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venerdì 15 luglio 2016

COSA SI NASCONDE DIETRO IL FALLITO GOLPE CONTRO ERDOGAN? LA TURCHIA STA ANDANDO VERSO UN ISLAMIZZAZIONE DI MASSA FORZATA? "RIVOGLIAMO VLAD TEPES L'IMPALATORE DEI TURCHI MUSSULMANI...EVVIVA IL CONTE DRAKULA!!!" #ISIS #nizza #Francia #estremismoislamico #attentato #corano #Golpe #ColpodiStato #Turchia #Erdogan #Ankara #Turkey

Turchia verso l'Islamizzazione forzata di massa?

5 risposte sul tentato colpo di stato in Turchia: Perché c'è stato, intanto, e perché è fallito? E con chi sta la popolazione turca?

C’è ancora molta incertezza dopo il fallito colpo di stato in Turchia nella notte tra venerdì e sabato. Il governo dice che tutti i partecipanti sono stati arrestati, che 265 persone sono morte e più di mille sono rimaste ferite e che nella repressione governativa dopo il fallimento migliaia tra militari e magistrati sono stati arrestati o rimossi dal loro incarico. Il tentativo di golpe, nonostante sia arrivato a sorpresa, ha delle radici nel difficile rapporto tra il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e l’esercito turco, l’unico vero rivale alla sua autorità nel paese. Il tentato colpo di stato e la successiva risposta del governo racconta in generale molte cose della difficile situazione politica turca, e della gestione del potere portata avanti da Erdogan negli ultimi anni.
Perché c’è stato un colpo di stato?
Come ha scritto Jeremy Bowen, caporedattore per il Medio Oriente di BBC: «Il colpo di stato è avvenuto perché il paese è profondamente diviso sul progetto del presidente Erdogan di cambiare il paese, e a causa dell’influenza della guerra civile siriana». Nel loro primo comunicato, i leader del golpe avevano detto che la loro operazione era dettata dalla necessità di fermare la deriva autoritaria e l’islamizzazione del paese voluta da Erdogan. I golpisti hanno anche parlato dell’incapacità suo governo di prevenire attacchi e attentati, come quello avvenuto lo scorso giugno all’aeroporto Ataturk di Istanbul.

L’esercito turco ha sempre avuto un ruolo molto rilevante nella vita pubblica del paese, e nella storia recente è intervenuto in maniera diretta per tre volte per rovesciare i governi in carica: nel 1960, nel 1971 e nel 1980. L’esercito turco è considerato il guardiano della costituzione laica del paese e in genere è intervenuto per garantire l’ordine costituito da minacce vere o presunte, come l’affermarsi di partiti o movimenti di ispirazione islamista o di sinistra radicale. Spesso, i periodi di massima influenza dell’esercito sulla vita pubblica hanno coinciso con campagne di arresti degli oppositori, sparizioni e omicidi politici, in maniera non troppo differente da quelle sperimentate dai regimi militari sudamericani. Fino a pochi anni fa, l’esercito turco era di fatto un corpo indipendente dal resto dello stato, solo formalmente sottoposto alla supervisione del governo civile. Con l’arrivo di Erdogan, il politico turco di gran lunga più abile e popolare della sua generazione, la situazione ha iniziato a cambiare.
Al momento non sappiamo ancora molto delle personalità e delle motivazioni degli ufficiali che hanno organizzato il golpe di venerdì, ma sono state fatte diverse ipotesi. Una delle più diffuse è che Erdogan si stesse preparando a un nuovo giro di epurazioni e sostituzioni e che quindi i golpisti abbiano tentato di anticiparlo, mettendo in atto un colpo di stato in maniera sbrigativa e raffazzonata. È una tesi che al momento non è sostenuta da nessuna prova certa, ma che si basa su un paio di indizi: il primo è che il colpo di stato è stato eseguito in maniera molto approssimativa, il secondo è che a meno di 24 ore dall’inizio del golpe, Erdogan aveva già ordinato l’arresto o la rimozione di migliaia di magistrati e ufficiali non direttamente coinvolti nelle operazioni militari, il ché lascia supporre che gli elenchi dei sospetti fossero già stati compilati.
Perché il colpo di stato è fallito?
La prima ragione sembra essere che al golpe ha partecipato solo una piccola frazione delle forze armate turche, qualche migliaio di soldati, forse 2.000, ha scritto Edward Luttwak su Foreign Policy. Si tratta di un numero chiaramente insufficiente per prendere il controllo di un intero paese. Luttwak, un commentatore popolare e controverso anche sui media italiani, è considerato un esperto di colpi di stato e per la Harvard Press scrisse nel 1968 un “Manuale pratico” per golpe che è diventato un classico tradotto in 16 lingue e ripubblicato in un’edizione aggiornata proprio quest’anno. Secondo Luttwak l’operazione di venerdì notte, più che un golpe, è sembrata una rivoluzione: un’azione avventata da parte di un pugno di ufficiali che speravano di ottenere l’appoggio della popolazione e del resto delle forze armate dopo una rapida vittoria. L’idea che più di un golpe si sia trattato di una rivoluzione sembra spiegare almeno parte dei numerosi errori compiuti dai golpisti.

Il primo è stato quello di colpire durante la sera, intorno alle 21, quando tutti di solito sono ancora svegli. Solitamente, i colpi di stato avvengono a notte fonda, con le truppe e i carri armati che occupano i luoghi strategici e arrestano i leader rivali prima che qualcuno abbia la possibilità di reagire. Attaccando così presto, i militari hanno dato la possibilità a Erdogan di richiamare i suoi sostenitori in strada e di organizzare un contrattacco. Al contrario, per provocare una rivoluzione non avrebbe senso colpire a notte fonda. Un altro errore dei golpisti è che non sono riusciti ad arrestare o neutralizzare nessuna delle figure chiave del governo.
Il resort dove si trovava Erdogan, nella città meridionale di Marmaris, è stato effettivamente attaccato, ma il presidente era già fuggito. Il primo ministro Binali Yildirim ha potuto annunciare il colpo di stato in televisione senza alcun ostacolo e ha continuato tutta la notte a scrivere su Twitter. Quasi nessun importante leader dell’AKP, il partito di Erdogan, è stato bloccato. L’unico successo su questo fronte è stato l’arresto del capo di stato maggiore dell’esercito, ad Ankara. Parte di questi fallimenti è probabilmente dovuta al fatto che i congiurati disponevano di troppi pochi soldati per portare a termine tutti i loro obbiettivi.
Perché molti dicono che è stata una montatura?
Insieme e quasi contemporaneamente alle notizie sullo svolgimento del golpe, qualcuno ha sostenuto che fosse stato organizzato dallo stesso Erdogan per aumentare il suo potere. Una premessa: in Turchia, un po’ come succedeva all’Italia degli anni Settanta-Ottanta, quando avviene una strage o un attentato, in molti vedono la mano dello stato. Secondo molti commentatori, in Turchia esiste uno “stato profondo”, cioè una rete parallela fatta da polizia e servizi segreti, incaricata di compiere attacchi e altre operazioni per giustificare misure repressive. La bomba alla marcia per la pace di Ankara, in cui lo scorso ottobre furono uccise più di cento persone, inizialmente fu imputata da molti agli agenti dello “stato profondo”. È abbastanza normale, quindi, sentir parlare oggi di “false flag”, cioè di montatura.

