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sabato 22 ottobre 2011

Domenica prossima la proclamazione della nuova Libia liberata! Lunga la fila per vedere il cadavere di Gheddafi che negli ultimi istanti di vita qualcuno dei ribelli dice che “offriva oro per non ucciderlo!”


MISURATA (LIBIA) – Spingono, urlano, si mettono in fila e reggono male l’attesa: così in Libia va in scena la lunga e macabra processione per vedere il corpo martoriato del rais Muammar Gheddafi. E’ in una cella frigorifera per polli prima e poi in un container dove viene normalmente messa l’acqua minerale.
Tutti vogliono vedere il cadavere del colonnello, con i ribelli di Misurata che lo scortano. Si trova al «Mercato dei Tunisini».
La corsa contro la storia di Muammar Gheddafi si è fermata in un tunnel di cemento a Sirte. Dove tutto era cominciato. Le ultime parole del combattente e indomito rais sono state le piu’ scontate, e umane: ”Non sparate”.
Dopo due mesi da primula rossa e 42 anni di regime, a fermare la sua corsa è stato simbolicamente un ragazzino di 20 anni, diventato subito eroe, che ha portato con se’ come trofeo l’ultimo orpello del rais: una pistola d’oro. E le immagini del rais ferito, debole, ormai vinto, hanno fatto immediatamente il giro del mondo.
Rievocando la fine di altri dittatori, da Mussolini a Saddam. Il rais sarebbe stato preso vivo, come mostra un video diffuso da Al Jazira, ma le foto del suo cadavere con un foro di pallottola sulla tempia hanno immediatamente fatto pensare ad una esecuzione.
“C’era molta confusione. Gheddafi era attorniato dai nostri uomini. L’ho visto spintonato, venire trascinato sul selciato. Tanti gridavano, lui farfugliava che era disposto a regalare soldi a tutti, purché lo lasciassero andare. Perdeva sangue, tanto sangue. A 69 anni il corpo non regge. Per me è morto dissanguato”, racconta Hammad Mufta Ali, 28 anni fa, comandante della Qatiba (brigata) Dawahi (periferie) al Corriere della Sera.
“Alle otto di giovedì ci hanno detto che dovevamo andare subito con le nostre auto verso l’ultimo quartiere dei lealisti. Via radio mi hanno avvisato che i nemici stavano scappando sui gipponi. Siamo arrivati vicino al lungomare e abbiamo sentito gli scoppi delle bombe lanciate dall’Onu. Subito dopo ho visto una trentina di gipponi quattro ruote passarci vicino. Procedevano con difficoltà. La strada era ingombra di macerie e resa pericolosa dagli ordigni inesplosi. C’è stato uno scontro a fuoco violentissimo. Li abbiamo inseguiti per pochi chilometri. Loro si sono divisi. Non era semplice distinguere le loro auto dalle nostre. L’unico criterio era che loro sono molto meglio equipaggiati di noi. I loro fucili sono modelli modernissimi, come non ne ho mai visti”.
 
22 ottobre 2011 | 09:43
Fonte: http://www.blitzquotidiano.it
TRIPOLI (LIBIA) - Era prevista per venerdì, poi per sabato, infine domenica pomeriggio. Alle 16 all’incirca sarà proclamata la liberazione della Libia. Probabilmente sarà il presidente del Consiglio nazionale di transizione Mustafa Abdel Jalil dalla piazza principale di Bengasi a farlo, secondo quanto ha riferito il ministro per l’Inforrmazione Mahmoud Shammam.
La Libia, intanto, festeggia. Anche a Misurata, dove si trova il cadavere di Muammar Gheddafi. Lunghe code si sono formate durante la giornata per immortalare ancora il corpo senza vita di un uomo che incuteva tanta paura.
Gli insorti hanno assicurato che la sepoltura dell’ex dittatore avverrà secondo i precetti islamici.
L’Alto commissariato per i diritti umani delle Nazioni Unite ha chiesto che si faccia piena luce sulle circostanze della sua morte, sulle quali ancora non c‘è un’unica versione.
“L’autopsia è stata conclusa. Tutti gli esami del caso sono stati effettuati e l’incartamento sarà immediatamente inviato all’Aia” ha affermato, nell’andare a sua volta a vedere il cadavere, il premier Mahmoud Jibril.
Assieme a quello di Gheddafi è stato mostrato al pubblico anche il corpo del figlio Mutassim, ucciso a sua volta nel corso della giornata che ha visto la liberazione di Sirte e la fine di un’era per la Libia.

