Washington - Un istituto indipendente americano, il Center for Strategic and Budgetary Assessments, ha calcolato che la no fly zone sulla Libia potrebbe costare agli Stati Uniti tra i 100 e i 300 milioni di dollari a settimana. Gli attacchi delle scorse quattro notti sono già costati alcune centinaia di milioni di dollari a Stati Uniti ed Europa. Il costo delle operazioni potrebbe salire di poco se gli Usa saranno coinvolti limitatamente, con il Pentagono che userà il suo budget esistente per coprire le spese, o potrebbe aumentare molto se le operazioni si protrarranno per settimane o mesi.
Il costo della guerra al raìs Con i dati fino aggiornati a ieri, la coalizione ha lanciato almeno 162 missili Tomahawk, del costo compreso tra 1 e 1,5 milioni di dollari al pezzo e ha inviato, dal Missouri, i bombardieri stealth B-2 Spirit a sganciare 900 chilogrammi di bombe su obiettivi libici. Le ore di volo totali sono state 25, il costo di ogni ora è di 10mila dollari. I B-2 utilizzano un carburante molto costoso, per fare rifornimento si affidano alle cisterne volanti e probabilmente al ritorno alla base Whiteman hanno avuto bisogno di sostituire alcune parti. L'impiego di un grande numero di aerei, di 11 navi nel Mediterraneo tra cui 3 sottomarini, 2 fregate e 2 mezzi anfibi e la perdita di un caccia F-15 costano intorno ai 75 milioni di dollari, che si aggiungono ai numeri che innervosiscono i deputati attenti al budget. In passato, gli Stati Uniti hanno speso molto per altre costose no fly zone. Negli anni Novanta, l'America ha partecipato all'operazione Noble Anvil, l'asalto aereo in Jugoslavia. La zona di non sorvolo fu in vigore dal marzo al giugno 1999 e costò 1,8 miliardi di dollari. Dopo la prima guerra del golfo sono state istituite due no fly zone in Iraq, per evitare attacchi aerei di Saddam Hussein sulla popolazione. Il mantenimento della misura di sicurezza costò circa 700 milioni di dollari all'anno, dal 1992 al 2003. Il servizio di ricerca del Congresso ha dichiarato che i costi per imporre e far rispettare una zona di non sorvolo possono variare molto in base a diversi fattori, tra cui la durata delle operazioni militari, specifiche azioni, la grandezza della zona da coprire e l'eventuale allungamento oltre il previsto della missione. Il presidente Barack Obama ha ripetuto ieri che gli Stati Uniti passeranno entro pochi giorni il comando delle operazioni.
I costi della guerra al terrore degli USA: 225.000 morti e 4.400 miliardi di dollari!
La
global war on terror lanciata dagli
Stati Uniti in seguito agli attacchi dell'
11 settembre ha lasciato sul terreno
225.000 morti per un costo complessivo fino a 4.400 miliardi di dollari, secondo un nuovo studio pubblicato dalla
Brown University*. Aggiornando così la precedente stima a 3000 miliardi redatta dal
Premio Nobel per l'economia Joseph Stiglitz.
Il rapporto, redatto da un gruppo di ricercatori e reso noto la scorsa settimana, prende in esame non solo le due guerre in Iraq e Afghanistan, ma anche le campagne di lotta al terrorismo in Pakistan e Yemen, oltre alle operazioni navali antipirateria nell'Oceano Indiano e il lavoro di intelligence nel prevenire e neutralizzare ulteriori attentati.
La conclusione, secondo gli autori, è che i governi in procinto di intraprendere una guerra, quasi sempre sottovalutano sia la potenziale durata che hanno i costi del conflitto, da un lato, mentre sopravvalutano “gli obiettivi politici che possono essere raggiunti con l'uso della forza bruta”, dall'altro.
Il costo ufficiale delle operazioni belliche è pari 1.311 miliardi di dollari. Ma tale cifra è indicativa dei soli finanziamenti federali al
Pentagono, senza tenere conto delle spese ulteriori.
L'anomalia delle stime ufficiali, infatti, è che gli obblighi federali nei confronti dei veterani non sono mai stati computati nelle analisi governative fin qui divulgate. Peraltro, va considerato che il 30% dei soldati di ritorno dalle missioni manifesta gravi disturbi di comportamento che incidono sulla famiglia e sull'ambiente di lavoro, finanche all'omicidio. Il danno economico e i
costi sociali si rivelano, dunque, più gravi di quanto supposto.