La Turchia, in effetti, è uno dei pochi paesi al mondo dove situazioni del genere sono effettivamente plausibili. Negli ultimi anni sono emersi diversi scandali in cui il governo turco ha dimostrato di essere spregiudicato nel perseguire i suoi fini. I servizi di intelligence, per esempio, hanno organizzato spedizioni segrete di armi a gruppi di estremisti islamici in Siria, mentre lo stesso Erdogan è stato registrato mentre parlava della possibilità di organizzare un “incidente” in modo da aver una scusa per invadere la Siria senza sembrare l’aggressore.
Ci sono molti elementi, però, che spingono a trattare questa ipotesi con estrema prudenza. L’assunto alla base di questa teoria che Erdogan fosse a conoscenza del complotto, che sapesse che c’erano dietro soltanto pochi ufficiali e che quindi li abbia lasciati fare, sapendo di poterli sconfiggere e quindi di ottenere i benefici politici. Si tratta di un atteggiamento spericolato, ai limiti dell’incoscienza. Una volta avuta notizia di un golpe, è molto difficile avere la certezza che sarà portato avanti soltanto da un pugno di militari e che il resto dell’esercito resterà nelle caserme, come è avvenuto nella notte tra venerdì e sabato. Ed è altrettanto difficile prevedere con certezza da che parte si schiererà la popolazione. In passato è già accaduto che tra i militari si spargesse l’idea di un colpo di stato e la reazione di Erdogan è sempre stata la repressione immediata.
La popolazione è dalla parte di Erdogan? Erdogan è senza dubbio il leader più popolare nella storia recente della Turchia e alle recenti elezioni di novembre il suo partito è nuovamente riuscito ad ottenere la maggioranza assoluta dei seggi in parlamento. Ma come molti leader carismatici, la sua figura è molto divisiva. Erdogan gode di un ampio consenso nella Turchia rurale, a Istanbul e tra i conservatori religiosi, mentre è osteggiato dalla sinistra, dai sindacati, dalla popolazione urbana della costa occidentale e da una parte significativa della minoranza curda. I suoi oppositori criticano le sue tendenze autoritarie, la repressione della libertà di stampa e della magistratura e la guerra contro le milizie curde del PKK, brutalmente condotta nel sudest del paese.
Già dalle prime ore del golpe, però, i partiti di opposizione, compreso il curdo HDP, si sono schierati contro i militari, così come hanno fatto anche numerosi attivisti e altri oppositori, che pure negli anni scorsi erano scesi in piazza contro il governo e avevano subito la repressione violenta delle forze di polizia. Nella notte di venerdì ci sono state alcuni episodi di apprezzamento per i militari, con applausi e grida di incoraggiamento, ma la stragrande maggioranza degli oppositori è rimasta a casa. A scendere in piazza sono stati i sostenitori di Erdogan.
La loro organizzazione è stata uno degli elementi che più hanno sorpreso gli analisti. Alle 23 e 30 di venerdì, Erdogan si è collegato con CNN Turkey tramite un’app per videochiamate del suo smartphone e ha chiesto alla popolazione di scendere in piazza per sostenere il suo governo. In quel momento, a molti è sembrata una mossa disperata, ma nel giro di pochi minuti le moschee di Istanbul hanno iniziato a chiamare in piazza i fedeli e in poco tempo le strade si sono riempite di sostenitori del governo. Tra loro era praticamente impossibile vedere delle donne, e moltissimi uomini avevano barbe e baffi – di solito evitati dai turchi con convinzioni più secolari – e cantavano slogan religiosi. I manifestanti, con l’appoggio delle forze di polizia, hanno disarmato moltissimi militari, che in molti casi si sono rifiutati di aprire il fuoco sulla folla. Ci sono state eccezioni, a Istanbul, dove per ore i militari hanno sparato per tenere lontano la folla, soprattutto in aria, ma causando anche morti e feriti. Quando all’alba il presidio si è arreso, diversi militari sono stati linciati dalla folla.
Cosa succederà ora?
Al momento Erdogan sta portando avanti delle vaste epurazioni nei confronti degli apparati dello stato che non ritiene ancora completamente fedeli, in particolare esercito e magistratura. Secondo tutti gli esperti, Erdogan uscirà dal golpe con un controllo ancora più saldo sul paese. L’esercito, fino a oggi l’unico rivale alla sua autorità, sarà ulteriormente ridimensionato. La successiva prevedibile instabilità, però, potrebbe finire con il danneggiare ulteriormente la situazione economica turca, già in difficoltà da un anno, e questo, nel medio periodo, potrebbe iniziare a far diminuire il consenso di cui gode Erdogan.

Nel breve termine, c’è sostanzialmente una questione ancora aperta: quella della base di Incirlik, nel sud della Turchia. È un’installazione militare dove si trovano numerosi soldati americani che operano le missioni di bombardamento contro l’ISIS, in Siria. La base, al momento, è isolata e la corrente è stata scollegata (la base comunque è dotata di generatori autonomi). Ufficialmente, la motivazione dell’isolamento della base è il timore che possa essere utilizzata dai golpisti, ma in molti sospettano che la vera ragione sia una rappresaglia nei confronti degli Stati Uniti, con i quali le relazioni sono peggiorate da mesi.
Secondo alcuni esponenti del governo turco, gli americani sarebbero i veri organizzatori del golpe. Erdogan non ha ancora detto niente di così grave, ma ha chiesto agli Stati Uniti di estradare Fethullah Gülen, un religioso che vive da anni in esilio autoimposto in Pennsylvania. Negli anni, Erdogan ha accusato Gülen di ogni sorta di complotto nei suoi confronti e nella retorica del presidente il religioso appare spesso un capro espiatorio per tutti i problemi della Turchia. Gli Stati Uniti hanno chiesto di fornire prove del coinvolgimento di Gülen nel colpo di stato e hanno respinto ogni accusa di aver avuto a che fare con i golpisti. Nel pomeriggio di domenica, la base è tornata quasi alla normalità, anche se la corrente non è ancora stata riallacciata. L’incidente, ha mostrato comunque a che livello di tensione siano arrivati i rapporti tra i due alleati.