Fonte: http://it.euronews.net

GHEDDAFI E' MORTO! LA FRANCIA: "CONCLUSA LA MISSIONE NATO!"

TRIPOLI (LIBIA) - «L'operazione militare in Libia è terminata. L'insieme del territorio libico è sotto il controllo del CNT e - fatte salve determinate misure transitorie - l'operazione della Nato è arrivata al suo termine». A dichiararlo è stato il ministro degli Esteri francese Alain Juppè. «Quello che era il nostro obiettivo, ossia accompagnre le forze del Consiglio nazionale di transizione nella liberazione del loro territorio, è stato raggiunto».

IL RAID (di Marco Pasciuti) La folla gridava: «Il sangue dei martiri non è stato versato invano». Lì, in mezzo alle bocche urlanti e ai fucili sollevati in aria il corpo di Muammar Gheddafi transitava sul tetto di una jeep diretta alla moschea di Misurata. Poche ore prima a Sirte il Colonnello era stato catturato e ucciso con un colpo di pistola alla testa. Il dittatore è morto. La missione militare potrebbe finire qui Ma ora in Libia il futuro resta tutto da scrivere.
Lo hanno tirato fuori da un buco nella terra, a Sirte. Due grosse tubature sotto un’autostrada sono state il nascondiglio dell’uomo che per 42 anni si è preso gioco delle potenze occidentali in un valzer di screzi diplomatici, intrighi internazionali e discusse alleanze all’insegna di feste, tende, hostess e cavalli. All’alba di ieri Gheddafi aveva tentato di fuggire da Sirte, ma il suo convoglio è stato intercettato sull’autostrada da due caccia francesi e bombardato. Il capo di Stato, il capopopolo, il buffone ha vissuto i suoi ultimi minuti implorando. «Non sparate, non sparate», ha urlato spaventato a morte ai militari del Cnt che lo tiravano fuori dal buco. Invece la pietà l’era già morta. Secondo un medico che ha potuto vedere il cadavere, Gheddafi sarebbe morto per le ferite alla testa e allo stomaco. La faccia del ragazzino che lo avrebbe ucciso ha fatto il giro del mondo: Mohammed, 20 anni, lunghi riccioli neri, cappellino da baseball in testa, in mano la pistola d’oro del raìs.
La storia degli ultimi minuti di vita di Gheddafi è avvolta nel mistero. Secondo il racconto dello stesso Mohammed, era stato proprio lui a scovare Gheddafi e a freddarlo. Ma un video circolato su internet e ripreso da Al Jazeera racconta un’altra realtà: una volta catturato il raìs era ancora vivo. Ferito, viene trascinato verso un pickup e fatto sdraiare sul cofano. Camicia aperta, capelli arruffati, il volto insanguinato. Versione compatibile con quanto avrebbe raccontato un gruppo di testimoni, secondo cui gli uomini del Cnt avrebbero catturato Gheddafi, lo avrebbero schiaffeggiato, sbeffeggiato e ucciso a sangue freddo. Un’altra versione racconta di un Colonnello ucciso in combattimento. Morto anche il figlio Mutassim, militare di carriera. Incerta quella di Seif, erede designato, fuggito da Sirte e catturato dai ribelli. Secondo alcune fonti sarebbe stato ucciso, secondo altre arrestato.
L’Occidente esulta. «Avete vinto la vostra rivoluzione - il messaggio di Obama al popolo libico - la missione Nato finirà presto». Ricorre al latino Silvio Berlusconi per commentare la fine dell’ex alleato e amico: «Sic transit gloria mundi».

