine e alle forze armate, disarticolandone gli automatismi tramite loro decapitazione. Quindi, presentandosi alla tv pubblica come la nuova autorità, i militari, i funzionari statali e la pubblica opinione, privi d'altra guida, avrebbero accettato il fatto compiuto. In particolare, è ragionevole credere che i golpisti si attendessero un'adesione spontanea degli altri comandi militari e dei partiti politici oppositori dell'Akp.
Il piano è fallito, come noto, ma il suo collasso in poche ore non autorizza a bollarlo di "golpe da operetta" (ripetiamo: dopo che gli stessi commentatori l'avevano dato per vittorioso). Per sua natura, un colpo di Stato così congegnato era destinato a vincere o abortire nel giro d'una notte, mancando della massa critica per condurre una lotta frontale contro le autorità. Tra i fattori che hanno determinato il fallimento del piano, si può citare il notevole ritardo nell'occupare la tv pubblica (almeno un'ora dopo aver bloccato i ponti sul Bosforo, in un'infelicissima scelta delle priorità), senza tra l'altro che nessun congiurato si presentasse col proprio volto e nome, proponendo l'immagine reale di un potere alternativo a quello di Erdoğan e dei suoi ministri e parlamentari. I quali invece sono stati tutt'altro che evanescenti, poiché non siamo più nel 1980 e nemmeno nel 1997, e ormai in Turchia ci sono numerosi canali televisivi e radiofonici. Per tutta la nottata, il governo ha saputo comunicare meglio dell'impalpabile "Comitato per la pace" che avrebbe dovuto rovesciarlo.
Erdoğan ha saputo mobilitare prontamente una parte della popolazione cospicua e agguerrita, come ha dimostrato nel bene e nel male, sfidando carri armati e autoblindo a mani nude, ma anche linciando militari golpisti caduti nelle sue mani. E questa mobilitazione Erdoğan l'ha ottenuta combinando strumenti moderni (si pensi alla videotelefonata con "Face Time" trasmessa in tv) a strumenti tradizionali (il richiamo dei muezzin, questa volta non alla preghiera ma alla manifestazione in piazza, è riecheggiato prontamente a Istanbul e Ankara). Questo succede quando s'unisce un partito politico di massa a una rete religiosa, il tutto in un contesto di popolazione giovane e devota.
I golpisti hanno perso davvero quando il comandante della Prima Armata (quella di Istanbul), Umit Dundar, per primo ha sconfessato il golpe e rimarcato la lealtà sua e dei suoi soldati alle istituzioni. In quel momento a tutti - alla popolazione, agli altri militari, persino ai soldati utilizzati come manovalanza dai congiurati e non necessariamente ben informati su quanto stesse accadendo - è apparso evidente come non si fosse di fronte a un vero golpe dei militari contro il governo, bensì al tentativo di una semplice fazione. Non a caso il Genrale Dundar è stato prontamente ricompensato con la promozione a Capo di Stato Maggiore.
A differenza di quanto scritto la mattina successiva al golpe da "Repubblica", non è vero che le dichiarazioni di Obama e della Merkel avrebbero avuto un ruolo nel determinare il fallimento del golpe. Entrambe sono arrivate solo quando esso era ormai evidente. Al contrario gli Usa sono stati molto ambigui nella prima dichiarazione di Kerry, che non ha preso posizione malgrado si trattasse dell'attacco a un governo formalmente alleato. A ciò si unisca il fatto che Gülen, principale indiziato della Turchia per il golpe, è ospitato dagli Usa stessi, e che nelle ore più concitate, quando la popolazione aveva cominciato a scendere in piazza contro i golpisti, la rete statunitense Nbc propagandava la notizia di improbabili fughe di Erdogan - evidentemente forgiata ad arte per scoraggiare la mobilitazione dei suoi sostenitori. E citava a sostegno niente meno che fonti militari statunitensi.
Non sorprende che ora la tensione tra Ankara e Washington sia palpabile. Il fallito golpe in Turchia è la pietra tombale su otto anni di fallimenti in politica estera dell'Amministrazione Obama.