Il fallimento del golpe in Turchia, con tutte le debolezze infine palesate dai congiurati, ha indotto molti a credere in una messinscena operata dallo stesso Presidente Erdoğan, che ora dovrebbe beneficiarne in termini di popolarità e nuove occasioni d'epurazione. Quest'ipotesi ha trovato spazio anche nel "Corriere della Sera" grazie a un intervento di Antonio Ferrari. Rimane tuttavia più facile credere a un golpe genuino ma mal congegnato, piuttosto che a un'ardita ed elaborata macchinazione di Erdoğan. In assenza di prove più consistenti per la teoria del complotto, il rasoio di Occam suggerisce di tenere per buona la tesi più semplice.
D'altro canto, il golpe che ora appare a tutti ridicolo, un "golpe da operetta", un "golpetto", agli occhi degli stessi, intorno a mezzanotte di venerdì era perfettamente riuscito. Lo titolavano i siti dei grandi giornali italiani, lo si poteva leggere scritto da molti commentatori illustri sui rispettivi social network. Rammento distintamente l'ilarità suscitata dall'intervento di tramite video-telefonino d'una conduttrice tv, o le sagaci battute sul fatto che i cittadini turchi sarebbero sì scesi in strada (come richiesto dal loro Presidente), ma non certo per fronteggiare i carri armati, bensì per assaltare i Bancomat. Il tutto mentre Erdoğan veniva avvistato sui cieli di mezzo mondo, in fuga e a richiedere asilo immancabilmente negato. Spiace constatarlo, ma ancora una volta la stampa italiana ha mostrato superficialità e mancanza di comprensione e analisi su un fatto internazionale (e questo è imputabile anche ai tagli cui le redazioni esteri sono soggette da anni).
Gran parte delle mancanze dei golpisti, evidenziate da chi crede alla tesi dell'auto-attentato, si possono spiegare più semplicemente col numero limitato di congiurati e col ruolo preponderante svolto da ufficiali non d'alto rango. Evidentemente il piano contava di sfruttare l'assenza di Erdoğan dalla capitale, neutralizzare rapidamente la polizia e l'intelligence (fedeli al Presidente e ben armate) per prendere il controllo di Ankara e Istanbul, occupare lo Stato Maggiore delle Forze Armate per paralizzare la catena di comando formale. In sostanza, i golpisti contavano di impedire ogni reazione all'autorità politica, alle forze dell'ordine e alle forze armate, disarticolandone gli automatismi tramite loro decapitazione. Quindi, presentandosi alla tv pubblica come la nuova autorità, i militari, i funzionari statali e la pubblica opinione, privi d'altra guida, avrebbero accettato il fatto compiuto. In particolare, è ragionevole credere che i golpisti si attendessero un'adesione spontanea degli altri comandi militari e dei partiti politici oppositori dell'Akp.
Il piano è fallito, come noto, ma il suo collasso in poche ore non autorizza a bollarlo di "golpe da operetta" (ripetiamo: dopo che gli stessi commentatori l'avevano dato per vittorioso). Per sua natura, un colpo di Stato così congegnato era destinato a vincere o abortire nel giro d'una notte, mancando della massa critica per condurre una lotta frontale contro le autorità. Tra i fattori che hanno determinato il fallimento del piano, si può citare il notevole ritardo nell'occupare la tv pubblica (almeno un'ora dopo aver bloccato i ponti sul Bosforo, in un'infelicissima scelta delle priorità), senza tra l'altro che nessun congiurato si presentasse col proprio volto e nome, proponendo l'immagine reale di un potere alternativo a quello di Erdoğan e dei suoi ministri e parlamentari. I quali invece sono stati tutt'altro che evanescenti, poiché non siamo più nel 1980 e nemmeno nel 1997, e ormai in Turchia ci sono numerosi canali televisivi e radiofonici. Per tutta la nottata, il governo ha saputo comunicare meglio dell'impalpabile "Comitato per la pace" che avrebbe dovuto rovesciarlo.
Erdoğan ha saputo mobilitare prontamente una parte della popolazione cospicua e agguerrita, come ha dimostrato nel bene e nel male, sfidando carri armati e autoblindo a mani nude, ma anche linciando militari golpisti caduti nelle sue mani. E questa mobilitazione Erdoğan l'ha ottenuta combinando strumenti moderni (si pensi alla videotelefonata con "Face Time" trasmessa in tv) a strumenti tradizionali (il richiamo dei muezzin, questa volta non alla preghiera ma alla manifestazione in piazza, è riecheggiato prontamente a Istanbul e Ankara). Questo succede quando s'unisce un partito politico di massa a una rete religiosa, il tutto in un contesto di popolazione giovane e devota.
I golpisti hanno perso davvero quando il comandante della Prima Armata (quella di Istanbul), Umit Dundar, per primo ha sconfessato il golpe e rimarcato la lealtà sua e dei suoi soldati alle istituzioni. In quel momento a tutti - alla popolazione, agli altri militari, persino ai soldati utilizzati come manovalanza dai congiurati e non necessariamente ben informati su quanto stesse accadendo - è apparso evidente come non si fosse di fronte a un vero golpe dei militari contro il governo, bensì al tentativo di una semplice fazione. Non a caso il Genrale Dundar è stato prontamente ricompensato con la promozione a Capo di Stato Maggiore.
A differenza di quanto scritto la mattina successiva al golpe da "Repubblica", non è vero che le dichiarazioni di Obama e della Merkel avrebbero avuto un ruolo nel determinare il fallimento del golpe. Entrambe sono arrivate solo quando esso era ormai evidente. Al contrario gli Usa sono stati molto ambigui nella prima dichiarazione di Kerry, che non ha preso posizione malgrado si trattasse dell'attacco a un governo formalmente alleato. A ciò si unisca il fatto che Gülen, principale indiziato della Turchia per il golpe, è ospitato dagli Usa stessi, e che nelle ore più concitate, quando la popolazione aveva cominciato a scendere in piazza contro i golpisti, la rete statunitense Nbc propagandava la notizia di improbabili fughe di Erdogan - evidentemente forgiata ad arte per scoraggiare la mobilitazione dei suoi sostenitori. E citava a sostegno niente meno che fonti militari statunitensi.
Non sorprende che ora la tensione tra Ankara e Washington sia palpabile. Il fallito golpe in Turchia è la pietra tombale su otto anni di fallimenti in politica estera dell'Amministrazione Obama.

 
Il golpe in Turchia? La voce girava già da qualche mese, a Washington. Secondo Giulietto Chiesa, giornalista esperto di politica estera (e maestro di complottismo) viene intervistato dal blogger Claudio Messora (aka Byoblu) e dice la sua sulle ultime, cruente ore tra Ankara e Istanbul. Si parte da marzo, quando un influente neocon americano, Michael Rubin, scrive un articolo premonitore, dal titolo sibillino: "Ci può essere un golpe in Turchia?". "Di fatto - spiega Chiesa - sostiene che i militari ribelli non avrebbero avuto nulla da temere da Usa e Unione europea". "Una delle origini di questo golpe, dunque - sentenzia il giornalista italiano - è stato l'invito esplicito che viene dai neocon americani". Due mosse recenti del presidente turco Erdogan, sottolinea Chiesa, sono da interpretare alla luce di quanto accaduto venerdì sera: "Ha chiesto scusa a Putin per l'abbattimento del suo caccia e ha riallacciato i rapporti diplomatici con Israele. Due tentativi di parare il colpo in extremis: io non credo affatto alla tesi che sarebbe stato il suo nemico giurato Gulen a organizzare il colpo di Stato militare, non aveva potere sufficiente. Credo che Erdogan ha rotto le scatole a tutti, ai russi, agli americani e agli europei, e ora esce da questo golpe più debole di prima, è un vincitore zoppo e ne vedremo ancora delle belle. Non tutto quello che abbiamo visto finora è chiaro". Sorprendentemente, però, Chiesa si dimostra scettico sulla voce che sta facendo impazzire i dietrologi del web: Erdogan avrebbe organizzato un finto "auto-golpe" per poter fare un colpo di mano autoritario sulla Costituzione. "Improbabile - taglia corto il giornalista - sarebbe stata una scelta molto rischiosa. Ci sono stati molti morti e l'esercito si è diviso. Da tempo esisteva una fronda kemalista laica a cui non piace l'Erdogan islamico". 

Fonte: http://tv.liberoquotidiano.it 

 

martedì 31 maggio 2016

Lo spot razzista del detersivo cinese in cui un imbianchino nero viene messo in lavatrice: alla fine esce dalla lavatrice sbiancato e trasformato in un ragazzo di etnia Cinese!!! #razzismo #pregiudiziorazziale #spot #pubblicitàcinese #africa #cina

http://mp.weixin.qq.com/s?__biz=MjM5NDE1MDYyMQ==&mid=2651010914&idx=2&sn=362104221f68d804901ba4e92ef04b41&scene=1&srcid=0530gONgEKyWSHfoocTrr8Ze&from=singlemessage&isappinstalled=0#wechat_redirect
L’azienda che lo aveva divulgato, la Shanghai Leishang Comestics, si è scusata «Per aver ferito i sentimenti degli Africani!»

