Ricorre l’11 febbraio l’ottantesimo anniversario della firma di Patti Lateranensi, del Concordato, cioè, tra lo Stato italiano e la Santa Sede. Nel 1929 lo Stato italiano esisteva da meno di sessanta anni, mentre il popolo cattolico da oltre venti secoli, e la Chiesa godeva di riconoscimento pubblico ed autonomia giuridica dall’Editto di Milano del 313, quindi da oltre diciassette secoli, pertanto, sia come corpo sociale sia come figura giuridica, si deve riconoscere che essa ha avuto nella storia italiana un ruolo unico.
Sulla questione interviene con un articolo l'Agenzia Vaticana FIDES con alcune riflessioni
"Dal punto di vista storico, per evitare talune inopportune strumentalizzazioni tendenti a delegittimare il valore del Concordato, partendo dal fatto che esso sia stato firmato nel 1929, sotto il governo di Benito Mussolini, è necessario ricordare che, quell’accordo, altro non fu se non la tappa finale di un lungo cammino storico, iniziato con la presa di Roma e con la conseguente “questione romana” e che vide vari tentativi, sia dei Pontefici sia dei governi precedenti, di trovare una soluzione condivisibile ed accettabile da entrambe le parti.
Se da un lato il nascente Stato italiano, l’origine del quale è ampiamente documentata anche nelle controverse matrici ideologiche che ne hanno determinato l’impostazione anti-cattolica, aveva l’esigenza di ricomporre l’unità reale tra se stesso e la società, dall’altro la Santa Sede aveva l’esigenza imprescindibile di vedere riconosciuta la propria assoluta ed incondizionata sovranità ed indipendenza, indispensabile all’esercizio della propria missione di annunciare il Vangelo a tutte le genti, non dovendo, in questo, dipendere da nessun altro potere di questo mondo.
In tal senso, sottolinea la nota, il Concordato rappresenta un importante passo di libertà per la Chiesa, quella libertà che le è connaturale e nella quale il Signore stesso l’ha costituita. Il Concordato, è bene ricordarlo, non è una “concessione” di libertà da parte dello Stato, ma il riconoscimento di una libertà che pre-esiste: nessuno stato “crea” la libertà, gli uomini nascono liberi, anche i cattolici! Lo Stato ha il dovere di riconoscere tale naturale situazione personale e sociale e di creare le condizioni per un reale esercizio della libertà.
Senza ripercorrere in questa sede i passaggi storici che hanno portato all’attuale regime concordatario, pare, tuttavia, fondamentale evidenziare che sia nel Concordato del 1929 sia negli accordi di Villa Madama del 1984, che ne sono l’aggiornamento, non è presente, nel rapporto tra Stato italiano e Santa Sede, né “concessione” alcuna né “riconoscimento” con valore giuridico costitutivo. Ma, come dice lo stesso testo degli accordi nell’Art. 1:
“La Repubblica italiana e la Santa Sede riaffermano che lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani, impegnandosi al pieno rispetto di tale principio nei loro rapporti ed alla reciproca collaborazione per la promozione dell’uomo e il bene del paese”.
Il reciproco riconoscimento tra Chiesa cattolica e Stato italiano si colloca, all’interno del riconoscimento della libertà religiosa da un lato e della sana laicità dello Stato. Lo Stato non concede alcuna libertà religiosa alla Chiesa cattolica poiché non ne ha la facoltà in quanto non La concepisce né potrebbe farlo, come “sua parte” ma, al contrario, La riconosce come proprio interlocutore in maniera totalmente indipendente e sovrana.
In tal senso il dialogo con un interlocutore paritetico costituisce, da parte dello Stato, il massimo riconoscimento possibile, fondato sul principio giuridico della Libertas Ecclesiae, libertà della Chiesa.
Tale Libertas si traduce, dal punto di vista positivo, nella affermazione di “indipendenza” e “sovranità” nel proprio ordine, impedendo qualunque forma di limitazione dell’esercizio della libertà religiosa e rifiutando nel contempo qualunque concezione di laicità tendente a sminuire la portata del fatto religioso.