 
Il golpe in Turchia? La voce girava già da qualche mese, a Washington. Secondo Giulietto Chiesa, giornalista esperto di politica estera (e maestro di complottismo) viene intervistato dal blogger Claudio Messora (aka Byoblu) e dice la sua sulle ultime, cruente ore tra Ankara e Istanbul. Si parte da marzo, quando un influente neocon americano, Michael Rubin, scrive un articolo premonitore, dal titolo sibillino: "Ci può essere un golpe in Turchia?". "Di fatto - spiega Chiesa - sostiene che i militari ribelli non avrebbero avuto nulla da temere da Usa e Unione europea". "Una delle origini di questo golpe, dunque - sentenzia il giornalista italiano - è stato l'invito esplicito che viene dai neocon americani". Due mosse recenti del presidente turco Erdogan, sottolinea Chiesa, sono da interpretare alla luce di quanto accaduto venerdì sera: "Ha chiesto scusa a Putin per l'abbattimento del suo caccia e ha riallacciato i rapporti diplomatici con Israele. Due tentativi di parare il colpo in extremis: io non credo affatto alla tesi che sarebbe stato il suo nemico giurato Gulen a organizzare il colpo di Stato militare, non aveva potere sufficiente. Credo che Erdogan ha rotto le scatole a tutti, ai russi, agli americani e agli europei, e ora esce da questo golpe più debole di prima, è un vincitore zoppo e ne vedremo ancora delle belle. Non tutto quello che abbiamo visto finora è chiaro". Sorprendentemente, però, Chiesa si dimostra scettico sulla voce che sta facendo impazzire i dietrologi del web: Erdogan avrebbe organizzato un finto "auto-golpe" per poter fare un colpo di mano autoritario sulla Costituzione. "Improbabile - taglia corto il giornalista - sarebbe stata una scelta molto rischiosa. Ci sono stati molti morti e l'esercito si è diviso. Da tempo esisteva una fronda kemalista laica a cui non piace l'Erdogan islamico". 

Fonte: http://tv.liberoquotidiano.it 

 

martedì 31 maggio 2016

Lo spot razzista del detersivo cinese in cui un imbianchino nero viene messo in lavatrice: alla fine esce dalla lavatrice sbiancato e trasformato in un ragazzo di etnia Cinese!!! #razzismo #pregiudiziorazziale #spot #pubblicitàcinese #africa #cina

http://mp.weixin.qq.com/s?__biz=MjM5NDE1MDYyMQ==&mid=2651010914&idx=2&sn=362104221f68d804901ba4e92ef04b41&scene=1&srcid=0530gONgEKyWSHfoocTrr8Ze&from=singlemessage&isappinstalled=0#wechat_redirect
L’azienda che lo aveva divulgato, la Shanghai Leishang Comestics, si è scusata «Per aver ferito i sentimenti degli Africani!»

Clicca quì sopra per vedere lo spot integrale
#razzismo #pregiudiziorazziale #spot #pubblicitàcinese #africa #cina

CINA - Questo discutibile e divertente spot dà la sensazione a chi lo vede di déjà vu; e in effetti e identico ad un vecchio spot della Coloreria Italiana, in cui come qui l’uomo buttato in lavatrice ne esce come affascinante ragazzo desiderato dalla protagonista. Si è gridato allo scandalo perché l’uomo da lavare é nero e sporco e quello pulito è cinese. Per molti utenti online lo spot è stato bollato come razzista. È sempre più diffusa in Cina la moda di sbiancarsi la pelle o evitare di abbronzarsi percependo la pelle bianca come simbolo di bellezza. 
Lo spot del detersivo Qiaobi diventato virale per il suo contenuto razzista (un aitante imbianchino nero tutto sporco di vernice messo in lavatrice da una bella ragazza cinese ne esce trasformato in un più desiderabile cinese dal viso gentile) è stato ritirato. L’azienda che lo aveva divulgato, la Shanghai Leishang Comestics, si è scusata “per aver ferito i sentimenti degli africani” ma accusa i media di averne “amplificato” l’effetto. Rimane la sensazione di un razzismo legato al colore della pelle difficile da sradicare dalle abitudini mentali cinesi. 