Clicca quì sopra per vedere lo spot integrale
#razzismo #pregiudiziorazziale #spot #pubblicitàcinese #africa #cina

CINA - Questo discutibile e divertente spot dà la sensazione a chi lo vede di déjà vu; e in effetti e identico ad un vecchio spot della Coloreria Italiana, in cui come qui l’uomo buttato in lavatrice ne esce come affascinante ragazzo desiderato dalla protagonista. Si è gridato allo scandalo perché l’uomo da lavare é nero e sporco e quello pulito è cinese. Per molti utenti online lo spot è stato bollato come razzista. È sempre più diffusa in Cina la moda di sbiancarsi la pelle o evitare di abbronzarsi percependo la pelle bianca come simbolo di bellezza. 
Lo spot del detersivo Qiaobi diventato virale per il suo contenuto razzista (un aitante imbianchino nero tutto sporco di vernice messo in lavatrice da una bella ragazza cinese ne esce trasformato in un più desiderabile cinese dal viso gentile) è stato ritirato. L’azienda che lo aveva divulgato, la Shanghai Leishang Comestics, si è scusata “per aver ferito i sentimenti degli africani” ma accusa i media di averne “amplificato” l’effetto. Rimane la sensazione di un razzismo legato al colore della pelle difficile da sradicare dalle abitudini mentali cinesi. 

venerdì 11 settembre 2015

11 Settembre 1973 - 11 Settembre 2015: 42 anni fa il golpe militare che portò al potere Augusto Pinochet in Cile...


(Cliccare sulla frase per aprire la pagina Wikipedia)

CILE - In quelle prime ore il Presidente Allende e il ministro della Difesa Orlando Letelier ricevettero informazioni incomplete sul golpe e pensavano che solo una parte della Marina avesse cospirato contro il governo. Non riuscirono a comunicare né con Gustavo Leigh, capo dell’Aeronautica militare, né con Augusto Pinochet, il generale capo dell’esercito che Allende stesso aveva nominato il 23 agosto 1973. Allende era convinto della lealtà di Pinochet e disse a un giornalista che i responsabili del colpo di Stato dovevano evidentemente averlo imprigionato. Era stato invece Pinochet a coordinare il colpo di stato con le altre forze militari.
Solo alle 8.30, quando le forze armate dichiararono di aver preso il controllo sul paese, fu chiaro quello che era successo. Nonostante la mancanza di qualsiasi sostegno militare, Allende rifiutò di dare le proprie dimissioni come gli avevano chiesto i golpisti e tenne un ultimo discorso di addio alla nazione attraverso radio Magallanes in cui disse: «Viva il Cile! Viva il popolo! Viva i lavoratori! Queste sono le mie ultime parole e ho la certezza che il mio sacrificio non sarà vano. Ho la certezza che, per lo meno, ci sarà una lezione morale che castigherà la vigliaccheria, la codardia e il tradimento».
Verso mezzogiorno i militari ribelli circondarono con i carri armati il palazzo presidenziale e gli aerei militari iniziarono a bombardarlo. Luis Sepúlveda, lo scrittore che sarebbe stato incarcerato durante il regime di Pinochet per la sua attività politica, in un articolo tradotto e pubblicato su Repubblica, ricorda così quelle ultime ore:
Il giorno più nero della storia del Cile spuntò coperto di nuvole. La primavera alle porte, atterrita dall’orrore che si avvicinava, aveva deciso di negarci i primi tepori. (…) Il golpe fascista era iniziato, truppe e carri armati accerchiarono il palazzo, riecheggiarono i primi spari tra difensori e golpisti, le forze aeree bombardarono le antenne delle radio finché ne rimase soltanto una, quella di radio Magallanes, grazie alla quale ascoltammo e avremmo ascoltato le ultime parole del compagno presidente, quel «metallo tranquillo della mia voce». Con la Moneda assediata, Allende diede ordine di far uscire chiunque lo desiderasse, lui sarebbe rimasto a baluardo della Costituzione e della legalità democratica. In mezzo ai colpi d’arma da fuoco e ai proiettili esplosivi dell’artiglieria, un pugno di poliziotti socialisti decise di restare, e anche i GAP dissero chiaramente che la guardia non si arrendeva né abbandonava il Compagno Presidente. (…) Quando era quasi mezzogiorno, le forze aeree bombardarono la Moneda, le fiamme cominciarono a divampare nel palazzo ma il GAP non mollò. Rimane per sempre un’immagine di quel momento: il GAP Antonio Aguirre Vásquez, un patagone eroico, che spara dal balcone principale con la sua mitragliatrice calibro 30 finché le bombe non cancellano completamente la facciata della Moneda.
Alle due del pomeriggio era tutto finito. Alla guida del paese si insediò il generale Augusto Pinochet che governò fino al 1988. Nei combattimenti dell’11 settembre 1973 morirono 34 persone tra i militari ribelli e 46 tra i GAP. All’interno del palazzo della Moneda morirono due persone: il giornalista Augusto Olivares e il presidente Allende.
La morte di Allende
Il giorno del golpe, Salvador Allende fu ritrovato morto nel suo ufficio alla Moneda. Ci sono state numerose indagini e discussioni per stabilire se fosse stato assassinato o se si fosse suicidato prima di essere catturato. Nel 2011, dopo la riesumazione del corpo chiesta dalla famiglia, la commissione incaricata di chiarire le circostanze della morte dell’ex presidente ha affermato, come sostenuto nella versione ufficiale, che sia stato un suicidio. La versione ufficiale, sostenuta anche dal medico personale di Allende presente al suo fianco durante il golpe, è che il presidente si sia tolto la vita con un fucile AK-47 che gli era stato regalato da Fidel Castro. L’inchiesta ha concluso che Allende morì in seguito a due colpi d’arma da fuoco sparati con un fucile che teneva in mezzo alla gambe.
Prima del golpe
Il 3 novembre del 1970 il leader del Partito Socialista Salvador Allende era stato eletto presidente del Cile, guidando un’ampia coalizione di sinistra. Oltre all’appoggio degli operai e degli studenti, aveva l’aiuto della borghesia progressista e di molti intellettuali di sinistra (Pablo Neruda e Victor Jara, per citare solo i più conosciuti). Allende iniziò subito a muoversi per realizzare una riforma in senso socialista della società cilena. Fu avviato un programma di nazionalizzazione delle miniere e delle principali industrie private, fu creata una sorta di tassa sulle plusvalenze, fu decisa una riforma agraria e annunciata una sospensione del pagamento del debito estero. Furono molte le riforme anche dal punto di vista sociale: l’introduzione del divorzio, l’annullamento delle sovvenzioni statali alle scuole private, l’estensione del congedo di maternità.
La politica di Allende, sempre più orientata a sinistra, e i suoi stretti rapporti con Cuba – Fidel Castro trascorse un mese a Santiago nel 1971 – furono accolte con preoccupazione della gran parte della borghesia cilena, dei proprietari terrieri, degli imprenditori, della Chiesa Cattolica e degli Stati Uniti, spaventati dalla possibilità che il comunismo contagiasse il Sudamerica. Subito dopo la vittoria di Allende, Henry Kissinger, consigliere per la sicurezza nazionale e segretario di stato durante la presidenza di Richard Nixon, disse: «Non vedo perché dovremmo restare con le mani in mano a guardare mentre un Paese diventa comunista a causa dell’irresponsabilità del suo popolo. La questione è troppo importante perché gli elettori cileni possano essere lasciati a decidere da soli». L’amministrazione Nixon cominciò dunque a esercitare una pressione economica sempre maggiore attraverso diversi canali: l’embargo, il finanziamento degli oppositori politici nel Congresso Cileno e, nel 1972, l’inconsueto appoggio economico al sindacato dei camionisti, che portò a continui scioperi e manifestazioni. Non ci sono prove che gli Stati Uniti abbiano appoggiato direttamente il colpo di Stato di Pinochet nel 1973: da un rapporto che si è concluso nel 2000 è risultato che la CIA «non assistette Pinochet nell’assumere la presidenza». Dallo stesso documento risulta però che gli Stati Uniti fornirono un supporto materiale al regime dopo il golpe e che molti uomini di Pinochet divennero informatori degli Stati Uniti.
L’anno del colpo di stato l’economia cilena era in forte crisi e la situazione sociale e politica molto tesa. Il 29 giugno, un reggimento dell’esercito cileno circondò con i carri armati La Moneda e cercò di rovesciare il governo: il tentativo fallì per l’intervento di una parte “lealista” dei vertici militari, ma fu poi considerato una “prova generale” del colpo di stato del successivo settembre. Il 22 agosto di quello stesso anno, i membri cristiano-democratici e del Partito Nazionale (il centro e la sinistra della Camera dei deputati diventati sempre più compatti nella loro opposizione a Allende) scrissero un documento in cui accusavano il governo di atti incostituzionali e si appellavano all’esercito per rimuovere il presidente. Il documento non ottenne il voto favorevole dei due terzi del parlamento, ma dimostra come anche la situazione politica del governo Allende fosse in grande difficoltà.
Gli anni di Pinochet
La giunta che prese il potere dopo il colpo di stato dell’11 settembre 1973 era formata da quattro persone che si accordarono per una presidenza a rotazione (cosa che poi non avvenne) e nominarono Pinochet capo permanente. Il 13 settembre, la giunta militare sciolse l’Assemblea Nazionale, distrusse i registri elettorali, mise fuori legge tutti i partiti che avevano fatto parte di Unidad Popular, la coalizione di Allende, decise da subito una serie di restrizioni della libertà individuale dei cittadini e emanò delle leggi speciali per la magistratura.
Oltre alle modifiche legislative, il regime di Pinochet si caratterizzò per l’uso della violenza fisica come strumento della propria azione di governo. Subito dopo il golpe, lo Stadio Nazionale di Santiago venne trasformato in un enorme campo di concentramento dove, nel corso di quei primi mesi, vennero torturate e interrogate migliaia di persone. Moltissime donne vennero stuprate dai militari addetti al “campo”. Migliaia di persone scomparvero nel nulla. Il governo cileno ha finora riconosciuto più di 40 mila torturati, uccisi o perseguitati dal regime.
Pinochet attuò una politica economica fortemente liberista ispirata al pensiero di Milton Friedman e alla scuola di Chicago: ridimensionò il ruolo dello stato, privatizzò molte aziende, riformò il mercato del lavoro, avviò un programma di totale apertura verso l’estero. In questo venne appoggiato dall’oligarchia finanziaria, dalle classi medie e dalle multinazionali a cui aveva affidato il controllo delle imprese che Allende aveva nazionalizzato: l’economia cilena ne trasse benefici alterni, ma fu schiantata dalla grande crisi mondiale del 1982, in seguito alla quale Pinochet annullò gran parte degli interventi iniziali e dell’approccio della scuola di Chicago. Alcuni commentatori dissero che sarebbero state le iniziative successive, che smentirono gran parte delle politiche liberiste, a salvare e aiutare a crescere l’economia cilena dopo le difficoltà gravissime del governo Allende, separando il giudizio sulla violenza sanguinosa del regime.
Fino al 27 giugno 1974 Pinochet rimase a capo della Giunta militare, poi, il 17 dicembre di quell’anno, assunse il titolo di “Capo Supremo della Nazione” e di Presidente del Cile. La Moneda venne ricostruita, venne varata una nuova Costituzione e Pinochet cominciò ad apparire in pubblico in abiti civili. Durante gli anni Ottanta le conseguenze della crisi economica, il crescere delle proteste contro il governo e uno sciopero generale, aumentarono le difficoltà del regime.
La fine della dittatura
Nell’ottobre del 1988 venne deciso un plebiscito per votare un nuovo mandato presidenziale di 8 anni per Pinochet, che era convinto di vincere e dunque di veder riconfermata la propria carica. Vinsero invece i sostenitori del “no” con il 55,99 per cento dei voti. In accordo con le norme della costituzione furono dunque convocate delle elezioni libere che si svolsero l’anno dopo. Pinochet rimase in Cile a capo delle forze armate fino al 1998 e poi come senatore a vita, godendo così dell’immunità parlamentare. Il Cile, intanto, accelerò il percorso verso il ritorno alla democrazia che raggiunse pienamente negli anni successivi.
Nel 1998, il giudice spagnolo Baltasar Garzón emise contro Pinochet un mandato di cattura internazionale per la sparizione di cittadini spagnoli durante la dittatura. Pinochet venne accusato di genocidio, terrorismo e tortura. Fu arrestato a Londra dove si trovava per farsi curare, ma non venne mai condannato. Il 2 marzo del 2000 il ministro dell’Interno inglese Jack Straw decise di liberarlo e di farlo tornare in patria dove riuscì ripetutamente a evitare qualsiasi processo a suo carico e dove morì per un attacco di cuore il 10 dicembre del 2006, a 91 anni.