I FEDELISSIMI, Con lui, dopo di lui, sono caduti anche i suoi fedelissimi: i due figli-guerriglieri Mutassim e Saif (anche se le notizie sulla sua morte non vengono confermate, ma sembra certa la sua cattura), il suo ministro della Difesa Abubakr Yunes Jaber, il potente capo dei servizi segreti Abdallah Senoussi, arrestato insieme al portavoce del rais Moussa Ibraim. La testa del regime capitolata in pochi istanti. Sancendo, probabilmente, la fine della guerra, tanto che la Nato sta considerando se decretare il termine della missione. Quel che è indubbio è che la primavera araba dei libici è compiuta. Alla notizia della cattura del rais, ribelli e semplici cittadini si sono riversati sulle strade per festeggiare, urlando «Allah è grande», hanno portato in trionfo il ragazzino ventenne che lo ha scovato e che forse riuscirà ad intascare anche la taglia da 20 milioni di dollari.

GIALLO SULLA MORTE. Avvolto nel mistero in vita, Gheddafi ha lasciato un giallo anche nella morte. Non è affatto chiara la dinamica della sua cattura. Il rais stava fuggendo dalla Sirte appena espugnata dai ribelli, diretto a Sud, su un convoglio di sette macchine formato da familiari e fedelissimi, quando è stato intercettato dagli aerei della Nato e, via terra, dai ribelli. L'alleanza - aerei francesi, ha rivendicato Parigi, anche americani, ha precisato Washington - ha colpito alcune macchine, uccidendo il capo delle forze armate. Per evitare i colpi dei caccia, una Toyota si è improvvisamente staccata dal convoglio, seguita da un'altra macchina. A questo punto, secondo la ricostruzione dell'ambasciatore libico a Roma Abdel Hafed Gaddur, sono entrati in azione i rivoltosi, che hanno bloccato le macchine. Qui tutto diventa più fumoso: forse Gheddafi, che si trovava nella Toyota, è riuscito a fuggire e nascondersi in alcuni tubi di cemento. Di certo quei tubi sono già diventati il simbolo della fine del rais. Dal lussuoso bunker alla buca. I ribelli si sono fatti riprendere accanto ai tunnel, dove hanno scritto con lo spray «Qui stava Gheddafi. Allah è più grande».

IL CORPO DEL RAÌS. Il corpo del rais è stato poi portato a Misurata e mostrato alle tv, prima di essere rinchiuso in una moschea. Sarà sepolto in una località segreta, ha annunciato in serata il governo transitorio. A sette mesi dall'inizio della guerra e due dalla liberazione di Tripoli, il Cnt si appresta dunque ad annunciare, tra domani e dopodomani, «la liberazione della Libia». La Nato ha fissato per domani il consiglio Atlantico per valutare se decretare la fine della missione. «La missione della Nato in Libia finirà d'accordo con l'Onu ed il Cnt», ha detto il segretario generale dell'Alleanza Atlantica, Anders Fogh Rasmussen. Anche Ban ki-Moon ha chiesto di «fermare i combattimenti». La morte di Gheddafi, per il presidente Usa Barack Obama, «chiude un doloroso capitolo» perchè i libici «hanno vinto la loro rivoluzione». D'accordo il capo dello stato Giorgio Napolitano, convinto che la fine del rais chiuda «una pagina drammatica», mentre il premier Berlusconi si è limitato a commentare: «Sic transit gloria mundi». Ma perchè sia compiuto il passaggio dal regime alla nuova Libia, il Cnt vuole che l'Algeria consegni quel che resta del clan Gheddafi: la moglie, la figlia Aisha con la bimba nata proprio poche ore dopo aver attraversato il confine, quest'estate, e poi ancora i figli Hannibal e Mohammed, con le mogli ed alcuni nipoti. Ultimi esponenti di un clan considerato un tempo invincibile e finito ormai nella polvere.

Fonte: http://www.leggo.it

Minacce shock su Internet da parte di membri legati ai "Black Bloc" e da gruppi legati agli Anarco-Insurrezionalisti: "Siamo pronti anche ad uccidere!" I terroristi criminali non si fermano...grave pericolo per la manifestazione anti-TAV del 5 Novembre 2011...

