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mercoledì 20 luglio 2011

LIMONE ROSSO SANGUE: COME LA SOCIETA' CAPITALISTA SPREME L'INDIVIDUO SFRUTTANDOLO A PIU' NON POSSO SENZA GARANTIRGLI NULLA, SENZA OFFRIRGLI UN FUTURO CERTO E UNA DIGNITA' UMANA! LA SOCIETA' CAPITALISTA VUOLE ARRICCHIRSI SULLA PELLE DELLA CLASSE SOCIALE PIU' POVERA E DEBOLE, LO STATO ITALIANO LATITA, L'EUROPA LATITA, TUTTI I GOVERNI SONO AL SERVIZIO DELLE BANCHE E DEI BANCHIERI "USURAI"! L'EUROPA DELLE BANCHE E DELL'ALTA FINANZA SE NE INFISCHIA DEI POPOLI E DELLE ESIGENZE DELLA POVERA GENTE CHE LAVORA ONESTAMENTE ED E' MAL PAGATA! L'EUROPA DELLE BANCHE DEVE ESSERE SMANTELLATA AL PIU' PRESTO ED IL SISTEMA POLITICO ITALIANO DEVE ESSERE TOTALMENTE RISTRUTTURATO, L'INDIVIDUO DEVE TORNARE AL CENTRO DELLA SOCIETA' CIVILE! CI VUOLE PIU' RISPETTO, PER LO SPIRITO E PER IL CORPO, PER LA VITA DI OGNI ESSERE UMANO! OGNI UOMO HA IL DIRITTO AD AVERE UNA VITA ED UN FUTURO DIGNITOSO, DECOROSO, TUTTI DEVONO AVERE PARI DIRITTI SOCIALI E FINO A QUANDO NON SI CAMBIERA' IL SISTEMA MALATO FONDATO SUL DEBITO E SULLE BANCHE, NESSUNO POTRA' MAI SCONFIGGERE LA POVERTA', LA FAME E LA SETE NEL MONDO!

"Lavoro come ingegnere da 5 anni in uno Studio di progettazione edilizia: sono un finto libero professionista, ho preso la partita IVA per forza, altrimenti nessuno mi faceva lavorare. Sarei (in realtà) dipendente, ma non ho contratti collettivi o individuali, retribuzione minima garantita, ferie, permessi, malattia. Ad agosto non lavoro e quindi non guadagno. Se mi rompo un braccio non guadagno, anzi perdo il lavoro. Lavoro 40 ore settimanali, 11 mesi all'anno. Dal primo gennaio 2012 (addio regime minimi) mi rimarranno in tasca 8.597 euro annui puliti. OVVERO 716 EURO AL MESE. Con guadagni così bassi ho spese basse quindi in pratica non scarico nulla. Fregandosene della crisi economica e del settore dell'edilizia, con gli studi di settore lo Stato dice che guadagno di più e nascondo i guadagni: sarò obbligato a pagargli le tasse e i contributi anche sulla differenza! Questo perché l'onere della prova dell'innocenza è ribaltato e non è in capo all'accusatore bensì all'accusato (tutti i commercialisti consigliano di pagare perché alla guerra contro lo Stato ci si spacca la testa e se si vedesse riconosciuta la ragione si pagherebbe comunque di più di spese legali, avvocati e consulenti ). Quindi quel misero guadagno mensile di 716 euro si abbassa di molto. Complimenti, più di così il LIMONE non poteva essere strizzato: già da tempo esce solo SANGUE:...probabilmente chiuderò baracca e partita iva e butterò la mia laurea quinquennale alle ortiche. Il Paese ha bisogno di questo?"
Fonte: http://www.beppegrillo.it

mercoledì 13 luglio 2011

Rivelata dai cable di wikileaks la partership di 5 anni, ancora in vigore, tra Italia e USA per lo sviluppo dell’energia nucleare in Italia. A firmare l’accordo nel Novembre del 2007, fu l’ex ministro dello Sviluppo Economico, nonchè attuale segretario del Partito Democratico Pierluigi Bersani. La partnership è stata abolita dall'ultimo Referendum sul Nucleare di Giugno!

Roma - Rivelata dai cable di wikileaks la partnership di 5 anni, ancora in vigore, tra Italia e USA per lo sviluppo dell’energia nucleare in Italia. A firmare l’accordo nel Novembre del 2007, fu l’ex ministro dello Sviluppo Economico, nonchè attuale segretario del Partito Democratico Pierluigi Bersani. L’ex presidente nazionale di Legambiente Roberto della Seta, sapeva dell’accordo per il ritorno al nucleare in Italia, ma rimase in silenzio e, successivamente nelle elezioni politiche del 2008, venne ricompensato con un comodo scranno al Senato della Repubblica.
(Il segretario PD Pierluigi Bersani e Chicco Testa nuclearista ed ex presidente di Legambiente)
I cable di Wikileaks sono diventati ormai come gli appelli lanciati dal Vaticano o come le sanzioni dell’Unione Europea, ovvero presi in considerazione dalla nostra stampa solo se avvalorano la linea politica editoriale di riferimento. Quando Assange, infatti, diffonde documenti che riguardano qualche goliardata di Berlusconi, la stampa di sinistra crea un caso mediatico, mentre quando i cable riguardano il segretario del maggior partito di opposizione, il quale documenti alla mano, la pensa sulla questione nucleare, allo stesso modo di un esponente dell’esecutivo avverso, succede che il silenzio di tutti i media tradizionali è assordante e, solo la rete riesce a svolgere il compito d’informare e denunciare, privilegio che un tempo apparteneva alla carta stampata.
Il 13 novembre 2007, infatti, venne firmato tra l’allora ministro per lo Sviluppo Economico Pierluigi Bersani e il Segretario USA all’ Energia Bodman, un accordobilaterale di partneship sulla ricerca e lo sviluppo dell’energia nucleare. L’accordo denominato GNEP prevedeva una durata di cinque anni ed è, dunque, salvo rinuncia unilaterale di uno dei due Stati firmatari, ancora in vigore. Ecco uno stralcio del cablogramma inviato dall’ Ambasciatore americano Spogli al dipartimento di Stato USA, nel quale cita alcune frasi pronunciate dall’exl ministro Bersani: ” Il risultato del Referendum non esclude l’Italia dalla generazione di energia nucleare, l’ha solo sospesa e questa partneship può giocare un ruolo importante nel modificare gli atteggiamenti italiani nei confronti dell’energia nucleare”.
Il referendum per Bersani, dunque, ha rappresentato solo un pit-stop, ma le intenzioni future di tornare al nucleare sono chiare e su questo punto, l’attuale segretario del maggior partito di opposizione ha una linea politica, perfettamente allineata, con quella del suo avversario politico, nonchè successore al Dicastero dello Sviluppo Economico Romani.
Il silenzio di Legambiente.
Nel novembre del 2007, alla firma della partneship Italia-Usa, l’allora presidente di Legambiente Roberto Della Seta, non contrastò l’ accordo per il ritorno al nucleare dell’Italia, ma in cambio del suo silenzio gli è stato riservato dal Partito Democratico un comodo scranno al Senato della Repubblica. Il fatto che i presidenti di Legambiente, nel corso della storia, abbiano mutato opinione sul nucleare non stupisce, ma almeno Chicco Testa non ne fa mistero e gode dell’odio di tutti gli antinuclearisti italiani.
Il caso della Sardegna.
Un’altro caso simile è quello avvenuto in Sardegna, dove ogni anno Legambiente organizza la festa del mare (www.lafestadelmare.it). Indovinate chi contribuisce economicamente alla buona riuscita dell’evento? La E.ON., colosso energetico tedesco che lo scorso 11 gennaio ha disperso nel nord dell’ Isola un’ingente quantità di olio combustibile, violando le incontaminate coste della Sardegna. E’ come se la Beretta, nota per la fabbricazione di armi da guerra, sponsorizzasse le campagne di Emergency o Medici senza Frontiere. Legambiente, infatti, in questo grave incidente è stata molto cauta nei confronti della E.ON! Tutti speravano che l’ associazione ambientalista inviasse la fantomatica “Goletta Verde”, per verificare con delle analisi bio-chimiche lo stato di salute dei fondali e dell’habitat sottomarino violato dalla mare nera. Legambiente Sardegna, invece, non solo ha minimizzato l’accaduto, ma il suo presidente regionale ha consigliato agli isolani di mangiare il pesce senza nessuna precauzione, ovvero prima che venissero resi noti i risultati delle analisi effettuate dalla competente ASL.
Ovviamente le migliaia di volontari e buona parte dei dirigenti di Legambiente sono persone intellettualmente oneste e, il loro apporto è fondamentale per la conservazione e la salvaguardia dell’ambiente in cui viviamo, ma queste vicende ci ricordano anche la fallibilità dell’uomo e delle istituzioni.

