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sabato 19 gennaio 2008

Mastella si è dimesso dalla carica di Ministro della Giustizia..Prodi premier assume i suoi incarichi ad interim!!!

Santa Maria Capua Vetere - Il ministro della Giustizia, Clemente Mastella (che è pure sindaco di Ceppaloni, provincia di Benevento), è indagato per sette reati tra cui concorso esterno in associazione per delinquere, abuso d’ufficio e concussione; sua moglie, Sandra Lonardo, presidente del Consiglio regionale della Campania, agli arresti domiciliari per tentata concussione; il suocero di uno dei loro figli in carcere. Ventitré arresti nell’Udeur campano, compresi il sindaco di Benevento Fausto Pepe, due assessori e altrettanti consiglieri regionali; interdetti il prefetto di Benevento, un giudice del Tar campano e un vigile urbano.
Il Guardasigilli, per il quale non sono state chieste misure cautelari, è citato in un centinaio di intercettazioni telefoniche dove appare intento a fare incetta di poltrone nei suoi territori e nelle istituzioni, dal Consiglio regionale fino a piccoli comuni.
L’ordinanza di 400 pagine, firmata dal gip Francesco Chiaromonte su richiesta della procura di Santa Maria Capua Vetere, ipotizza «un potere di controllo sulle attività degli enti pubblici e locali» fatto di corruzione, minacce, ricatti, connivenze, al quale Mastella «offriva un contributo concreto, specifico, consapevole e volontario». Conosceva «le iniziative intraprese dal Camilleri (consuocero e membro Udeur, ndr) e dai suoi complici nella realizzazione degli illeciti associativi». Indicava «le persone a cui rivolgersi “a suo nome”», prefigurava «le strategie comuni da adottare per consolidare il potere dell’Udeur». E alla guida di questa lobby che intrecciava politica e affari «consentiva alla associazione per delinquere in questione di rafforzarsi e conservare il potere di intervento sulle pubbliche amministrazioni».
Avrebbe brigato per insediare alla commissione Area sviluppo industriale di Benevento una persona di sua fiducia perché non gli avevano dato la presidenza dello Iacp di Benevento. Nomina ottenuta in virtù di «una strategia di pressione politica e amministrativa sul governatore della Campania, Antonio Bassolino»: il ministro da un lato scuoteva la giunta regionale con le ripetute minacce di dimissioni dei suoi uomini, e dall’altro avrebbe orchestrato «una campagna di stampa nella quale il Mastella strumentalmente attaccava il governatore in relazione alla gestione dei rifiuti».
Sempre il leader dell’Udeur, «in concorso con altri e con la moglie Alessandra Lonardo, ponevano in essere atti idonei a contrastare il direttore generale dell’ospedale San Sebastiano di Caserta»: secondo la Lonardo (dal 2005 presidente del Consiglio regionale), il dottor Annunziata «era da considerarsi “un uomo morto”» perché «non avrebbe recepito alcune indicazioni». Il manager sanitario non avrebbe cioè nominato i primari sollecitati dalla premiata coppia di Ceppaloni.
«Istigatore dell’associazione per delinquere», definisce Mastella il pm. Il ministro sarebbe intervenuto negli affari della Comunità montana del Taburno e perfino nella nomina dell’assessore ai Lavori pubblici di Cerreto Sannita, un paesino di quattromila abitanti. Poltrona conquistata dall’Udeur con la minaccia (agitata dai collaboratori di Mastella) di bloccare i finanziamenti regionali destinati al Piano di insediamento produttivo di Cerreto.
Ma sul ministro della Giustizia e sul suo entourage pesa anche un’altra inchiesta, condotta dal pm Donato Ceglie, su tonnellate di rifiuti tossici e liquami riversati nelle campagne di Ceppaloni. Un’associazione per delinquere simile a «una piovra tentacolare, un mostro fetido e immondo», per usare le parole del pm, che tocca persone vicine al ministro-sindaco, esponenti dell’Udeur, parenti di assessori comunali. Nell’inchiesta sono state arrestate 38 persone, in gran parte imprenditori accusati di aver avvelenato il sottosuolo campano, compresi terreni poi usati a scopo agricolo. Tuttavia le indagini del Nucleo operativo ecologico dei carabinieri punterebbero al livello delle collusioni istituzionali. «Questi trasporti di immondizia tossica - spiega al Giornale Nino Rossi, ex sindaco di Ceppaloni ora consigliere comunale dei Ds - e il loro sversamento nelle campagne sono avvenuti in un territorio sul quale l’amministrazione comunale doveva svolgere controlli».
Ricapitolando, Sandra Lonardo ai domiciliari per tentata concussione nel quadro dell'inchiesta sulla sanità campana che ha portato a 30 provvedimenti cautelari (23 sono membri dell'Udeur). Coro di solidarietà dai parlamentari. Secondo l'accusa, il Guardasigilli avrebbe costretto il governatore ad alcune nomine. E il sito anti-Mastella festeggia a champagne!!!
CRONOLOGIA DELLA GIORNATA DELL'INQUISIZIONE DI MASTELLA E DELL'UDEUR NEL SUD ITALIA:
I coniugi Mastella "sono assolutamente tranquilli e sereni perché la loro difesa è molto semplice". Lo ha assicurato Titta Madia, avvocato di Sandra Lonardo Mastella, moglie di Clemente, da oggi agli arresti domiciliari con l'accusa di concussione.
Lasciando l'abitazione dei coniugi Mastella a San Giovanni, frazione di Ceppaloni, l'avvocato ha dichiarato ai cronisti: "E' fondamentale informarvi che in questa inchiesta non c'è nemmeno una tangente, né uno scambio di denaro. Ci sono solo contrasti su delle nomine: questa è la sostanza dell'inchiesta e non intendo entrare nel merito delle contestazioni. Ci difenderemo in tribunale e nelle sedi proprie".
"Normalmente in queste inchieste così clamorose - ha insistito l'avvocato - si parla di tangenti, qui invece non ce n'è nemmeno l'ombra. Parlare di nomine imposte è improprio. Ci sono contrasti politici su delle nomine che accadono in qualsiasi consesso politico sia esso regionale, sindacale eccetera". L'avvocato ha quindi informato i cronisti che anche i due figli di Mastella si trovano nella villa con i genitori.

0RE 18.40 GLI ARRESTATI UDEUR SONO 23!
Terremoto giudiziario nell'Udeur. Sono 23 gli arresti eccellenti (4 in carcere, 19 ai domiciliari) ordinati dalla procura di Santa Maria Capua Vetere (Caserta) tra gli esponenti campani del partito del ministro della giustizia Clemente Mastella, a cominciare da quello della moglie, Sandra Lonardo Mastella, presidente del consiglio regionale della Campania, che si trova da oggi pomeriggio ai domiciliari nella sua casa di Ceppaloni (Benevento). È accusata di tentata concussione nei confronti del direttore generale dell'ospedale di Caserta. I carabinieri hanno eseguito ordinanze di custodia in carcere nei confronti di Carlo Camilleri, consuocero dei Mastella, che si trova però in ospedale a Benevento da ieri sera; Vincenzo Lucariello, difensore civico della Regione Campania, il cui telefono cellulare «bollente» ha messo in luce l'intreccio di affari della presunta lobby; Antonello Scocca e Domenico Pianese. Provvedimento restrittivo ma con il beneficio dei domiciliari per 19 indagati: Sandra Lonardo Mastella; il sindaco di Benevento, Fausto Pepe; Carlo Banco; Erminia Florenzano; l'assessore regionale al personale Andrea Abbamonte e quello all'ambiente Luigi Nocera; Francesco Cardone, i consiglieri regionali Ferdinando Errico e Nicola Ferraro; Nino Lombardi, presidente della comunità montana del Titerno; Angelo Padovano; Francesco Zaccaro, Antonio Barbieri; Letizio Napoletano; Paolo Budetta; Cristiana Fevola e Ugo Ferrara. Interdetto dall'ufficio di giudice del Tar Campania, Ugo De Maio; da quello di vigile urbano, Luigi Treviso; da prefetto di Benevento, Giuseppe Urbano.
L'indagine è basata su intercettazioni telefoniche disposte nell'ambito di una inchiesta che portò all'arresto nel giugno dello scorso anno dell'ex direttore generale della Provincia di Caserta, Antony Acconcia e di due consiglieri provinciali con le accuse di associazione per delinquere, corruzione, concussione, turbativa d'asta e falso in atti pubblici. «Le indagini, condotte dalla procura da circa un anno, hanno preso spunto da conversazioni telefoniche relative alla gestione degli appalti e servizi pubblici nella Provincia di Caserta e hanno consentito di far luce su un tessuto di illecito radicato nell'area politica, amministrativa e giudiziaria della Campania». Così scrive la procura di Santa Maria Capua Vetere in una nota che precisa alcuni contorni dell'inchiesta.
Poco prima che le venisse notificato l'arresto Sandra Mastella aveva escluso le sue dimissioni. Il suo portavoce ha aggiunto: «È tranquilla e serena con la sua coscienza. Ha piena fiducia nella magistratura per una vicenda che non ha al centro una dazione di denaro, ma solo una diversità di giudizi intorno a nomine». Ha poi ribadito il concetto parlando di «banali contrasti» che emergerebbero dalla lettura degli atti.

ORE 18,03 CONCUSSIONE A BASSOLINO!
Mastella sarebbe indagato per concussione al governatore della Campania Antonio Bassolino. L'ipotesi di reato ipotizzata farebbe riferimento alle trattative politiche per la nomina di dirigenti negli enti amministrativi campani.
Per tale vicenda Mastella e' indagato in concorso con il consuocero Carlo Camilleri e gli assessori dell'Udeur Luigi Nocera ed Andrea Abbamonte. In particolare avrebbero costretto Bassolino ad assicurare loro la nomina a commissario dell'Asi di Benevento di una persona ''liberamente designata da Mastella''.