Sommando le proiezioni fino al 2051 per le cure mediche, le pensioni di invalidità e le pensioni per le vedove, il costo complessivo lievita ad una cifra compresa tra i 3.200 e i 4.000 miliardi di dollari, rispettivamente secondo la stima più prudente e quella più azzardata.
Le stime federali, inoltre, non conteggiano i finanziamenti collaterali alla Difesa, come, ad esempio, le quote di bilancio del Dipartimento dell'Energia per forniture al Pentagono. La gran parte dei costi della Difesa è dovuto alle bollette per l'energia elettrica. Solo per l'aria condizionata le spese ammontano a 20 miliardi annui.
Ci sono poi le dotazioni al Dipartimento di Sicurezza Nazionale per contrastare le minacce terroristiche, nonché i fondi per la ricostruzione destinati all'Agenzia per lo Sviluppo Internazionale.
A ciò vanno aggiunti i futuri interessi sul debito: 185 miliardi finora e fino a 1000 miliardi entro il 2020. Non va dimenticato, infatti, che le guerre sono state finanziate non attingendo alla ricchezza, bensì emettendo titoli pubblici.
Totale: dai 3.600 ai 4.400 miliardi di dollari**. Un quarto dell'attuale debito pubblico degli Usa.
Non si tratta di un risultato catastrofista. Lo studio ha tenuto a precisare che la stima effettuata sul numero di vittime è “molto conservativa", attestandosi a circa 225.000 morti e 365.000 feriti in tutte le operazioni militari condotte nell'ultimo decennio.
In particolare, il numero di soldati uccisi ammonta a 31.741, dei quali circa 6.000 americani, 1.200 soldati alleati, 9.900 iracheni, 8.800 afghani, 3.500 pakistani e 2.300 contractors appartenenti ad agenzie di sicurezza privata ingaggiate dagli Usa.
È il bilancio di vittime civili, tuttavia, a registrare i numeri più alti. La stima parla di 172.000 morti, di cui circa 125.000 iracheni, 35.000 afghani e 12.000 pakistani.
Le guerre hanno causato più di 7,8 milioni di rifugiati tra iracheni, afghani e pakistani.
Difficile fare un bilancio delle vittime tra gli insorti. Lo studio ammette che una stima approssimativa non è possibile, affermando che il numero di ribelli uccisi potrebbe essere compreso tra i 20.000 e i 51.000.
Infine, 168 giornalisti e 266 operatori umanitari sono stati uccisi nei teatri di guerra, in particolare nei tumulti successivi alla fine della guerra in Iraq.
In nota, nei costi indiretti della guerra andrebbero aggiunti quelli derivanti dalle calamità naturali che da dicembre stanno affliggendo gli Usa, stimati in circa 300 miliardi. Questo perché guerre e debito pubblico alle stelle significano anche mancanza di fondi per la protezione civile e per la manutenzione delle infrastrutture di contenimento (dighe, argini, ecc.).
A fronte dei costi così elevati della war on terror, il popolo americano è ancora in attesa dei benefici. Se mai ci saranno.
* In proposito, il gruppo di ricerca ha riportato tutti i dati nel sito
http://costsofwar.org attivato allo scopo di stimolare una pubblica discussione sul tema.
** Non sono comprese le stime per i veterani over 65, in quanto già tutelati dal programma sanitario Medicare; le spese per i reduci finanziate dai bilanci dei singoli Stati; gli aiuti promessi all'Afghanistan e finalizzati alla ricostruzione (circa 5,3 miliardi di dollari) e le ulteriori conseguenze congiunturali in termini di danni alle infrastrutture, posti di lavoro perduti, ecc.
I governi interventisti della NATO continuano (ormai da tre mesi) i massicci bombardamenti su gran parte del territorio libico che colpiscono duramente la popolazione e sostengono che “Gheddafi deve andarsene”, ma se la NATO dovesse arrivare a un intervento diretto sul terreno dovrebbe affrontare un’accanita resistenza nazionale (quella contro l’occupazione colonialista italiana durò decenni).