Fonte: http://www.wikileaksitalia.org

lunedì 11 luglio 2011

DSK non mollare, corri per l'Eliseo! Scendi in campo con onore e a testa alta!!! Sarkozy deve essere spodestato, battuto, estromesso dalla Presidenza!

Tutta colpa di Nicolas Sarkozy, grazie a lui la guerra della vergogna è costata: € 21 milioni di euro spesi al giorno dalla Nato dal 19 Marzo 2011...

Tutta colpa di Nicolas Sarkozy, grazie a lui la guerra della vergogna è costata: € 21 milioni di euro spesi al giorno dalla Nato dal 19 Marzo 2011 ad oggi e € 1.500.000 di euro spesi dall'Italia al giorno per sostenere la guerra in Libia!

La guerra della vergogna: € 21 milioni di euro spesi al giorno dalla Nato dal 19 Marzo 2011 ad oggi, € 1.500.000 di euro spesi dall'Italia al giorno per sostenere la guerra in Libia! Dal 19 Marzo 2011 solo nella città di Misurata si contano oltre 2000 morti tra civili e militari...la guerra in Libia in quattro mesi ha causato la morte di oltre 10.000 morti tra militari e civili, altre decine di miliaia sono i feriti gravi e meno gravi, non si contano i senza tetto, i profughi, il dolore e la miseria nera che questa guerra ha provocato, tutto a causa di un incauto e sprovveduto Presidente della Repubblica Francese Nicolas Sarkozy! Basta guerre inutili, basta con le guerre per il petrolio, i soldi e il potere! L'ONU torni ad essere quello che era: un organizzazione creata per risolvere pacificamente le controversie tra i popoli di tutto il Mondo, senza discriminazioni raziali, ideologiche ed economiche!!!
Alexander Mitrokhin

Quanto costa la guerra in Libia? Il ministero della Difesa britannico ha pubblicato oggi i dati sul costo degli attacchi aerei e navali contro il regime libico del colonnello Muammar Gheddafi...

Di Agostino Loffredi • 23 giu, 2011 • Categoria: Mondo
 
Il ministero della Difesa britannico ha pubblicato oggi i dati sul costo degli attacchi aerei e navali contro il regime libico del colonnello Muammar Gheddafi. Le operazioni militari degli inglesi in Libia sono iniziate a marzo e il bilancio presentato oggi è una previsione per sei mesi di conflitto.
Il Segretario alla Difesa, Liam Fox, ha riferito in Parlamento che il costo della guerra in Libia è ripartito in 120 milioni di sterline (quasi 135 milioni di euro), per il carburante e le spese operative per aerei, navi da guerra e sottomarini, a cui si aggiungono altri 140 milioni di sterline (poco più di 157milioni di euro) da spendere per rimpiazzare i missili e le bombe sganciati sulla Libia.
Totale 260 milioni di sterline (292 milioni di euro più “spiccioli”) a carico del fondo di riserva del Tesoro del Regno Unito.
I funzionari del Tesoro hanno pubblicamente manifestato la loro preoccupazione per l’impatto che può avere sui conti pubblici qualora il conflitto in Libia dovesse estendersi oltre i sei mesi (che scadranno il 19 agosto)
All’inizio dell’imposizione della no-fly zone in Libia, il Cancelliere, George Osborne, stimo che il costo per l’Inghilterra sarebbe stato nell’ordine delle “decine di milioni di sterline”, ma ora come visto siamo già alle centinaia.
Prima del suo annuncio il Segretario alla Difesa, Fox, ha fatto una premessa:”i cittadini britannici dovrebbero tener conto che i costi sono più alti del previsto perché sono state usate armi di precisione molto più costose ma che hanno permesso di minimizzare le vittime civili in Libia” questo, ha continuato Fox parlando con la Bbc:”dimostra che abbiamo una superiorità morale e che abbiamo posto come più alto valore la vita umana rispetto al regime di Gheddafi”.
Quanto spende l’Italia?

