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sabato 14 gennaio 2012

The incredible mistery of Number Stations - L'incredibile mistero delle Number Stations...


L'incredibile mistero delle Number Stations...

Italian Number Station (V22) - Rarissima trasmissione in Italiano di una misteriosa Number Stations...


Number Station Italiana ascoltata in HF. V22
Italian numbers station, heard in Italy JN61kx. Video by I Z Ø K B A

Fonte: http://www.youtube.com/user/itaRomeo?feature=watch

Number stations: le radio delle spie? - Parte 1 di 2...


Voyager del 23 Maggio 2011 e l'intervista ad Andrea Borgnino e ad altri esperti per parlare di trasmissioni criptate spionistiche sulle onde corte...

Fonte: http://www.youtube.com/user/radiopassioni?feature=watch

Number stations: le radio delle spie? - Parte 2 di 2...


Voyager del 23 Maggio 2011 e l'intervista ad Andrea Borgnino e ad altri esperti per parlare di trasmissioni criptate spionistiche sulle onde corte...

Fonte: http://www.youtube.com/user/radiopassioni?feature=watch 

COSI' INIZIANO LE DITTATURE? Byoblu intervista Nigel Farage...


Il 16 Novembre 2011 Nigel Farage, in un discorso al Parlamento Europeo largamente ripreso e diffuso in Italia, ha accusato i burocrati Europei di avere rimpiazzato il governo Greco con un governo marionetta e di avere sostituito il governo Berlusconi con il governo Monti. Ha terminato il suo discorso chiedendo cosa, in nome di Dio, avesse dato loro il diritto di farlo. Per approfondire la questione, ho intervistato Nigel Farage per il blog Enjoy.

Tutto il testo dell'intervista qui:

Fonte: http://www.youtube.com/user/byoblu?feature=watch

Una televisione Americana conferma il ritrovamento di bario nelle scie chimiche...


Trascrizione dell'audio al seguente link:

I legami tra bario e sclerosi multipla, come disintossicarsi dal bario, vedi il link:

L'acqua al bario in provincia di Pistoia:

Le prove dell'esistenza delle scie chimiche:

 Fonte: http://www.youtube.com/user/cipen143?feature=watch

venerdì 13 gennaio 2012

IL CASO DEGLI “SCONTRI” POLITICI NELL’«AREA» DELLE DESTRE ITALIANE: PROPORRE UN PATTO DI NON BELLIGERANZA LA SOLUZIONE?


 