ROMA (ITALIA) - L’articolo pubblicato oggi da Il Giornale sui black bloc, a firma Stefano Zurlo, è agghiacciante.
Parla di un universo anarchico insurrezionalista che in un documento stilato dalla maggiore sigla del movimento teorizza la violenza rossa in maniera netta e sfrontata. Uomini e donne pronti a tutto, e dopo i “successi” di Roma oggi si trema alla vigilia di quanto potrebbe accadere in Val di Susa, per la manifestazione No Tav.
Il documento shock degli anarchici descrive tecniche di attacco che vanno dal lancio di molotov all’assassinio. Sfrontati, esaltati e pronti a tutto.
Con lo spettro della manifestazione indetta per il prossimo 5 novembre dal Pd in piazza San Giovanni, che rischia di tirare la volata a questi violenti. Una data storica, quella in cui un gruppo di cattolici in Inghilterra tentarono di far saltare il Parlamento cercando di assassinare re Giacomo, e suggestivamente riportata in auge dal film “V per vendetta” di pochi anni fa.
Riferimento inquietante che rivive nell’immagine di Guy Fawkes, uno dei protagonisti di quell’insurrezione, la cui maschera oggi viene proprio indossata dagli antagonisti.

Cliccando sul link successivo sarà possibile leggere l’articolo de Il Giornale: Il Giornale

Fonte: http://www.storace.it

Da Ustica all’Atomica, tutti i segreti, anche quelli più scomodi della "Guerra Fredda" sono stati sepolti con lui...Gheddafi era uno degli ultimi capi di Stato ancora in carica e in vita dai tempi della "Guerra Fredda" tra l'Occidente e il blocco Sovietico! Dopo la sua scomparsa molti tirano sospiri di sollievo, a Oriente e Occidente...intantoil corpo straziato di Gheddafi è stato esposto al mercato dei polli di Misurata! Poteva essere salvato, ma a molti capi di Stato in occidente e oriente la sua morte ha fatto comodo e se la sono sempre augurata: braccato come un cane rognoso, un uomo a 69 anni di età non può essere trattato come un animale così come quel branco di assassini impazziti ha fatto il 20 Ottobre; nessuno tra quel gruppo di ribelli ha avuto pietà per un solo secondo, nessuno ha pensato al dolore dei familiari di Gheddafi che avrebbero provato a guardare quei video dove il rais viene strattonato, picchiato, umiliato, deriso e malmenato prima di essere giustiziato senza processo e senza sentenza di appello! Al grido di "Allah è grande" questi ribelli, in realtà estremisti islamici reclutati dalle milizie di Al-Qaeda, saranno la colonna portante di un futuro regime Islamico fondato sul fondamentalismo e sul terrore, chi crede che in Libia ci sarà una pacifica Democrazia si illude e si sbaglia di grosso! Solo il governo di Gheddafi era riuscito in 42 anni a tenere lontano i fondamentalismi e i terroristi, oggi invece così come avevano confermato gli stessi leader di Al-Qaeda, molti di questi fondamentalisti guardano con forti interessi alla Libia come futura terra di conquista!