ORE 17,50 INDAGATO MASTELLA!
Le agenzie battono un flash: indagato anche il ministro della giustizia Clemente Mastella nell' ambito dell'inchiesta condotta dalla procura di Santa Maria Capua Vetere che ha portato ai domiciliari la moglie.

ORE 17,41 BRACCIO DI FERRO, CAMERA SOSPESA!
La conferenza dei capigruppo di Montecitorio ha deciso una sospensione dei lavori fino a domattina alle 11, in attesa di una risposta da parte del governo sulle dimissioni del ministro della Giustizia. Prima di allora, alle 9,30 si terrà una nuova riunione dei capigruppo che riceveranno comunicazioni dal presidente del Consiglio.
La decisione è stata presa dopo un lungo braccio di ferro tra maggioranza e opposizione. Il centrodestra ha insistentemente chiesto la presenza del premier Romano Prodi per chiarire quanto sta accadendo, mentre la maggioranza ha chiesto tempo per lasciare modo al Guardasigilli di riflettere e affrontare la difficile situazione familiare dopo gli arresti domiciliari decisi nei confronti della moglie, Sandra Lonardo.

ORE 17,20 MARINI: PRODI IN SENATO!
"Abbiamo un ministro dimissionario che non ha ancora fornito le sue determinazioni finali. Il presidente del Consiglio ha respinto le sue dimissioni. Se esse verranno confermate, naturalmente inviteremo il presidente del Consiglio a intervenire in Senato. A oggi ci è sembrato che il rilievo della questione fosse tale da non lasciare senza dibattito politico questa assemblea".
Lo ha detto il presidente del Senato, Franco Marini, replicando all'intervento del capogruppo di Forza Italia, Renato Schifani, che aveva sollecitato la presenza del premier nell'aula di Palazzo Madama. Schifani ha detto che è inquietante e imbarazzante lo scenario delineato dal Guardasigilli nell'intervento di questa mattina alla Camera.
"Un ministro che dichiara di avere paura pone problemi che meritano una riflessione e un dibattito alla presenza dell'interno governo. Si rischia una frattura nel sistema Paese che merita un'analisi e una risposta da parte del presidente del Consiglio. Auspico che Prodi, senza nessuna venatura polemica, venga lui a sottoporsi al confronto in quest'aula. Le parole di Mastella sono pesanti e vanno tenute in considerazione perchè non è sufficiente un dibattito in questa maniera che si limiti al resoconto della giornata».

ORE 17,10 LA REAZIONE DI BEPPE GRILLO!
"La nostra immagine all'estero, tra la spazzatura, la moglie di Mastella e la solidarietà di Prodi è ormai compromessa". Beppe Grillo dedica un accenno al caso Lonardo nella sua battaglia sul blog ai finanziamenti all'editoria. ’Un piccolo passo dell’uomo, ma un grande balzo per l’umanita’’. Cosi’ in maniera caustica Beppe Grillo commenta le dimissioni del ministro Clemente Mastella dopo gli arresti domiciliari per tentata concussione in concorso della moglie Sandra Lonardo. Comunque ha aggiunto Grillo, raggiunto telefonicamente dall’Ansa: ’ho molte altre cose da dire sull’argomento. Le scrivero’ sul mio blog’.
"Anche le testate finanziate per stranieri e emigranti all'oscuro di quello che avviene nel nostro Paese, come l'arcinoto 'Polesani nel mondò o il Gruppo l'Espresso (1 milione 700 mila euro di contributi all'anno) potranno fare poco - ironizza il comico legando la vicenda di oggi alla polemica contro la 'Casta dei giornalì condotta insieme a Beppe Lopez - per cambiare la situazione".

ORE 16,11 PARLA IL PROCURATORE!
Mariano Maffei, procuratore della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere, ha definito ''disgustosa'' la polemica sollevata dal ministro della Giustizia Clemente Mastella oggi in Parlamento. Il magistrato ha detto che ''si riserva ogni azione nelle sedi competenti'' per le affermazioni di Mastella a seguito delle quali ipotizza ''calunnie ed offese alla mia reputazione''.

ORE 14,15 'VICINO A MIA MOGLIE!
Il ministro Mastella è irremovibile: "Ringrazio Prodi, ma devo stare accanto a mia moglie "

ORE 14,03 PRODI RESPINGE LE DIMISSIONI!
E' ufficiale, dopo le voci circolate tutta la mattina il premier ha deciso di respingere le dimissioni del Guardasigilli

ORE 13 BERLUSCONI: GRAVITA' INAUDITA!
"Quello che e' successo al Senatore Mastella e' di una gravita' inaudita. Mi dispiace per lui e per sua moglie Sandra e rinnovo a tutti e due l'espressione della piu' convinta ed affettuosa solidarieta' gia' espressa in Parlamento dall'onorevole Bondi a nome mio e di Forza Italia".
Lo afferma il leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi, che aggiunge: "Ma al di la' dell'aspetto umano c'e' un problema politico che e' ancora piu' grave. Il ministro della Giustizia ha detto oggi in Parlamento le stesse cose che dico io ormai da molti anni e che mi hanno fruttato gli attacchi non solo della magistratura, ma anche di tanta parte della maggioranza di governo".
Insomma, chiede l'ex premier, "che faranno e che diranno adesso questi signori davanti alla drammatica denuncia del Ministro della giustizia? La condividono? E come mai in Parlamento tutti hanno dato a lui la solidarieta' che non hanno mai dato a me? Era finta e solo a parole o nasceva dalla condivisione di quel giudizio e di quella denuncia?". E, poi, insiste Berlusconi, "che dicono il Presidente del Consiglio e il Governo della 'emergenza democratica', della 'giustizia ad orologeria', del 'pacchetto di mischia' e della 'trappola scientifica, mediatico-giudiziaria' denunciate in Parlamento dal loro Guardasigilli?".

ORE 13,26 UDEUR: DIMISSIONI IRREVOCABILI!
"Se come sembra Prodi respingerà le dimissioni, Mastella le confermerà". Lo dice ai cronisti il senatore dell'Udeur Tommaso Barbato che è stato riunito fino a pochi minuti fa con Clemente Mastella ed altri esponenti del partito alla Camera.

ORE 12,45 MASTELLA LASCIA MONTECITORIO!
Si è concluso nell'Aula di Montecitorio il dibattito sulle dimissioni del ministro della Giustizia, Clemente Mastella. Il Guardasigilli ha lasciato l'Aula con gli occhi lucidi e senza lasciare altre dichiarazioni ai cronisti che lo attendevano.
Quindi si è riunito nella sala del governo con i capigruppo dell'Udeur al Senato e alla Camera, Tommaso Barbato e Mauro Fabris, con tutti i deputati del Campanile e con il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Vannino Chiti.

ORE 12,40 SANDRA LONARDO INFLUENZATA!
"Frastornata, ma tranquilla, perchè in questi casi si è soli con la propria coscienza. E io sono tranquilla". Sandra Lonardo Mastella conferma all'Agi di non aver avuto notificato alcun provvedimento restrittivo che la riguardi, e di essere nella sua casa di Ceppaloni solo perchè «ho ancora un pò di influenza, brividi di freddo. Già questa mattina alle 7 avevo telefonato al vicepresidente del Consiglio regionale Mucciolo per chiedergli di presenziare alla conferenza dei capigruppo. Non vado in Consiglio, nonostante per un attimo, dopo queste notizie di stamani, avessi pensato di farlo. Ma non mi sento bene".

ORE 12,37 NO ALLE DIMISSIONI!
Romano Prodi sarebbe orientato a respingere le dimissioni di Clemente Mastella da Guardasigilli. Secondo quanto si apprende da fonti di governo, infatti, il presidente del Consiglio, anche alla luce degli orientamenti emersi dal dibattito parlamentare e le espressioni di stima e solidarietà giunte da maggioranza e opposizione, avrebbe intenzione di chiedere a Mastella di restare al suo posto.

ORE, 10,30, IL DISCORSO IN AULA!
Clemente Mastella si è dimesso. Con un commosso intervento alla Camera, il ministro della Giustizia ha annunciato le dimissioni in seguito al provvedimento deciso dalla Procura di Santa Maria Capua Vetere che ha disposto gli arresti domiciliari nei confronti di Sandra Lonardo Mastella, presidente del Consiglio Regionale della Campania e moglie del ministro della Giustizia Clemente Mastella.
Il gip che ha disposto il provvedimento, avrebbe ravvisato gli estremi di una tentata concussione in contrasti che ci sarebbero stati in passato con il direttore generale dell'ospedale di Caserta.
Ho resistito nel fortino", ha detto il guardiasigilli nel suo applaudito intervento a Montecitorio, ma ora che "toccano i miei affetti, la mia famiglia, mia moglie, getto la spugna". "E' la prima volta, confesso, che in vita mia ho paura", ha aggiunto, riferendosi a "colpi bassi e imprevisti", a un "concertato volume di fuoco per distruggere la tua persona, la tua dignità, i tuoi valori".
Mastella ha confessato di considerare "tutto irreale, innaturale, fuori da ogni logica che si componga con la vita politica fatta anche di scontri, di rivalse, di umori, di indicazioni, di raccomandazioni lecite solo per alcuni ordini, illecite per la classe politica". "Mi dimetto - ha aggiunto - perché tra l'amore per la mia famiglia e il potere scelgo il primo". Sandra Lonardo Mastella si è detta sconcertata per la notizia degli arresti domiciliari, ma serena. "Apprendo dalla televisione una notizia sconcertante, che sarebbero stati disposti gli arresti domiciliari nei miei confronti per tentata concussione. Mi sento assolutamente serena - dice il presidente del Consiglio regionale della Campania - non ho nulla da temere e fornirò all'autorità giudiziaria qualunque chiarimento che mi venga richiesto".
E ancora: "È stata ordita una trappola scientifica contro di me vile ed ignobile. Così come vile ed ignobile è stato prendere in ostaggio mia moglie a cui voglio un mondo di bene". "Mi dimetto per senso dello Stato". Clemente Mastella ha in faccia il segno della sconfitta quando annuncia -in aula alla Camera- che lui getta la spugna: "Lo faccio senza tentennamenti", perche' difficile (anche se "avrei potuto") restare al proprio posto "come un ministro della Giustizia che non riesce a difendere neppure la moglie" da "accuse balorde".
E dunque, via dal governo, "per aprire- Mastella lo promette- la questione fondamentale dell'emergenza democratica tra politica e magistratura". Gia', perche'- conclude il ministro citando Fedro- "gli umili soffrono quando i potenti si combattono".
In un altro passaggio il Guardasigilli spiega: ''Mi dimetto sapendo che un' ingiustizia enorme e' la fonte inquinata di un provvedimento perseguito con ostinazione da un procuratore che l' ordinamento giudiziario manda a casa per limiti di mandato e di questo mi addebita la colpa''.
''Colpa che invece - aggiunge Mastella - non ravvisa nell' esercizio domestico delle sue funzioni per altre vicende che lambiscono suoi stretti parenti e delle quali e' bene che il Csm e altri si occupino''.
"Ho provato, ho creduto, ho sperato che la frattura tra politica e magistratura potesse essere ricomposta, attraverso la dialettica, il confronto, il dialogo, l'incontro. Ma devo prendere atto che nonostante abbia lavorato giorno e notte per dimostrare la mia credibilità e la mia buona fede di interlocutore affidabie per il mondo della giustizia, oggi mi accorgo che sono stato percepito cime un avversario da contrastare, se non addirittura come un nemico da abbattere".