La NATO all’origine aveva un’area tradizionale di azione: la “difesa” dell’Europa occidentale; dopo la caduta del Muro di Berlino, venuto meno questo scopo, è stata mantenuta cambiandone l’ambito di intervento: Bosnia, Serbia e Kosovo, Afghanistan, Libano, Iraq e ora Libia.
Queste guerre in cui è coinvolta la NATO fuori dall’Europa occidentale interessano in particolar modo i governanti USA e non tanto quelli europei, anche se nel caso della Libia i governi di Francia e Gran Bretagna si sono esposti per primi.
I costi di questa struttura militare sono pagati circa per il 75% dagli USA e per il 25% dai paesi europei. Ma bombardamenti così intensi sulla Libia costano moltissimo e stanno svuotando gli arsenali francesi inglesi e italiani. I vertici militari britannici si sono divisi pubblicamente sulla sostenibilità dell’attacco, la Norvegia ritirerà i suoi aerei dal 1° agosto; si rivela esatto lo scetticismo sulla NATO espresso da Robert Gates, segretario USA alla Difesa (di Bush e di Obama, già direttore della CIA). E se la guerra continua, perché incontra forte resistenza e c’è di fatto uno stallo sul terreno, occorrerà chiedere bombe agli USA. In questi tempi di crisi i paesi interventisti incontreranno difficoltà a pagare, mentre i paesi che non partecipano, come la Germania, non vorranno certo accollarsi i costi della guerra. Chi pagherà?
I problemi e le contraddizioni interne alla NATO sono dunque: non c’è più lo scopo originario, stanno finendo gli armamenti per gli aerei, chi pagherà? Non c’è coesione nelle intenzioni dei paesi aderenti. Il presidente Napolitano, che fin da subito si era messo metaforicamente l’elmetto, ora lamenta che “l’Europa non è riuscita a esprimere una posizione comune, specie di fronte alla crisi libica” e constata “lo stato insoddisfacente dell’Unione Europea come soggetto di politica internazionale”.
Di fronte alla necessità di uscire da questo ingranaggio che coinvolge la NATO e gli stessi paesi europei, il 14 giugno il ministro degli esteri Frattini scopre che “serve una soluzione politica”. Il governo italiano ha perso l’occasione, quando gli attacchi dei governi occidentali erano ancora solo verbali, di porsi come mediatore (non si voleva “disturbare Gheddafi”); poi si è accodato a USA Francia e Gran Bretagna compiendo l’accecamento radar e poi i bombardamenti veri e propri, e lasciando cadere gli sforzi di chi la mediazione l’ha tentata, come l’Unione Africana. Ora è un po’ tardi per proporsi…
Questi discorsi sono un ‘implicita ammissione delle gravi difficoltà in cui si sono cacciati Obama, Sarkozy, Cameron, Berlusconi. Non si può riempire il mondo di guerre.
Pubblichiamo di seguito il contenuto di due recenti convegni sulla questione libica: Il 17 maggio 2011 a Cologno Monzese si è tenuta un’assemblea pubblica sull’intervento della NATO contro la Libia (indetta dal forum cittadino, sostenuto da CSD – lista civica Cologno Solidale e Democratica – e dall’associazione culturale Left), cui sono intervenuti tra gli altri Paolo Sensini storico e saggista recatosi di recente a Tripoli, Osvaldo Pesce del blog Pennabiro, Michael Kidane dell’Associazione democratici eritrei in Italia .Di seguito alcuni punti dell’intervento di Osvaldo Pesce.
A mio avviso l’Occidente sta sviluppando una politica internazionale di attacco ai popoli, ai paesi che vogliono l’indipendenza e ai paesi emergenti.
L’Occidente – e Washington in particolare – ha il deficit fuori controllo, manca una ripresa economica per cui non riesce a ridurre la disoccupazione; la crisi finanziaria che lo attanaglia continua inesorabilmente; non solo, le guerre che dovevano essere rapide e chirurgiche si sono impantanate. Queste sconfitte sono di una tale portata che la definizione di “declino” per l’Occidente si fa sempre più insistente.
Di contro numerosissimi paesi sottomessi e alcuni emergenti pongono il problema di non voler essere dipendenti da una sola moneta: il dollaro. E’ proprio per questo che gli Stati Uniti e i loro alleati nei paesi dominati rispondono mettendo in campo la forza militare e controllando tutti i mass media occidentali, lanciando parole vuote come “democrazia” e “diritti umani e civili” che non corrispondono al loro reale comportamento.