In questi giorni, chi frequenta abitualmente blog, forum e facebook, avrà certamente notato all’interno dei social-network riconducibili alla destra ed estrema destra, quante diaspore incontenibili siano state avviate e quanti litigi assurdi siano venuti fuori, con tanto di insulti, accuse e recriminazioni reciproche fra vari esponenti e simpatizzanti (o presunti tali) dei vari gruppi d’area. In particolar modo il tutto sarebbe partito dalla vicenda delle celebrazioni del 7 gennaio per i martiri di Acca Larentia. Ovunque si sono letti commenti al limite dell’assurdo e della decenza, miriade di insulti, scambio rovente di accuse, denigrazioni, sbeffeggiamenti, offese anche personali, tanto che tutto questo non è passato inosservato neppure al circuito mediatico nazionale (ad esempio Il Fatto Quotidiano né ha dato ampio spazio, a modo suo ovviamente).
Dietro l’anonimato di una tastiera o mascherati da nickname fantasiosi, individui non inquadrabili si sono cimentati nella guerra tra bande, di fatto seminando odio, divisioni e zizzania all’interno di una comunità politica già profondamente divisa da lunghi anni di diaspore ed incomprensioni reciproche.
In realtà pare che nessun vero esponente, militante o simpatizzante di questo o quel movimento abbia preso parte a questo gioco al massacro, salvo qualcuno che in buonafede leggendo certe aberrazioni si è sentito chiamato in causa ed ha comprensibilmente voluto difendere il proprio gruppo di appartenenza, alcuni forse calcando un po’ troppo la mano sulla tastiera e cadendo di fatto nella trappola e nelle provocazioni di chi ad arte voleva e vuole tenere diviso questo ambiente, facendoci precipitare in questo vortice senza uscita, in questo Punto di non ritorno (per dirla con le parole di una famosa canzone di Morsello).
Come è più plausibile, sembrerebbe invece che dietro tutto questo ci siano i soliti elargitori di odio facenti parte dell’estrema sinistra che, approfittando delle incomprensioni e della guerra che da anni imperversa dentro l’estrema destra, abbiano voluto cogliere l’occasione per seminare il germe della discordia e contribuire a dividere un ambiente già di per se litigioso, ma che dopo anni si stava ricompattando per l’occasione della ricorrenza del 7 gennaio dei martiri di Acca Larentia. Cosa questa che ha spaventato non poco gli antifascisti da un lato (sempre più deboli sotto ogni piano strategico) e lo stesso Sistema che invece necessita di proseguire con la classica strategia proveniente dall’Antica Roma secondo cui può sopravvivere e mantenersi intatto soltanto applicando il metodo: “Dividi et Impera!”
A questo punto sarebbe opportuno fare chiarezza e lanciare un messaggio forte e chiaro a tutti i naviganti, siano essi amici, finti amici, nemici o personaggi non inquadrabili.
Ma per farlo, per prendere effettivamente e ufficialmente le distanze da certi atteggiamenti che immagino nessuno di noi veramente vuole, per dimostrare la propria estraneità a quanto avvenuto in questi giorni sul web, sarebbe opportuno organizzare un incontro chiarificatore sul tema, che porti i principali esponenti d’area, da Fiore a Iannone, da Romagnoli a tutti gli altri leader delle più svariate sigle, a firmare una sorta di PATTO DI NON BELLIGERANZA, ad esprimere pubblicamente e magari siglare con una stretta di mano la volontà di prendere le distanze da questi atteggiamenti, all’ordinare ai rispettivi militanti e simpatizzanti di rimanere fuori da queste logiche, in sostanza al chiaro rifiuto di prestarsi a guerre fratricide interne a quest’area, e seppur ognuno diretto per la propria strada e con le proprie posizioni e diversità, si intenda almeno non pestarsi i piedi a vicenda. Se poi in futuro possano esserci anche delle occasioni per fare fronte comune, come poteva essere il ricordo di Acca Larentia, o come potrà esserlo ad esempio quello per Sergio Ramelli o per i fratelli Mattei, o per iniziative più concrete come la lotta contro Equitalia o per la sovranità monetaria e nazionale, penso che tutti i principali leader dovranno saper mettere da parte antipatie e recriminazioni reciproche, almeno per queste occasioni. Si badi bene, qui non sto chiedendo nessuna unità d’area, considerato che questo ormai è un tema superato ed un’utopia bella e buona. Semplicemente chiedo si maturi almeno sul piano del rispetto reciproco e di non farsi più un’inutile e dannosa guerra, che non giova a nessuno di noi, ma solo ai nostri avversari. Ritengo sia interesse comune in questo momento sospendere ogni sorta di spirito di rivalsa, ogni dura contrapposizione interna, qualsiasi lite anche quelle più strettamente personali. I nostri nemici non solo ci vogliono divisi, ma è in atto una strategia stile anni di piombo per annientarci politicamente, giuridicamente ed anche fisicamente. Forse questa cosa non è ancora chiara a tutti e per questo faccio appello ai leader perché avendo la responsabilità di guidare ed influenzare le proprie schiere, diano segnali forti ed inequivocabili. Ma perché questi segnali siano chiari e giungano a destinazione, bisogna che i principali leader d’area trovino la forza di mettere da parte l’orgoglio personale, le rivalse e le rispettive antipatie, giungendo responsabilmente ad intraprendere un’iniziativa volta semplicemente a firmare questo patto di non belligeranza. Il segnale che ne conseguirebbe sarebbe davvero efficace e porrebbe fine a troppe logoranti diaspore, fermando soprattutto chi da anni internamente o esternamente vuole minare e distruggere l’intera comunità militante cui tutti apparteniamo. Specie in questo delicatissimo momento della scena politica nazionale. Possiamo almeno giungere a questo patto di reciproco rispetto? Non credo sia chiedere troppo…. Attendiamo fiduciosi risposte concrete.




Michelangelo Turrini

Fonte: http://www.atuttadestra.net

giovedì 12 gennaio 2012

Gli Yugo-nostalgici...in Serbia si riparte dalla ex-Yugoslavia Titina...