Per quanto riguarda l’Italia non ci sono stime ufficiali. L’unica cifra venuta fuori dal Parlamento risale al 28 aprile scorso. Durante l’esame finale del Documento di economia e finanza per il 2011 la Lega Nord accordò la fiducia all’azione di Governo ma con riserva sull’intervento militare in Libia. Per l’occasione il capogruppo della Lega in commissione Finanze della Camera, Maurizio Fugatti, stimò che avrebbe potuto avere un costo di 700 milioni di euro.
L’agenzia di stampa Ansa pubblicò, le tabelle, non ufficiali, di conversione che servono per quantificare i costi fissi di navi e aerei per la missione Nato, tenendo conto delle spese per il carburante, il personale, la manutenzione e le infrastrutture. In base a queste tabelle, sul sito della rivista Business People si legge
Ad esempio la Marina militare italiana ha impegnato quattro navi e quattro aeroplani imbarcati sulla portaerei Garibaldi. Il costo della portaeromobili è di a circa 130 mila euro al giorno, mentre gli 8 caccia Av-8B Plus imbarcati costano 9 mila euro per ogni ora di missione (ognuna ne può durare anche 5). A disposizione della Nato anche la un fregata classe Maestrale (la nave Libeccio) che costa giornalmente 60 mila euro; la rifornitrice Etna – 40 mila euro al giorno – e un pattugliatore classe Comandanti, il Comandante Bettica, che costa 15 mila euro al giorno. Per quanto riguarda l’Aeronautica militare – che attualmente fornisce all’Alleanza atlantica 4 caccia Eurofighter e 4 caccia anti-radar Tornado ECR – gli assetti che potrebbero essere impiegati per i ‘bombardamenti mirati’ sono i Tornado IDS e, forse, gli AMX, le cui missioni dovrebbero essere svolte sotto la protezione dei caccia Eurofighter e dei Tornado ECR. Anche qui, i costi giornalieri dipenderanno essenzialmente dal numero di sortite e dal tipo di armamento (si pensi che il missile Storm Shadow che potrebbe essere utilizzato dai Tornado Ids arriva a costare quasi 300 mila euro). Il più caro, da questo punto di vista, è l’Eurofighter, che costa circa 61 mila euro l’ora, mentre i Tornado e gli AMX costano all’incirca 28 mila euro per ora di volo.
Fonte: http://www.iljournal.it/

I costi della guerra in Libia: quanto incidono sulle tasche degli Italiani? E sulle tasche degli Europei?