LA SOLIDARIETA' DI PRODI!
Il presidente del Consiglio, Romano Prodi, ha telefonato al ministro della Giustizia, Clemente Mastella, non appena appresa la notizia del provvedimento nei confronti della moglie del Guardasigilli, Sandra Lonardo. Nel corso della conversazione il premier ha espresso al leader del partito del Campanile la sua solidarietà per quanto avvenuto.


I COMMENTI POLITICI!
"Un gesto raro" di "grande responsabilità istituzionale e politica". Così il presidente dei senatori dell'ulivo Anna Finocchiaro commenta con i giornalisti le dimissioni del ministro della Giustizia Clemente Mastella, in seguito alla vicenda giudiziaria che ha coinvolto la moglie Sandra Lonardo. "Vorrei sottolineare un fatto: il provvedimento di cattura, annunciato questa mattina da una tv locale - osserva - non è stato notificato ancora all'interessata. C'è qualcosa che non funziona".
Il Pd esprime «solidarietà umana e politica» a Clemente Mastella e chiede al ministro Guardasigilli di «proseguire nel suo lavoro». Lo ha detto in aula alla Camera il vicesegretario del partito, Dario Franceschini, subito dopo l'annuncio delle dimissioni.
"L'Udc non abbandona la linea garantista: nessuno e' colpevole fino a sentenza definitiva, fiducia nella magistratura, chiamata ad accertare rapidamente le eventuali responsabilita'". Lorenzo Cesa, segretario nazionale dell'Udc, parte da questa premessa per dire: "Pur comprendendo la delicatezza della situazione, riteniamo che il ministro della giustizia, al quale esprimiamo la nostra piena solidarieta' -per ragioni di diritto e di responsabilita' istituzionale- non debba rimettere il proprio incarico".
"Esprimo la mia personale solidarieta' a Clemente Mastella per la vicenda che coinvolge la sua famiglia. Lo invito a non far mancare il suo apporto al lavoro del governo per il Paese". E' quanto afferma Vannino Chiti, ministro per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali, dopo aver appreso la notizia della vicenda giudiziaria che ha coinvolto la moglie del ministro della Giustizia, Clemente Mastella.

STORACE FUORI DAL CORO «Non è mai un bel giorno, quando una persona viene arrestata, ma La Destra non si associa alla solidarietà ipocrita sul caso della signora Mastella, che vede gareggiare chi teme per le sorti del governo e chi auspica la sua caduta». È quanto dichiara il segretario nazionale de La Destra, Francesco Storace. «Sappiamo tutti -prosegue- che Cesare deve essere al di sopra di ogni sospetto» rileva Storace «soprattutto quando governa l'amministrazione della giustizia. A maggior ragione deve valere per la moglie di Cesare. È evidente che se il magistrato ha sbagliato pagherà. Ma questo -conclude- non è un motivo per inquinare le decisioni della giustizia».

LA VICENDA GIUDIZIARIA!
Il Gip di Santa Maria Capua Vetere, a quanto apprende Apcom, ha disposto gli arresti domiciliari nei confronti di Sandra Lonardo Mastella, presidente del Consiglio Regionale della Campania e moglie del ministro della Giustizia Clemente Mastella.
Il Gip, secondo quanto si è appreso, avrebbe ravvisato gli estremi di una tentata concussione in contrasti che ci sarebbero stati in passato con il direttore generale dell'ospedale di Caserta. Un conflitto, quello fra la signora Mastella e il dirigente ospedaliero, che politicamente ha radici profonde: l'uomo era molto vicino ai Popolari-Udeur al momento della designazione mentre si è poi avvicinato al presidente della Provincia Sandro De Franciscis.
Il personaggio: Chi è la moglie di Clemente Mastella?
Alessandrina Lonardo, chiamata da tutti Sandra, è nata in una frazione di Ceppaloni, San Giovanni in provincia di Benevento il 9 marzo 1953. Dopo aver trascorso la sua infanzia e parte dell'adolescenza nel piccolo comune del beneventano si trasferisce con la famiglia, all'età di 12 anni, in America, a Oyster Bay, nell'isola di Long Island, New York.
Qui continua gli studi interrotti in Italia, ma i suoi contatti con l'Italia non si interrompono dal momento che dopo aver concluso il liceo americano consegue in Italia il diploma di scuola superiore e frequenta l'università 'Orientale' di Napoli dove si laurea in filosofia e contemporaneamente inizia a lavorare. Insegna inglese presso le scuole di formazione professionale della Regione Campania dove continua a ricoprire incarichi fino a raggiungere il ruolo di dirigente nel settore della sanità.
Nel 1975 sposa il compaesano Clemente Mastella. Dal matrimonio nascono due figli, Pellegrino ed Elio. In seguito la famiglia si arricchisce di una nuova presenza, Sascha, bimba che arriva dalla Bielorussia. Sandra Lonardo ha poi ricoperto l'incarico di presidente del consiglio di amministrazione del Comitato provinciale della Croce Rossa di Benevento.
Alla fine degli anni '90 è eletta vicepresidente nazionale della sezione femminile della Cri e nel 2003 viene nominata commissario straordinario della Croce rossa della Regione Campania e presidente del X Centro di mobilitazione Campania-Molise e Calabria.
Dal 2004 al 2005, in qualità di amministratore dell'azienda di cura, soggiorno e turismo di Capri organizza varie manifestazioni che vanno dalla cucina alla cultura. La sua esperienza politica, ufficialmente, inizia nel 2001 quando si candida alle politiche nel collegio di Capua Piedimonte Matese. Successivamente viene inserita nel listino del presidente della Regione Campania Antonio Bassolino e il 24 maggio del 2005 viene eletta presidente del Consiglio regionale della Campania. Carica che le viene riconfermata il 18 dicembre dello scorso anno.
Nel corso della primavera-estate 2006 le sono stati recapitati diversi proiettili in diverse missive arrivate via posta. Minacce firmate da una sedicente organizzazione terroristica. Il 13 luglio del 2006 subì un incidente automobilistico la cui dinamica non è stata mai del tutto chiarita.
ANCHE IL PRESIDENTE DELLA REGIONE SICILIA CUFFARO E' INDAGATO!!!

Il presidente della Regione Siciliana, Salvatore Cuffaro, e' stato condannato a 5 anni nel processo per le 'talpe' alla Dda di Palermo. La sentenza e' stata emessa dalla terza sezione penale del Tribunale, presieduta da Vittorio Alcamo. I giudici si erano ritirati in camera di consiglio alle 9.45 di mercoledi' scorso. Il tribunale ha escluso l'aggravante di aver favorito la mafia. A Cuffaro e' stata applicata anche la pena accessoria dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici. I pm avevano chiesto la pena di 8 anni. Condannato a 5 anni nel processo per le 'talpe' alla Dda, ma non per mafia, Salvatore Cuffaro annuncia che non intende dimettersi. "E' stata una giornmata drammatica, difficile, ma mi conforta che ora tutti sanno che non ho favorito la mafia. So che devo da domani mattina di buon'ora ora come sempre incontrero' la gente e alle 8 devo sedermi al mio travolo di lavoro perche' la Sicilia ha bisogno di un presidente che la faccia crescere", ha detto Cuffaro dopo la lettura del verdetto nell'aula bunker di Pagliarelli. Condannato, ma "confortato" dall'esclusione del reato di favoreggiamento della mafia, il presidente della Regione Siciliana, Salvatore Cuffaro, ringrazia i suoi avvocati e quanti lo hanno sostenuto: "Sono stato un cliente distratto e indisciplinato, ma un imputato modello. Abbraccio i miei difensori, per me sono stati dei fratelli. Senza di loro non so se ce l'avrei fatta. Ringrazio e abbraccio mia moglie i miei figli e i miei genitori e le centinaia di migliaia di suiciliani che mi hanno sostenuto e che hanno continuato fino alla fine a pregare per me".

Fonti: http://qn.quotidiano.net/ e http://www.agi.it/


martedì 15 gennaio 2008

Manifestazione dei giovani della Destra del 24 febbraio 2007 a Carrara!

A quasi un anno di distanza dalla seconda manifestazione storica di Destra a Carrara, riproponiamo uno dei tanti video-documentari di quella storica giornata!!!

domenica 13 gennaio 2008

Adriano Monti, uno dei pochi "capi" Golpisti ancora in vita, racconta alcuni retroscena dell'Operazione "Tora-Tora"!