 
LIBIA (TRIPOLI) - Ancora non era nemmeno confermata la notizia che a Sirte lo avevano fatto fuori, che già il potere che ora in Libia comandava senza più oppositori metteva le mani avanti: «Noi non abbiamo mai dato l'ordine di ammazzare Gheddafi». I governi - quelli ufficiali e regolari quasi sempre, figuriamoci poi quelli autodefinitisi transitori - non mostrano molti pudori nel difendere pubblicamente le loro malefatte, contando sul convincimento che alla fine le verità istituzionali hanno una buona capacità di tenuta nel tempo; i "weakyleaks" arrivano sempre dopo, quando la memoria si è affievolita e, soprattutto, le regole del gioco e i suoi stessi protagonisti sono ormai cambiati. E allora, perché non credere a quanto dicono oggi e dicevano già ieri Jalil e soci?
Loro, Gheddafi non lo volevano morto, proprio per niente, loro che fino all'altro ieri erano stati suoi corifei e accanto a lui ne avevano cantato glorie e sapienza. E certamente non lo volevano morto proprio per niente la Francia mistificatrice di Ustica, la Nato del comando regionale di Napoli, l'America bombardiera di Reagan e Clinton, il Pakistan di quel genio folle di Abdul Kader Khan, l'Inghilterra dell' Mi-6 di Blair e Gordon Brown, e anche l'Italia, naturalmente, l'Italia che va dal Craxi& Andreotti della Prima repubblica fino al Berlusconi&Frattini della Seconda. In più, certo, una lunga lista di nomi illustri e di nazioni orgogliose, e di bande armate, con, dentro, anche una cinquantina di capi di Stato africani, larga parte dei Raìss del Medio Oriente da Nasser fino a oggi, i servizi segreti di mezzo mondo dal vecchio Kgb alla Cia di sempre, e poi la galassia del terrorismo internazionale che negli Anni Settanta e Ottanta ma fino ai giorni nostri dell'integralismo qaedista ha avuto mani in affari e traffici che il Qaìd intrecciava inseguendo il suo sogno, la sua ossessione, di poter salire, un giorno, sulla poltrona dove sta seduto il più potente dei Potenti della terra.
Un tale listone di Paesi e di capipopolo che coinvolge i destini e le fortune praticamente di ogni latitudine del pianeta può voler dire una cosa soltanto: che Gheddafi certamente su quella sedia tanto agognata non s'era potuto mai sedere, e però anche che in questi suoi 42 anni di potere assoluto aveva intanto intrecciato una rete così estesa e fitta di relazioni da poter comunque sopravvivere con tutte le sue folli ambizioni, pur in un mondo che mutava geneticamente. In quella rete ci stava di tutto, il baciamano di Berlusconi come i baci sulle guance di Blair, la tenda beduina montata su a due passi dall'Eliseo come le lettere affettuose che la Cia e l'Mi-6 indirizzavano a Moussa potente capo dei servizi segreti libici; non tutte erano uguali, queste storie, certamente, e però tutte avevano qualche ombra ben nascosta, qualche manovra o qualche traffico che era meglio non far conoscere. Solo che quella rete Gheddafi ora se la porterà via con sé nella tomba; e nella terra che ha coprirà quella tomba senza nome sarà sepolta anche la fitta sequenza di misteri, e di strategie politiche spesso inconfessabili, che il Qaìd vivo avrebbe invece potuto aiutare a svelare, con conseguenze che oggi, magari, farebbero fare sonni assai inquieti a molti dei potenti degli ultimi decenni.