Secondo l’agenzia Bloomber, il costo stimato del primo giorno di guerra in Libia sostenuto dagli americani è stato di 168 milioni di dollari.
Giusto per rendersi conto, un missile Tomahawk costa 1,4 milioni di dollari. Nel corso di questi giorni di guerra, ne sono stati lanciati 159, per un totale di 223 milioni di dollari. Inoltre, tenere in aria un F-15 costa all’ora 20516 dollari. 
La prima settimana di guerra in Libia è costata ai paesi occidentali intervenuti oltre 600 milioni di euro. 568 milioni di euro per i primi giorni dell'offensiva "Odissea all'Alba". Le prime stime sono state rivelate dal settimanale americano National Journal e dal mensile francese Challenges. Secondo Jean-Marie Colombani, ex direttore di Le Monde, il mantenimento della zona di esclusione aerea rappresenterebbe una spesa settimanale dai 21 ai 67 milioni di euro. Secondo il vicedirettore dell’istituto francese per le relazioni internazionali e strategiche (Iris), un anno di applicazione di no fly zone in Libia costerebbe fra i 150 e i 250 milioni di euro.
Il solo primo giorno di conflitto ha comportato per gli USA una spesa di 68 milioni di euro. I missili Tomahwak lanciati dagli Stati Uniti, ciascuno del costo che si aggira tra i 700.000 e 1.500.000€, in media di € 800.000, sono stati 170 mentre i mezzi aerei ogni ora accollano € 6.000 per il carburante e 700 per la sola manutenzione. Al momento dell’inizio delle operazioni il Pentagono aveva vicino alle coste libiche tre sottomarini (mantenimento da 90 a 150.000 $ al giorno), due cacciatorpediniere (da 50 a 60.000 $), due navi d’assalto, una di esse portaerei (da 150 a 200.000 $). I caccia e i bombardieri hanno realizzato circa 1.000 incursioni, incluse però 120 per opera della Gran Bretagna e non più di 140 per mano francese.
I bombardieri B-2 Spirit hanno effettuato inizialmente tre spedizioni in Libia dalla base aerea del Mississipi: consumano in proporzione meno di un caccia però la manutenzione è più cara, inoltre la distanza che devono coprire è più lunga, cosicché il costo sale a 15.000 $ all’ora.
La perdita di un caccia F-15-E “Strike Eagle” è costato alla Forza Aerea Statunitense 55 Mln $.
Un giorno medio di guerra degli Stati Uniti si calcola costi intorno ai 130 milioni di dollari, ma con la riduzione delle attività americane, la loro spesa dovrebbe ridursi a 40 milioni di dollari al mese.
E’ molto ma sopportabile per il bilancio, in base al commento del vicesegretario per i finanziamenti delle Forze Armate statunitensi, l’ Adm. Joseph Mulloy, in realtà la maggioranza delle operazioni navali del Pentagono vengono pagate posteriormente con il denaro dei “costi imprevisti” previsti dai finanziamenti.
La rivista Forbes spiega che la Difesa americana costa circa 2 miliardi di dollari giornalieri. Questo denaro non è sufficiente per condurre un’operazione duratura ma solo per interventi sporadici che non durino troppo, come appunto nel caso della Libia.
A partire dal 31 marzo la NATO ha assunto ufficialmente il comando dell’operazione militare in Libia dalla mano degli Stati Uniti, con una cessione effettiva dal 4 aprile.
Il Pentagono cerca di ridurre la partecipazione dei suoi aerei da combattimento nei bombardamenti e nel pattugliamento aereo sino a un terzo delle incursioni.
Di fronte la riduzione della partecipazione statunitense alle operazioni, l’Europa sarà obbligata ad aumentare la propria partecipazione. D’altronde i dati del Fondo Monetario Internazionale dicono che nel 2010 il PIL della Unione Europea è arrivato a 16 mila miliardi di dollari e quello degli Stati Uniti a 14,5 mila miliardi (la CIA afferma che il PIL dell’Europa è di 15,9 mila miliardi, ma in ogni caso superiore a quello statunitense).
L’idea di distribuire i costi è proprio della Casa Bianca e del Congresso che ricordano che i costi delle campagne in Yugoslavia e Kosovo (1999), Afghanistan (2001) e Iraq (2003) sono stati quasi completamente sostenuti dagli USA.
Per la Francia la prima settimana è costata 21 milioni di euro. Sempre secondo l’ex-direttore Colombani, le 400 ore di volo dei caccia francesi Mirage 2000 e Rafale sono costate 5 milioni di euro esclusa la spesa del carburante e quella dei missili AASM che costano 300mila euro ciascuno.
Gli esperti britannici assicurano a loro volta che Londra nella prima settimana delle operazioni ha avuto costi per 25.000.000 di sterline escluse le munizioni.
La spesa per l’Italia che in una settimana è stata di circa 12 milioni, di cui 10 per l’aviazione; i Tornado hanno eseguito infatti 32 sortite ciascuna del costo di 300 mila euro escluso l’eventuale lancio di missili anti-radar AGM-88 HARM (che vengono circa € 200.000 al pezzo).
I velivoli impegnati restano dodici, otto dell’Aeronautica e quattro della Marina. I primi sono per metà caccia Typhoon che continueranno a pattugliare lo spazio aereo per il controllo della “no fly zone” e per metà Tornado ECR equipaggiati con missili antiradar Harm per la soppressione delle difese aeree (radar). Nei prossimi giorni questi jet potranno essere sostituiti da Tornado della versione Ids, bombardieri in grado di impiegare ordigni a guida laser o gps (per colpire postazioni, mezzi, anche corazzati e artiglierie) e missili da crociera Storm Shadow, destinati a obiettivi come bunker e centri di comando e controllo. Va sottolineato che i Tornado rappresentano da sempre una spesa più elevata degli altri caccia, come i Typhoon. I quattro cacciabombardieri Harrier imbarcati sulla portaerei Garibaldi, utilizzati per il controllo dello spazio aereo, verranno impiegati anche per condurre attacchi al suolo con bombe e missili teleguidati Maverick (quest’ultimi relativamente costosi, essendo dotati di un sistema di guida televisivo sofisticato). I velivoli saranno disponibili per missioni di attacco insieme di una quarantina di jet alleati (statunitensi, britannici, francesi, belgi, canadesi, norvegesi e danesi) già assegnati a questi compiti. Gli aerei italiani impiegano armi intelligenti (guidate), le bombe Paveway a guida laser e le Jdam a guida gps. Per ridurre i danni collaterali gli arsenali italiani dispongono di 500 Small Diamter Bombs, ordigni da 125 chili depotenziati per ridurre il raggio d’azione dell’esplosione.
I restanti 2 milioni sono stati spesi in carburante per le navi impiegate: la portaerei Garibaldi, una fregata, il cacciatorpediniere Andrea Doria, il pattugliatore Borsini e la rifornitrice Etna, che consumano 300 mila euro al giorno di gasolio. Anche nel nostro caso vanno però separate le spese per la gestione ordinaria dei mezzi.
La guerra libica potrebbe costare all’Italia oltre un miliardo. A metà aprile La Russa disse in un’intervista che erano già stati spesi 500 milioni, contando anche i fondi del ministero dell’Interno per l’emergenza profughi e immigrati. Bossi ha parlato martedì di costi "per 700 milioni di euro in tre mesi tra missione militare e rimpatri”. Sul piano militare, l’impiego di aerei e navi nel primo mese di guerra ha raggiunto quasi 50 milioni di euro, considerando 1.200 ore di volo. Sulle spese influiranno due fattori: la durata delle operazioni e il consumo di bombe e missili i cui costi variano dai 30/40 mila euro per le bombe guidate a quasi un milione di euro per un modernissimo missile da crociera Storm Shadow . Un decreto dovrebbe coprire le spese per la missione libica, ma non è chiaro se si tratterà di un provvedimento ad hoc o se sarà integrato il finanziamento semestrale per le missioni all’estero pari a 1,5 miliardi annui.
Ma una parte delle spese è compensata dalla sospensione dei finanziamenti per le riparazioni di guerra concordate nel trattato italo-libico, pari a 250 milioni di dollari l’anno per 20 anni. Ulteriori risparmi si otterranno riducendo la presenza in Kosovo e Libano, dove sono schierati rispettivamente 650 e 1.400 militari. Quest’anno il contingente italiano aggregato alla K-For assorbirà circa 72 milioni di euro. La missione Unifil in Libano costerà 212 milioni di euro.
Dal Ministero della Difesa apprendiamo il bilancio di previsione del 2011 è di circa 20.556.850.176 Euro e che arriverà a toccare i 21.366.774.743 Euro nel 2013. Secondo dati Istat la cifra destinata alla Difesa è passata dal 2,4% del 2000 al 3,0% del 2009.
Washington - Un istituto indipendente americano, il Center for Strategic and Budgetary Assessments, ha calcolato che la no fly zone sulla Libia potrebbe costare agli Stati Uniti tra i 100 e i 300 milioni di dollari a settimana. Gli attacchi delle scorse quattro notti sono già costati alcune centinaia di milioni di dollari a Stati Uniti ed Europa. Il costo delle operazioni potrebbe salire di poco se gli Usa saranno coinvolti limitatamente, con il Pentagono che userà il suo budget esistente per coprire le spese, o potrebbe aumentare molto se le operazioni si protrarranno per settimane o mesi.
Il costo della guerra al raìs Con i dati fino aggiornati a ieri, la coalizione ha lanciato almeno 162 missili Tomahawk, del costo compreso tra 1 e 1,5 milioni di dollari al pezzo e ha inviato, dal Missouri, i bombardieri stealth B-2 Spirit a sganciare 900 chilogrammi di bombe su obiettivi libici. Le ore di volo totali sono state 25, il costo di ogni ora è di 10mila dollari. I B-2 utilizzano un carburante molto costoso, per fare rifornimento si affidano alle cisterne volanti e probabilmente al ritorno alla base Whiteman hanno avuto bisogno di sostituire alcune parti. L'impiego di un grande numero di aerei, di 11 navi nel Mediterraneo tra cui 3 sottomarini, 2 fregate e 2 mezzi anfibi e la perdita di un caccia F-15 costano intorno ai 75 milioni di dollari, che si aggiungono ai numeri che innervosiscono i deputati attenti al budget. In passato, gli Stati Uniti hanno speso molto per altre costose no fly zone. Negli anni Novanta, l'America ha partecipato all'operazione Noble Anvil, l'asalto aereo in Jugoslavia. La zona di non sorvolo fu in vigore dal marzo al giugno 1999 e costò 1,8 miliardi di dollari. Dopo la prima guerra del golfo sono state istituite due no fly zone in Iraq, per evitare attacchi aerei di Saddam Hussein sulla popolazione. Il mantenimento della misura di sicurezza costò circa 700 milioni di dollari all'anno, dal 1992 al 2003. Il servizio di ricerca del Congresso ha dichiarato che i costi per imporre e far rispettare una zona di non sorvolo possono variare molto in base a diversi fattori, tra cui la durata delle operazioni militari, specifiche azioni, la grandezza della zona da coprire e l'eventuale allungamento oltre il previsto della missione. Il presidente Barack Obama ha ripetuto ieri che gli Stati Uniti passeranno entro pochi giorni il comando delle operazioni. 

I costi della guerra al terrore degli USA: 225.000 morti e 4.400 miliardi di dollari!