Pur nella consapevolezza della grande differenza epistemologica e quindi ermeneutica tra i documenti di un Concilio della Chiesa e la Costituzione italiana, sia in ordine all’origine dei testi sia rispetto all’orizzonte radicalmente differente di riferimento cui essi si rivolgono (i primi alla Chiesa diffusa in tutto il mondo, la seconda ad una determinata nazione), pare opportuno mettere in evidenza che la questione dell’autonomia, la quale in questo contesto giuridico è sinonimo di indipendenza, viene ricordata anche dal Concilio Ecumenico Vaticano II nella Costituzione Gaudium et Spes § 76, dove si legge:
“La comunità politica e la Chiesa sono indipendenti e autonome l’una dall’altra nel proprio campo. Tutte e due, anche se a titolo diverso, sono al servizio della vocazione personale e sociale delle stesse persone umane. Esse svolgeranno questo loro servizio a vantaggio di tutti, in maniera tanto più efficace quanto meglio coltivano una sana collaborazione tra di loro, secondo modalità adatte alle circostanze di luogo e di tempo”.
Anche la Costituzione italiana, cronologicamente precedente la Gaudium et Spes, si muove nello stesso orizzonte semantico quando all'Articolo 7 afferma:
“Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale”.
Come adoperata nei contesti citati, l’autonomia si riferirebbe specificamente alla Chiesa Cattolica, che, unica, gode di un assetto istituzionale di diritto divino, e quindi della Libertas Ecclesiae, che va ben oltre la libertà religiosa.
Ordinariamente quando ci si riferisce alla libertà religiosa si intende che i diritti collettivi degli aderenti ad una determinata religione (come ad esempio quello all'autogoverno) sono derivati dal diritto del singolo essere umano, in ragione della natura essenzialmente sociale dell'uomo. In una tale concezione possono richiedere di essere "mediati" dallo Stato nel loro esercizio, come, per esempio, da leggi che consentano la formazione di persone giuridiche private, associazioni e simili, a determinate condizioni, quali la supervisione dello Stato in materia fiscale e di gestione, similmente alle altre associazioni no-profit.
Al contrario la Libertas Ecclesiae è inerente alla Chiesa quale società sovrana (societas perfecta si diceva un tempo) per diritto divino, cioè istituita, con la Sua propria sovranità, direttamente da Dio.
Nella pratica però, fatta eccezione per l'Italia e per pochi altri casi, la Chiesa Cattolica non gode di tale riconoscimento in Occidente e rivendica le libertà necessarie all’esercizio della propria missione in forza del diritto umano alla libertà religiosa.
A tale questione fa ancora riferimento il Concilio Vaticano II anche nella Dichiarazione Dignitatis Humanae al § 13 che afferma:
“Fra le cose che appartengono al bene della Chiesa, anzi al bene della stessa città terrena, e che vanno ovunque e sempre conservate e difese da ogni ingiuria, è certamente di altissimo valore la seguente: che la Chiesa nell'agire goda di tanta libertà quanta le è necessaria per provvedere alla salvezza degli esseri umani. È questa, infatti, la libertà sacra, di cui l'unigenito Figlio di Dio ha arricchito la Chiesa acquistata con il suo sangue. Ed è propria della Chiesa, tanto che quanti l'impugnano agiscono contro la volontà di Dio. La libertà della Chiesa è principio fondamentale nelle relazioni fra la Chiesa e i poteri pubblici e tutto l'ordinamento giuridico della società Civile. Nella società umana e dinanzi a qualsivoglia pubblico potere, la Chiesa rivendica a sé la libertà come autorità spirituale, fondata da Cristo Signore, alla quale per mandato divino incombe l'obbligo di andare nel mondo universo a predicare il Vangelo ad ogni creatura. Parimenti, la Chiesa rivendica a sé la libertà in quanto è una comunità di esseri umani che hanno il diritto di vivere nella società civile secondo i precetti della fede cristiana.
Ora, se vige un regime di libertà religiosa non solo proclamato a parole né solo sancito nelle leggi, ma con sincerità tradotto realmente nella vita, in tal caso la Chiesa, di diritto e di fatto, usufruisce di una condizione stabile per l'indipendenza necessaria all'adempimento della sua divina missione: indipendenza nella società, che le autorità ecclesiastiche hanno sempre più vigorosamente rivendicato. Nello stesso tempo i cristiani, come gli altri uomini godono del diritto civile di non essere impediti di vivere secondo la propria coscienza. Vi è quindi concordia fra la libertà della Chiesa e la libertà religiosa che deve essere riconosciuta come un diritto a tutti gli esseri umani e a tutte le comunità e che deve essere sancita nell'ordinamento giuridico delle società civili ”.