Il mancato ministro degli Esteri del governo golpista si chiama Adriano Monti, fa il medico a Rieti, ed è un distinto signore sulla settantina. Quasi trentacinque anni dopo il fallimento che gli cambiò la vita, ha deciso di parlare. Ha detto molte cose interessanti. Per esempio, il nome di quello che, se il piano fosse andato in porto, sarebbe stato il capo del governo militare: Giulio Andreotti.
Ad indicarlo, secondo il testimone, fu la Cia, il servizio segreto americano. La scontata smentita di Andreotti, assieme a tutto il resto, è andata in onda, in seconda serata su Raitre alle 23,40 in una puntata de "La storia siamo noi", stagione televisiva targata anno 2005, di Giovanni Minoli, dedicata al "golpe Borghese", (dal nome del suo ideatore, il principe Junio Valerio Borghese) o anche "golpe dell'Immacolata" (i fatti si svolsero la notte tra il 7 e l'8 dicembre del 1970).
Definizioni che appartengono a una convenzione giornalistica e storiografica. Per la giustizia italiana, infatti, non si trattò d'un tentativo di colpo di Stato ma di «un conciliabolo di quattro o cinque sessantenni»: il 27 novembre del 1984, la corte d'assise d'appello di Roma mandò assolti un'ottantina di imputati tra generali, colonnelli e neofascisti, e mise la pietra tombale sul più pericoloso tra i tentativi d'annientare la democrazia italiana.
Se Adriano Monti avesse detto allora anche solo la metà di ciò che ha raccontato a Marco Marra, l'autore dell'inchiesta, le cose sarebbero andate diversamente. «Ero un tramite con certi ambienti internazionali - ha spiegato - e avevo l'incarico di verificare se questa nuova aura di presidenzialismo era gradita a certi ambienti». La "nuova aura di presidenzialismo" non era altro che il golpe. Gli "ambienti" erano gli Stati Uniti di Richard Nixon. A rappresentarli in Italia era Ugo Fenwich, un giovane manager industriale. Monti riuscì a diventarne amico e lo informò del progetto golpista che fu subito portato a conoscenza dell'ambasciata Usa e del dipartimento di Stato a Washington. Vicenda interamente documentata lo scorso anno da "Repubblica" con una serie di informative provenienti dagli archivi segreti americani.Il racconto di Monti, non solo conferma che "gli americani sapevano" ma rivela che, per ottenere il loro appoggio, il principe Junio Valerio Borghese utilizzò tutte le sue conoscenze e amicizie, anche quelle maturate dopo l'8 settembre del 1943 quando, con la sua Decima Mas, si era schierato accanto ai nazisti. Così il giovane medico reatino, che ambiva all'incarico di ministro degli Esteri del futuro governo golpista, fu inviato a Madrid e si incontrò nientemeno che con Otto Skorzeny, l'austriaco che, su incarico di Hitler, il 12 settembre del 1943 aveva liberato Benito Mussolini. Dopo quella spericolata operazione, Skorzeny era stato dichiarato "l'uomo pericoloso d'Europa". Ma, finita la guerra, al pari di tanti altri ex nazisti, era stato reclutato dai servizi americani come combattente anticomunista. Dunque, quando nel 1970 Monti lo incontrò in Spagna, era un agente della Cia.
«Gli chiesi - racconta il testimone - se poteva dare la conferma che da parte di certi ambienti dell'intelligence americana, si guardava con rispetto a un'iniziativa del genere. Dopo un ponderato pomeriggio d'attesa, la risposta fu "sì". A condizione che ci fosse un personaggio da loro indicato, un nome della politica italiana che doveva dare la garanzia. Avrebbe dovuto essere praticamente un presidente in pectore di questa specie di governo militare o paramilitare».
«Chi era?», domanda l'intervistatore. «Giulio Andreotti», risponde Monti.
«Strano... non immaginavo nemmeno queste forme insurrezionali... sono negato concettualmente. Mi sono sempre trovato bene nel sistema democratico». Un altro istante, ed ecco di nuovo Monti, che precisa: «Se lui fosse d'accordo, non lo so».
Quel che accadde la notte dell'Immacolata del 1970 è noto da tempo. Gli uomini del Fronte nazionale di Junio Valerio Borghese occuparono il Viminale e ne saccheggiarono l'armeria mentre circa duecento forestali sostavano a poche centinaia di metri dalla Rai di Via Teulada in attesa dell'ordine d'attacco. Era pronto anche il proclama alla nazione. Poi accadde un evento ancora misterioso. Qualcuno, mai si è saputo chi fosse, telefonò ai golpisti e ordinò la ritirata. Proprio un attimo prima che accadesse l'irreparabile: il sequestro del capo dello Stato, Giuseppe Saragat, e l'omicidio del capo della polizia, per compiere il quale erano giunti della Sicilia dei killer di Cosa Nostra. Ma questa circostanza emerse solo nel 1991, assieme al coinvolgimento di Licio Gelli. Si scoprì pure che solo una piccola parte del dossier di Maletti era stata mandata alla procura di Roma e che i nomi di alcuni alti ufficiali erano stati cancellati. Troppo tardi. Uno di loro, Giovanni Torrisi, aveva fatto a tempo a diventare capo di Stato maggiore della Difesa prima d'essere scoperto, assieme a molti altri golpisti dell'Immacolata, nelle liste della P2.
Comunque, l'8 dicembre del 1970 l'Italia si svegliò democratica e ignara. La prima notizia del tentato golpe fu data, circa tre mesi dopo, da "Paese Sera". Partì l'inchiesta giudiziaria. Il capo del servizio segreto, Vito Miceli, comunicò alla magistratura che le Forze Armate erano estranee alla vicenda. Ma, quattro anni, dopo proprio Andreotti inviò alla procura di Roma un dossier elaborato da un altro dei nostri spioni storici, Gian Adelio Maletti, dal quale emergeva che lo stesso Miceli era coinvolto nel piano. Scoppiò lo scandalo che si può immaginare. Nell'ottobre del 1974 Miceli fu arrestato, una ventina di alti ufficiali cambiarono incarico. Anche Adriano Monti finì in carcere e ci rimase fino alla primavera del 1975. Scarcerato per motivi di salute, lasciò l'Italia. E benché assolto per insufficienza di prove fin dal primo grado, per rientrare attese la Cassazione: dieci anni di volontario esilio. Poi altri venti di silenzio.



Il Senatore a vita Giulio Andreotti sarebbe dovuto stare a capo della nuova giunta militare dei Golpisti di Borghese?

