A vincere, sia in termini di successo politico che di numero di voti ottenuti, sono stati i partiti del blocco che ha lottato per abbattere il regime di Milosevic con in testa il Partito Democratico e il Partito Democratico Serbo, che sono riusciti a conservare e riattivare il proprio elettorato in queste consultazioni nonostante abbiano dovuto gestire, prima col governo Djindjic e poi con quello Kostunica, molti aspetti dolorosi della transizione economica e sociale. Io credo che il loro successo dipenda proprio dalla responsabilità dimostrata in campo sociale, con esecutivi che hanno cercato di minimizzare i costi della transizione, smentendo chi sosteneva volessero attuare una politica di tipo esclusivamente neo-liberista. Hanno perso invece quei partiti che del regime di Milosevic hanno fatto parte integrante, radicali in testa. Infatti il Partito Radicale Serbo, sebbene sia ancora il primo nel paese, non è riuscito a realizzare i dividendi dell’essere all’opposizione in un periodo così travagliato, e si trova ora in una posizione di stallo. Credo che questo sia dovuto da una parte alla loro incapacità di approfittare politicamente della situazione e dall’altra al fatto che l’attenzione dei radicali è tradizionalmente focalizzata su temi soprattutto politici, come la questione del Kosovo e quella della resistenza alla collaborazione col tribunale dell’Aja, che secondo me non erano i primi nella lista delle priorità degli elettori.
All’interno del cosiddetto blocco democratico, però, mentre il Partito Democratico di Tadic ha raddoppiato i propri consensi, il Partito Democratico Serbo di Kostunica è rimasto fermo sulle stesse posizioni. Questo a cosa è dovuto?
Il successo di Tadic, secondo me, deriva dalla sua capacità di rinnovare il partito, e di allontanarne i suoi elementi più aggressivi, elementi che ne facevano, alla vigilia delle scorse elezioni del 2003, un partito molto conflittuale e poco preparato a collaborare con altre formazioni politiche. Il risultato del Partito Democratico Serbo, che ha ottenuto 8mila voti in meno delle scorse elezioni pur essendosi presentato in coalizione con il partito “Nuova Serbia”, può essere secondo me spiegato dall’insistere di Kostunica sul tema dell’unità nazionale, dai suoi continui appelli a superare le differenze e le divisioni e a fare fronte comune. Questa strategia si è rivelata vincente l’anno scorso, quando si trattava di rinnovare la costituzione, ma in campagna elettorale non paga, perché il voto è per definizione una scelta di campo. Nonostante il risultato in parte deludente, Kostunica rimane comunque l’attore politico più forte, visto che è l’unico che può giocare su due fronti, potendo proporre alleanze sia al Partito Democratico che al Partito Radicale. La sua posizione strategica al centro dello spettro politico, rende il DSS più forte dei voti che ha ottenuto nelle urne. Se guardiamo il risultato dei radicali, ci accorgiamo che, oltre ad essere rimasti il primo partito, hanno aumentato in termini assoluti il numero di voti.
Perché ritiene che il loro risultato non possa essere definito una vittoria?
Il motivo principale è che, molto probabilmente, rimarranno ancora una volta esclusi dal governo. Sono le terze elezioni in cui, pur ottenendo il maggior numero di voti, i radicali non riescono a raggiungere il traguardo che si erano proposti, mettendo insieme le politiche del 2003, le presidenziali del 2004 ed il voto del 21 gennaio 2007. Questa situazione è frustrante sia per il partito che per i suoi elettori, e credo che alla lunga porterà ad una perdita della sua popolarità. In queste elezioni si è visto che il Partito Radicale non riesce a mobilitare altre forze oltre al suo elettorato tradizionale, ed infatti l’alta affluenza ha significato un miglior risultato per i partiti democratici, mentre i radicali sono rimasti al palo. Per finire, non bisogna dimenticare che il Partito Radicale perde posizioni in parlamento, passando da 82 a 81 deputati. Quasi tutti i sondaggi davano per spacciato il Partito Socialista Serbo, orfano di Milosevic, che invece è riuscito a superare la soglia di sbarramento al 5% e ad entrare in parlamento.
A cosa è dovuta la capacità di sopravvivenza di questa formazione politica?
Il partito socialista, effettivamente, ha avuto un risultato molto migliore del previsto, pur correndo con due handicap non indifferenti. Il primo è l’aver rinunciato all’eredità di Milosevic, operazione politicamente rischiosa e che poteva portare all’esaurimento del suo elettorato tradizionale, il secondo la presenza alle elezioni della coalizione “Unione dei Pensionati Serbi-Partito Socialdemocratico”, che ha raccolto circa il 3% delle sue preferenze soprattutto tra i pensionati, pescando voti proprio in uno dei principali serbatoi elettorali del partito socialista. Nonostante ciò, il partito è riuscito a superare lo sbarramento, e credo che questo risultato sia dovuto soprattutto all’attenzione mostrata dal partito verso temi sociali, alla sua capacità di presentarsi come rappresentante degli esclusi dalla transizione, cosa che i radicali hanno saputo fare molto meno. Io non mi sorprenderei se in futuro, restando così le cose, molti voti iniziassero a passare proprio dal partito radicale a quello socialista. Venendo alla formazione del prossimo esecutivo, l’ipotesi ventilata dalla maggior parte degli analisti serbi e internazionali è quella di una coalizione DS-DSS, insieme a G17+.
Quali sono i principali problemi che i partiti di Kostunica e Tadic dovranno superare per giungere ad un accordo di governo?