In Serbia il partito comunista riparte dalla famiglia del maresciallo Tito. Josip Joshka Broz, nipote del dittatore della ex Jugoslavia, annuncia la nascita partito ambizioso e nuovo di zecca. Tra gli obiettivi indicati da Broz: restituire alla popolazione la propria dignità, ripristinare il sistema di valori esistente nella ex Jugoslavia, rafforzare i contatti socio-economici tra i Paesi della vecchia Federazione, collaborare con l’Unione europea.
Il nipote di Tito ha consegnato alle autorità competenti di Belgrado le 12mila firme necessarie alla registrazione del nuovo partito che – come ha sottolineato lui stesso – ha voluto raccogliere e fondere in un’unica formazione 14 altri piccoli partiti comunisti sparsi in tutto il paese. ”Vogliamo aiutare i giovani a fare i loro studi, i vecchi a curarsi, i pensionati ad avere regolarmente i loro assegni. E per questo vogliamo unire tutte le forze della sinistra”, ha detto il nipote di Tito citato dall’agenzia Beta.
Parlando dinanzi ad alcune decine di membri del nuovo partito, Joshka Broz ha annunciato che il primo appuntamento sarà la partecipazione alle prossime elezioni locali e parlamentari in programma nel 2012. In una intervista all’Ansa lo scorso maggio, in occasione del 30/mo anniversario della morte di Tito (4 maggio 1980), il nipote del maresciallo aveva parlato di una ”nostalgia per Tito in continua crescita” a causa principalmente delle difficili condizioni di vita non solo in Serbia ma anche nelle altre repubbliche della ex Jugoslavia.
Interrogato sulla possibilità di ricreare la vecchia Federazione jugoslava, Joshka Broz ha detto che è necessario a suo avviso intensificare le relazioni economiche e sociali tra i paesi della ex Jugoslavia, anche se – ha osservato – ”le frontiere politiche nella regione non possono più cambiare”. ”Creare una comunità è un progetto che è già stato applicato nell’Unione europea. E’ importante che nella regione esista una certa forma di associazione poiché non possiamo stare gli uni senza gli altri”.
Il nuovo Partito comunista – ha detto Joshka Broz – ”difende la figura e l’opera di Josip Broz Tito, le conquiste della lotta di liberazione nazionale e si batte per la pace tra i popoli”. Al nuovo partito, ha precisato, può aderire chiunque senza distinzione di religione o appartenenza etnica. ”Non ci sono più né partigiani né cetnici, lavoriamo per la riconciliazione del nostro popolo e impegnamoci a costruire una vita migliore”, ha detto il nipote di Tito. Joshka Broz Tito (63 anni), la cui somoglianza col nonno è impressionante, gestisce a Belgrado un ristorante, le cui pareti sono tappezzate di quadri raffiguranti il maresciallo Tito, ma anche altre figure politiche ‘forti’ come Vladimir Putin, Fidel Castro, Hugo Chavez, Aleksandr Lukashenko. Tutti quadri, ha tenuto a sottolineare, di autori rigorosamente comunisti.

6 dicembre 2010 | 17:59


Giacomo Matteotti e il mistero del suo assassinio...chi fu veramente il deputato Socialista ucciso in circostanze misteriose a Roma, nel lontano 1924?

Da http://ritornoallatradizione.blogspot.com: Mi informo da tempo sul caso Matteotti: uno dei tanti (finti) miti dell'Italia antifascista. Ho letto le ricostruzioni più disparate in varie monografie; ho sentito più di un racconto di persone che hanno vissuto quegli anni in prima persona. Una vicenda torbida. Non solo perché è morto un uomo, ma perché a ciò si uniscono le ombre di una versione ufficiale che fa acqua da tutte le parti. E non serve essere storici per capirlo; basterebbero solo un po' di logica ed un pizzico di buona fede. Merce rara evidentemente.
Bene, vediamo: il buon Giacomino, socialista di tutto rispetto, sempre ritratto nei libri di testo e in quelli di storia come un fanciullino, (giusto per sfiorare "quel tasto del patetico a cui noi italiani siamo particolarmente sensibili "), viene brutalmente ucciso da un pugno di fascisti al soldo di Mussolini. Motivo? Il prode Giacomino aveva denunciato i brogli elettorali di questi cattivi signori che, per non perdere la faccia, l'hanno confinato nel regno delle talpe,ovvero animaletti che non sentono, non vedono e non parlano.
Una storiella "carina" , non c'è che dire. E molto efficace in chiave politica, giacché riesce benissimo a gettare il marchio dell'infamia addosso al nemico ieri imperante, oggi sconfitto.
Allora, iniziamo a porre qualche dubbio, nella speranza di sfiorare qualche candida coscienza, (ammesso che ve ne siano ancora!), tra le fila dell'Italia moderna, democratica e antifascista.
Siete proprio sicuri che le cose siano andate così?
Allora ditemi: perché Mussolini avrebbe dovuto volere proprio la morte di Matteotti? Perché non si sarebbe comportato con lui come fece in altre occasioni con avversari, non meno ingombranti, del calibro di Pertini e Gramsci, mandati in carcere, previo regolare processo, mantenuti e curati  a spese dello Stato? Anche questi ultimi, in fondo, avevano denunciato l'operato delle Camicie Nere, eppure non furono mai uccisi.
Evidentemente, la ragione risiede altrove. Vi preannuncio che non sarà facile trovare riscontro alle parole che seguono, dato che pochi autori ne parlano, (R. Sermonti in primis). Comunque, dovete tenere presente una data, 1923, ed un luogo, Francia.  Infatti, in quell'anno nel Paese transalpino muoiono diversi  fascisti: a Strasburgo era stato ucciso un ebanista; a Marsiglia erano stati rinvenuti i corpi di due iscritti al Fascio di quella città; in seguito a Parigi erano stati uccisi altri due fascisti.