A seguito della decisioni, nel 1999 e nel 2000, dell'allora presidente degli Stati Uniti, Bill Clinton, di desecretare documenti, fino a quel momento inaccessibili, custoditi dalla Central Intelligence Agency, meglio nota come Cia, e dal suo predecessore, l'Oss (Office of strategic services), alcune pagine della storia italiana, in questo dopoguerra, dovranno necessariamente essere riscritte.
Fra queste, anche il tentato colpo di Stato, nella notte fra il 7 e l'8 dicembre del 1970, organizzato dal "principe nero" Junio Valerio Borghese, al centro anche di una approfondita inchiesta nella trasmissione di RaiTre, "La storia siamo noi" condotta da Giovanni Minoli in una puntata della stagione televisiva del 2005.
In questa puntata, di particolare interesse, le confessioni di uno dei partecipanti al golpe, l'ormai settantenne Adriano Monti, ex medico di Rieti, in predicato di essere nominato, dai congiurati, nientemeno che ministro degli Esteri. Dal suo racconto, 35 anni dopo, squarci di luce su un avvenimento, che in Italia si cercò di far passare come il delirio inoffensivo di qualche ufficiale in pensione.
Un "colpo da operetta", si disse.
Spunto, non a caso, qualche anno dopo, anche di un divertente film, "Vogliamo i colonnelli", interpretato da Ugo Tognazzi.
Il consenso Americano: Ricostruendo i lunghi preparativi della notte di "Tora-Tora", così chiamata in codice dai golpisti, Adriano Monti, non solo ha testimoniato del consenso dato dagli americani al progetto, ma anche la condizione, da loro posta per aderirvi, e cioè la nomina a capo della giunta militare di Giulio Andreotti. Una rivelazione clamorosa, ma non così infondata.
Fu, infatti, proprio Giulio Andreotti nel 1974, in veste di ministro della Difesa, ad impegnarsi nella cancellazione dai dossier informativi, approntati dai Sid per la magistratura, i nomi degli alti ufficiali piduisti coinvolti nei piani eversivi di quella notte, tra gli altri, di Giovanni Torrisi, successivamente nominato capo di Stato maggiore della Difesa, ma anche dello stesso Licio Gelli, il cui incarico, si scoprì, consisteva nel rapimento, alla guida di un gruppo di armati, del presidente della Repubblica Giuseppe Saragat.
Nelle parole di Adriano Monti anche la storia degli incontri in Spagna con Otto Skorzeny, passato alla storia come il "liberatore" al Gran Sasso di Benito Mussolini, il 12 settembre del 1943, ma soprattutto uno degli organizzatori di "Odessa", la rete di salvataggio approntata nel dopoguerra dai criminali nazisti. Venne reclutato, ci dice Monti, dalla Cia come molti altri.
Non fu dunque un caso che al centro del tentato colpo di Stato, nella notte tra il 7 e l'8 dicembre, si trovasse una figura del calibro di Junio Valerio Borghese.Come ormai risulta dagli stessi documenti americani, l'ex- comandante della "Decima Mas", fu reclutato dagli Stati Uniti, ancor prima della fine della guerra, e successivamente utilizzato, insieme ad ex-appartenenti alle formazioni militari della RSI e agenti dell'Ovra, per operazioni "coperte".
La prima fu a Portella della Ginestra , il 1° maggio del 1947, dove squadre di ex-fascisti, unitamente a gruppi di mafiosi e ai banditi di Salvatore Giuliano, spararono, su una folla di contadini, uccidendo 11 persone e ferendone altre 57.
Dopo una lunga militanza nel Msi, dove ricoprì, negli anni '50, anche l'incarico di presidente del partito, la sua ultima creatura fu nel 1968 il Fronte Nazionale, in realtà un coordinamento delle principali organizzazioni della destra extraparlamentare, da Ordine Nuovo a Avanguardia Nazionale, in funzione del colpo di Stato.
Finanziato da alcuni non trascurabili settori imprenditoriali, soprattutto liguri, il Fronte Nazionale puntò, nel meridione, ad alimentare la rivolta di Reggio Calabria, dando vita, in particolare attraverso Avanguardia Nazionale, ad una campagna di attentati. Intensi anche i rapporti con la mafia siciliana e la 'ndrangheta calabrese, di cui si tentò anche un coinvolgimento nei piani golpisti. In anni recenti pentiti di queste organizzazioni criminali hanno anche svelato retroscena importanti, come la partecipazione il 22 luglio 1970 al deragliamento della "Freccia del Sud" (6 morti e 54 feriti), poco dopo l'inizio della rivolta di Reggio Calabria.
Tornando al golpe, secondo il rapporto della Questura di Roma, nella notte tra il 7 e l'8 dicembre 1970: «Alcune centinaia di individui erano stati concentrati nella palestra di Via Eleniana, nelle sedi del Fronte Nazionale, di Avanguardia Nazionale, di Ordine Nuovo, del movimento politico Europa Civiltà, in prossimità dell'abitazione di Reitano Antonio, esponente dell'associazione universitaria di destra Fronte Delta, nello studio commerciale di Rosa Mario (dove si trovava il "comando politico", ndr), nell'ufficio di Orlandini Remo, a Montesacro (dove si trovava il "centro operativo", ndr)».
L'operazione rientrò all'ultimo momento, quando già il Viminale era stato occupato dagli uomini di Alleanza Nazionale ed erano in marcia le colonne dei cospiratori, non solo a Roma, ma anche nel Lazio, oltre che in Liguria, Umbria e Veneto.
Diverse migliaia di persone, tra civili e militari.
Uno scenario ben diverso dal quel «conciliabolo di 4-5 sessantenni» che si cercò di accreditare anni dopo.
La Corte d'Assise di Roma ricostruì la vicenda in modo assai riduttivo, grazie soprattutto al ruolo svolto dal pm Claudio Vitalone. Si escluse che il piano avesse carattere nazionale.
Il golpe venne definito come un atto «iscritto in un disegno lucido» ma «velleitario», nonostante esponenti di Avanguardia Nazionale fossero penetrati, con il consenso dei Carabinieri, fin dentro il ministero degli Interni, impossessandosi di ben 200 mitra. Si evitò di collegare fra loro i diversi progetti eversivi, si pensi alla "Rosa dei Venti", e, soprattutto, si lasciò nel buio più completo il ruolo giocato dai servizi segreti ed i rapporti con le Forze Armate.
Inutile dire che, dopo aver fatto cadere il delitto di insurrezione armata contro lo Stato, le assoluzioni riguardarono la maggior parte degli imputati e le poche condanne comminate (per cospirazione politica e associazione a delinquere) furono assai miti.
La Corte d'Assise d'Appello nel novembre 1984 assolse comunque definitivamente tutti da ogni accusa. Il 24 marzo 1986 la Cassazione confermò definitivamente l'assoluzione generale.
Per la giustizia, il golpe Borghese non era mai avvenuto.
Il "principe nero" non venne mai processato, fuggito in Spagna nel marzo del 1971, quando in seguito all'inchiesta giudiziaria esplose la notizia del tentato golpe, morì nel 1974 in circostanze mai chiarite. Si parlò anche di un suo possibile avvelenamento.



Junio Valerio Borghese: il personaggio!

« In ogni guerra, la questione di fondo non è tanto di vincere o di perdere, di vivere o di morire; ma di come si vince, di come si perde, di come si vive, di come si muore. Una guerra si può perdere, ma con dignità e lealtà. La resa ed il tradimento bollano per secoli un popolo davanti al mondo. »
(Junio Valerio Borghese)




Junio Valerio Scipione Borghese (Roma, 6 giugno 1906Cadice, 26 agosto 1974) membro della famiglia Borghese, fu militare e politico italiano.
Ufficiale di Marina, durante la seconda guerra mondiale entrò a far parte della Decima Flottiglia MAS e si rese celebre per alcune audaci imprese nel Mediterraneo. Come comandante della omonima unità indipendente aderì alla Repubblica Sociale Italiana combattendo contro l'esercito anglo-americano e le formazioni partigiane. Al termine dell'attività bellica si arrese al Comitato di Liberazione Nazionale senza fuggire; fu arrestato per collaborazionismo.
Rimase in carcere fino al 1949, nell'isola di Procida. Nel dopoguerra alcuni sostengono che il Borghese costituì gruppi clandestini armati, in stretto collegamento con Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale, due organizzazioni di estrema destra. Nel 1970 fu tra i promotori di un tentativo di colpo di stato, il cosiddetto "Golpe Borghese", improvvisamente interrotto in circostanze tuttora non chiare.
Il Principe Junio Valerio Borghese nacque a Roma in una delle famiglie più blasonate della nobiltà capitolina. Di antiche origini senesi (ultimo ramo Borghese-Torlonia), con tre cardinali, un papa e la sorella di Napoleone Bonaparte (Paolina) fra i suoi rami araldici. Il padre di Junio Valerio era il principe Livio Borghese di Sulmona, principe di Rossano, principe di Vivaro, principe di Montecompatri, duca di Palombara, duca di Poggio Nativo e Castelchiodato; la madre era la principessa Valeria Maria Alessandra Keun.
Come conseguenza del fatto che il padre era un diplomatico, Junio trascorse i primi anni di vita in viaggio fra l'Italia e le principali capitali estere, soggiornando in Cina, Egitto, Spagna, Francia e Gran Bretagna.
Sposò a Firenze, il 30 settembre 1931, la russa Daria Wassilievna contessa Olsoufiev Schouvalov da cui ebbe quattro figli: Elena Maria Nives (nata a Roma nel 1932), Paolo Valerio Livio Wassili (nato a Roma nel 1933), Livio Giuseppe (nato a Roma nel 1940), Andrea Scirè (nato a Roma nel 1942).
Attratto dalla vita militare, nel 1922 venne ammesso ai corsi della Regia Accademia Navale, dalla quale uscì nel 1928 con il grado di guardiamarina; dovette comunque attendere quasi un anno per avere il suo primo imbarco, sull'incrociatore Trento. Nel 1930 venne promosso sottotenente di vascello e imbarcato su una delle torpediniere operanti in Adriatico; l'anno successivo frequentò il corso superiore dell'Accademia Navale, e nel 1932 venne trasferito ai sommergibili.
Dopo aver frequentato il corso di armi subacquee, nel 1933, promosso tenente di vascello, venne imbarcato dapprima sulla Colombo, quindi sulla Titano. Nonostante avesse nel frattempo conseguito i brevetti di palombaro normale e di grande profondità, fu solo nel 1935 che ricevette il primo incarico di sommergibilista, partecipando alla guerra d'Etiopia, dapprima imbarcato a bordo del sommergibile Tricheco, successivamente del Finzi.
Nel 1937 assunse, infine, il primo comando: con il sommergibile Iride prese parte alla guerra civile spagnola, venendo decorato l'8 aprile 1939 della medaglia di bronzo al Valor Militare per «... l'elevato spirito offensivo e le solide qualità professionali...» dimostrate nel corso delle operazioni. Trasferito successivamente presso la base di Lero, nel Dodecaneso, vi rimase fino all'entrata in guerra dell'Italia, il 10 giugno 1940.
Nelle prime fasi del conflitto, come comandante del sommergibile Vittor Pisani, prese parte alla battaglia di Punta Stilo e a una serie di falliti tentativi di forzare il porto di Gibilterra, tra il settembre e l'ottobre del 1940. Promosso capitano di corvetta, nel 1941 venne designato alla X Flottiglia MAS, dove assunse gli incarichi di comandante del sommergibile Scirè e di capo del reparto subacqueo: anche con il suo contributo vennero pianificati e realizzati i progetti per il forzamento delle rade di Gibilterra (20-21 settembre 1941) e Alessandria (18-19 dicembre 1941, operazione che condusse Il grave danneggiamento delle navi da battaglia inglesi Queen Elizabeth e Valiant), venendo per questo decorato con la medaglia d'oro al Valor Militare e all'Ordine militare di Savoia.
Il 1 maggio 1943, fu promosso capitano di fregata.
Immediatamente dopo l'armistizio dell'8 settembre costituì un reparto di volontari denominato Decima Mas (prendendo il nome della X Flottiglia Mas), riuscendo a concludere, il 14 settembre, un accordo con il Korvettenkapitän Max Berninghaus, comandante navale delle forze del Terzo Reich in Liguria, con il quale la neonata flottiglia venne riconosciuta quale unità combattente con piena autonomia in campo logistico, organico, della giustizia, disciplinare e amministrativo e battente bandiera italiana. Alla nascita, pochi giorni dopo, della Repubblica Sociale Italiana, la Decima Mas fu inserita nell'organico della Marina Nazionale Repubblicana, sebbene essa agisse di fatto in maniera del tutto autonoma. Nonostante i contrasti con i vertici politici e militare della Repubblica Sociale (contrasti che condussero al suo arresto con l'accusa di essere a capo di una congiura tesa a rovesciare il governo), le sue forze furono impegnate su tutti i fronti più importanti, a partire da quello di Anzio e Nettuno. Da notare che la X MAS e il Borghese stesso non furono mai "fascisti"[citazione necessaria] in quanto la prima era completamente indipendente e il secondo non ebbe mai la tessera del Partito Nazionale Fascista[citazione necessaria].
L'attività della X MAS non si limitò alle incursioni navali contro le forze nemiche, ma si estese alla costituzione di reparti di terra che assunsero al termine del conflitto le dimensioni di una vera e propria divisione di fanteria leggera. Tuttavia a causa dell'opposizione tedesca (che mal vedeva la ricostituzione di grandi unità italiane) la Divisione Decima (composta da due gruppi di combattimento) non poté mai entrare in azione come unità organica, ma fu frazionata in battaglioni usati dai comandi tedeschi sul fronte della Linea Gotica e poi del Senio. Una parte della Divisione (il Secondo Gruppo) era pronto per muovere sul confine orientale, per difendere Trieste e Fiume dall'avanzata degli jugoslavi, ma fu bloccato prima dai tedeschi e poi dal precipitare degli eventi nell'aprile 1945. I nazisti impiegarono la Decima anche in attività antipartigiane e rastrellamenti di civili nelle zone dove agivano i partigiani; in queste azioni si registrarono casi di tortura su prigionieri (sia partigiani che civili) e numerose esecuzioni sommarie. Gli ultimi reparti della divisione, decimati dagli attacchi inglesi, si arresero a nord di Schio (Veneto) il 2 maggio 1945.
Il regolamento della Decima è un interessante unicum nella storia militare italiana: prevedeva la totale uguaglianza fra ufficiali e truppa (panno della giubba uguale per tutti, pasti in comune), promozioni guadagnate solo sul campo, pena di morte per i marò colpevoli di furto, saccheggio, diserzione o vigliaccheria in faccia al nemico. Inizialmente i militari della Decima erano tutti volontari (frutto anche di un'efficiente opera di propaganda), provenienti dalle più diverse armi delle Forze Armate Repubblicane, compresi «disertori» di altre armi che si arruolavano illegalmente per poter raggiungere un fronte di guerra e combattere. Successivamente, però, si registrò un calo del numero di volontari e frequenti casi di diserzione, tanto che Borghese dovette appunto adottare misure estreme come la pena capitale per chi disertasse o anche fosse considerato "codardo"; per aumentare il numero degli uomini furono eseguiti arruolamenti forzati a seguito di azioni di rastrellamento degli abili.
Negli ultimi mesi del conflitto, Borghese avviò contatti con la Regia Marina al sud (ammiraglio De Courten) per favorire uno sbarco italo-alleato in Istria e salvare le terre orientali dall'invasione slava. Lo sbarco si sarebbe avvalso dell'appoggio delle formazioni fasciste e della Decima, con o senza il consenso tedesco. L'opposizione inglese fece fallire questo piano, in favore dell'invasione titina, che ebbe invece l'attivo sostegno della Royal Navy britannica.
Al termine del conflitto, dopo lo scioglimento formale della X MAS il 26 aprile 1945 a Milano, Borghese fuggì a Roma, aiutato dai servizi segreti americani, separando le proprie sorti da quelle degli altri esponenti della RSI e da quelle di molti suoi commilitoni, e trascorse un breve periodo alla macchia, venendo in seguito arrestato dalle autorità americane e trasferito al carcere di Cinecittà. Rilasciato in ottobre, venne nuovamente arrestato dalle autorità italiane e trasferito da un luogo di detenzione all'altro, in attesa dell'inizio del processo. Il 17 febbraio 1949, ritenuto colpevole di collaborazionismo con i nazisti, venne condannato a dodici anni di detenzione, ma fu subito scarcerato grazie alla protezione accordatagli dai Servizi segreti americani, con i quali era già in contatto da diversi mesi prima della fine della guerra.
Nel dopoguerra Borghese aderì al Movimento Sociale Italiano, di cui fu nominato presidente onorario nel 1951; inizialmente appoggiò Almirante, poi abbandonò il partito, che giudicava troppo debole, si avvicinò alla destra extraparlamentare e nel settembre 1968 fondò il Fronte Nazionale (Italia), allo scopo - secondo i servizi segreti - “di sovvertire le istituzioni dello Stato con disegni eversivi”.
Intanto nel 1963, forte dell'appoggio di settori economici di destra, era diventato presidente del Banco di Credito Commerciale e Industriale, poi acquisita dal "banchiere di Dio" Michele Sindona.
Nella notte tra il 7 e l'8 dicembre 1970 promosse un colpo di stato, avviato e poi interrotto, con la collaborazione di altri dirigenti del Fronte Nazionale, paramilitari appartenenti a formazioni dell'estrema destra e di numerosi alti ufficiali delle forze armate e funzionari ministeriali.
Le circostanze del fallimento sono tuttora oscure e controverse. Fu Borghese in persona a impartire il contrordine, ma si rifiutò di spiegarne le ragioni persino ai suoi più fidati collaboratori.
In seguito al fallimento del golpe, Borghese si rifugiò in Spagna dove, non fidandosi della giustizia italiana, che nel 1973 revocò l'ordine di cattura, rimase fino alla morte, avvenuta in circostanze sospette a Cadice, il 26 agosto 1974. Lo stesso anno Borghese era stato in Cile con il terrorista Stefano Delle Chiaie, per incontrare il generale Augusto Pinochet e il capo della polizia segreta cilena, Jorge Carrasco. È sepolto nella cappella di famiglia, nella Basilica di Santa Maria Maggiore, a Roma.

