L’Avana - Quando la luce dei riflettori si sarà spenta sui lavori dell’Assemblea nazionale e i nuovi dirigenti cubani saranno operanti, comincerà una stagione in cui il nuovo presidente Raul Castro, nominato ieri senza sorprese, e il governo dovranno avviare riforme riguardanti sia la funzione della leadership - finora unicamente legata alla figura di Fidel Castro - sia lo stesso sistema di relazioni fra politica e modello economico. E su quest’ultimo punto tutti gli indizi finora raccolti puntano a Cina e Vietnam. Raul, 76 anni, cinque in meno del fratello, è alla guida di Cuba dal 31 luglio del 2006, quando Fidel gli cedette «temporaneamente» i poteri, poco dopo l’intervento chirurgico all’intestino che da allora l’ha tenuto lontano dalla vita politica e pubblica. Il fratello minore del líder maximo guiderà per i prossimi cinque anni il Consiglio di Stato e avrà davanti una sfida difficile. Con la metà dei terreni agricoli improduttivi, uno stipendio medio pro-capite di 15 dollari al mese e il sistema dei trasporti al collasso, il futuro dello Stato comunista è sempre più cupo.
Con Raul non si attendono grandi riforme istituzionali verso la democrazia. Molto probabilmente, l’ex ministro della Difesa incarnerà il ruolo di figura di transizione, mantenendo la struttura statale inalterata. Tuttavia Washington ieri s’è sbilanciata e il responsabile del Dipartimento di Stato Tom Shannon ha dichiarato che la nomina di Raul è «una possibilità di cambiamento. Ma il cambiamento deve avvenire dall’interno. Il cambio di leader, poi, è un fatto significativo». Nel linguaggio diplomatico un’apertura non da poco.
Nei mesi scorsi era stato lo stesso Raul a criticare le «proibizioni eccessive» in economia, tuttavia mettendo ben in chiaro che qualsiasi cambiamento deve avvenire «gradualmente» e «all’interno del socialismo» e alla Rice che chiede libere elezioni ha subito risposto: «Ho preso nota delle dichiarazioni ingiuriose e apertamente interventiste dell’impero americano».
Perché va detto che i riferimenti fatti all’Avana sul fatto che ci si accinga ad «una successione», e non «una transizione», significano che nessuno al vertice di Cuba pensa che sia giunto il momento di smontare il meccanismo del partito unico, come è stato chiesto da più parti in Occidente. Gli analisti hanno indicato che Raul ha in questi anni lavorato per rafforzare da una parte il ruolo del Pc come guida del Paese, dall’altra ha intensificato le relazioni con Pechino e Hanoi, due casi di transizione riuscita nel mondo comunista, in cui i regimi non solo sono sopravvissuti, ma si sono rafforzati dopo la morte dei loro leader Mao e Ho Chi Minh. A nessuno è sfuggito che Fidel («spero che presto raggiunga Marx...» ha ironizzato John McCain»), nel messaggio in cui ha annunciato di voler abbandonare gli incarichi di capo dello Stato e Comandante dell’esercito, nulla ha detto sulla sua funzione di primo segretario del Partito comunista. Il motivo l’ha spiegato Raul appena eletto: «Vorrei che il Parlamento mi autorizzi a consultarmi per le decisioni importanti in materia di difesa, politica estera e sviluppo socio-economico con mio fratello». Più chiaro di così...
Con Raul non si attendono grandi riforme istituzionali verso la democrazia. Molto probabilmente, l’ex ministro della Difesa incarnerà il ruolo di figura di transizione, mantenendo la struttura statale inalterata. Tuttavia Washington ieri s’è sbilanciata e il responsabile del Dipartimento di Stato Tom Shannon ha dichiarato che la nomina di Raul è «una possibilità di cambiamento. Ma il cambiamento deve avvenire dall’interno. Il cambio di leader, poi, è un fatto significativo». Nel linguaggio diplomatico un’apertura non da poco.