Appare evidente, in effetti, come per la Chiesa la libertà derivante dai diritti dei singoli cittadini sia solo subordinatamente positiva rispetto alla Libertas Ecclesiae in se stessa; anche se, nel caso concreto, Essa può “accontentarsi” del riconoscimento da parte del potere civile della libertà religiosa dei cittadini, come singoli e come comunità.
Nel citato Articolo 1 degli Accordi di Villa Madama non di meno appare rilevante l’«impegno […] alla reciproca collaborazione» tra Repubblica italiana e Santa Sede: non si tratta di un auspicio né di un desiderio, ma, appunto, di un impegno il quale, dunque, obbliga i due interlocutori al riconoscimento reciproco, al reciproco ascolto ed alla collaborazione.
Da tutto quanto su esposto si può facilmente dedurre come in Italia, sia in forza della Costituzione della Repubblica italiana sia in forza del Concordato Lateranense e dell’accordo di revisione del medesimo del 1984, sia giuridicamente salvaguardata la più ampia libertà religiosa. Essa è garantita ai cittadini in forza del diritto naturale ed alla Chiesa cattolica, riconosciuta come interlocutore paritetico dello Stato, in forza del Suo diritto proprio (che è diritto divino).
Rispetto alla laicità dello Stato, è possibile affermare che questa è tutta contenuta e giustamente riconosciuta nella formulazione: «nel proprio ordine», la quale indica la giusta distinzione di differenti ruoli e competenze tra Stato e Chiesa cattolica, esclude sia la contrapposizione sia il tentativo di limitare il libero esercizio delle proprie competenze, riconosce “ordini” differenti soggetti a potestà differenti, le quali, addirittura, sono impegnate, come detto, nella reciproca collaborazione.
Ricordare gli ottanta anni dalla Firma del Concordato del 1929 significa, allora, ricordare “ottanta anni di libertà” per la missione della Chiesa,conclude l'articolo della CEI, sia in Italia sia, per l’esercizio del Primato Petrino, nel mondo. (10/2/2009-ITL/ITNET)
"Dal punto di vista storico, per evitare talune inopportune strumentalizzazioni tendenti a delegittimare il valore del Concordato, partendo dal fatto che esso sia stato firmato nel 1929, sotto il governo di Benito Mussolini, è necessario ricordare che, quell’accordo, altro non fu se non la tappa finale di un lungo cammino storico, iniziato con la presa di Roma e con la conseguente “questione romana” e che vide vari tentativi, sia dei Pontefici sia dei governi precedenti, di trovare una soluzione condivisibile ed accettabile da entrambe le parti.
Se da un lato il nascente Stato italiano, l’origine del quale è ampiamente documentata anche nelle controverse matrici ideologiche che ne hanno determinato l’impostazione anti-cattolica, aveva l’esigenza di ricomporre l’unità reale tra se stesso e la società, dall’altro la Santa Sede aveva l’esigenza imprescindibile di vedere riconosciuta la propria assoluta ed incondizionata sovranità ed indipendenza, indispensabile all’esercizio della propria missione di annunciare il Vangelo a tutte le genti, non dovendo, in questo, dipendere da nessun altro potere di questo mondo.
In tal senso, sottolinea la nota, il Concordato rappresenta un importante passo di libertà per la Chiesa, quella libertà che le è connaturale e nella quale il Signore stesso l’ha costituita. Il Concordato, è bene ricordarlo, non è una “concessione” di libertà da parte dello Stato, ma il riconoscimento di una libertà che pre-esiste: nessuno stato “crea” la libertà, gli uomini nascono liberi, anche i cattolici! Lo Stato ha il dovere di riconoscere tale naturale situazione personale e sociale e di creare le condizioni per un reale esercizio della libertà.