Onorificenze: Capitano di Corvetta M.M. Al comando del sommergibile Sciré - «Comandante di sommergibile, aveva già dimostrato in precedenti circostanze di possedere delle doti di ardimento e di slancio. Incaricato di riportare nelle immediate vicinanze di una munitissima base navale nemica alcuni volontari, destinati a tentarne il forzamento con mezzi micidiali, incontrava, nel corso dei reiterati tentativi di raggiungere lo scopo prefisso, le più aspre difficoltà create dalla violenta reazione nemica e dalle condizioni del mare e delle correnti. Dopo aver superato con il più assoluto sprezzo del pericolo e con vero sangue freddo gli ostacoli opposti dall'uomo e dalla natura, riusciva ad assolvere in maniera completa il compito affidatogli, emergendo a brevissima distanza dall'ingresso della base nemica ed effettuando con calma e con serenità le operazioni di fuoruscita del personale. Durante la navigazione di ritorno sventava la rinnovata caccia del nemico e, nonostante le dìfficilissime condizioni di assetto in cui era venuto a trovarsi il sommergibile, padroneggiava la situazione, per porre in salvo l'unità e il suo equipaggio. Mirabile esempio di cosciente coraggio, spinto agli estremi limiti di perfetto dominio d'ogni avverso evento.» Mediterraneo Occidentale, 21 ottobre-3 novembre 1940.




7 DICEMBRE 1970: "GOLPE BORGHESE" IN ITALIA! Chi e perchè fermò il tentativo quasi riuscito di sovvertire la Repubblica Italiana?

Con golpe Borghese (o golpe dei forestali) si indica un tentativo di colpo di Stato avvenuto in Italia nella notte del 7 dicembre 1970 (chiamata anche notte di Tora Tora, in ricordo dell'attacco giapponese a Pearl Harbor, il 7 dicembre 1941) ed organizzato da Junio Valerio Borghese, sotto la sigla Fronte Nazionale, in stretto rapporto con Avanguardia Nazionale. Borghese, conosciuto anche come il "principe nero", era un ex comandante della X MAS che dopo l'8 settembre 1943 aderì alla repubblica di Salò.Il golpe era stato progettato da diversi anni nei minimi particolari: dal 1969 erano stati formati gruppi clandestini armati con stretti rapporti con le Forze Armate. In accordo con diversi vertici militari e membri dei Ministeri, il golpe prevedeva l'occupazione del Ministero dell'Interno, del Ministero della Difesa, delle sedi RAI e dei mezzi di telecomunicazione (radio e telefoni) e la deportazione degli oppositori presenti nel Parlamento. Nei piani c'erano anche il rapimento del capo dello stato Giuseppe Saragat e l'assassinio del capo della polizia, Angelo Vicari. A tutto questo sarebbe stato accompagnato un proclama ufficiale alla nazione, che Borghese stesso avrebbe letto dagli studi RAI occupati. Ecco il proclama dittatoriale in forma breve:

« Italiani, l'auspicata svolta politica, il lungamente atteso colpo di stato ha avuto luogo [...]. Le forze armate, le forze dell'ordine, gli uomini più competenti e rappresentativi della nazione sono con noi; mentre, d'altro canto, possiamo assicurarvi che gli avversari più pericolosi, quelli, per intenderci, che volevano asservire la patria allo straniero, sono stati resi inoffensivi [...]. Nel riconsegnare nelle vostre mani il glorioso tricolore vi invitiamo a gridare il nostro prorompente inno d'amore: Italia, Italia, Viva Italia! »

Il piano cominciò ad essere attuato tra il 7 e l'8 dicembre 1970, con il concentramento nella capitale di diverse centinaia di congiurati, con azioni simili in diverse città italiane, tra cui Milano. All'interno del Ministero degli Interni iniziò anche la distribuzione di armi e munizioni ai cospiratori; il generale dell'Aeronautica militare italiana Giuseppe Casero e il colonnello Giuseppe Lo Vecchio presero posizione al Ministero della Difesa, mentre un gruppo armato della Guardia Forestale, di 187 uomini, guidato dal maggiore Luciano Berti si appostò non lontano dalle sedi televisive della RAI. A Milano, invece, si organizzò l'occupazione di Sesto San Giovanni tramite un reparto al comando del colonnello dell'esercito Amos Spiazzi.
Il golpe era in fase di avanzata esecuzione quando, improvvisamente, Valerio Borghese ne ordinò l'immediato annullamento. Le motivazioni di Borghese per questo improvviso ordine a poche ore dall'attuazione effettiva del piano non sono ancora certe e esenti da una possibile smentita. Secondo la testimonianza di Amos Spiazzi[1] il golpe sarebbe stato in realtà fittizio: immediatamente represso dalle forze governative, sarebbe stato ideato come scusa per consentire al governo democristiano di emanare leggi speciali, secondo un piano che sarebbe stato chiamato "Esigenza triangolo". Borghese, tuttavia, si sarebbe reso conto, o sarebbe stato avvertito della trappola e si sarebbe dunque fermato in tempo.