Il vero problema è Kostunica, o meglio la sua volontà di voler restare primo ministro anche nel prossimo esecutivo. Se Kostunica insisterà nel voler essere premier, prevedo colloqui molto tesi, che potrebbero anche fallire. Infatti, non vedo come i democratici possano rinunciare a guidare il governo, dopo che le elezioni li hanno portati ad essere il primo partito di questa possibile coalizione. Se invece Kostunica si farà da parte, puntando a restare leader del suo partito, a fare il ministro o a candidarsi per le prossime elezioni presidenziali, che si terranno entro la fine di quest’anno, credo che un accordo potrà essere raggiunto molto in fretta.
Presto dovrebbero iniziare in Serbia le privatizzazioni di molte importanti società pubbliche. Ci potrebbe essere uno scontro anche per assumere il controllo di questo processo?
Anche questo è un tema delicato, che può senz’altro portare a tensioni. Gestire le privatizzazioni, o almeno l’inizio di questo processo, è proprio uno dei principali incentivi a partecipare al prossimo esecutivo. Si parla innanzitutto di privatizzare la Naftna Industrija Srbije, compagnia petrolifera il cui valore è stato recentemente stimato intorno ai sei miliardi di euro, ma anche la Elektrodistribucija, società di distribuzione elettrica, le ferrovie e la Telekom Srbija. Si tratta di una torta enorme, e chi ne controlla la privatizzazione può aspettarsi sicuramente dei grossi benefici.
D’altra parte però far parte di questo esecutivo vuol dire avere a che fare con la questione del Kosovo…
Questa è l’altra faccia della medaglia. Quale che sia la proposta finale di Ahtisaari, questa non sarà affatto favorevole alla Serbia, e chi si troverà a governare con questa patata bollente tra le mani avrà non pochi problemi a gestire gli sviluppi della situazione. Può essere letta in questa prospettiva la dichiarazione del leader dei radicali Nikolic nella notte elettorale, quando ha detto: “Non ci vediamo nel governo che verrà creato dopo queste consultazioni, ma vorremmo essere in quello che lo seguirà”. Nikolic ha invitato i propri elettori alla pazienza, perché è convinto che la soluzione della questione kosovara sarà così negativa per la Serbia che porterà il prossimo governo a fondo, dandogli la possibilità di una vittoria schiacciante alle prossime elezioni. E’ questa la loro strategia, e io credo che rigetterebbero un’eventuale proposta di alleanza da parte di Kostunica, anche nel momento in cui questa dovesse essere davvero messa sul tavolo.
Ma esiste davvero questa possibilità? Sul serio Kostunica potrebbe orientarsi verso una coalizione con i radicali, in quello che dall’esterno sembrerebbe un vero suicidio politico, almeno per quanto riguarda la sua credibilità internazionale?
Sì, è possibile, soprattutto se si trova costretto da un mancato accordo con i democratici e senza alternative. Ci sono almeno tre motivi per cui Kostunica potrebbe prendere in considerazione una coalizione con i radicali. Il primo è quello, già menzionato, di poter gestire i processi di privatizzazione. Il secondo è la volontà politica di proteggere e allo stesso tempo controllare i servizi di sicurezza, proprio quei servizi che non vogliono le riforme, che non vogliono l’arresto di Mladic e che non vogliono che vengano presi gli assassini di Djindjic. Alcuni dei personaggi dell’entourage di Kostunica, come Rade Bulatovic, capo dei servizi, sono stati direttamente implicati nelle indagini sull’omicidio di Djindjic, e potrebbero forzare il leader del DSS a rimanere al potere a tutti i costi, anche a quello di un’alleanza con i radicali, pur di continuare a godere di una qualche forma di protezione. L’ultimo motivo riguarda il desiderio di Kostunica di affrontare in prima persona il processo di definizione del destino del Kosovo, tema che gli è caro più di ogni altro. A Kostunica riesce difficile vedersi escluso dal posto di comando proprio nel momento in cui viene deciso il futuro assetto della regione. A proposito di Kosovo, l’annuncio delle proposte sullo status finale della regione verranno presentate da Ahtisaari il 2 febbraio, proprio nel bel mezzo delle consultazioni per la formazione del nuovo esecutivo.
Pensi che questo possa avere un effetto destabilizzante sui colloqui per creare la nuova coalizione di governo?
Forse, ma credo di no. Ad essere presentato, infatti, non sarà il piano dettagliato sul destino del Kosovo, ma probabilmente una serie di proposte non troppo definite. A quel punto, quasi sicuramente, la diplomazia internazionale inizierà un processo di discussione delle proposte presentare da Ahtisaari, operazione che richiederà vari mesi, e che quindi dovrebbe dare il tempo di portare avanti le consultazioni e di formare il governo in un clima relativamente tranquillo.
Tornando alle operazioni di voto, né i partiti in lizza né i numerosi osservatori internazionali hanno denunciato irregolarità sostanziali. Credi che questo sia l’inizio di un nuovo clima politico in Serbia?
Il processo elettorale è stato, nel suo complesso, impeccabile, fatto sottolineato dai molti osservatori dell’Osce con cui ho avuto modo di dialogare. Da questo punto di vista siamo davvero di fronte ad un cambiamento di importanza epocale per il paese, e credo si possa affermare che i partiti del blocco democratico si sono dimostrati, in questa occasione, degli ottimi organizzatori della competizione elettorale. Rimane naturalmente da verificare cosa succederebbe in eventuali prossime elezioni organizzate dei radicali che, ricordiamo, durante il regime di Milosevic sono stati complici di numerosi brogli e irregolarità.
Relazione-Intervista di Dusan Pavlovic, docente alla Facoltà di Scienze Politiche di Belgrado, tra i più autorevoli analisti politici in Serbia.
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