Nei mesi scorsi era stato lo stesso Raul a criticare le «proibizioni eccessive» in economia, tuttavia mettendo ben in chiaro che qualsiasi cambiamento deve avvenire «gradualmente» e «all’interno del socialismo» e alla Rice che chiede libere elezioni ha subito risposto: «Ho preso nota delle dichiarazioni ingiuriose e apertamente interventiste dell’impero americano».
Perché va detto che i riferimenti fatti all’Avana sul fatto che ci si accinga ad «una successione», e non «una transizione», significano che nessuno al vertice di Cuba pensa che sia giunto il momento di smontare il meccanismo del partito unico, come è stato chiesto da più parti in Occidente. Gli analisti hanno indicato che Raul ha in questi anni lavorato per rafforzare da una parte il ruolo del Pc come guida del Paese, dall’altra ha intensificato le relazioni con Pechino e Hanoi, due casi di transizione riuscita nel mondo comunista, in cui i regimi non solo sono sopravvissuti, ma si sono rafforzati dopo la morte dei loro leader Mao e Ho Chi Minh. A nessuno è sfuggito che Fidel («spero che presto raggiunga Marx...» ha ironizzato John McCain»), nel messaggio in cui ha annunciato di voler abbandonare gli incarichi di capo dello Stato e Comandante dell’esercito, nulla ha detto sulla sua funzione di primo segretario del Partito comunista. Il motivo l’ha spiegato Raul appena eletto: «Vorrei che il Parlamento mi autorizzi a consultarmi per le decisioni importanti in materia di difesa, politica estera e sviluppo socio-economico con mio fratello». Più chiaro di così...
L'Avana, 26 feb. (Adnkronos/Ign) - Il cardinale Tarcisio Bertone incontra oggi il nuovo leader cubano Raul Castro. Il segretario di Stato vaticano è il primo rappresentante straniero ad incontrare il successore politico di Fidel e l'incontro conclude la sua visita nell'isola iniziata il 20 febbraio. Durante la 'settimana cubana', Bertone ha avuto modo di confrontarsi con le tante esperienze ecclesiali presenti sull'isola aprendo al dialogo fra Chiesa e Stato, decisivo per questo inizio di transizione nella storia di Cuba. Il cardinale ha anche riaffermato la posizione vaticana contraria all'embargo economico voluto da Washington contro l'isola caraibica.Bertone ha avuto anche un importante incontro di lavoro con il ministro degli Esteri Felipe Pérez Roque, al termina del quale, nel corso di una conferenza stampa, il porporato ha precisato: ''Credo che il nuovo presidente Raul, il nuovo Consiglio di Stato e la Chiesa cattolica stessa stanno provando ad intercettare le aspirazioni del popolo cubano e a rispondere in tutti i modi possibili, tenendo conto delle difficoltà, soprattutto per via dell'embargo economico'' che, ripetendo parole di Papa Giovanni Paolo II, ha descritto come ''inaccettabile, dannoso per il popolo cubano e carente di etica''.Rispondendo alle domande dei giornalisti, il cardinale Bertone ha rilevato di ''non aver chiesto nessuna amnistia bensì gesti di riconciliazione'' e ha aggiunto che la Chiesa saluta ''come gesti positivi la liberazione di prigionieri'' come è accaduto negli ultimi tempi. Tracciando un primo bilancio della sua visita il segretario di Stato vaticano si è soffermato soprattutto sul ruolo e sul contributo dei giovani ''che sono - ha detto - il futuro di Cuba, di Cuba libera, di Cuba come nazione sviluppata nel rispetto della sua autonomia''. In questi giorni, ha precisato, ''ho incontrato moltissimi giovani, molto entusiasti, uomini che lottano per l'indipendenza di Cuba contro ogni potere oppressivo esterno ma anche interno''. Intanto la Conferenza dei vescovi cattolici di Cuba in un breve comunicato formula ''con speranza cristiana voti di fiducia'' riguardo all'elezione delle nuove autorità cubane e chiedono alla Madonna della Caridad del Cobre che le aiuti a ''portare avanti con decisione le misure importanti che sappiamo dovranno essere graduali ma che già adesso possono soddisfare le ansie e le inquietudini espresse dai cubani''.
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