Senza ripercorrere in questa sede i passaggi storici che hanno portato all’attuale regime concordatario, pare, tuttavia, fondamentale evidenziare che sia nel Concordato del 1929 sia negli accordi di Villa Madama del 1984, che ne sono l’aggiornamento, non è presente, nel rapporto tra Stato italiano e Santa Sede, né “concessione” alcuna né “riconoscimento” con valore giuridico costitutivo. Ma, come dice lo stesso testo degli accordi nell’Art. 1:
“La Repubblica italiana e la Santa Sede riaffermano che lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani, impegnandosi al pieno rispetto di tale principio nei loro rapporti ed alla reciproca collaborazione per la promozione dell’uomo e il bene del paese”.
Il reciproco riconoscimento tra Chiesa cattolica e Stato italiano si colloca, all’interno del riconoscimento della libertà religiosa da un lato e della sana laicità dello Stato. Lo Stato non concede alcuna libertà religiosa alla Chiesa cattolica poiché non ne ha la facoltà in quanto non La concepisce né potrebbe farlo, come “sua parte” ma, al contrario, La riconosce come proprio interlocutore in maniera totalmente indipendente e sovrana.
In tal senso il dialogo con un interlocutore paritetico costituisce, da parte dello Stato, il massimo riconoscimento possibile, fondato sul principio giuridico della Libertas Ecclesiae, libertà della Chiesa.
Tale Libertas si traduce, dal punto di vista positivo, nella affermazione di “indipendenza” e “sovranità” nel proprio ordine, impedendo qualunque forma di limitazione dell’esercizio della libertà religiosa e rifiutando nel contempo qualunque concezione di laicità tendente a sminuire la portata del fatto religioso.
Pur nella consapevolezza della grande differenza epistemologica e quindi ermeneutica tra i documenti di un Concilio della Chiesa e la Costituzione italiana, sia in ordine all’origine dei testi sia rispetto all’orizzonte radicalmente differente di riferimento cui essi si rivolgono (i primi alla Chiesa diffusa in tutto il mondo, la seconda ad una determinata nazione), pare opportuno mettere in evidenza che la questione dell’autonomia, la quale in questo contesto giuridico è sinonimo di indipendenza, viene ricordata anche dal Concilio Ecumenico Vaticano II nella Costituzione Gaudium et Spes § 76, dove si legge:
“La comunità politica e la Chiesa sono indipendenti e autonome l’una dall’altra nel proprio campo. Tutte e due, anche se a titolo diverso, sono al servizio della vocazione personale e sociale delle stesse persone umane. Esse svolgeranno questo loro servizio a vantaggio di tutti, in maniera tanto più efficace quanto meglio coltivano una sana collaborazione tra di loro, secondo modalità adatte alle circostanze di luogo e di tempo”.
Anche la Costituzione italiana, cronologicamente precedente la Gaudium et Spes, si muove nello stesso orizzonte semantico quando all'Articolo 7 afferma:
“Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale”.
Come adoperata nei contesti citati, l’autonomia si riferirebbe specificamente alla Chiesa Cattolica, che, unica, gode di un assetto istituzionale di diritto divino, e quindi della Libertas Ecclesiae, che va ben oltre la libertà religiosa.
Ordinariamente quando ci si riferisce alla libertà religiosa si intende che i diritti collettivi degli aderenti ad una determinata religione (come ad esempio quello all'autogoverno) sono derivati dal diritto del singolo essere umano, in ragione della natura essenzialmente sociale dell'uomo. In una tale concezione possono richiedere di essere "mediati" dallo Stato nel loro esercizio, come, per esempio, da leggi che consentano la formazione di persone giuridiche private, associazioni e simili, a determinate condizioni, quali la supervisione dello Stato in materia fiscale e di gestione, similmente alle altre associazioni no-profit.
Al contrario la Libertas Ecclesiae è inerente alla Chiesa quale società sovrana (societas perfecta si diceva un tempo) per diritto divino, cioè istituita, con la Sua propria sovranità, direttamente da Dio.
Nella pratica però, fatta eccezione per l'Italia e per pochi altri casi, la Chiesa Cattolica non gode di tale riconoscimento in Occidente e rivendica le libertà necessarie all’esercizio della propria missione in forza del diritto umano alla libertà religiosa.