L'11 settembre è il 254º giorno del calendario gregoriano (il 255º negli anni bisestili). Mancano 111 giorni alla fine dell'anno...


 Cerimoniale in ricordo delle vittime
11 Settembre 2001 - 11 Settembre 2015

L'11 settembre è il 254º giorno del calendario gregoriano (il 255º negli anni bisestili). Mancano 111 giorni alla fine dell'anno.

Indice

Eventi

Nati

Ci sono circa 630 voci su persone nate l'11 settembre; vedi la pagina Nati l'11 settembre per un elenco descrittivo o la categoria Nati l'11 settembre per un indice alfabetico.

Morti

Ci sono circa 300 voci su persone morte l'11 settembre; vedi la pagina Morti l'11 settembre per un elenco descrittivo o la categoria Morti l'11 settembre per un indice alfabetico.

Feste e ricorrenze

Nazionali

Religiose

Laiche

  • Cina – Festa nazionale dei Pompieri della Repubblica Popolare Cinese. Il giorno è scelto per il fatto che l'undicesimo giorno del nono mese (settembre) corrisponde al 119, il numero telefonico dei pompieri in Cina.
  • USA – Giorno del numero di emergenza "911"

11 SETTEMBRE 2001 - 11 SETTEMBRE 2015: 14 ANNI FA L'ATTENTATO "PRESUNTO" CHE HA DATO IL VIA AD UN LUNGO DECENNIO DI GUERRE IN NORD-AFRICA, MEDIO-ORIENTE, IN ASIA...