Gli italiani scoprirono il tentato golpe tre mesi dopo. Paese Sera titolò: "Piano eversivo contro la repubblica, scoperto piano di estrema destra". Il 18 marzo 1971 il sostituto procuratore di Roma Claudio Vitalone firmò i mandati di arresto con l'accusa di usurpazione dei poteri dello stato e cospirazione per il costruttore edile Remo Orlandini, Mario Rosa, Giovanni De Rosa, Sandro Saccucci, Giuseppe Lo Vecchio e Junio Valerio Borghese.
In seguito al fallimento del golpe, Borghese si rifugiò in Spagna dove rimase fino alla morte, avvenuta a Cadice il 26 agosto 1974, non rientrando in Italia neanche dopo che, nel 1973, fu revocato l'ordine di cattura spiccato nei suoi confronti dalla magistratura italiana.

Il 15 settembre 1974 Giulio Andreotti, all'epoca Ministro della Difesa, consegnò alla magistratura romana un dossier del SID diviso in tre parti che descriveva il piano e gli obiettivi del golpe, portando alla luce nuove informazioni. Il dossier fu redatto dal numero due del SID, il generale Gianadelio Maletti, che avviò un'inchiesta sulle cospirazioni mantenendolo nascosto anche a Vito Miceli, direttore del servizio. Aiutato dal capitano Antonio La Bruna, furono registrate le dichiarazioni di Remo Orlandini, quest'ultimo coordinatore per Borghese verso collegamenti all'estero e in Italia. Durante un colloquio, Orlandini fa il nome di Vito Miceli, come una figura coinvolta direttamente come Borghese. A questo punto Maletti è costretto a scavalcare Miceli e a parlare direttamente con Andreotti.
Miceli si giustifica affermando che doveva acquisire delle informazioni. Venne subito destituito insieme ad altri 20 generali e ammiragli, senza particolari spiegazioni.
La Magistratura fa partire altri 32 arresti, tra cui anche quello di Adriano Monti. Nel 1974 Monti nega tutto e viene scarcerato per motivi di salute. Immediatamente fugge all'estero e rimane latitante per 10 anni.
Nel 1991 si scopre che le registrazioni consegnate nel 1974 da Andreotti alla magistratura non erano la versione integrale. In origine Remo Orlandini faceva il nome di numerosi personaggi di spicco in ambito politico e militare, ma Andreotti ha recentemente dichiarato che ritenne di dover tagliare quelle parti per non renderle pubbliche, in quanto tali informazioni erano "inessenziali" per il processo in corso e, anzi, avrebbero potuto risultare "inutilmente nocive" per i personaggi ivi citati.
Le parti cancellate includevano il nome di Giovanni Torrisi, successivamente Capo di Stato Maggiore della Difesa tra il 1980 e il 1981; inoltre venivano fatti riferimenti a Licio Gelli e alla loggia massonica P2, che si doveva occupare del rapimento del Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat; infine si facevano rivelazioni circa un "patto" stretto da Borghese con alcuni esponenti della mafia siciliana, secondo cui alcuni sicari della mafia, in effetti presenti a Roma la notte tra il 7 e l'8 dicembre 1970, avrebbero ucciso il capo della polizia, Angelo Vicari. L'esistenza di tale patto sarebbe poi stata confermata da vari pentiti di mafia, tra cui Tommaso Buscetta;
Grazie alle rivelazioni di Tommaso Buscetta e di Antonino Calderone, emergeranno anche i legami tra il progetto golpista e l'organizzazione mafiosa. I due collaboratori hanno rievocato la vicenda nel corso del cd. "processo Andreotti". La loro audizione è stata riassunta in questi termini nella requisitoria dei Pubblici Ministeri Scarpinato e Lo Forte:

« Il primo a riferire la vicenda di queste trattative (già in data 3 dicembre 1984) è stato Tommaso Buscetta, il quale - anche in questo dibattimento, all'udienza del 9 gennaio 1996 - ha precisato che:
nel 1970 - nello stesso periodo di tempo in cui si svolgevano i campionati mondiali di calcio in Messico - egli si era recato a Catania insieme a
Salvatore Greco "cicchiteddu" (giunto appositamente dal Sud-America, ove soggiornava) per incontrare Giuseppe Calderone. Nell'occasione, entrambi avevano preso alloggio in casa di "Pippo" Calderone, il quale frattanto - in una villetta di San Giovanni La Punta - ospitava il latitante Luciano Leggio. Oggetto di questo incontro era la discussione della proposta di partecipazione ad un "golpe", avanzata dal principe Borghese; il progetto di "golpe" prevedeva un ruolo attivo degli affiliati all'organizzazione Cosa Nostra, a cui Tommaso Buscetta sarebbe stata affidata la "gestione" del territorio ricompreso nel mandamento di ciascuna famiglia mafiosa, per "calmare e far vedere al popolo siciliano che noi eravamo d'accordo, ognuno per la sua sfera di influenza che avevamo nelle nostre terre"; in contropartita del ruolo attivo di Cosa Nostra, il principe Borghese aveva offerto la revisione di molti processi in corso a carico di esponenti dell'organizzazione criminale, facendo un particolare riferimento al "processo Rimi" (si rammenti che, in quel momento, i due Rimi erano già stati condannati all'ergastolo anche in Appello). al progetto di "golpe" era interessata la Massoneria, e l'allora Capitano dei Carabinieri Giuseppe Russo - anch'egli massone - era informato del tentativo insurrezionale ed avrebbe avuto, anzi, il compito di arrestare il Prefetto di Palermo; il principe Borghese - in caso di accettazione della proposta di partecipazione al "golpe" da parte del vertice di Cosa Nostra - avrebbe richiesto un elenco di tutti gli uomini d'onore partecipanti alle operazioni golpiste o - in subordine - avrebbe voluto che durante l'insurrezione armata gli uomini d'onore si rendessero riconoscibili agli altri golpisti mediante una fascia di colore verde da portare al braccio; proprio queste ultime richieste del principe Borghese avevano indotto i partecipanti alla riunione di Catania (Buscetta, Leggio, Giuseppe Calderone, Salvatore Greco) a diffidare della proposta e ad esprimere disinteresse; tuttavia, poiché una delle contropartite all'intervento di Cosa Nostra offerte dal principe Borghese riguardava proprio la revisione del "processo Rimi", i convenuti avevano deciso di coinvolgere nella decisione definitiva Gaetano Badalamenti, ben consapevoli di quanto egli avesse a cuore la sorte del cognato Filippo e del di lui padre, già condannati all'ergastolo. Per questo motivo avevano stabilito di incontrare il Badalamenti a Milano, nei cui pressi egli si trovava in soggiorno obbligato; in occasione dell'incontro di Milano - al quale, insieme a Buscetta, avevano partecipato Salvatore Greco "Cicchiteddu", Salvatore Riina, Gerlando Alberti e Giuseppe Calderone - pure Riina aveva apertamente espresso il proprio dissenso. Al termine dell'incontro - nel quale si era convenuto di rifiutare l'offerta - alcuni dei partecipanti, tra cui lo stesso Buscetta, si erano allontanati con una vettura ed erano stati fermati ed identificati dalla Polizia, sfuggendo all'arresto perché muniti di documenti falsi (25 giugno 1970); tuttavia, la famiglia Rimi aveva autonomamente continuato ad interessarsi del progetto di "golpe", tanto che Natale Rimi - figlio di Vincenzo Rimi, a cui premeva la revisione del processo a carico del padre - era tra coloro che nella notte tra il 7 e l'8 dicembre del 1970 si erano recati a prendere le armi in una caserma militare di Roma; questo dettaglio era stato riferito al Buscettada da Gaetano Badalamenti; egli aveva saputo, comunque, del fallimento del tentativo insurrezionale, bloccato in extremis perché in quel giorno o in quel periodo c'era una flotta russa nel Mediterraneo ed agli americani questo non piaceva. Quindi era stata rimandata a nuova data, senza che poi più si fece, perché la flotta russa era presente nel Mediterraneo:
Le circostanze esposte da Tommaso Buscetta circa la connessione tra il "processo Rimi" e le trattative riguardanti l'eventuale partecipazione di Cosa Nostra al "golpe Borghese", sono state pienamente e analiticamente confermate dal collaboratore di giustizia Antonino Calderone, il quale - all'udienza del 17 settembre 1996 - ha riferito che: vi erano state varie riunioni tra gli esponenti di vertice di Cosa Nostra per valutare la proposta del principe Valerio Borghese di una partecipazione dell'organizzazione mafiosa al golpe (ci sono state tante riunioni… c'è stato anche il discorso del golpe Borghese, ne hanno parlato... Valerio Borghese voleva parlare con delle persone, esponenti della mafia della Sicilia… ne hanno parlato, ne hanno discusso e poi si è arrivato alla determinazione che qualcuno ci andava a parlare); suo fratello Giuseppe Calderone, all'uopo prescelto dall'organizzazione, si era quindi incontrato a Roma con il principe Borghese; questi voleva conoscere i nomi degli affiliati all'organizzazione, ed offriva in cambio la revisione dei processi di Rimi e di Luciano Leggio (Volevano i nomi... si è chiesto in contropartita che si dovevano fare la revisione dei processi di Rimi e di Luciano Liggio... E questo è stato accordato, dice: noialtri... facciamo la revisione dei processi; però, dopo che ci insediamo, non è che dovete continuare a fare dei reati, perché poi vi arrestiamo noialtri...); Quello che spingeva fortissimo era Gaetano Badalamenti (Gaetano Badalamenti avrebbe fatto il patto con il diavolo per potere risolvere questo processo di suo cognato e del padre di suo cognato... avrebbe fatto la "qualunque", ha schiacciato tutti i bottoni, voleva risolvere questo processo in qualsiasi modo e in qualsiasi maniera); ma anche tutta Cosa Nostra si muoveva intorno al processo Rimi;Le trattative non avevano avuto esito positivo; e tuttavia Natale Rimi aveva continuato a muoversi, aveva toccato tutte le pedine, si era fatto trasferire a Roma, ed aveva avuto un ruolo personale nel fallito golpe.
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Il 30 maggio 1977 cominciò il processo per il golpe a 68 imputati.
Remo Orlandini dichiarò che la notte dell'8 dicembre, dopo l'avvio dell'operazione, ricevette una telefonata da Borghese il quale gli ordinava di rientrare, ma il motivo del contrordine rimase sconosciuto.
Il ruolo di Adriano Monti fu invece quello di fare da "mediatore" per accertare il gradimento o meno del golpe in ambienti esteri. Grazie al Freedom of Information Act nel 2004 si è scoperto infatti che il piano di Borghese era noto al governo degli Stati Uniti. Monti era in collegamento con l'ambasciata americana attraverso Ugo Fenwich, il quale, subito dopo l'arresto di Monti, fuggì negli USA con un aereo appositamente preparato. Monti inoltre si recò a Madrid per incontrare il tedesco Otto Skorzeny (amico di Borghese), che aveva preso parte alla liberazione di Mussolini il 12 settembre 1943. L'incontro fu necessario per confermare l'"avallo" statunitense al golpe, che fu dato, a condizione però che fosse assicurato il coinvolgimento di un personaggio politico italiano "di garanzia". Il nome indicato fu quello di Giulio Andreotti, che sarebbe dovuto diventare una sorta di presidente "in pectore" del governo post-golpe. Monti tuttavia non seppe se Andreotti fosse al corrente dell'indicazione statunitense.
Venne accertato che la colonna delle guardie forestali, comandata dal capitano Berti, da Rieti si diresse verso Roma, arrestandosi sulla via Olimpica. Questa marcia fu in seguito giustificata come "una coincidenza".
Il processo per il fallito Golpe si concluse in secondo grado in Corte d'Assise d'appello il 29 novembre 1984 con una complessiva assoluzione. I giudici disponevano l'assoluzione di tutti i 46 imputati ("perché il fatto non sussiste") dall'accusa di cospirazione politica, aggiungendo che tutto ciò che era successo non era che il parto di un "conciliabolo di 4 o 5 sessantenni". La sentenza, riformando completamente la decisione di primo grado, si limitava, per il resto, a ridurre le condanne che erano state inflitte nel luglio del 1978 ad alcuni imputati minori per il reato di detenzione e porto di armi da fuoco.