venerdì 11 settembre 2015

11 Settembre 1973 - 11 Settembre 2015: 42 anni fa il golpe militare che portò al potere Augusto Pinochet in Cile...


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CILE - In quelle prime ore il Presidente Allende e il ministro della Difesa Orlando Letelier ricevettero informazioni incomplete sul golpe e pensavano che solo una parte della Marina avesse cospirato contro il governo. Non riuscirono a comunicare né con Gustavo Leigh, capo dell’Aeronautica militare, né con Augusto Pinochet, il generale capo dell’esercito che Allende stesso aveva nominato il 23 agosto 1973. Allende era convinto della lealtà di Pinochet e disse a un giornalista che i responsabili del colpo di Stato dovevano evidentemente averlo imprigionato. Era stato invece Pinochet a coordinare il colpo di stato con le altre forze militari.
Solo alle 8.30, quando le forze armate dichiararono di aver preso il controllo sul paese, fu chiaro quello che era successo. Nonostante la mancanza di qualsiasi sostegno militare, Allende rifiutò di dare le proprie dimissioni come gli avevano chiesto i golpisti e tenne un ultimo discorso di addio alla nazione attraverso radio Magallanes in cui disse: «Viva il Cile! Viva il popolo! Viva i lavoratori! Queste sono le mie ultime parole e ho la certezza che il mio sacrificio non sarà vano. Ho la certezza che, per lo meno, ci sarà una lezione morale che castigherà la vigliaccheria, la codardia e il tradimento».
Verso mezzogiorno i militari ribelli circondarono con i carri armati il palazzo presidenziale e gli aerei militari iniziarono a bombardarlo. Luis Sepúlveda, lo scrittore che sarebbe stato incarcerato durante il regime di Pinochet per la sua attività politica, in un articolo tradotto e pubblicato su Repubblica, ricorda così quelle ultime ore:
Il giorno più nero della storia del Cile spuntò coperto di nuvole. La primavera alle porte, atterrita dall’orrore che si avvicinava, aveva deciso di negarci i primi tepori. (…) Il golpe fascista era iniziato, truppe e carri armati accerchiarono il palazzo, riecheggiarono i primi spari tra difensori e golpisti, le forze aeree bombardarono le antenne delle radio finché ne rimase soltanto una, quella di radio Magallanes, grazie alla quale ascoltammo e avremmo ascoltato le ultime parole del compagno presidente, quel «metallo tranquillo della mia voce». Con la Moneda assediata, Allende diede ordine di far uscire chiunque lo desiderasse, lui sarebbe rimasto a baluardo della Costituzione e della legalità democratica. In mezzo ai colpi d’arma da fuoco e ai proiettili esplosivi dell’artiglieria, un pugno di poliziotti socialisti decise di restare, e anche i GAP dissero chiaramente che la guardia non si arrendeva né abbandonava il Compagno Presidente. (…) Quando era quasi mezzogiorno, le forze aeree bombardarono la Moneda, le fiamme cominciarono a divampare nel palazzo ma il GAP non mollò. Rimane per sempre un’immagine di quel momento: il GAP Antonio Aguirre Vásquez, un patagone eroico, che spara dal balcone principale con la sua mitragliatrice calibro 30 finché le bombe non cancellano completamente la facciata della Moneda.
Alle due del pomeriggio era tutto finito. Alla guida del paese si insediò il generale Augusto Pinochet che governò fino al 1988. Nei combattimenti dell’11 settembre 1973 morirono 34 persone tra i militari ribelli e 46 tra i GAP. All’interno del palazzo della Moneda morirono due persone: il giornalista Augusto Olivares e il presidente Allende.
La morte di Allende
Il giorno del golpe, Salvador Allende fu ritrovato morto nel suo ufficio alla Moneda. Ci sono state numerose indagini e discussioni per stabilire se fosse stato assassinato o se si fosse suicidato prima di essere catturato. Nel 2011, dopo la riesumazione del corpo chiesta dalla famiglia, la commissione incaricata di chiarire le circostanze della morte dell’ex presidente ha affermato, come sostenuto nella versione ufficiale, che sia stato un suicidio. La versione ufficiale, sostenuta anche dal medico personale di Allende presente al suo fianco durante il golpe, è che il presidente si sia tolto la vita con un fucile AK-47 che gli era stato regalato da Fidel Castro. L’inchiesta ha concluso che Allende morì in seguito a due colpi d’arma da fuoco sparati con un fucile che teneva in mezzo alla gambe.