 
(Cliccare sulla scritta per aprire il link di Wikipedia)
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L'anniversario - 11 settembre 2001, gli Stati Uniti ricordano una tragedia che non smette di far male A 14 anni dagli attentati, numerose le celebrazioni in programma. Il cuore delle iniziative a New York. 
Il presidente Obama decreta tre giorni di "preghiera e commemorazione nazionale!"
NEW YORK - (STATI UNITI D'AMERICA) - L'anniversario 11 settembre 2001, gli Stati Uniti ricordano una tragedia che non smette di far male A 14 anni dagli attentati, numerose le celebrazioni in programma. Il cuore delle iniziative a New York. Il presidente Obama decreta tre giorni di "preghiera e commemorazione nazionale" Tweet 49 Marcy Borders, la donna soprannominata "Lady Dust" (Getty) È morta "lady cenere" ritratta dopo l'attacco dell'11 settembre a New York 11 settembre: le foto inedite di Bush e i suoi collaboratori durante l'attentato L'11 settembre attraverso i video amatoriali Da Bush a Obama: l'11 settembre nei discorsi dei presidenti americani "Quella mattina ero al World Trade Center": Martina Gasperotti racconta il suo 11 settembre 11 settembre: ecco chi erano gli attentatori I soccorritori, gli "eroi" dell'11 settembre 11 settembre 2001, l'edizione straordinaria del Tg3 11 settembre 2015 L’ultima vittima, poche settimane fa, è stata Marcy Borders, la giovane soprannominata “Lady Dust” perché fotografata ricoperta di cenere subito dopo il crollo di una delle torri del World Trade Center. È morta di tumore come molti altri sopravvissuti all’11 settembre: secondo le stime, i casi di neoplasia da allora sono stati tra 2500 e 3700. A 14 anni di distanza, l’attacco all’America continua a stroncare vite e fa ancora male a una nazione che non vuole dimenticare quel giorno drammatico che ha sconvolto il mondo. Migliaia di persone alle celebrazioni Anche quest’anno migliaia di persone sono attese sui luoghi della tragedia: New York, Washington e Shanksville. Scenderanno in strada per ricordare le quasi 3mila persone morte quando quattro aerei di linea dirottati si schiantarono rispettivamente sulle Torri Gemelle (alle 8.46 e alle 9.03 locali), sul Pentagono (alle 9.37) e su un campo in Pennsylvania (alle 10.03). Le cerimonie a New York A New York la cerimonia principale si svolgerà al Memoriale dell’11 settembre, con minuti di silenzio nei momenti degli schianti e del crollo delle torri e con la lettura dei nomi delle vittime. Inoltre, come ogni anno, nelle ore serali 88 proiettori genereranno delle colonne di luce che uniranno terra e cielo. In condizioni meteo ideali, il cosiddetto “Tribute in Light” è visibile a quasi 100 chilometri di distanza. Obama atteso a Fort Meade Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, insieme alla first lady e al suo staff parteciperà ad un momento di silenzio nel giardino della Casa Bianca e incontrerà i militari della base di Fort Meade. "Il presidente - ha riferito il portavoce Eric Schultz - non vede l'ora di parlare con uomini e donne patriottici che lavorano ogni giorno per mantenere l'America sicura e onorare i sacrifici dei soldati e delle loro famiglie". Un giorno che ha cambiato la Storia Gli attentati, rivendicati da Al Qaeda, hanno modificato il corso della Storia. Gli Stati Uniti – e più in generale l’Occidente – si scoprirono più vulnerabili e impararono a conoscere il volto di un nuovo nemico, quell’Osama Bin Laden che sarebbe stato ucciso quasi 10 anni dopo, nel maggio 2011, con un raid delle forze armate statunitensi ad Abbottabad, in Pakistan. In meno di un mese ci sarebbe stato l’attacco statunitense all’Afghanistan e da lì una spirale di eventi che hanno cambiato il mondo. 
 

sabato 5 settembre 2015

Mentre l'Europa intera si appresta ad affrontare l'emergenza-profughi più catastrofica e disumana dalla fine della Seconda Guerra Mondiale del 1945, il vero responsabile di questo immenso dramma umano, cioè l'ex-Presidente Francese Sarkozy, si gode la fine delle vacanze estive con la sua bella Carla Bruni...Nicolas Sarkozy dovrebbe essere denunciato per gravi crimini contro l'umanità al Tribunale Penale Internazionale dell'Aia, mentre Francia e Stati Uniti dovrebbero risarcire l'Italia, l'Ungheria e la Grecia, per i danni politico-finanziari causati dalle guerre che hanno scatenato in Nord-Africa e Medio-Oriente!!!

Carla Bruni (a sinistra) con Nicolas Sarkozy
ROMA - (ITALIA) - Mentre tutti i paesi dell'Unione Europea e dell'Europa dell'Est, stanno affrontando la più drammatica e catastrofica emergenza umanitaria, che mai prima d'ora si era registrata in Occidente, dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, il "vero responsabile" di tutto questo cataclisma, cioè l'ex-Presidente Francese Nicolas Sarkozy, nelle ultime settimane di Agosto si è rilassato in vacanza con la sua bella consorte Carla Bruni, preparando il suo rientro sulla scena politica Francese in vista delle imminenti elezioni presidenziali...avete capito bene, colui che ha scatenato la sanguinosa guerra in Libia nel 2011, contribuendo al crollo del Regime di Gheddafi ed al suo stesso assassinio per mano di agenti segreti Francesi, infiltratisi tra i "sedicenti" ribelli, armati dalla stessa Francia e dalla Cia di Barack Obama-Hillary Clinton, colui che dovrebbe essere incriminato al Tribunale Penale Internazionale dell'Aia per gravi crimini commessi contro l'umanità, potrebbe tornare a sedere sulla poltrona Presidenziale dell'Eliseo, non solo, potremmo presto vedere seduta sulla poltrona Presidenziale della Casa Bianca in America, la possibile prima Presidente donna Hillary Clinton, dunque il tandem Sarkozy-Clinton potrebbe seriamente tornare a minacciare la pace sociale in mezzo Mondo, se così fosse sarebbe un vero problema!!!
Tra il 2010 ed il 2011, probabilmente la Cia, in collaborazione con i servizi segreti Francesi, Inglesi e Israeliani, sostennero e forse aiutarono a fommentare le famose "Primavere Arabe" destabilizzando in pochissimi mesi interi paesi, dando il via alle tristemente note guerre civili più sanguinose, con la comparsa dell'ISIS (lo Stato Islamico Fondamentalista, costituitosi dalle milizie "ribelli" dei vari Regimi di Iraq, Siria e Libia, milizie sostenute ed armate ovviamente dall'Occidente e dalla CIA), che prima di quegli anni era impensabile uno scenario geopolitico odierno, a causa di quel violentissimo "terremoto politico" interi regimi in Nord-Africa, vennero destituiti e sostituiti con il CAOS e l'anarchia politico-religiosa più totale.
Dall'Egitto alla Tunisia, dalla Libia alla Siria, dallo Yemen all'Iraq, dunque, centinaia di migliaia di morti tra civili e combattenti, intere popolazioni sterminate, interi patrimoni culturali distrutti e persi per sempre, miliardi e miliardi di dollari/euro di danni, perdite incalcolabili di paesaggi naturali e città caratteristiche, famiglie intere separate e devastate dalla guerra civile che persiste tutt'oggi in mezzo Nord-Africa, guerra che ha portato miseria, carestia, povertà, sangue, morte...guerra che ha costretto milioni di persone a scappare dalle proprie case e dalle proprie città distrutte, per cercare rifugio in Europa e in Occidente; un vero e proprio esodo di massa.
Tutto questo caos, tutta questa anarchia politica pilotata a regola d'arte per proteggere gli interessi economici di Francia, Germania, Inghilterra e Stati Uniti d'America.
In primo luogo la Francia, che destabilizzando l'intera area del Magreb tra il 2010 ed il 2011, in particolare in Tunisia e Libia, ha praticamente distrutto economicamente parlando, gli interessi finanziari e commerciali dell'Italia ma anche della Federazione Russa e della Repubblica Popolare Cinese.
Ed è solo per gli sporchi petro-dollari, per il pieno controllo degli oleodotti di gas e petrolio Siriani e Libici, solo per questi sporchi affari e per il controllo totale delle materie prime di tutto il Nord-Africa e Medio-Oriente, per l'influenza politico-finanziaria sull'Iraq, sull'Egitto, sulla Siria, sulla Libia, sullo Yemen e sulla Tunisia, per tutto questo Nicolas Sarkozy con la Francia in testa, appoggiata e sostenuta da Usa-Inghilterra, nel 2011 ha scatenato la guerra in Libia contro Gheddafi, guerra che ha generato altre guerre come appunto in Siria e Iraq.
Le "Primavere Arabe" sono state una farsa, un complotto politico-sociale vero e proprio che ha nascosto ma per poco tempo, le reali cause delle rivolte armate contro i propri governi legittimi, in particolare contro Mubarak in Egitto, Gheddafi in Libia, Assad in Siria.
Adesso a distanza di 4 anni, (2011-2015), tutti noi in Europa stiamo pagando le nefaste conseguenze di quello scempio che è stato scatenato in Nord-Africa e nel Magreb, dalla Francia di Nicolas Sarkozy in primis, stiamo pagando il prezzo di una vera e propria invasione di massa da parte di profughi in fuga da guerre, miseria, povertà, caos, distruzioni, da stragi e repressioni politico-religiose compiute dai fanatici tagliagole dell'Isis, e questa povera gente oggi cerca salvezza ed aiuto da parte proprio di quei paesi occidentali ed europei che hanno causato, fomentato e scatenato proprio quello stesso disastro umanitario che oggi è in atto in Nord-Africa, Medio-Oriente e Centro-Africa!!!
L'ex-Presidente Francese Nicolas Sarkozy, che oggi lavora per essere rieletto all'Eliseo a capo della Francia, è tra i più diretti responsabili di questa catastrofe umanitaria, come già si è detto, dunque dovrebbe in realtà essere incriminato per gravi crimini contro l'umanità al Tribunale Penale Internazionale dell'Aia, mentre la Repubblica Francese, insieme agli Stati Uniti, dovrebbe essere chiamata in causa e denunciata all'ONU per imporgli il pagamento di un risarcimento economico per sopperire ai gravi danni economici e sociali, che sono stati inflitti all'Italia ed agli altri paesi Europei, soprattutto all'Est come ad esempio la Bulgaria, l'Ungheria, la Grecia e la Romania, a causa non solo della guerra in Libia, ma a causa anche dell'enorme numero di profughi e di immigrati, che sempre a causa di quella guerra scellerata, sono sbarcati negli ultimi 4 anni in Italia, oltretutto la Francia dovrebbe essere chiamata a risarcire economicamente anche tutte le famiglie di tutte quelle migliaia di profughi che sono morti annegati nel Mediterraneo. Nicolas Sarkozy, un vero e proprio criminale di guerra!!! 