La sua forza, la fonte del suo potere e del suo sogno, era il petrolio, la manna inarrestabile che sgorgava dai pozzi della Cirenaica e della Tripolitania, offrendogli una munifica cassa continua con la quale comprare sudditanze, comparaggi, alleanze, servizi sporchi, strumenti di pressione d'ogni tipo, fino agli attentati più spregiudicati e alle stragi più indifferenti. E nello scorrere del tempo, questa cassa continua si piegava a strategie che il Colonnello cambiava senza apparenti problematicità, adeguandosi ai fallimenti, o comunque alle irresolutezze, che vedeva trasparire dagli ambiziosi progetti su cui di volta in volta aveva puntato. E se il primo progetto era stato quello dell'inseguimento del panarabismo di Nasser - un inseguimento nel quale, dopo aver buttato a mare la basi americane, aveva spinto fiumi di denaro verso l'Egitto e la Siria - subito dopo, vinta la delusione, aveva montato il nuovo progetto di un Terzo Potere, altro dal capitalismo e dal comunismo, fino ad approdare, in ultimo, a un panafricanismo che a forza di pagamenti cash costruiva una corte ubbidiente di capi di stato del Continente nero con cui reggere la sua ambizione di farsi Re dei re.
In questo movimento scomposto, dove il disegno della destabilizzazione era la linea guida che pilotava le scelte tattiche, Gheddafi non poteva non urtare interessi consolidati, egemonie politiche e d'affari, equilibri strategici molto delicati, con la conseguenza che ogni atto compiuto in un simile territorio di poteri sensibili doveva misurarsi con una realtà di fatto e su questa intervenire, provocandone la reazione inevitabile. Nasce all'interno di questa dinamica l'uso strumentale che Gheddafi faceva di ogni movimento politico e di ogni forza d'opposizione militare ai poteri istituzionali, e da qui tutti gli episodi che oggi accompagnano la riflessione sulla sua morte «in guerra», nell'impossibile desiderio di recuperare finalmente la verità di quanto è accaduto, a Ustica, a Lockerbie, a Berlino, a Bab Al-Azizyia, nell'Irlanda ddell'Ira, nel Paese Basco, o anche in Afghanistan e in Pakistan.
Ustica, il missile che abbatte un volo dell'Itavia nel cielo e nel mare di quell'isola, resta il simbolo più efficace e più significativo di questo intreccio di interessi strategici internazionali, e di mistificazioni politiche, che hanno accompagnato nella tomba, ormai per sempre, i «misteri» di Gheddafi. Il depistaggio continuo, gli atti spregiudicati di disinformazione, le menzogne ufficiali che coinvolgevano alti gradi militari del nostro paese, della Francia, del comando Nato di Napoli, sono pezzi d'una storia che s'è fatto di tutto - da chi poteva - perché non si chiarisse mai. In questa storia (che poi ebbe una coda in un caccia libico precipitato sulle terre di Crotone), Gheddafi, e un attentato contro di lui, sono rimasti sempre sullo sfondo, legando al destino del Qaìd di Tripoli interessi politici che paiono essere stati manovrati ben al di là del ruolo di Roma o di Parigi.
Sotto questa storia, e sotto quella, per esempio, del volo di linea della Pan-Am esploso in volo sul cielo scozzese di Lockerbie, c'era certamente il ruolo di terrorista internazionale che il Colonnello si era scelto per favorire una destabilizzazione diffusa, che dal Mediterraneo e dalle logiche dei processi critici del mondo arabo si era poi spinta fino a Washington e alla Casa Bianca. Il bombardamento di Reagan sulla «reggia» di Bab AlAzizyia sta dentro questo stesso scenario, dove i morti americani della discoteca di Berlino sono solo il pretesto per una resa dei conti che con quei morti aveva solo una relazione indiretta. E sta sempre dentro questo scenario il progetto di Gheddafi di costruirsi la sua Bomba, utilizzando l'avidità commerciale d'uno scienziato pachistano, Abdel Karen Khan, che ha venduto materiale fissile e tecnologia nucleare a ogni angolo delpianeta.
Ora che Gheddafi era diventato un «buono», consegnando agli americani i suoi piani nucleari, la rivolta di Bengasi fattasi rivoluzione ha fornito un buon pretesto agli interessi francesi (e non solo francesi) per togliere comunque di mezzo il Colonnello. Certamente, nessuno voleva ammazzarlo. Ma in guerra si muore, e può anche accadere che una morte «in guerra» metta sotto un metro di terra anche mille scomode verità.
 