Su queste morti indagherà Amerigo Dumini.

Non è abbastanza singolare la circostanza che Dumini nel 1923 cercasse di scoprire la verità su quelle morti misteriose, e nel 1924 fosse uno dei responsabili del cd. "omicidio Matteotti"?
Sì, e non è solo singolare, ma addirittura sospetta. Ed è questa la tesi che Sermonti ed altri sostengono: Matteotti, assiduo frequentatore dei congressi socialisti anche all'estero, era il mandante di quelle morti. Dumini, Volpi, Povermo e gli altri, avevano il compito di prelevare il deputato socialista per condurlo davanti alle autorità, perché fosse ascoltato. Nel tentativo di condurre in auto Matteotti, sarebbe nata una colluttazione tra quest'ultimo e gli uomini della Ceka, in cui probabilmente Matteotti restò ACCIDENTALMENTE UCCISO, (come è stato scritto in più parti), o addirittura morì INASPETTAMENTE per una emottisi, causata forse da un aneurisma cerebrale, (come scritto in altre). Fatto sta che la morte del deputato gettò nel caos più profondo Dumini e compagni, (ma non erano stati assoldati per ucciderlo?), i quali vagarono tutta la notte con la lussuosa Lancia, (avevano scelto una macchina proprio "invisibile" per l'epoca), per cercare di trovare una soluzione. Alla fine, scelsero di seppellirlo maldestramente nel bosco della Quarterella: una fossa scavata alla bene e meglio, con mezzi di fortuna, (forse un cacciavite o un pugnale-che strano, questi dovevano accoppare un uomo e non avevano pensato a portarsi una pala!), coperta da un pugno di terra e da qualche foglia, ove il cadavere resterà abbandonato fino al  ritrovamento casuale, avvenuto il 16 agosto, da parte del cane di un brigadiere dei Carabinieri in licenza. 
Mussolini, all'epoca astro nascente della politica italiana, conobbe un periodo di forte crisi. Si assumerà la responsabilità morale e storica del clima di violenza in un famoso discorso alle Camere, ma mai una qualche forma di responsabilità diretta nella vicenda, impossibile da dimostrare perché inesistente.
Potete trovare queste ed altre ricostruzioni navigando un po' in rete, oppure cercando testi tipo "Rutilio Sermonti- L'Italia nel XX secolo" oppure "Franco Scalzo- Il caso Matteotti: radiografia di un falso storico". C'è anche dell'altro materiale interessante, firmato dalle penne di Romanato, (prof. dell'Università di Padova), e recensito da Parlato, (storico apprezzato ed affermato già da tempo), che pone all'attenzione del grande pubblico vicende e lati del carattere di Matteotti fino ad oggi sconosciuti. Scritti che danno l'immagine di un uomo violento, fomentato e fomentatore, implicato addirittura in strani giri di strozzinaggio. Insomma, tutto tranne che quel bel giovinetto dalla faccia pulita, vittima della malvagità delle Camicie nere! C.V. D.

Buona lettura,
Roberto Marzola.