Approfondimenti: Il giornalista Mauro De Mauro avrebbe scoperto il piano dei Golpisti, si presume che l'estrema Destra avrebbe chiesto la sua uccisione direttamente ai clan Mafiosi per evitare il divulgamento della notizia, notizia che avrebbe mandato a monte il progetto eversivo! ( Per leggere gli approfondimenti sui legami Golpisti-Mafiosi clicca su "GOLPE BORGHESE" )

Fonti: "La Storia siamo Noi - Il golpe Borghese" di Marco Marra - Trasmissione televisiva: Rai - 5 dicembre 2005 da http://it.wikipedia.org/




sabato 12 gennaio 2008

Cassonetti su Al Jazeera. L'Italia in mondovisione è roba da terzo mondo!!!

L'emergenza rifiuti a Napoli finisce sulle televisioni di tutto il pianeta!

CAMPANIA - Eravamo campioni di tv spazzatura, adesso solo di spazzatura. Un bel biglietto da visita! Le immagini dell'Italia che i telegiornali di tutto il mondo stanno mandando in onda riguardano la rivolta contro la riapertura della discarica di Pianura. Si vedono roghi, montagne di immondizia per le strade di Napoli, cariche di polizia e sassaiole, ambulanze, un autobus in fuoco. Persino Al Jazeera, versione inglese, ci ha trattato come meritiamo.
Il bello (il brutto) è che le immagini di Napoli erano accostate, per uno strano destino, a disastri naturali, a inondazioni, ai grandi slum di Nairobi, le baraccopoli sorte sulle montagne di rifiuti. Dobbiamo rassegnarci: nella rappresentazione giornalistica internazionale rischiamo di apparire come un Paese del «terzo mondo», ammesso che questa definizione abbia ancora senso, un Paese che si fa sommergere e opprimere dai rifiuti, un Paese che un tempo dettava stili di vita e che ora naviga nell'immondizia.Al Jazeera è la tv satellitare pan-araba che trasmette 24 ore su 24, come la Cnn. La sua sede è a Doha, capitale del piccolo emirato del Qatar; qualche anno fa è diventata all'improvviso famosa per aver trasmesso l'appello di Osama Bin Laden alla «guerra santa» contro gli Usa. Adesso possiede una rete in inglese: significa che è importante non solo per i Paesi arabi. E noi su Al Jazeera, come su altre all news, ci siamo finiti per la nostra incapacità di risolvere un problema vitale come quello del pattume: «Naples residents riot over rubbish», è rivolta a Napoli per i rifiuti. Sul sito di Al Jazeera, in coda alla descrizione della guerriglia, sono riportate sia le preoccupazioni del presidente Giorgio Napolitano che quelle di Romano Prodi: «Everybody's watching us, and I don't want Italy to give off this negative image». È proprio così: tutti ci vedono, persino nei Paesi arabi, e l'immagine che l'Italia offre di sé è negativa. Ed è la cosa più triste, infelice, dannosa che potessimo fare: fornire lo qualche spettacolo avvilente di un Paese che non è più in grado di smaltire i suoi rifiuti. A corredo della notizia, Al Jazeera propone la connessione con due vecchie vicende riguardanti mafia e camorra. Bingo! In questi anni, qualche bello spirito ha pensato che tutti i problemi potessero essere risolti in termini d'immagine, di apparenza, di moda.
Sottovalutando un po' il reale. Che ogni tanto scuote il corpaccione e si prende le sue rivincite. Così, all'immagine che vorremmo dare di noi, si sostituisce l'immagine che gli altri hanno di noi.Tempo fa, descrivendo Rai International sottolineavo l'aria di provincia e di mestizia che spira da quel canale. Rai International è l'immagine della Rai all'estero ma soprattutto è l'immagine globale del nostro Paese perché è l'unico canale di cui disponiamo nel mondo. Non siamo nemmeno in grado di sottotitolare in inglese il Tg1. Temo però che la situazione sia ancora più grave: la modestia della nostra tv riproduce bene l'emergenza attuale del nostro Paese. L'emergenza spazzatura, appunto.

Fonte: Aldo Grasso da www.ilcorriere.it

Primarie Usa, si riparte dal Michigan...

New York - La riscossa di Hillary Clinton e di John McCain ha riaperto completamente i giochi per la corsa alla Casa Bianca al punto che non è scontato che la partita si possa chiudere nel "super-martedi" elettorale del 5 febbraio, quando si voterà in 22 Stati tra i quali California, New York e New Jersey. L’attenzione per adesso è puntata sulle primarie del Michigan di martedì prossimo; sui caucus del Nevada (il 19 gennaio) e soprattutto sulle primarie della Carolina del Sud, il 26 gennaio, che hanno un valore importante perchè sono le prime nella parte meridionale degli Stati Uniti.
In Michigan, la sfida repubblicana assumerà un significato particolare: McCain vi vinse nel 2000, Romney vi è cresciuto quando era figlio dell’allora governatore; il pastore battista Mike Huckabee, potrebbe farvi incursioni grazie al voto dei cristiani evangelici. Nel South Carolina (dove i repubblicani voteranno per le primarie il 19 gennaio; e i Democratici il 26) potrebbe essere un banco di prova per entrambi i fronti.
McCain punterà alla vittoria perchè fu proprio in quello Stato che le sue aspirazioni presidenziali naufragarono otto anni fa. Inoltre nel nel South Carolina vi è un forte blocco di religiosi conservatori che potrebbero appoggiare l’outsider Huckabee. I Democratici voteranno prima il 19 nel Nevada, primo dello Stato dell’Ovest a votare (dove potrebbe cercare un’affermazione Bill Richardson, che è stato governatore del del vicino New Mexico); e poi, il 26, nel South Carolina, dove Obama parte avvantaggiato dal fatto che oltre la metà dei votanti del suo partito sono afro-americani.
John Edwards, ex senatore del vicino North Carolina, arrivato secondo nell’Iowa e terzo nel New Hampshire, tenterà lì una rimonta. Dopodichè, alla vigilia del ’super-martedì rimarrà, oltre alle primarie repubblicane nel Maine, solo la Florida, su cui ha concentrato tutti i suoi sforzi Rudy Giuliani. All’indomani del 5 febbraio, i repubblicani avranno scelto 1.258 delegati e i democratici 2,238, ovvero più della metà di quelli che siederanno nelle convention di Denver (dal 25 al 28 agosto per il partito dell’Asinello) e di Minneapolis (dal 1 al 4 settembre per quello dell’Elefantino), per scegliere i candidati alla corsa per la Casa Bianca.
Intanto il governatore del New Mexico Bill Richardson si ritira dalla corsa per la nomination democratica alla presidenza dopo i cattivi risultati nelle prime contese. Lo hanno riportato ieri media nazionali.
Richardson, che puntava a diventare il primo presidente ispanico, ha avuto solo il 5% nelle primarie democratiche in New Hampshire, arrivando quarto dopo Hillary Clinton, Barack Obama e John Edwards.
Anche in Iowa aveva ottenuto un cattivo risultato.
L'annuncio del ritiro dovrebbe arrivare oggi, secondo i media che citano fonti informate.
La Cnn, citando uno stratega dello staff, ha detto che sono i numeri la ragione. "Non ci sono abbastanza voti, non ci sono abbastanza soldi".

ITALIA-CINA

ITALIA-CINA
PER L'ALLEANZA, LA COOPERAZIONE, L'AMICIZIA E LA COLLABORAZIONE TRA' LA REPUBBLICA ITALIANA E LA REPUBBLICA POPOLARE CINESE!!!