Prima del golpe
Il 3 novembre del 1970 il leader del Partito Socialista Salvador Allende era stato eletto presidente del Cile, guidando un’ampia coalizione di sinistra. Oltre all’appoggio degli operai e degli studenti, aveva l’aiuto della borghesia progressista e di molti intellettuali di sinistra (Pablo Neruda e Victor Jara, per citare solo i più conosciuti). Allende iniziò subito a muoversi per realizzare una riforma in senso socialista della società cilena. Fu avviato un programma di nazionalizzazione delle miniere e delle principali industrie private, fu creata una sorta di tassa sulle plusvalenze, fu decisa una riforma agraria e annunciata una sospensione del pagamento del debito estero. Furono molte le riforme anche dal punto di vista sociale: l’introduzione del divorzio, l’annullamento delle sovvenzioni statali alle scuole private, l’estensione del congedo di maternità.
La politica di Allende, sempre più orientata a sinistra, e i suoi stretti rapporti con Cuba – Fidel Castro trascorse un mese a Santiago nel 1971 – furono accolte con preoccupazione della gran parte della borghesia cilena, dei proprietari terrieri, degli imprenditori, della Chiesa Cattolica e degli Stati Uniti, spaventati dalla possibilità che il comunismo contagiasse il Sudamerica. Subito dopo la vittoria di Allende, Henry Kissinger, consigliere per la sicurezza nazionale e segretario di stato durante la presidenza di Richard Nixon, disse: «Non vedo perché dovremmo restare con le mani in mano a guardare mentre un Paese diventa comunista a causa dell’irresponsabilità del suo popolo. La questione è troppo importante perché gli elettori cileni possano essere lasciati a decidere da soli». L’amministrazione Nixon cominciò dunque a esercitare una pressione economica sempre maggiore attraverso diversi canali: l’embargo, il finanziamento degli oppositori politici nel Congresso Cileno e, nel 1972, l’inconsueto appoggio economico al sindacato dei camionisti, che portò a continui scioperi e manifestazioni. Non ci sono prove che gli Stati Uniti abbiano appoggiato direttamente il colpo di Stato di Pinochet nel 1973: da un rapporto che si è concluso nel 2000 è risultato che la CIA «non assistette Pinochet nell’assumere la presidenza». Dallo stesso documento risulta però che gli Stati Uniti fornirono un supporto materiale al regime dopo il golpe e che molti uomini di Pinochet divennero informatori degli Stati Uniti.
L’anno del colpo di stato l’economia cilena era in forte crisi e la situazione sociale e politica molto tesa. Il 29 giugno, un reggimento dell’esercito cileno circondò con i carri armati La Moneda e cercò di rovesciare il governo: il tentativo fallì per l’intervento di una parte “lealista” dei vertici militari, ma fu poi considerato una “prova generale” del colpo di stato del successivo settembre. Il 22 agosto di quello stesso anno, i membri cristiano-democratici e del Partito Nazionale (il centro e la sinistra della Camera dei deputati diventati sempre più compatti nella loro opposizione a Allende) scrissero un documento in cui accusavano il governo di atti incostituzionali e si appellavano all’esercito per rimuovere il presidente. Il documento non ottenne il voto favorevole dei due terzi del parlamento, ma dimostra come anche la situazione politica del governo Allende fosse in grande difficoltà.
Gli anni di Pinochet
La giunta che prese il potere dopo il colpo di stato dell’11 settembre 1973 era formata da quattro persone che si accordarono per una presidenza a rotazione (cosa che poi non avvenne) e nominarono Pinochet capo permanente. Il 13 settembre, la giunta militare sciolse l’Assemblea Nazionale, distrusse i registri elettorali, mise fuori legge tutti i partiti che avevano fatto parte di Unidad Popular, la coalizione di Allende, decise da subito una serie di restrizioni della libertà individuale dei cittadini e emanò delle leggi speciali per la magistratura.