STROZZINO E VIOLENTO ESTREMISTA: 
SI INCRINA IL MITO DI GIACOMO MATTEOTTI
 
Lo storico Romanato traccia il ritratto del deputato socialista, pacifista in parlamento e rivoluzionario nel Polesine.

N
on si tratta di fare del revisionismo, piuttosto di andare oltre l’agiografia, tentando di superare il mito a favore di una maggiore conoscenza della nostra storia. Una missione non facile quando si prende in esame Giacomo Matteotti, come ha fatto il professore dell’Università di Padova Gianpaolo Romanato nella bella biografia "Un italiano diverso" (Longanesi) che ieri Giuseppe Parlato ha recensito su queste pagine.
Del leader socialista assassinato dai fascisti ci resta oggi un santino, una descrizione eroica che in parte è certamente era,(ma qui abbiamo già risposto, ndr) ma incompleta. Meno noti al grande pubblico sono i lati più problematici del personaggio, due in particolare: le accuse di strozzinaggio rivolte alla famiglia Matteotti (di cui abbiamo già parlato) e il rapporto del deputato socialista con le violenze del cosiddetto biennio rosso. Lo studioso parla di «un clima di violenza e di guerra civile che, a opera dei socialisti e soprattutto delle leghe, imbarbarì la provincia». 
Matteotti proveniva dal Polesine, e trattò in due discorsi parlamentari la drammatica questione del suo territorio. Il suo atteggiamento, tuttavia, fu ambivalente. Da un lato, alla Camera, il tono dei suoi discorsi era più conciliante, a casa propria invece si poneva diversamente.
In quelle zone l’egemonia socialista era fortissima, e Matteotti mostrava una «singolare dicotomia», come l’ha chiamata sull’Osservatore Romano un altro studioso di vaglia, Roberto Pertici: «A Rovigo, rivoluzionario e ossequiente all’estremismo oppressivo delle leghe del primo dopoguerra; alla Camera legalitario ed esperto di questioni tecniche e giuridiche».
Meriti e peccati: Pertici è un moderato, parlando con «Libero» riconosce i meriti di Matteotti e prende in tutti i modi le distanze dal sensazionalismo. Ma nel suo articolo per l’Osservatore spiega che Giacomo «diede copertura politica (volente o nolente) al clima di violenza e di guerra civile. Quel clima di violenza e di dura sopraffazione Matteotti non lo crea, ma lo protegge e non lo frena», ci dice il professore, «non si opponeva per non perdere il rapporto con il suo elettorato polesano». Del resto questa era la linea del suo schieramento.
«Il partito socialista», prosegue Pertici, «era inebriato dalla prospettiva della rivoluzione russa, le direttive erano quelle di alimentare il clima rivoluzionario. Nella provincia italiana, specie nelle campagne, si creò dunque una situazione di violenza diffusa e pressione sociale fortissima. Ci furono i morti, certo, ma ci fu anche una violenza diciamo ambientale: i reduci della guerra venivano derisi, i mutilati erano presi in giro, si impediva ai Comuni di esporre la bandiera. Il presidente del Consiglio Nitti, nel ’19, non fece festeggiare l’anniversario della fine del conflitto per non indispettire i socialisti, mentre tutti i Paesi europei lo celebravano».
Fu in questo quadro che si sviluppò la reazione dei fasci, inizialmente appoggiata anche dai popolari e dai moderati, che la intendevano come un freno al caos socialista. Poi, ovvio, il fascismo prese un’altra strada. Rispetto alle violenze rosse, nel libro di Romanato si legge un ruvido articolo comparso sul giornale dei popolari del Polesine che condanna duramente gli esponenti del partito di Matteotti: «Ci sono poche cose che corrompono tanto un popolo come l’abitudine dell’odio; e voi, capi del socialismo polesano, questo sentimento l’avete fomentato in tutte le guise».
Anche Romanato è estremamente cauto nei giudizi, e il suo libro è tutt’altro che denigratorio nei confronti del deputato socialista, cosa che lo rende ancora più importante e apprezzabile. A proposito delle coperture alla violenza politica, preferisce dire che Matteotti «fu condizionato da avvenimenti che non sempre seppe o poté governare. Il Polesine era una provincia poverissima e marginale», dice a Libero, «dove la lotta politica aveva poche mediazioni e facilmente degenerava nella rissa. Inoltre il socialismo locale fu sempre egemonizzato da spinte massimaliste, cioè rivoluzionarie. I due maggiori leader, prima Nicola Badaloni e poi Matteotti, operarono per moderare tali spinte e incanalarle in un’azione politica organizzata e più disciplinata. Ma dopo la guerra, quando il conflitto si accese, Matteotti ebbe sempre meno spazio per le mediazioni, non avendo neppure più la sponda di Badaloni. È questa la fase, siamo nel cosiddetto “biennio rosso”, in cui Matteotti apparve in Polesine più un piromane che un pompiere. Altra era invece la linea che teneva a Roma, dove il confronto era dialettico e non “pugilistico”. Questa duplicità gli fu rimproverata da tutti i suoi avversari, liberali, cattolici e fascisti».
Lo studioso racconta che nelle terre di Matteotti regnava una «violenza insostenibile», la quale contribuì certo a suscitare una reazione “nera”. «Il clima in Polesine, come anche nelle contigue province di Ferrara, Bologna e Mantova, era pesantissimo, di strisciante guerra civile», dice. «La documentazione che ho portato nel libro conferma l’esistenza di una situazione di violenza insostenibile, sia pure motivata da sacrosante richieste di giustizia sociale. Solo in Polesine ci furono una ventina di morti in poco più di due anni. È questo l’inferno da cui sorse lo squadrismo fascista, che, di suo, aggiunse all’esercizio della violenza una metodo, una disciplina e un’organizzazione che i socialisti non avevano».
Antiborghese: Il problema, come nota Roberto Pertici, è il tipo di riformismo che il partito di Matteotti propugnava. L’orizzonte era sempre quello della rivoluzione socialista, anche se con la convinzione che per realizzarla fosse necessaria una certa gradualità. I dirigenti dello schieramento rosso non si riconoscevano nelle istituzioni dello Stato democratico e borghese, anzi si consideravano estranei ad esse, le combattevano, per un certo periodo anche a costo di fomentare la violenza nelle province. Solo in seguito cambiarono rotta, ma ormai era troppo tardi, l’avvento del fascismo si faceva inarrestabile.
Giacomo Matteotti, prima di morire - come ha scritto ieri Giuseppe Parlato - aveva accentuato le sue posizioni anticomuniste, poi fu ammazzato come tutti sanno. Tentò di combattere la dittatura incipiente, come chiunque gli riconosce. Proprio per questo bisogna raccontare anche come agì in precedenza.
 