La global war on terror lanciata dagli Stati Uniti in seguito agli attacchi dell'11 settembre ha lasciato sul terreno 225.000 morti per un costo complessivo fino a 4.400 miliardi di dollari, secondo un nuovo studio pubblicato dalla Brown University*. Aggiornando così la precedente stima a 3000 miliardi redatta dal Premio Nobel per l'economia Joseph Stiglitz.
Il rapporto, redatto da un gruppo di ricercatori e reso noto la scorsa settimana, prende in esame non solo le due guerre in Iraq e Afghanistan, ma anche le campagne di lotta al terrorismo in Pakistan e Yemen, oltre alle operazioni navali antipirateria nell'Oceano Indiano e il lavoro di intelligence nel prevenire e neutralizzare ulteriori attentati.
La conclusione, secondo gli autori, è che i governi in procinto di intraprendere una guerra, quasi sempre sottovalutano sia la potenziale durata che hanno i costi del conflitto, da un lato, mentre sopravvalutano “gli obiettivi politici che possono essere raggiunti con l'uso della forza bruta”, dall'altro.
Il costo ufficiale delle operazioni belliche è pari 1.311 miliardi di dollari. Ma tale cifra è indicativa dei soli finanziamenti federali al Pentagono, senza tenere conto delle spese ulteriori. L'anomalia delle stime ufficiali, infatti, è che gli obblighi federali nei confronti dei veterani non sono mai stati computati nelle analisi governative fin qui divulgate. Peraltro, va considerato che il 30% dei soldati di ritorno dalle missioni manifesta gravi disturbi di comportamento che incidono sulla famiglia e sull'ambiente di lavoro, finanche all'omicidio. Il danno economico e i costi sociali si rivelano, dunque, più gravi di quanto supposto.
Sommando le proiezioni fino al 2051 per le cure mediche, le pensioni di invalidità e le pensioni per le vedove, il costo complessivo lievita ad una cifra compresa tra i 3.200 e i 4.000 miliardi di dollari, rispettivamente secondo la stima più prudente e quella più azzardata.
Le stime federali, inoltre, non conteggiano i finanziamenti collaterali alla Difesa, come, ad esempio, le quote di bilancio del Dipartimento dell'Energia per forniture al Pentagono. La gran parte dei costi della Difesa è dovuto alle bollette per l'energia elettrica. Solo per l'aria condizionata le spese ammontano a 20 miliardi annui.
Ci sono poi le dotazioni al Dipartimento di Sicurezza Nazionale per contrastare le minacce terroristiche, nonché i fondi per la ricostruzione destinati all'Agenzia per lo Sviluppo Internazionale.
A ciò vanno aggiunti i futuri interessi sul debito: 185 miliardi finora e fino a 1000 miliardi entro il 2020. Non va dimenticato, infatti, che le guerre sono state finanziate non attingendo alla ricchezza, bensì emettendo titoli pubblici.
Totale: dai 3.600 ai 4.400 miliardi di dollari**. Un quarto dell'attuale debito pubblico degli Usa.
Non si tratta di un risultato catastrofista. Lo studio ha tenuto a precisare che la stima effettuata sul numero di vittime è “molto conservativa", attestandosi a circa 225.000 morti e 365.000 feriti in tutte le operazioni militari condotte nell'ultimo decennio.
In particolare, il numero di soldati uccisi ammonta a 31.741, dei quali circa 6.000 americani, 1.200 soldati alleati, 9.900 iracheni, 8.800 afghani, 3.500 pakistani e 2.300 contractors appartenenti ad agenzie di sicurezza privata ingaggiate dagli Usa.
È il bilancio di vittime civili, tuttavia, a registrare i numeri più alti. La stima parla di 172.000 morti, di cui circa 125.000 iracheni, 35.000 afghani e 12.000 pakistani.
Le guerre hanno causato più di 7,8 milioni di rifugiati tra iracheni, afghani e pakistani.
Difficile fare un bilancio delle vittime tra gli insorti. Lo studio ammette che una stima approssimativa non è possibile, affermando che il numero di ribelli uccisi potrebbe essere compreso tra i 20.000 e i 51.000.
Infine, 168 giornalisti e 266 operatori umanitari sono stati uccisi nei teatri di guerra, in particolare nei tumulti successivi alla fine della guerra in Iraq.
In nota, nei costi indiretti della guerra andrebbero aggiunti quelli derivanti dalle calamità naturali che da dicembre stanno affliggendo gli Usa, stimati in circa 300 miliardi. Questo perché guerre e debito pubblico alle stelle significano anche mancanza di fondi per la protezione civile e per la manutenzione delle infrastrutture di contenimento (dighe, argini, ecc.).
A fronte dei costi così elevati della war on terror, il popolo americano è ancora in attesa dei benefici. Se mai ci saranno.
* In proposito, il gruppo di ricerca ha riportato tutti i dati nel sito http://costsofwar.org attivato allo scopo di stimolare una pubblica discussione sul tema.
** Non sono comprese le stime per i veterani over 65, in quanto già tutelati dal programma sanitario Medicare; le spese per i reduci finanziate dai bilanci dei singoli Stati; gli aiuti promessi all'Afghanistan e finalizzati alla ricostruzione (circa 5,3 miliardi di dollari) e le ulteriori conseguenze congiunturali in termini di danni alle infrastrutture, posti di lavoro perduti, ecc.
I governi interventisti della NATO continuano (ormai da tre mesi) i massicci bombardamenti su gran parte del territorio libico che colpiscono duramente la popolazione e sostengono che “Gheddafi deve andarsene”, ma se la NATO dovesse arrivare a un intervento diretto sul terreno dovrebbe affrontare un’accanita resistenza nazionale (quella contro l’occupazione colonialista italiana durò decenni).
La NATO all’origine aveva un’area tradizionale di azione: la “difesa” dell’Europa occidentale; dopo la caduta del Muro di Berlino, venuto meno questo scopo, è stata mantenuta cambiandone l’ambito di intervento: Bosnia, Serbia e Kosovo, Afghanistan, Libano, Iraq e ora Libia.
Queste guerre in cui è coinvolta la NATO fuori dall’Europa occidentale interessano in particolar modo i governanti USA e non tanto quelli europei, anche se nel caso della Libia i governi di Francia e Gran Bretagna si sono esposti per primi.
I costi di questa struttura militare sono pagati circa per il 75% dagli USA e per il 25% dai paesi europei. Ma bombardamenti così intensi sulla Libia costano moltissimo e stanno svuotando gli arsenali francesi inglesi e italiani. I vertici militari britannici si sono divisi pubblicamente sulla sostenibilità dell’attacco, la Norvegia ritirerà i suoi aerei dal 1° agosto; si rivela esatto lo scetticismo sulla NATO espresso da Robert Gates, segretario USA alla Difesa (di Bush e di Obama, già direttore della CIA). E se la guerra continua, perché incontra forte resistenza e c’è di fatto uno stallo sul terreno, occorrerà chiedere bombe agli USA. In questi tempi di crisi i paesi interventisti incontreranno difficoltà a pagare, mentre i paesi che non partecipano, come la Germania, non vorranno certo accollarsi i costi della guerra. Chi pagherà?