Alexander Mitrokhin

 
 

mercoledì 28 gennaio 2015

All'alba del 27 Gennaio 2015, dopo quasi tre mesi, viene sgomberata la sala di rappresentanza del Comune di Carrara (MS) - Antenna3 - Tg serale del 27-01-2015



 ANTENNA 3 - TG SERALE DEL 27 GENNAIO 2015

Alluvione a Carrara, sgomberato dal Comune il presidio anti-giunta...


L'intervento è avvenuto all'alba  nella sala presidiata da novembre dall'Assemblea permanente. Il sindaco Zubbani: "Ho firmato io l'ordinanza, ma rimane la  volontà di dialogo. Abbiamo fatto tutto quello che ritenevamo giusto in nome di una ferita che è di tutti!" 
Lo sgombero della sala Comunale a Carrara occupata per protesta dall'8 Novembre 2014
CARRARA (MS) - Sgomberata all'alba su ordinanza del sindaco di Cararra, Angelo Zubbani, la sala di rappresentanza del municipio dove l'Assemblea permanente stava attuando un presidio dall'8 novembre scorso dopo l'alluvione del 5 novembre. I presidianti si erano insediati in quella sala sia in segno di protesta nei confronti dell'amministrazione comunale chiedendo le dimissioni di sindaco e giunta e anche per organizzare iniziative a favore della città. Lo sgombero è stato eseguito alle 6 del mattino dalla polizia municipale. Tutto è avvenuto senza problemi. Sul posto per monitorare la situazione anche polizia e carabinieri.
E' lo stesso Angelo Zubbani  a ricostruire le tappe della vicenda, che prende le mosse dall'alluvione del 5 novembre 2014: " Giovedì 22 gennaio ho lanciato l'ultimo appello ai presidianti, chiedendo loro di lasciare la sala, sono rimasti e lunedì 26 ho firmato l'ordinanza di sgombero. L'operazione è avvenuta senza incidenti: la polizia municipale ha identificato  sette persone che hanno lasciato il  Comune senza opporre resistenza". Il primo cittadino ci tiene a sottolineare che " rimane in piedi un percorso già delineato, permane - aggiunge -  la disponibilità al dialogo da parte dell'amministrazione  anche per individuare una sede alternativa per l'assemblea, credo che l'apertura delle istituzioni, dei  capigruppo consigliari e della politica sia stata massima nei confronti dei presidianti".
Sulla sua pagina Facebook, l'assemblea  permanente condanna  quanto accaduto e usa toni duri, per l'intervento avvenuto alle prime ore del mattino. Nella mattinata ai presidianti fuori dal municipio si sono aggiunte altre persone, mentre polizia municipale e polizia di Stato monitoravano la sitazione, rimasta in un clima pacifico. Il pianop terra del municipio è rimasto aperto al pubblico per i servizi di anagrafe e stato civile: i vigili urbani hanno fatto entrare un cittadino per volta. Mentre i piani superiori del Comune sono stati preclusi all'accesso del pubblico. Fra i commenti negativi sullo sgombero, espressi da rappresentanti dell'Assemblea permanente, quello di Renzo Cantarelli che parla di "decisione sbagliata da parte dell'amministrazione comunale, che ha scelto anche il giorno sbagliato per questa operazione, avvenuta nel Giorgo della Memoria": una ricorrenza per la quale i consigli comunali di Carrara e di Massa erano riuniti a Massa.  
Il sindaco Angelo Zubbani ha poi diffuso un suo comunicato alla città: "I fatti di novembre hanno segnato un passaggio difficile. Abbiamo rispettato ogni espressione di dolore e rabbia, incassando ogni accusa molto prima che la magistratura stabilisse responsabilità e colpe. Siamo restati in silenzio di fronte alla rabbia disperata, abbiamo usato il locale più nobile della Casa Comune per creare una camera di compensazione tra collera e speranza ed in questi lunghi mesi abbiamo cercato con assoluto rispetto di individuare le forme perché restasse aperta la via di un confronto che non mortificasse le espressioni della protesta. Abbiamo offerto invano soluzioni, sedi alternative, abbiamo invitato al dialogo, alla riflessione, siamo stati costretti a svolgere le attività istituzionali in un clima pesante".
"Abbiamo pazientato, _ prosegue Zubbani _ abbiamo fatto tutto quello che ritenevamo giusto in nome di una ferita che è di tutti; infine ha prevalso il doveroso senso di legalità, di responsabilità, di presentabilità di fronte alla città che si sta rimboccando le maniche e un po’ alla volta si impegna a cercare di ricostruirsi migliore. Stiamo lavorando senza alcuna volontà di insabbiare, con trasparenza e determinazione, per fare emergere fino in fondo le cause di ciò che è successo".
"Sia chiaro che c’è per ogni amministratore pubblico una parte di responsabilità in tutto quello che accade, ma adesso vogliamo capire quale sia la nostra, e di quella farci pienamente carico; poi vogliamo riprendere il lavoro di analisi sullo stato di salute del territorio e vogliamo partecipare direttamente ad ogni decisione, con Regione e Provincia, sul come progettare e realizzare opere che offrano il massimo delle garanzie per tutti. Il tempo non si ferma e c’è bisogno di risorse, competenze e tempestività. Nel processo di ricostruzione non intendiamo arrogarci di nessuna scelta che non sia prima sottoposta a verifica, esposta, discussa e confrontata, ma alla fine sentiamo su tutto la responsabilità che si agisca bene e con urgenza. E’ quello che stiamo facendo, al meglio delle nostre possibilità e con tutti i nostri limiti umani e di apparato, ma questi siamo, questo è il Paese nel quale viviamo e questa è la nostra città, la città che noi non intendiamo abbandonare ad una visione ispirata ad un “tanto peggio tanto meglio”. Ci sentiamo impegnati a lavorare per il meglio e intendiamo farlo con la massima determinazione e responsabilità, in un clima di legalità e senza intimidazioni in una Casa Comune libera e non occupata".