A tale questione fa ancora riferimento il Concilio Vaticano II anche nella Dichiarazione Dignitatis Humanae al § 13 che afferma:
“Fra le cose che appartengono al bene della Chiesa, anzi al bene della stessa città terrena, e che vanno ovunque e sempre conservate e difese da ogni ingiuria, è certamente di altissimo valore la seguente: che la Chiesa nell'agire goda di tanta libertà quanta le è necessaria per provvedere alla salvezza degli esseri umani. È questa, infatti, la libertà sacra, di cui l'unigenito Figlio di Dio ha arricchito la Chiesa acquistata con il suo sangue. Ed è propria della Chiesa, tanto che quanti l'impugnano agiscono contro la volontà di Dio. La libertà della Chiesa è principio fondamentale nelle relazioni fra la Chiesa e i poteri pubblici e tutto l'ordinamento giuridico della società Civile. Nella società umana e dinanzi a qualsivoglia pubblico potere, la Chiesa rivendica a sé la libertà come autorità spirituale, fondata da Cristo Signore, alla quale per mandato divino incombe l'obbligo di andare nel mondo universo a predicare il Vangelo ad ogni creatura. Parimenti, la Chiesa rivendica a sé la libertà in quanto è una comunità di esseri umani che hanno il diritto di vivere nella società civile secondo i precetti della fede cristiana.
Ora, se vige un regime di libertà religiosa non solo proclamato a parole né solo sancito nelle leggi, ma con sincerità tradotto realmente nella vita, in tal caso la Chiesa, di diritto e di fatto, usufruisce di una condizione stabile per l'indipendenza necessaria all'adempimento della sua divina missione: indipendenza nella società, che le autorità ecclesiastiche hanno sempre più vigorosamente rivendicato. Nello stesso tempo i cristiani, come gli altri uomini godono del diritto civile di non essere impediti di vivere secondo la propria coscienza. Vi è quindi concordia fra la libertà della Chiesa e la libertà religiosa che deve essere riconosciuta come un diritto a tutti gli esseri umani e a tutte le comunità e che deve essere sancita nell'ordinamento giuridico delle società civili ”.
Appare evidente, in effetti, come per la Chiesa la libertà derivante dai diritti dei singoli cittadini sia solo subordinatamente positiva rispetto alla Libertas Ecclesiae in se stessa; anche se, nel caso concreto, Essa può “accontentarsi” del riconoscimento da parte del potere civile della libertà religiosa dei cittadini, come singoli e come comunità.
Nel citato Articolo 1 degli Accordi di Villa Madama non di meno appare rilevante l’«impegno […] alla reciproca collaborazione» tra Repubblica italiana e Santa Sede: non si tratta di un auspicio né di un desiderio, ma, appunto, di un impegno il quale, dunque, obbliga i due interlocutori al riconoscimento reciproco, al reciproco ascolto ed alla collaborazione.
Da tutto quanto su esposto si può facilmente dedurre come in Italia, sia in forza della Costituzione della Repubblica italiana sia in forza del Concordato Lateranense e dell’accordo di revisione del medesimo del 1984, sia giuridicamente salvaguardata la più ampia libertà religiosa. Essa è garantita ai cittadini in forza del diritto naturale ed alla Chiesa cattolica, riconosciuta come interlocutore paritetico dello Stato, in forza del Suo diritto proprio (che è diritto divino).
Rispetto alla laicità dello Stato, è possibile affermare che questa è tutta contenuta e giustamente riconosciuta nella formulazione: «nel proprio ordine», la quale indica la giusta distinzione di differenti ruoli e competenze tra Stato e Chiesa cattolica, esclude sia la contrapposizione sia il tentativo di limitare il libero esercizio delle proprie competenze, riconosce “ordini” differenti soggetti a potestà differenti, le quali, addirittura, sono impegnate, come detto, nella reciproca collaborazione.
Ricordare gli ottanta anni dalla Firma del Concordato del 1929 significa, allora, ricordare “ottanta anni di libertà” per la missione della Chiesa,conclude l'articolo della CEI, sia in Italia sia, per l’esercizio del Primato Petrino, nel mondo. (10/2/2009-ITL/ITNET)
Fonte: www.italiannetwork.it
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