Fonte: http://www3.lastampa.it

LIBIA (MISURATA) - Avessero deciso loro l’avrebbero portato qui, in questa piazza che è diventata un museo all’aperto, dove a mezzogiorno portano in trionfo l’ultima parte del bottino di guerra, quello che hanno trovato sulla Toyota della fuga.
Le mutande di seta viola del Colonnello, il pigiama di seta blu a pois bianchi, lo specchio tondo e il pettine, una blasfema bottiglia di gin, gli occhiali da sole, un fazzoletto verde, i guanti, il cappotto con le mostrine. «E il Viagra!», urla Hamed agitando una scatola di medicine. Sono pasticche di «Glovit», soltanto vitamina. Non importa, per i 400 mila di Misurata sarà per sempre Viagra. «Porco!».
E invece no, almeno su questo i Ribelli di Misurata si sono fermati. E tocca a loro, sebbene di malavoglia, accompagnare Muammar Gheddafi nelle sue ultime ore sulla terra. Lo scortano nella notte, cambiano almeno due improvvisati obitori: una cella frigorifera per polli e poi un container per casse d’acqua minerale. Continuano a cercarlo, a Misurata, lo vogliono vedere. Alle otto di sera, lontano dalla città, Gheddafi è al «Mercato dei Tunisini». Fuori dai cancelli c’è ressa, spingono, urlano. Lui è al posto dei polli, su un materasso giallo, due buchi nel petto, la testa girata a sinistra, a coprire il colpo alla tempia.
Nella cella è tutto uno scattare e filmare, non c’è combattente di Misurata che non abbia queste immagini nel telefonino. «Presto, presto, fate presto». Solo loro possono entrare, i Tuwar che hanno vinto la caccia al Topo. Loro che si raccontano come l’hanno preso, e a sentirli pare che attorno a quel tunnel di Sirte ci sia stata la Libia tutta. Più che le parole questa volta contano davvero le immagini, come quella che riprende il Colonnello ancora in piedi, ferito e lucido, che reagisce a pugni e spintoni: «Quello che state facendo è peccato grave», dice. Si sente un colpo secco, forse quello mortale. Ma l’immagine non c’è più.
Ora che è su questo materasso giallo a fiori marroni, con una smorfia che fissa la sua fine, l’hanno lasciato con i pantaloni della divisa. Avevano detto, giovedì, che era morto per le ferite alla testa, alle gambe e allo stomaco. Mohammed el Bibi, il ragazzotto che gli ha preso la pistola d’oro, aveva annunciato al mondo d’avergli sparato in pancia. Un piccolo foro di proiettile c’è, ben ripulito dai medici e da chi l’ha lavato. Ma restano ben visibili ferite, lividi, tagli sulle braccia, sui fianchi, sul petto. Come se Gheddafi, prima del colpo alla tempia, fosse stato strattonato, malmenato, aggredito dall’ira. E finito.
In questo strano obitorio di Misurata s’incontra chi c’era. Non a Sirte, appena fuori dal tunnel di cemento, dove l’hanno trovato. Ma qualche chilometro lontano, sulla strada che porta qui a Misurata, al check-point numero 50. Abdel Rahoumah, 34 anni, «Ufficiale di polizia prima di passare con i Ribelli», era lì. «È arrivata la colonna di Twuar con in mezzo l’ambulanza, non sapevo ancora niente e non è stato difficile immaginare che dentro ci fosse lui. Era ancora vivo, con il medico vicino. Si sono fermati ed è stato il caos, tutti attorno Un ragazzino gli ha strappato i capelli, ha detto che erano finti e unti di nero».
Abdel il poliziotto ha cinque filmati nel telefonino. C’è quello che si chiude con il colpo di pistola, «ma non è successo al check-point 50. Sono ripartiti per Misurata dopo dieci minuti, e ho visto che era ancora vivo». Non sa, Abdel, se l’ambulanza si sia fermata ancora. «Forse era già successo prima». Mohammed Behlil era a Sirte, vicino al tunnel. «Quando è salito in ambulanza camminava, nessuno gli aveva sparato alla testa». Insomma, nemmeno i Combattenti sanno cosa sia davvero successo, ammesso che la questione li appassioni. Piuttosto, seppellirlo qui, e anche questo è trofeo di guerra, o mandarlo via, lontano da Misurata?
Il cimitero ha muri bianchi e bassi, coperti dalle scritte con i nomi dei Martiri. «Non lo vogliono, qui. Qui ci stanno solo i martiri. Vada via!», grida una donna. C’è chi lo vorrebbe buttare in mare, «così non è più nemmeno sotto la nostra terra». Ma almeno un’ultima volta, e per molti di loro sarebbe l’unica, lo vogliono vedere da vicino. «L’abbiamo dovuto spostare almeno tre volte», dicono dal comando militare del Consiglio Nazionale di Transizione, mentre al primo piano, negli studi di «Radio Misurata» arrivano le telefonate di chi vuol sapere «dov’è il Topo», «se non lo vedo non ci credo», «vi prego, ditemelo».
Il Colonnello e Mutassim, il capo del temuto servizio di sicurezza interno, li avevano portati a casa di Anwar Sanwan, 41 anni, la barba riccia, il Ribelle che abita nelle case di Mar Bath, le dune di sabbia e subito c’è il mare. «Ma arrivava troppa gente e li abbiamo portati qui», e indica il vecchio deposito di ghiaia ora occupato dalle Tigri di Misurata. Di fronte c’è l’antenna bianca e rossa della tv, la prima a esser stata colpita dall’aviazione di Gheddafi il 20 febbraio. Lo credevano all’ospedale, il Colonnello. Invece era qui, accanto al figlio, nel container 45R1 e la scritta «Evergreen», sempre verde.
Alle undici del mattino, quando Anwar infila la chiave nel grosso lucchetto del container e apre la porta, un moscone s’infila nel gelo. Mutassim è sui bancali di legno, una coperta arancione come materasso, nudo, solo un lenzuolo di garza azzurra e un altro verde a coprirlo appena. Barba e capelli sono un misto di sangue e sabbia, ha un buco sotto la gola, un secondo in mezzo al petto, un terzo alla gamba sinistra. «E qui sotto - indica Anwar, e pare un esperto becchino - si vede il segno del prelievo per l’esame del Dna. L’abbiamo fatto anche al padre, in modo che nessuno abbia mai più un dubbio. È finita davvero».
Non sembra, attorno a questo container svuotato in fretta dalle bottiglie di minerale marca Shafia, lo stesso nome della moglie del Colonnello, la madre di Mutassim. Si sentono i canti delle donne del quartiere, che prima della preghiera del venerdì arrivano con le figlie. Hanno saputo che il corpo di Gheddafi, portato via nella notte, tornerà a metà pomeriggio. E prepareranno la festa, con i pentoloni per il riso e il montone, le ceste di datteri freschi, gli altoparlanti con la musica, i bambini armati di pistole giocattolo che ballano. Ma sarà troppo rischioso riportare il Colonnello nel container. Festa funebre annullata.
Ancora una notte nella cella frigorifera dei polli, per Gheddafi. In una Misurata che resta tutta macerie, vuota di giorno e la sera piena di luci e di macchine. Alle nove una colonna di Twuar sta scortando un’ambulanza. «È lui, è lui!», si muove la folla. Sparano in aria dalla Piazza del bottino di guerra. Non era lui, e forse è l’ultima notte al «Mercato dei Tunisini». Ai cancelli continuano a premere, nessuno che voglia sapere come è morto, tutti che lo vogliono vedere. E la tv Al Arabyia chiude il tg con gli ultimi secondi del rais vivo. I calci, gli sputi, le spinte. E una pistola che si avvicina alla tempia sinistra.
 