I problemi e le contraddizioni interne alla NATO sono dunque: non c’è più lo scopo originario, stanno finendo gli armamenti per gli aerei, chi pagherà? Non c’è coesione nelle intenzioni dei paesi aderenti. Il presidente Napolitano, che fin da subito si era messo metaforicamente l’elmetto, ora lamenta che “l’Europa non è riuscita a esprimere una posizione comune, specie di fronte alla crisi libica” e constata “lo stato insoddisfacente dell’Unione Europea come soggetto di politica internazionale”.
Di fronte alla necessità di uscire da questo ingranaggio che coinvolge la NATO e gli stessi paesi europei, il 14 giugno il ministro degli esteri Frattini scopre che “serve una soluzione politica”. Il governo italiano ha perso l’occasione, quando gli attacchi dei governi occidentali erano ancora solo verbali, di porsi come mediatore (non si voleva “disturbare Gheddafi”); poi si è accodato a USA Francia e Gran Bretagna compiendo l’accecamento radar e poi i bombardamenti veri e propri, e lasciando cadere gli sforzi di chi la mediazione l’ha tentata, come l’Unione Africana. Ora è un po’ tardi per proporsi…
Questi discorsi sono un ‘implicita ammissione delle gravi difficoltà in cui si sono cacciati Obama, Sarkozy, Cameron, Berlusconi. Non si può riempire il mondo di guerre.
Pubblichiamo di seguito il contenuto di due recenti convegni sulla questione libica: Il 17 maggio 2011 a Cologno Monzese si è tenuta un’assemblea pubblica sull’intervento della NATO contro la Libia (indetta dal forum cittadino, sostenuto da CSD – lista civica Cologno Solidale e Democratica – e dall’associazione culturale Left), cui sono intervenuti tra gli altri Paolo Sensini storico e saggista recatosi di recente a Tripoli, Osvaldo Pesce del blog Pennabiro, Michael Kidane dell’Associazione democratici eritrei in Italia .Di seguito alcuni punti dell’intervento di Osvaldo Pesce.
A mio avviso l’Occidente sta sviluppando una politica internazionale di attacco ai popoli, ai paesi che vogliono l’indipendenza e ai paesi emergenti.
L’Occidente – e Washington in particolare – ha il deficit fuori controllo, manca una ripresa economica per cui non riesce a ridurre la disoccupazione; la crisi finanziaria che lo attanaglia continua inesorabilmente; non solo, le guerre che dovevano essere rapide e chirurgiche si sono impantanate. Queste sconfitte sono di una tale portata che la definizione di “declino” per l’Occidente si fa sempre più insistente.
Di contro numerosissimi paesi sottomessi e alcuni emergenti pongono il problema di non voler essere dipendenti da una sola moneta: il dollaro. E’ proprio per questo che gli Stati Uniti e i loro alleati nei paesi dominati rispondono mettendo in campo la forza militare e controllando tutti i mass media occidentali, lanciando parole vuote come “democrazia” e “diritti umani e civili” che non corrispondono al loro reale comportamento.
Questa situazione costringe sulla difensiva anche Russia e Cina, come dimostra la loro astensione al Consiglio di sicurezza dell’ONU sull’intervento USA e NATO contro la Libia. La Cina ha troppi dollari per potersi permettere contraddizioni forti con gli interessi USA, e un suo isolamento dalle materie prime e dalle risorse alimentari mondiali potrebbe bloccare il suo sviluppo economico.
In ultima analisi l’Occidente vuole rilanciare la politica coloniale, e all’interno dei propri paesi attaccare e cercare di cancellare le conquiste sociali: limitare il diritto di sciopero, diminuire le pensioni, aumentare le tasse, dare meno servizi sociali e sanitari ecc.
E’ in questo quadro che è scattata l’aggressione alla Libia: in primo luogo per le sue risorse naturali, in secondo luogo per il suo ruolo all’interno dell’Unione Africana, come l’appoggio alla proposta di istituire una moneta africana.
Non dimentichiamo che la Libia, come gli altri paesi arabi del Nord Africa e del Medio Oriente, faceva storicamente parte dell’Impero Ottomano, dissolto dalle potenze coloniali con la prima guerra mondiale; ma mentre dopo la seconda guerra mondiale i paesi di nuova indipendenza come l’India e la Cina, i paesi sconfitti come la Germania e il Giappone, i paesi distrutti dalla guerra come la Francia, hanno costruito la propria stabilità politica e sociale, questa area ex ottomana è rimasta a lungo sottomessa alle mire imperialiste.
Gli intensi bombardamenti della NATO colpiscono indiscriminatamente la popolazione civile, distruggendo case, scuole, ospedali, strade e facendo vittime tra donne, bambini, anziani. L’aggressione a Tripoli è una guerra coloniale.
Purtroppo i movimenti pacifisti in Occidente vedono ormai una scarsa partecipazione popolare. I governanti italiani hanno capitolato di fronte alle richieste di Washington, mentre i partiti di opposizione sono completamente allineati all’imperialismo USA (e inerti e inefficaci riguardo ai problemi sociali interni). Così avviene, come nel caso di Gheddafi e dei bombardamenti sulla sua residenza ufficiale, che si impostino delle “esecuzioni extragiudiziali” privilegiando la vendetta al posto della giustizia: è la mentalità anglosassone fondata sull’Antico Testamento, che cerca di cancellare le conquiste dell’illuminismo (Beccaria) e della Rivoluzione Francese facendo regredire di secoli la nostra evoluzione culturale.
I costi della guerra sono sempre tanti e soprattutto molto elevati . La domanda che molti si stanno facendo in questo periodo è : ” Ma quanto costa all’Italia e al Mondo questa guerra in Libia?”
Solo nella prima settimana di guerra, L’Italia , ha speso ben 12 milioni di euro, di cui 10 per l’aviazione ( e molti diranno : Alla faccia della crisi!)
Ma la cifra record è stata raggiunta dagli Stati Uniti d’America che hanno speso, solo nel primo giorno di guerra, ben 168 milioni e a questi vanno aggiunti i costi dell’aviazione, dei soldati e dell’armamentario.
Per rendere meglio l’idea sulla spesa dell’armamentario basta pensare al costo dei missili Tomahawk , ogni missile costa circa 1,4 milioni di dollari e nel primo giorno ne sono stati sparati ben 159 , per una spesa totale di 233 milioni di dollari statunitensi!
Inoltre vi chiederete : “Quanto costa mantenere un aereo ?”
Beh, un aereo militare F-15, per un’ora di volo, ha costi di manutenzione pari a 20516 dollari  cifre stratosferiche insomma!
Ma la ciliegina sulla torta è sicuramente il costo per stabilire una “No-Fly zone” sulla Libia, la cifra si aggira tra i 150 milioni ai 250 milioni.
Attualmente il Pentagono rende noto che dagli Stati Uniti sono stati spesi ben 550 milioni di dollari, dall’inizio della guerra fino ad oggi, ovviamente i costi futuri aumenteranno questa cifra.
La crisi? Pare che al mondo interessi ben altro: IL PETROLIO!