Questa situazione costringe sulla difensiva anche Russia e Cina, come dimostra la loro astensione al Consiglio di sicurezza dell’ONU sull’intervento USA e NATO contro la Libia. La Cina ha troppi dollari per potersi permettere contraddizioni forti con gli interessi USA, e un suo isolamento dalle materie prime e dalle risorse alimentari mondiali potrebbe bloccare il suo sviluppo economico.
In ultima analisi l’Occidente vuole rilanciare la politica coloniale, e all’interno dei propri paesi attaccare e cercare di cancellare le conquiste sociali: limitare il diritto di sciopero, diminuire le pensioni, aumentare le tasse, dare meno servizi sociali e sanitari ecc.
E’ in questo quadro che è scattata l’aggressione alla Libia: in primo luogo per le sue risorse naturali, in secondo luogo per il suo ruolo all’interno dell’Unione Africana, come l’appoggio alla proposta di istituire una moneta africana.
Non dimentichiamo che la Libia, come gli altri paesi arabi del Nord Africa e del Medio Oriente, faceva storicamente parte dell’Impero Ottomano, dissolto dalle potenze coloniali con la prima guerra mondiale; ma mentre dopo la seconda guerra mondiale i paesi di nuova indipendenza come l’India e la Cina, i paesi sconfitti come la Germania e il Giappone, i paesi distrutti dalla guerra come la Francia, hanno costruito la propria stabilità politica e sociale, questa area ex ottomana è rimasta a lungo sottomessa alle mire imperialiste.
Gli intensi bombardamenti della NATO colpiscono indiscriminatamente la popolazione civile, distruggendo case, scuole, ospedali, strade e facendo vittime tra donne, bambini, anziani. L’aggressione a Tripoli è una guerra coloniale.
Purtroppo i movimenti pacifisti in Occidente vedono ormai una scarsa partecipazione popolare. I governanti italiani hanno capitolato di fronte alle richieste di Washington, mentre i partiti di opposizione sono completamente allineati all’imperialismo USA (e inerti e inefficaci riguardo ai problemi sociali interni). Così avviene, come nel caso di Gheddafi e dei bombardamenti sulla sua residenza ufficiale, che si impostino delle “esecuzioni extragiudiziali” privilegiando la vendetta al posto della giustizia: è la mentalità anglosassone fondata sull’Antico Testamento, che cerca di cancellare le conquiste dell’illuminismo (Beccaria) e della Rivoluzione Francese facendo regredire di secoli la nostra evoluzione culturale.
I costi della guerra sono sempre tanti e soprattutto molto elevati . La domanda che molti si stanno facendo in questo periodo è : ” Ma quanto costa all’Italia e al Mondo questa guerra in Libia?”
Solo nella prima settimana di guerra, L’Italia , ha speso ben 12 milioni di euro, di cui 10 per l’aviazione ( e molti diranno : Alla faccia della crisi!)
Ma la cifra record è stata raggiunta dagli Stati Uniti d’America che hanno speso, solo nel primo giorno di guerra, ben 168 milioni e a questi vanno aggiunti i costi dell’aviazione, dei soldati e dell’armamentario.
Per rendere meglio l’idea sulla spesa dell’armamentario basta pensare al costo dei missili Tomahawk , ogni missile costa circa 1,4 milioni di dollari e nel primo giorno ne sono stati sparati ben 159 , per una spesa totale di 233 milioni di dollari statunitensi!
Inoltre vi chiederete : “Quanto costa mantenere un aereo ?”
Beh, un aereo militare F-15, per un’ora di volo, ha costi di manutenzione pari a 20516 dollari cifre stratosferiche insomma!
Ma la ciliegina sulla torta è sicuramente il costo per stabilire una “No-Fly zone” sulla Libia, la cifra si aggira tra i 150 milioni ai 250 milioni.
Attualmente il Pentagono rende noto che dagli Stati Uniti sono stati spesi ben 550 milioni di dollari, dall’inizio della guerra fino ad oggi, ovviamente i costi futuri aumenteranno questa cifra.
La crisi? Pare che al mondo interessi ben altro: IL PETROLIO!
Fonte:
http://www.ilgiornale.it/
http://www.embeddedagency.com/
http://www.agoravox.it/
http://www.pennabiro.it/
http://www.mondonews24.com/