Fonte: http://www3.lastampa.it

venerdì 21 ottobre 2011

سيف الاسلام معمر القذافي يتحدث بعد قتل اخوه



سيف الاسلام معمر القذافي يتحدث بعد قتل اخوه سيف العرب ويشتمل الخطاب على تهديد ووعيد وهبل

Muammar and Ayesha al-Gaddafi - 25th Anniversary of the Bombing of Libya...



Video of the Libyan State TV Al-Jamahiriya released by Routers:

Apr 14 - While being driven around Libyan capital in a sports utility vehicle, Gaddafi appeared in a celebratory mood - as he acknowledged the cheers of supporters throughout the city. Jon Decker reports.

Apr 15 - Aisha Gaddafi addresses supporters and compares NATO air strikes to the bombing of Tripoli in 1986. Michaela Cabrera reports.

الفرق بين عائشة القذافي و هند بنت امير قطر

‏هده عائشه القدافي شبه عاريه Ayesha al-Gaddafi (Il matrimonio!)

Muammar and Ayesha al - Gaddafi - 25th Anniversary of the Bombing of Libya...



Apr 14 - While being driven around Libyan capital in a sports utility vehicle, Gaddafi appeared in a celebratory mood - as he acknowledged the cheers of supporters throughout the city. Jon Decker reports.

Apr 15 - Aisha Gaddafi addresses supporters and compares NATO air strikes to the bombing of Tripoli in 1986. Michaela Cabrera reports.

ITALIA-CINA

ITALIA-CINA
PER L'ALLEANZA, LA COOPERAZIONE, L'AMICIZIA E LA COLLABORAZIONE TRA' LA REPUBBLICA ITALIANA E LA REPUBBLICA POPOLARE CINESE!!!