 
di Francesco Borgonovo

Giacomo Matteotti (Fratta Polesine, Rovigo, 1885-Roma 1924). Deputato socialista, nell'ottobre del 1922 fu nominato segretario del Partito Socialista Unificato. Avverso alla politica di compromessi praticata anche da molti compagni, fu tra gli oppositori più efficaci e decisi del governo Mussolini che attaccò più volte alla Camera sino al duro discorso del 30 maggio 1924 con cui denunciò le violenze e i brogli commessi per vincere le elezioni del 6 aprile. Assalito pochi giorni dopo (10 giugno) da una banda di sicari fascisti (A. Dumini, A. Volpi, A. Poveromo, A. Putato, A. Malacria e G. Viola), fu ucciso e sepolto alla Quartarella, località deserta della campagna romana. Il cadavere fu ritrovato il 16 agosto successivo. La notizia del delitto suscitò un'ondata di orrore e di indignazione che parve mettere in pericolo le basi dello stesso governo, ma le opposizioni non seppero agire con sufficiente energia e Mussolini poté in poco tempo superare la grave crisi. Solo nel 1947 fu celebrato il processo contro i superstiti esecutori materiali del delitto (Dumini, Poveromo e Viola), che furono condannati a 30 anni di reclusione.

BibliografiaE. Bassi, Giacomo Matteotti, Milano, 1945; P. Gobetti, Matteotti, Milano, 1945; G. Spagnuolo, Ceka fascista e delitto Matteotti, Roma, 1947; G. Salvemini, Nuova luce sull'affare Matteotti, in «Il Ponte», 1955; G. Arfè, Giacomo Matteotti uomo e politico, in «Rivista Storica Italiana», 1966; A. G. Casanova, Matteotti. Una vita per il socialismo, Milano, 1974; S. Merli, Fronte antifascista e politica di classe. Socialisti e comunisti in Italia 1923-1939, Bari, 1975; C. Carini, Giacomo Matteotti. Idee giuridiche e azione politica, Firenze, 1984.
 
Fonte: http://www.ossimoro.it

ITALIA-CINA

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