Oltre alle modifiche legislative, il regime di Pinochet si caratterizzò per l’uso della violenza fisica come strumento della propria azione di governo. Subito dopo il golpe, lo Stadio Nazionale di Santiago venne trasformato in un enorme campo di concentramento dove, nel corso di quei primi mesi, vennero torturate e interrogate migliaia di persone. Moltissime donne vennero stuprate dai militari addetti al “campo”. Migliaia di persone scomparvero nel nulla. Il governo cileno ha finora riconosciuto più di 40 mila torturati, uccisi o perseguitati dal regime.
Pinochet attuò una politica economica fortemente liberista ispirata al pensiero di Milton Friedman e alla scuola di Chicago: ridimensionò il ruolo dello stato, privatizzò molte aziende, riformò il mercato del lavoro, avviò un programma di totale apertura verso l’estero. In questo venne appoggiato dall’oligarchia finanziaria, dalle classi medie e dalle multinazionali a cui aveva affidato il controllo delle imprese che Allende aveva nazionalizzato: l’economia cilena ne trasse benefici alterni, ma fu schiantata dalla grande crisi mondiale del 1982, in seguito alla quale Pinochet annullò gran parte degli interventi iniziali e dell’approccio della scuola di Chicago. Alcuni commentatori dissero che sarebbero state le iniziative successive, che smentirono gran parte delle politiche liberiste, a salvare e aiutare a crescere l’economia cilena dopo le difficoltà gravissime del governo Allende, separando il giudizio sulla violenza sanguinosa del regime.
Fino al 27 giugno 1974 Pinochet rimase a capo della Giunta militare, poi, il 17 dicembre di quell’anno, assunse il titolo di “Capo Supremo della Nazione” e di Presidente del Cile. La Moneda venne ricostruita, venne varata una nuova Costituzione e Pinochet cominciò ad apparire in pubblico in abiti civili. Durante gli anni Ottanta le conseguenze della crisi economica, il crescere delle proteste contro il governo e uno sciopero generale, aumentarono le difficoltà del regime.
La fine della dittatura
Nell’ottobre del 1988 venne deciso un plebiscito per votare un nuovo mandato presidenziale di 8 anni per Pinochet, che era convinto di vincere e dunque di veder riconfermata la propria carica. Vinsero invece i sostenitori del “no” con il 55,99 per cento dei voti. In accordo con le norme della costituzione furono dunque convocate delle elezioni libere che si svolsero l’anno dopo. Pinochet rimase in Cile a capo delle forze armate fino al 1998 e poi come senatore a vita, godendo così dell’immunità parlamentare. Il Cile, intanto, accelerò il percorso verso il ritorno alla democrazia che raggiunse pienamente negli anni successivi.
Nel 1998, il giudice spagnolo Baltasar Garzón emise contro Pinochet un mandato di cattura internazionale per la sparizione di cittadini spagnoli durante la dittatura. Pinochet venne accusato di genocidio, terrorismo e tortura. Fu arrestato a Londra dove si trovava per farsi curare, ma non venne mai condannato. Il 2 marzo del 2000 il ministro dell’Interno inglese Jack Straw decise di liberarlo e di farlo tornare in patria dove riuscì ripetutamente a evitare qualsiasi processo a suo carico e dove morì per un attacco di cuore il 10 dicembre del 2006, a 91 anni.

L'11 settembre è il 254º giorno del calendario gregoriano (il 255º negli anni bisestili). Mancano 111 giorni alla fine dell'anno...


 Cerimoniale in ricordo delle vittime
11 Settembre 2001 - 11 Settembre 2015

L'11 settembre è il 254º giorno del calendario gregoriano (il 255º negli anni bisestili). Mancano 111 giorni alla fine dell'anno.

Indice

Eventi

Nati

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Morti

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Feste e ricorrenze

Nazionali

Religiose

Laiche

  • Cina – Festa nazionale dei Pompieri della Repubblica Popolare Cinese. Il giorno è scelto per il fatto che l'undicesimo giorno del nono mese (settembre) corrisponde al 119, il numero telefonico dei pompieri in Cina.
  • USA – Giorno del numero di emergenza "911"

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