 

Le Ricette del Castello: "IL SIGNORE DEL CASTELLO APRE LE PORTE A BUONGUSTAI..."

http://lericettedelcastello.blogspot.it



Il Signore del Castello Lord Gabriel non ha mai amato la guerra e tanto
meno le mire espansionistiche; gli unici suoi interessi sono per la
cultura e la cucina. 

Per questo motivo il Castello di Lord Gabriel è diventato crocevia di
intellettuali, studiosi, viandanti, filosofi, amanti del sapere ma anche
chef e cuochi provenienti da ogni parte del mondo. Ogni tanto qualche
ribaldo cerca di sfidare l' autorità di Lord Gabriel e di conquistare la
fortezza, ma ad oggi nessuno vi è ancora riuscito, anzi, per la loro
temerarietà il Nobil Signor per far si che costoro non passino i loro
anni nelle segrete del castello ha preteso per la loro liberazione una
ricetta tipica dei loro paesi. 

Ad oggi i cuochi di corte sono depositari di centinaia di ricette
provenienti da tutto il mondo e con il loro aiuto, Lord Gabriel ha
deciso di condividere con tutto il mondo virtuale questo sapere
culinario, vero e proprio vanto del Nobil Signore e di tutta la sua
Corte! 
In questo blog verranno proposte ricette provenienti dalle varie regioni
dell' Italia, dall' Europa e da tutto il mondo, i Maestri dei Fornelli
vi consiglieranno prelibatezze di ogni tipo e gli Enologi delle segrete
cantine quali i vini migliori per accompagnarle.
Non mancheranno cocktail e piatti veramente straordinari per ogni evenienza!

martedì 2 dicembre 2014

MANIFESTAZIONE ANTI-ZUBBANI A MARINA DI CARRARA: OLTRE 2000 CITTADINI IN PIAZZA PER INVOCARE LE DIMISSIONI DEL SINDACO E DELLA GIUNTA COMUNALE DI CARRARA!!!


 SABATO 22 NOVEMBRE 2014: MARINA DI CARRARA

MARINA DI CARRARA In duemila sono scesi in strada: mamme e bambini, tanti pensionati, professionisti e disoccupati. Insieme sotto lo stesso “ombrello” in un sabato pomeriggio uggioso e piovoso: «A difesa della città». Quattro parole – la “cifra” di questa manifestazione che chiede le dimissioni di sindaco e Giunta – stampate sullo striscione che apre il corteo: giallo e azzurro. Come i colori della città. Come le tinte della Carrarese: a prepararlo, gli ultrà della squadra cittadina. Per Carrara è la seconda manifestazione, nell’arco di due settimane, dopo il dramma dell’alluvione. A promuoverla, il Movimento cittadino – che si è autobattezzato Assemblea permanente – e che da più di due settimane presidia la sala di rappresentanza di Palazzo civico. Ad oltranza. «Siamo contenti – dice alla fine Matteo Bogazzi, scrittore 33enne, del gruppo comunicazione Assemblea permanente – È stato un bel corteo, pacifico. Duemila persone. Adesso speriamo che tutti questi cittadini ci sostengano anche nei prossimi giorni. Ci aspetta una settimana dura», per il termine della quale il sindaco Angelo Zubbani ha fatto sapere che sarebbe opportuno liberare la sala di rappresentanza “occupata”.

I “presidianti” del Comune chiedono le dimissioni di sindaco e giunta. Un centinaio invece i partecipanti alla protesta alla foce del Carrione per la difesa dell'ambiente (video di Giovanna Mezzana)

E mentre la testa continua con gli slogan, la gente, a latere, parla di Imu, di Tasi, di tasse da pagare. A poche decine di metri dalla piazza il corteo si ferma. Sulla destra, con le spalle a Carrara, c’è qualcosa che attira l’attenzione. Un lenzuolo sulla facciata di una casa. C’è scritto: «Non chiederò risarcimenti. Non voglio i vostri soldi. La dignità non è in vendita. Non potete comprare il silenzio». C’è chi si ferma impietrito a leggere, mentre gli scatti fotografici a quel lenzuolo si moltiplicano. Il corteo arriva a Marina. La piazza è già piena, decine e decine di persone attendevano qui l’arrivo della manifestazione. In un lampo spunta un gazebo – probabilmente era già pronto – con appese (come panni stesi) le “civette” della stampa locale che fermano gli eventi di questi giorni. Parte la campagna informativa. Il Movimento dei presidianti – forte del proprio successo – racconta alla cittadinanza che cosa sta facendo dentro quella sala “occupata” di Palazzo civico. Intanto, di fronte al “book” che raccoglie le firme per mandare a casa la Giunta si forma una fila. In tanti vogliono dare la loro adesione. L’evento sta per concludersi. C’è chi si riversa al bar. Pausa caffè. Focaccina con prosciutto per gli ultrà che ce l’hanno messa tutta.
Intanto sul mare, l’ultimo capitolo. La chiusa della giornata. Un gruppo di studenti dell’Accademia di Belle Arti raggiunge la spiaggia libera che costeggia la Passeggiata Segnanini. Lì c’è la loro Fenice (nella foto). Una Fenice fatta dei legni che il mare lascia generoso sulla spiaggia. È una scultura, che si staglia sull’orizzonte sgombro. Da lì a poco le daranno fuoco: «Perché Carrara deve risorgere – dice la giovane Sara – come la Fenice. E ognuno deve fare la sua parte, coi propri strumenti. Noi siamo artisti e abbiamo fatto questo».

La manifestazione attraverso Twitter: #alluvionecarrara
Fonte: http://iltirreno.gelocal.it

ITALIA-CINA

ITALIA-CINA
PER L'ALLEANZA, LA COOPERAZIONE, L'AMICIZIA E LA COLLABORAZIONE TRA' LA REPUBBLICA ITALIANA E LA REPUBBLICA POPOLARE CINESE!!!