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domenica 1 giugno 2008

Dove sta andando il Capitalismo?

“Il capitalismo ha continuato a mobilitare milioni di individui intorno a una causa che pure non ha alcun’altra finalità all’infuori di se stessa: accumulare capitale.”
(A. De Benoist)
I media non perdono occasione per rimarcare che i nostri sono gli anni della “globalizzazione”. L’attuale fase della contemporaneità si caratterizza per una sempre più complessa, inedita, rete d’interconnessioni e interdipendenze economiche, politiche, sociali e culturali.Le radici del processo in atto sono riconducibili alle complesse reazioni del sistema economico della aree di antica industrializzazione alla situazione innescata nel 1973 dalla crisi petrolifera; crisi che fu determinata dalla quadruplicazione del prezzo del greggio, decisa dai Paesi produttori dell’OPEC, dopo la fulminea vittoria israeliana nella guerra del Kippur.Questo fu il crocevia dal quale si passò dalla cosiddetta fase “organizzata” del sistema capitalistico (sviluppatosi a partire dagli anni Trenta, periodo che corrisponde all’era della redistribuzione da parte dello Stato assistenziale, del keynesismo e della regolare espansione della classe media), all’avvento della sua odierna declinazione “flessibile”, postmoderna, all’insegna della precisa azione di deregulation, ossia di liberalizzazione e privatizzazione dei servizi pubblici, intrapresa sulla scia della politica economica neoliberista promossa dal presidente americano Reagan e dalla premier britannica Thatcher.Questa nuova svolta del sistema capitalistico, capace di imprimere un poderosa accelerazione al processo d’interdipendenza planetaria, di cui passo decisivo è la liberalizzazione dei mercati finanziari, è caratterizzata dall’imperativo della competitività. I “valori-chiave” delle sue figure professionali essenziali sono l’autonomia, la creatività, la mobilità, l’iniziativa, la convivialità e lo sviluppo. Il motore potente di questo “turbocapitalismo” si trova nello sviluppo delle nuove tecnologie informatiche applicate alle telecomunicazioni, che annullano lo spazio fisico e massimizzano l’effetto della “compressione spazio-temporale”.Ma anche dopo il crollo del socialismo reale, non si aprì di fatto alcuna “nuova era” di prosperità e di crescita durevole per l’umanità, bensì quella del “disordine globale”. L’ascesa del capitalismo selvaggio vede le grandi imprese multinazionali, nelle mani di pochi apolidi capitalisti, lucrare nei paesi dell’Africa, del Sud America, dell’Est Asiatico e del Medio Oriente, mediante transazioni finanziarie e speculazioni, piuttosto che con investimenti; il tutto promosso da istituzioni internazionali politico-militari (ONU, NATO) ed economico-finanziarie (Banca Mondiale, Fondo Monetario, WTO, NAFTA, ecc.) e con il contributo non meno rilevante di associazioni private (Council on Foreign Relation, Trilateral Commission, Gruppo Bilderberg, massoneria, ecc), organizzazioni Non Governative e lobby, la cui principale base tattica è costituita dagli Stati Uniti d’America.Nel 1993 compariva sullo scenario mondiale anche un nuovo attore, L’Unione Europea, ma la seconda potenza economica del pianeta non ha saputo costruirsi realmente una sua autonomia politica, da cui l’immagine poco edificante dell’Europa quale “gigante economico, nano politico, verme militare”.Nell’aleatorietà degli affari borsistici, il volo dei tassi è iniziato a metà degli anni Ottanta a Wall Street, per poi propagarsi in Europa. Nel 1998 e nel 1999, l’indice azionario è progredito di qualcosa come il 30%. Scrive a tal proposito A. De Benoist:“La conseguenza è l’ossessione della creazione di valore per l’azionista e un’esigenza esorbitante di redditività del capitale. Nel contempo, mentre qualche tempo fa, per misurare la redditività dell’attivo economico delle imprese, si guardava esclusivamente ai rientri su fondi d’investimento, oggi, per compensare la mancanza d’informazione sulla redditività futura, si valorizzano l’imprese basandosi su percentuali presunte, fondate sulle quote di mercato ottenute o conquistate. Il corso azionario, che fluttua in maniera aleatoria, non è più, quindi, il riflesso della situazione delle imprese o delle economie: il valore dei titoli quotati non ha più niente a che vedere con il loro valore reale.Il valore economico è sempre meno connesso a un valore che può essere reso in termini oggettivi e sempre più a una ricchezza virtuale che si suppone corrisponda al desiderio illimitato degli individui. La dinamica d’impresa, che puntava sulla durata, è soppiantata da una dinamica finanziaria immateriale, priva di un fondamento oggettivo. Questa distorsione tra economia reale ed economia finanziaria, valore borsistico e valore aggiunto, ma anche tra consumatore e azionista, alimenta l’illusione che l’accumulo di titoli equivalga alla produzione di beni. Dal momento che la fuga in avanti avviene sempre a credito, le azioni borsistiche assomigliano sempre più ai potenziali assignats della Francia prerivoluzionaria. La “bolla” speculativa, che continua a gonfiarsi, rischia di scoppiare in qualunque momento, provocando un nuovo crac.” Come dire, un altro “Giovedì nero” si profila all’orizzonte; ancor più oggi, tale evenienza appare concreta, investiti come siamo dalla recessione economica dovuta all’aumento esorbitante del prezzo del greggio, unito alla crisi dei mutui subprime.A questo punto non si tratta nemmeno più di discutere il “se”, ma il “quando”.
Fonte: Darko - Trevi86_D@libero.it da www.ladestra.info

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ITALIA-CINA

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