Fonte: 
http://www.ilgiornale.it/  
http://www.embeddedagency.com/  
http://www.agoravox.it/ 
http://www.pennabiro.it/
http://www.mondonews24.com/

La guerra in Libia solo una strategia per destabilizzare l’Italia: SARKOZY IN SOCCORSO ALLA SINISTRA ITALIANA! Il Presidente Francese in procinto di distruggere la Libia di Gheddafi e per riconfermarsi alla guida del suo Paese nel 2012, ha istigato un complotto contro il suo potenziale e più forte rivale di sempre: Strauss Kahn! La Massoneria con "Gli Illuminati" al potere senza limiti e senza ritegno! Oltre 10.000 morti ad oggi in Libia per la guerra, non si calcolano le vittime in Afghanistan...e Sarkozy con la sua Premier Dame Carla Bruni che ha rinnegato le sue origini Italiane cerca di mettere al palo la Repubblica Italiana con veti e mini-complotti in sede dell'Unione Europea! Sarkozy è un pericolo per l'Unione Europea e per l'Italia stessa: vuole affossarci per farci capitolare come la Grecia e l'Irlanda!!!

Quando si verifica un numero eccessivo di coincidenze, la casualità merita un approfondimento ed diverso. La questione è semplice. Esiste un piano strategico di alcuni Paesi per sbarazzarsi in qualche modo di Berlusconi?
Guardiamo agli eventi. Qualcuno accende la miccia in Libia come fulmine a ciel sereno. I francesi partano all’attacco senza quasi confrontarsi almeno con gli alleati europei. Si scopre che la Cia già da qualche tempo stava guidando un esercito di rivoltosi della Cirenaica di dubbia provenienza,dove c’è anche la certezza dell’infiltrazione terroristica islamica. L’America non è nuova ad accordi con i fondamentalisti di Bill Haden. E’ già accaduto nella guerra tra Russia ed Afganistan. Obama in qualche modo va oltre il suo mandato,sfida il Congresso che impone regole precise:il  Presidente può autonomamente aprire conflitti senza autorizzazione congressuale, solo se è in pericolo la sicurezza.
Tutto viene mezzo in atto nel segno evidente del caos,quasi si volesse decretare una destabilizzazione a tavolino,perché tutti sapevano che quel conflitto avrebbe portato come prima conseguenza l’invasione del nostro Paese. Anzi, forse ci è andata anche bene rispetto a quanto avrebbero potuto prevedere eventuali strategie miranti a destabilizzare il nostro Paese.
Ed è tanto vero che quando inizia l’esodo,quando l’Europa aveva l’obbligo di intervenire, accade uno strano rilassamento.
In Italia l’opposizione punta dritto sull’improvviso fenomeno dell’invasione di Lampedusa. Strategicamente non è l’attacco della magistratura al Premier. La questione immigrati è un fatto politico che può portare ad un facile cedimento.
La Francia ci mette il carico da novanta ed avvia un evidente ostruzionismo destinato ad appesantire la situazione.
A rendere più accettabile la teoria ci si mette anche Napolitano che assume un ruolo decisamente improprio per quelle che sono le funzioni di un Presidente della Repubblica in Italia.Quel ruolo di rappresentanza viene trasformato in attivismo politico che vede Obama accoglierlo come fosse il capo del Governo Italiano ed impartisce un monito che assume rilevanza esecutiva quando decide e dichiara che bisogna far guerra alla Libia.
In brevissimo tempo si diffonde l’idea che il Capo dello Stato,abbia assunto in se i poteri esecutivi del Presidente del Consiglio,aggravando l’isolamento politico che Obama e Sarkozy hanno messo in atto.
Fantapolitica?
Forse. Non si può in ogni caso ignorare che l’Italia berlusconiana considera Obama un signore abbronzato. Che Berlusconi era e resta amico di Bush e che la politica energetica ha subito un profondo mutamento di rotta perché i rapporti troppo stretti con Gheddafi e l’accertata amicizia con Putin,permettevano all’Italia di non essere subalterni alle politiche energetiche americane. Berlusconi è corente: Obama non è il suo interlocutore privilegiato. E’ un parolaio di sinistra che vende troppo fumo. Eppoi il Cavaliere è troppo indebolito dall’attacco delle Procure per potersi permettere la stessa linea dei Tedeschi. Una decisione che sarebbe stata vincente nello scacchiere internazionale,perché avrebbe dato senza dubbio un dispiacere proprio ad Obama. Lo avrebbe fortemente indebolito in politica estera,perché l’accordo franco-americano, sul piatto delle strategie conta decisamente meno rispetto all’Italia. Perdere le basi da noi dopo mezzo secolo di amicizia strategica avrebbe portato Obama ad una perdita di credibilità interna senza precedenti e la guerra in Libia  avrebbe portato alle dimissioni di Sarkozy.
Non solo. La logica presa di distanza da una guerra che di fatto si combatteva ad un palmo di naso dalle nostre coste, sarebbe stata una scelta politica di grande responsabilità che avrebbe dato maggior impulso al consenso del centro destra ed avrebbe esposto la sinistra ad una spaccatura insanabile perché Bersani si sarebbe dovuto schierare con la Francia ed avrebbe chiuso definitivamente i discorsi con una parte del suo stesso partito e con gli alleati di sinistra.
Bossi c’aveva visto giusto,quando invocava la prudenza prima di sbracarsi ed andar dietro non all’Europa, ma a Sarkozy ed Obama.
Come se ne esce. L’antico adagio che recita:chi di spada ferisce,di spada perisce, calza a pennello. La questione “migranti” può senza dubbio essere considerata da noi un’emergenza nazionale ed una grave instabilità sulla sicurezza. Non è semplice come si vuole fare apparire la gestione di 20mila migranti privi di documenti,di cui non si sa nulla delle loro intenzioni. L’ipocrisia politica e le necessità elettorali della sinistra non possono trovare opportuna considerazione quando in ballo c’è la nostra sicurezza e l’aggravamento sostanziale dell’assetto sociale.La Francia non può dichiarare guerra alla Libia e scaricare sull’Italia le conseguenze. E L’Europa non dimostra particolare interesse alle vicende di Gheddafi ed a ragion di logica se ne guarda bene di importare esodi fossero anche numericamente scarsi,ma fortemente ingestibili.
Obama è indeciso se armare i ribelli? Sarebbe quindi il caso che qualche indecisione riguardasse anche noi. Prendere posizioni rispetto alle Basi ed accusare la Tunisia di fare da scendiletto a Sarkozy che con i tunisini fino a ieri condivideva la mondanità di Palazzo ed oggi li respinge,diciamo che è un’ottima ragione per alzare la voce.
Per quanto possa apparire poco credibile,ma il consenso del centro destra sarà minato proprio dalla questione libica e dalla bomba ad orologeria dell’invasione programmata che terrà sul corda il Governo anche dopo la fine del conflitto,perché dopo, saranno i libici a scappare,così com’è avvenuto per la Tunisia.

Fonte: http://controcorrente.name

I costi umani delle guerre USA contro il terrore dell'estremismo Islamico nel Mondo!

La guerra globale contro il terrorismo scatenata dall’amministrazione degli Stati Uniti dopo l’11 settembre 2001 ha causato sino ad oggi la morte di circa 258.000 persone.
La stima – “estremamente prudente” – è stata fatta dallaBrown University di Rhode Island, una delle più antiche università USA (è stata fondata nel 1764) che ha valutato i costi umani e finanziari dei conflitti in Afghanistan ed Iraq e delle cosiddette “campagne contro il terrorismo” del Pentagono e della Cia in Pakistan e Yemen.
“Alle vittime dirette dei conflitti vanno aggiunte le morti causate indirettamente dalla perdita delle fonti di acqua potabile e delle cure mediche e dalla malnutrizione”, spiegano i ricercatori della Brown University. Come avviene ormai in tutti gli scenari di guerra sono sempre i civili a subire le perdite maggiori in vite umane: 172.000 tra donne, bambini, anziani e uomini non combattenti assassinati, 125.000 in Iraq, 12.000 in Afghanistan e 35.000 in Pakistan, a riprova che è proprio quest’ultimo paese asiatico al centro di un’escalation militare volutamente tenuta segreta dall’amministrazione Obama e dai principali media internazionali.
“Ancora più difficile è conoscere il numero dei morti tra gli insorti”, aggiunge lo studio della Brown University, “anche se le stime si attestano tra le 20.000 e le 51.000 persone. Il numero dei militari uccisi è invece di 31.741 e include circa 6.000 soldati statunitensi, 1.200 militari delle truppe alleate, 9.900 iracheni, 8.800 afgani, 3.500 pakistani e 2.300 contractor privati”. Il rapporto denuncia che dallo scoppio della guerra “globale e permanente contro il terrorismo” sono scomparsi 168 giornalisti e 266 tra volontari, cooperanti e operatori umanitari. “Le guerre hanno inoltre prodotto un flusso massiccio di rifugiati e sfollati, più di 7,8 milioni di persone, la maggior parte dei quali in Iraq ed Afghanistan”, scrivono i ricercatori. “Si tratta di un numero corrispondente all’intera popolazione del Connecticut e del Kentucky”.
Sconvolgente pure l’entità delle risorse finanziarie dilapidate dalle forze amate degli Stati Uniti d’America nella loro “caccia” ai presunti strateghi dell’attacco dell’11 settembre. “I costi delle guerre possono essere stimati tra i 3.700 e i 4.400 miliardi di dollari, pari ad un quarto del debito pubblico odierno e molto di più di quanto speso nel corso della Seconda guerra mondiale”, spiega il rapporto della Brown University. “Si tratta di cifre notevolmente più alte di quelle fornite dal Pentagono e dall’amministrazione USA (1.300 miliardi di dollari), in quanto si sono considerate nello studio anche altre spese generate dalle guere, come ad esempio quelle previste sino al 2051 per i veterani feriti, quelle effettuate dal Dipartimento per la Sicurezza Interna contro le minacce terroristiche e i fondi direttamente relazionati con i conflitti del Dipartimento di Stato e dell’Agenzia per lo sviluppo internazionale Usaid”.
Secondo i ricercatori del prestigioso centro universitario di Rhode Island, “il governo statunitense sta affrontando la guerra sottostimandone la potenziale durata e gli insostenibili costi mentre sopravvaluta gli obiettivi politici che possono essere raggiunti con l’uso della forza bruta”. I circa 4.400 miliardi di dollari spesi sino ad oggi sono certamente del tutto sproporzionati ai costi dell’attentato dell’11 settembre e ai suoi danni economici. “I diciannove attentatori più gli altri sostenitori di al Qaeda hanno speso tra i 400.000 e i 500.000 dollari per gli attacchi aerei che hanno causato la morte di 2.995 persone e tra i 50 e i 100 miliardi di dollari di danni. Per ogni persona uccisa l’11 settembre ne sono state assassinate da allora 73”.
Nel terribile bilancio sulle vite umane sacrificate e sulle risorse finanziarie sperperate con le guerre USA del XXI secolo non sono ovviamente contemplati i costi del conflitto scatenato in questi mesi contro la Libia. Tra bombe, missili Tomahawk all’uranio impoverito e carburante, solo il primo giorno dell’operazione Alba dell’odissea sarebbe costato agli Stati Uniti d’America qualcosa come 68 milioni di euro. Stando al Pentagono, le prime due settimane d’intervento militare contro Gheddafi sono costate 608 milioni di dollari, senza includere i salari dei militari e i costi operativi delle unità aeree e navali distaccate nell’area mediterranea precedentemente allo scoppio delle operazioni belliche.
Per il segretario all’aeronautica militare, Michael Donley, le attività di volo dei 50 cacciabombardieri e dei 40 velivoli di supporto impegnati e le munizioni utilizzate contro la Libia comportano una spesa di circa 4 milioni di dollari al giorno. Venticinque milioni di dollari è invece il valore dell’“assistenza non letale” concessa dall’amministrazione Obama il 20 aprile scorso ai ribelli del Transitional National Council di Bengasi. Si tratta in buona parte di “apparecchiature mediche, uniformi, stivali, tende, equipaggiamento per la protezione personale, radio e cibo in polvere”, ma Washington non ha escluso l’invio di armi e munizioni in buona parte stoccate nei depositi e magazzini della grande base di Camp Darby in Toscana.

Fonte: http://informarexresistere.fr/

ITALIA-CINA

ITALIA-CINA
PER L'ALLEANZA, LA COOPERAZIONE, L'AMICIZIA E LA COLLABORAZIONE TRA' LA REPUBBLICA ITALIANA E LA REPUBBLICA POPOLARE CINESE!!!